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mercoledì 26 luglio 2017

Risposte vere, non vaghe consolazioni - Don Marino Gobbin

Nel momento della malattia al medico noi chiediamo precise diagnosi e terapie efficaci; a Dio domandiamo il «perché» dei momenti di sofferenza e la forza per affrontarli. 
Dio la risposta non ce la nega; il nostro problema è riuscire a capire le sue risposte, essere attenti a quando lui ci parla. 
Vorremmo tutti aiutarci a comprendere le risposte di Dio (che non sono sempre nella linea della guarigione). 
Quella che noi stiamo vivendo ora è solo la fase iniziale della nostra vita; la potremmo chiamare il tempo della nostra gestazione. 
Noi nasceremo pienamente quando usciremo dal grembo della storia (per ora siamo ancora chiusi dentro le coordinate del tempo e dello spazio). 
Il nostro rischio è pensare che tutta la vita sia quella che stiamo vivendo. 
Dio ha una visione completa della nostra storia e del suo destino; egli solo può valutare in senso corretto quello che stiamo vivendo. 
Lui soltanto può dirci il valore dei momenti che viviamo. 
E nella storia di Gesù,  Dio ci dà delle indicazioni splendide. 
Non dobbiamo aspettarci delle risposte, ma l’indicazione di piste per cercare delle risposte alle domande che la sofferenza ci fa nascere. 
E tutte le piste portano al «Figlio dell’Uomo», Gesù, e alla sua vicenda. 
Le sue parole hanno la forza di seduzione delle parole di Dio, i suoi gesti incantano come una carezza... la carezza di Dio. 
Sì, ecco l’altro aspetto che poteva essere enucleato a titolo di questa conversazione senza per questo né impoverirla, né irriderla: «La sofferenza, carezza di Dio». 
Una carezza dura,  impossibile comprenderla senza la luce della fede, ma nel momento in cui ci si apre a Dio tutto cambia… 
Una forza nuova, impossibile a noi mortali ci fa puntare in alto e allora ecco la santità, la gioia, la pace che va diffondendosi… 
Tutto ciò possiamo comprenderlo con questo piccolo e illuminante racconto…

- Don Marino Gobbin -
Una favola africana 




Ben Sadok, un uomo malvagio, passò per un’oasi. 
Aveva un carattere così stizzoso che non riusciva a stare a guardare niente di buono o di bello senza poi guastarlo. 
Al margine dell’oasi c’era una giovane palma nella fase più bella della sua crescita; essa punse il malvagio arabo negli occhi. 
Allora questi prese una pietra pesante e la pose sulla corona della giovane palma. Dopo questa prodezza se ne andò con un sorriso malvagio. 
La giovane palma si scrollò, si piegò, cercò di liberarsi dal peso. Ma invano. 
Il masso era proprio incastrato nella corona. Allora il giovane albero si ancorò più profondamente al suolo e spinse contro il masso di pietra. 
Affondò talmente tanto le sue radici che raggiunse una sorgente d’acqua nascosta, sollevò così il masso talmente in alto, che la sua corona superò ogni ombra. 
L’acqua dal basso e il calore del sole dall’alto fecero del giovane albero una palma maestosa. 
Dopo alcuni anni Ben Sadok ritornò, per rallegrarsi malvagiamente della palma nana. Cercò invano. Allora la palma più superba inchinò la sua corona mostrando il masso e disse: «Ben Sadok, ti devo ringraziare, il tuo masso mi ha reso forte». 




Grazie della Croce 

Signore, ti ringrazio perché mi hai chiamato a Te attraverso la sofferenza, 
hai posato il Tuo sguardo misericordioso su di me, 
Tu hai guardato la forza delle mie spalle e in base alla mia forza, 
mi hai affidato una Croce da portare. 
Il mio cuore non era preparato 
e per dieci anni ha vacillato sotto il suo peso 
facendomi sprofondare nel fango. 
La disperazione del dolore mi ha [abbruttito] facendomi valere niente. 
È bastato che Tu, Signore, 
venissi nel mio cuore hai dato la forza alle mie stanche spalle, 
mi hai aiutato a risollevare la pesante Croce, 
mi hai fatto uscire del fango… 
Sei Tu la mia forza, Signore. 
Più grande è stata la Croce è più grande è la gioia che mi dai Tu. 
Tu hai reso la mia Croce leggera e soave, Tu mi dai la gioia nel dolore. 
Grazie, o mio Signore. 

Nino Baglieri 
(11.9.1982)




Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 12 luglio 2017

Sofferenza che trasfigura (3) - don Marino Gobbin

 La mia matita

Scrivi veloce su questo foglio bianco, 
scrivi leggera e sicura, 
sorretta dai denti della mia bocca.
Scrivi tutto ciò che sgorga dal mio cuore, 
scrivi che è un dono del Signore se adesso tu sei nella mia bocca, 
scrivi ogni cosa che esce dal mio cuore, 
scrivilo con amore, perché sono parole che detta il Signore.
I tuoi segni su questi fogli di quaderni, 
dureranno molto tempo, 
così tanta gente potrà conoscere la mia vita, 
potrà conoscere le opere meravigliose che il Signore ha operato in me, 
tutto l’amore che ha dato a me. 
Quando io non sarò più, 
i tuoi segni parleranno di me, 
continueranno la mia missione, 
continueranno a parlare di nostro Signore 
e del suo grande amore per me e per tutti noi. 
Scrivi matita, continua sempre a scrivere, non fermarti mai, fermati solo quando Dio vuole, poi andremo insieme a riposare, e i tuoi segni continueranno a parlare di noi, delle lunghe ore passate insieme, parleranno delle mie sofferenze, delle mie gioie, della mia grande gioia…
Parleranno di come il Signore ha cambiato la mia vita, 
dandomi una vita nuova.
Parleranno di te, del grande dono di scrivere con la bocca.
Sì, matita mia, sei un grande dono di Dio, scrivi su questo quaderno,
affinché il mondo, il mondo sappia,
che Lui è il nostro unico Signore,
che Lui solo può dare pace e amore,
che Lui solo può dare i suoi meravigliosi doni, e ogni cuore canti alla sua gloria, alla sua gloria Eterna.
Lode al Signore!

- Nino Baglieri (22.9.1981) -
servo di Dio



Grazie a un’asticella, impara a comporre i numeri telefonici e si mette in contatto diretto con tante persone ammalate e la sua parola calma e convincente li conforta. 
Comincia un continuo flusso di relazioni che non solo lo fa uscire dall’isolamento, ma lo porta a testimoniare il Vangelo della gioia e della speranza. 
Dal 6 Maggio 1982 in poi, Nino festeggia l’Anniversario della Croce e, lo stesso anno, entra a far parte della Famiglia Salesiana come Cooperatore. 
Nel frattempo viene a conoscere l’esperienza di consacrazione a Dio nella secolarità cosicché il 31 agosto 2004 emette la professione perpetua tra i Volontari con Don Bosco (CDB). 
È consacrato secolare. 
Essi sono chiamati, per dirla con Papa Paolo VI, «a vivere le cose che posseggono come un dono – casa, famiglia, amicizie, lavoro – senza assoluttizzarle, per coglierne tutto il valore e l’importanza che hanno, scoprendo in esse un frammento di terra da custodire con amore coltivando la capacità di ricominciare sempre, la forza di stare dentro le situazioni cercando di mantenere il cuore libero, che sa purificarsi per essere capace di portare novità». 
Devono vivere avendo come icona la vita di Gesù a Nazaret. 
In tutti quegli anni, Gesù visse da «secolare consacrato» nel senso più autentico e pieno della parola. 
Visse autenticamente e profondamente tutte le situazioni umane proprie della condizione degli uomini, perché in lui si realizzava una consacrazione unica, quale unicamente in lui era possibile. Attraverso la sua consacrazione Nino, vivendo in famiglia, accudito dai suoi cari, sostenuto nel cammino dai fratelli consacrati, diventa per il mondo «pietra viva»! Pietra con cui confrontarsi e scontrarsi. Ma da cui prendere forza per lottare. 
E si sente chiamato alla santità portando con sé quanti raggiunge! La sua consacrazione è stato un atto di fiducia, un restituire a Dio ciò che gli apparteneva, un leggere la propria esistenza con Dio. 
L’anima di ogni Istituto Secolare è l’ansia profonda di una sintesi; è l’anelito all’affermazione simultanea di due caratteristiche: 
1) la piena consacrazione della vita secondo i consigli evangelici 
2) la piena responsabilità di una presenza e di una azione trasformatrice al di dentro del mondo, impegnati cioè nelle sue attività per una speciale vocazione divina a operare dal di dentro («in saeculo ac veluti ex saeculo») alla sua salvezza, per plasmarlo, perfezionarlo e santificarlo. 
Il laico consacrato vive tra gli uomini nelle strutture della vita sociale, impegnato con loro nel lavoro, condividendone i rischi, le pene, promuovendone il bene comune e la giustizia. 
Dice Paolo VI: «È un camminare difficile, da alpinisti dello spirito». 
Questo ha realizzato Nino. Infatti in tutti i suoi contatti manifesta in modo visibile la gioia della sofferenza offerta che lo rende testimone dell’amore di Dio. Già nel 1982, quasi anticipando in desiderio la sua consacrazione totale a Dio nell’Istituto, descrive in una preghiera la sua donazione a Dio trasformando in dono tutto ciò che gli è rimasto… 
Vorrei dedicare questa preghiera ad Andrea che nel letto d’ospedale sta lottando non solo fisicamente ma anche spiritualmente: vorrei dirgli che non tutto è perso, e che nulla è sprecato dei giorni della nostra vita: Dio li trasfigura. 
È stato così anche per Nino per quei dieci anni passati lontano da Dio. E con Andrea penso ai tanti giovani che per i motivi più svariati si trovano in questa situazione di dolore e… vorrei sostenere quelle mamme e quei papà ad aver fiducia e a lottare: non sono soli, c’è il Signore, la Chiesa, ci siamo tutti noi… 
Il nostro amore per quanto povero lotta e soffre e prega con loro… 
Tutti sappiamo che quando la sofferenza sale fino al culmine disarma la ragione, scandalizza la coscienza, è ladra di energia, distrugge la fiducia e la gioia. 
Quando la sofferenza è cruda, è un corpo a corpo con la carne, con la terra e col cielo, una lotta lenta e silenziosa tra l’al di qua e l’al di là che chiede di trasformarla. 
Il dolore è come l’aratro che solca la vita in un inverno gelido e crea ferite da cui il cuore può prendere luce e aria. 
Nino, con le sue parole, sa donarci questa luce e quest’aria che noi cerchiamo affannosamente.

- Don Marino Gobbin -


Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 10 luglio 2017

Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita - Padre Alberto Maggi

Introduzione
La morte di una persona cara è un dramma che segna per sempre l’esistenza degli individui, sia per quelli che pensano che la morte sia la fine di tutto, sia per quanti credono nella risurrezione o in altre forme di sopravvivenza. 
Ma la sofferenza per la perdita della persona amata è paradossalmente più dolorosa proprio per i credenti, a causa delle confuse o errate idee religiose che accompagnano la morte, e degli intenti consolatori di parenti, amici e conoscenti, specialmente se questi sono persone religiose.
Nell’istante del lutto sono molti gli interrogativi riguardo a tutto quel che circonda la morte (Perché proprio a lui o lei? Perché ora? Perché così giovane e così buono?). Ma, soprattutto, è inquietante l’interrogativo: dove è ora il defunto? 
Com’è? Che cos’è? Che cosa fa? 
È sufficiente la tradizionale risposta che i nostri cari, nella migliore delle ipotesi, sono in Cielo e contemplano beati il Signore per tutta l’eternità? Che godono della Requiem aeternam in una sorta di Casa di Riposo celeste?

Il momento del lutto non è tempo di parole ma di silenzio, di presenza che supplisca l’assenza, di forza che si faccia carico della debolezza. 
Quale parola potrà infatti mai confortare la persona afflitta dalla perdita di un proprio caro? 
Ogni parola e ogni frase, anche se formulate con le migliori intenzioni, saranno inadeguate e inopportune, come denuncia Giobbe agli amici venuti a consolarlo: «Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori molesti. Non avranno termine le parole campate in aria? O che cosa ti spinge a rispondere? Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: comporrei con eleganza parole contro di voi e scuoterei il mio capo su di voi. Vi potrei incoraggiare con la bocca e il movimento delle mie labbra potrebbe darvi sollievo» (Gb 16,2-5).
Nel tempo del lutto c’è solo da com-piangere, piangere con chi piange («Piangete con quelli che sono nel pianto», Rm 12,11), circondare le persone di caldo affetto e tanto amore. 
A chi è affranto per la morte che l’ha colpito nei suoi affetti più cari non servono parole, ma occorre fargli sperimentare la forza della vita. 
Poi, dopo qualche tempo, può venire il momento del dialogo, per cercare di dare un significato a quel che sembra insensato, come appunto è la morte, per tentare di capire che quel che appare come un annichilimento in realtà è un potenziamento della persona. 
Ma ci vuole tempo, pazienza, discrezione e tanta delicatezza. Un approccio maldestro, seppure animato da buoni propositi, può causare danni devastanti e spesso irreparabili.
Quel che occorre fare subito, al momento del lutto, è evitare accuratamente le persone pie, devote, bigotte, quelle che su tutto pontificano con frasi preconfezionate, sentenze, certezze che non attingono dalla loro esperienza ma dalla dottrina. 
Sono quelle che alla persona distrutta dal dolore sentenziano: «Il Signore l’ha chiamato», «L’ha preso» e, se il morto era conosciuto per la sua bontà, affermano sicure, accompagnando la frase con un rassegnato sospiro: «Eh, sono sempre i migliori che se ne vanno!» oppure, con aria quasi soddisfatta: «I più buoni il Signore li vuole con sé», o in alternativa: «Era già maturo per il paradiso»
Nel caso il defunto sia molto giovane, questi becchini del dolore affermano impudentemente che «I fiori più belli il Signore li vuole con sé…». 
Se poi è un bambino in tenera età, consolano i genitori dicendo che il loro bimbo «È un angioletto in paradiso…». 
Queste espressioni consolatorie precedono il cristianesimo e sono note fin dall’antichità. 
È di Menandro, famoso commediografo greco vissuto tre secoli prima di Cristo, la celebre frase «Muore giovane colui che gli dèi amano» (frammento 111 K.-Th), ripresa da Giacomo Leopardi, come epigrafe per il suo Amore e morte (XXVII): «Muore giovane colui ch’al cielo è caro». 
Nel Libro della Sapienza, la morte del giovane viene giustificata così: «Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo […]. Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove. Fu rapito, perché la malvagità non alterasse la sua intelligenza o l’inganno non seducesse la sua anima […]. 
Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita» (Sap 4,7.10-11.13).
A chi non accetta e non si rassegna a questo lutto, e protesta, dicendo che l’angioletto se lo sarebbero tenuto ben volentieri nella loro famiglia, ecco tutto un fuoco di sbarramento a forza di «Accetta la croce che Dio ti ha mandato», «È la volontà del Signore», «È il Signore che pota», «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto», «La felicità non è di questo mondo», con tutto l’inesauribile repertorio dell’infinito stupidario religioso del quale si alimentano insaziabili i pii devoti, più beoti che beati. 
Frasi che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, facendo nascere un sordo rancore verso questo Dio spietato che toglie, coglie, manda croci, pota vite e persone, e la cui volontà coincide sempre con la sofferenza degli uomini e mai, neanche una sola volta, con la loro felicità.

- Padre Alberto Maggi -
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore





….. Il momento del morire è il momento più bello della nostra esistenza, perché finalmente ci si apre alla dimensione per la quale siamo stati creati e allora si capisce perché un Francesco d’Assisi può chiamare Sorella Morte. La morte non ci toglie nulla ma ci viene incontro per regalarci tutto, ci viene incontro per regalarci la dimensione di pienezza di vita, alla quale siamo chiamati…

- Padre Alberto Maggi OSM - 
Assisi 31 agosto 2012



Buona giornata a tutti. :-)








mercoledì 14 giugno 2017

Sofferenza che trasfigura (2) - don Marino Gobbin

Alla mia mamma

Ti guardo, o mamma, seduta accanto al mio capezzale.
Il viso segnato da rughe, un velo d’argento è sceso sui tuoi capelli.
E la stanchezza pesa sui tuoi dolci occhi.
Il tuo respiro è affannoso.
Un tubicino ti lega sempre alla bombola d’ossigeno.
Gli anni passano, mamma, e le tue forze vengono meno.
La fede in Dio ti dà forza e… la corona del rosario scorre tra le dita, unendoti sempre al tuo Signore.
Quanto hai sofferto per me, o mamma,
quante preghiere hai innalzato al Signore perché io accettassi la croce!
La tua vita per me hai sacrificato.
Notte e giorno con affanno sempre pronta ad aiutarmi nelle mie necessità, sempre pronta a curare le mie ferite, ad asciugare il sudore del mio dolore.
Ti fai Cirenea, aiutandomi a portare la croce.
Martire d’amore sei, o mamma, su questa terra.
Ora sei debole, o mamma,
tale da non potermi accudire come tu vuoi,
ma nel tuo cuore non si è ridotto il materno amore.
Grazie, o mamma, per quello che hai fatto,
per quello che fai e per quello che ancora farai per il tuo figlio infermo.

- Nino Baglieri - 

Da: “Sulle ali della croce. Nino Baglieri e… tanta voglia di vivere”, a cura di Giuseppe Ruta. Editore Elledici 2008, pp. 162-163




Nino Baglieri, nato il 1° maggio 1951 e scomparso il 2 marzo 2007 a Modica in Sicilia all’età di 56 anni, l’ho conosciuto alcuni anni fa recandomi in Sicilia a dare gli Esercizi Spirituali a un gruppo di consacrati secolari della Famiglia Salesiana, i volontari Con Don Bosco. 
Sono rimasto in silenzio, attonito di fronte alla serenità e alla pace che trasmetteva la sua presenza. Quest’anno che mi sono recato nuovamente a dare una predicazione al gruppo, e lui mancava, ho percepito viva la sua presenza e il dono della sua vita per i fratelli consacrati e per la Chiesa e i giovani. In quell’occasione ma anche quest’anno era lui colui che insieme a Dio dava gli esercizi! 
Io balbettavo parole… Nino per quasi quaranta anni ha vissuto la sua vita fra il letto e la sedia a rotelle, perché divenuto tetraplegico in seguito a un incidente sul lavoro. Infatti, dopo aver frequentato le scuole elementari e aver intrapreso il mestiere di muratore, a diciassette anni, il 6 Maggio 1968, precipita da un’impalcatura alta 17 metri. 
Ricoverato d’urgenza, Nino si accorge con amarezza di essere rimasto completamente paralizzato. 
Inizia così il suo cammino di sofferenza, passando da un centro ospedaliero all’altro, ma senza alcun miglioramento. 
E in quei primi momenti c’è stato chi, senza sensibilità e delicatezza, ha suggerito alla madre una soluzione drastica: l’eutanasia! 
Lei si oppose con tutte le forze, decisa a consegnarsi in tutto e per sempre per questo figlio bisognoso di tutto e in un tempo in cui nessun aiuto gli era riconosciuto e neppure l’incidente… 
Dopo l’incidente, egli ha vissuto un periodo di ribellione e disperazione durato circa dieci anni, che si trasformerà in cammino di conversione quando, attraverso la preghiera di un sacerdote accompagnato da alcuni giovani, riceve l’effusione dello Spirito Santo. 
Era il 24 marzo 1978, venerdì santo, alle quattro del pomeriggio. Da quel momento la sua vita subisce la svolta, accetta la Croce e dice il suo "si" al Signore. Incomincia a leggere il Vangelo e la Bibbia: riscopre le meraviglie della fede. Tutto ciò ne delineerà indelebilmente il carattere, fino a diventare una figura di spicco nel panorama ecclesiale della Diocesi di Noto e della Famiglia Salesiana. Aiutando alcuni ragazzini, vicini di casa, a fare i compiti, impara a scrivere con la bocca. Redige, così, le sue memorie, le lettere a persone di ogni categoria in varie parti del mondo, personalizza immagini-ricordo che omaggia a quanti vanno a visitarlo. 
Alla matita dedica una sua preghiera affidandogli un compito impegnativo diventare lo strumento di grazia e di santità per i fratelli. E con quale maestria la usava! 
Allora non c’erano ancora i computer con cui si poteva dialogare semplicemente con gli occhi, lui si è industriato, si è esercitato… 
La sua matita poteva rompere silenzio e omertà, farlo uscire di casa senza neppur muoversi, raggiungere i cuori anche i nostri cuori… 
Testardo e caparbio ne ha fatto una lode all’Eterno amore.

- Don Marino Gobbin -




Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 29 maggio 2017

Sofferenza che trasfigura - don Marino Gobbin

La sofferenza? Un mistero che accompagna l’uomo per trasfigurarlo. 
Accanto a chi soffre, a ogni sofferenza, quando ci si dona, si riceve moltissimo perché ci si svuota per riempirsi della Verità, dell’Essenzialità, della Vita vera. 
Di fronte alla sofferenza è Dio a sceglierti per comunicarti qualcosa, e sovente lo fa attraverso degli intermediari che sono gli stessi sofferenti. 
Un medico dopo un servizio in un ospedale pediatrico particolare per la sofferenza ivi raccolta e la situazione umana in cui vivevano i ricoverati racconta: «In questo ambiente non siamo noi che scegliamo, ma sono loro che ci scelgono! …
E, ancora una volta, sarà lui a scegliermi! Era lì. Fermo, dinanzi all’infermeria. Nel suo lettuccio. Mi rapì con lo sguardo! Poi mi trafisse! Solo due carezze in cambio di un sorriso senza fine che sprizzava gioia infinita. 
I suoi occhi nei miei occhi. I suoi: lucenti, brillanti, chiari, limpidi, senza tristezza. Era lì che attendeva. In quegli occhi per un momento ho visto l’Infinito... e allora i miei, miopi, furono solcati da lacrime che li oscurarono per alcuni momenti. 
E lì ho visto Dio! Lui, l’umile Dio, che si fa piccolo, si fa carne, si fa "mendicante dell’amore". Lui era lì. 
Mi guardava e non mi chiedeva nulla... Attendeva il gesto più piccolo e semplice come una carezza. 
L’attendeva per svelarsi e amarmi. 
Non ero stato io a dare qualcosa a lui, perché una carezza è un nulla dinanzi a quella sofferenza, ma era stato lui a donarmi qualcosa. Ma cosa? Aveva illuminato la mia anima rattrappita; si era fatto specchio per lasciarmi intravedere tutte le cose più belle che io avevo e che lui apparentemente non possedeva. 
Ma non mi aveva messo in soggezione. 
Mi aveva interrogato senza parlarmi. 
Spronato senza toccarmi. 
Liberato senza rimproverarmi. Solo il suo sguardo». E più oltre narra ciò che ha scoperto: «Credo che in tutte le storie di sofferenza in cui ci si dona, si riceve perché ci si svuota per riempirsi della Verità, dell’Essenzialità, della Vita vera. In occasioni come queste si scopre la nostra vocazione, ma soprattutto quella di chi vive la sofferenza. 
Oserei dire che queste persone hanno ricevuto da Dio una grande vocazione: quella di farci comprendere e amare l’essenzialità della vita stessa. 
Penso che loro sono qui in mezzo a noi per dirci qualcosa... 
Essi sono quello specchio che mette a nudo la nostra anima per lasciarci percepire il valore della vita e la missione dell’uomo, chiamato dall’Amore all’amore. Alla fine di questa esperienza raccontata così com’è "scesa" dal cuore nella penna, nessuna pretesa, nessun applauso. 
L’applauso va a loro e forse anche a chi ha avuto il coraggio di dargli la vita nonostante la loro esistenza sembrasse tutto tranne "vita". 
"Esseri inutili" agli occhi di noi "comuni sani". 
"Uomini speciali" ai miei occhi dopo questa esperienza. 
Provate a incrociare gli sguardi di quei genitori che hanno figli gravemente malati e capirete che quello che ho scoperto non è pura fantasia.

- Don Marino Gobbin -


Inno di lode

Guardo il mio corpo infermo e lodo Te, o Signore.
Grazie per il dono della vita che ogni giorno Tu mi fai.
Il mio corpo sembra morto 
ma nel mio petto continua a battere il mio cuore. 
Le gambe non si muovono 
eppure per le vie del mondo io cammino.
Son ferme le mie mani, ma Tu, 
Signore, il mondo mi fai accarezzare. 
Meraviglie hai fatto Tu, 
Signore, mi hai aperto alla vita e all’amore.
Nel dolore ti ho cercato, 
con ardore il tuo nome ho invocato.
Nella Croce ti ho incontrato e Tu, 
Signore, tutto in gioia hai cambiato.
Da questo mio letto di dolore 
quest’inno di lode innalzo a Te, o Signore. 
Grazie perché mi hai amato!

- Nino Baglieri - 

Da: “Sulle ali della croce. Nino Baglieri e… tanta voglia di vivere”, a cura di Giuseppe Ruta. Editore Elledici 2008, p. 168





Buona giornata a tutti. :-)




domenica 3 luglio 2016

C’è qualcuno lassù? . Don Ferrero Bruno

Era una famigliola felice e viveva in una casetta di periferia.
Ma una notte scoppiò nella cucina della casa un terribile incendio.
Mentre le fiamme divampavano. genitori e figli corsero fuori.
In quel momento si accorsero, con infinito orrore, che mancava il più piccolo, un bambino di cinque anni.
Al momento di uscire, impaurito dal ruggito delle fiamme e dal fumo acre, era tornato indietro ed era salito al piano superiore.
Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati, le due sorelline cominciarono a gridare.

Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile...
E i vigili del fuoco tardavano.
Ma ecco che lassù, in alto, s'aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò, urlando disperatamente: "Papà! Papà!".
Il padre accorse e gridò: "Salta giù!".
Sotto di sè il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma senti la voce e rispose: "Papà, non ti vedo...".
"Ti vedo io, e basta. Salta giù!" Urlò, l'uomo.
Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo.
Non vedi Dio. Ma Lui vede te. Buttati!

(don Bruno Ferrero)



Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide che non c'era nessuno. 

 - Martin Luther King - 


Cari Amici miei,
abbiate la forza ed il coraggio di assumervi un po’ delle sofferenze altrui.
Fate entrare i loro sentimenti e i loro pensieri nelle vostre viscere che sono il luogo privilegiato per accogliere e condividere le emozioni, le passioni, i timori, le difficoltà, le tristezze e gli affetti del prossimo.
Ma fate diventare le vostre viscere luogo di accoglienza non solo delle preoccupazioni e dei dolori ma anche delle vittorie, delle gioie, delle felicità, dei sogni e delle esperienze piacevoli di chi vi è vicino.
Cominciate almeno da chi vi è più vicino e che senza accorgervene trascurate per abitudine.
Vi dico questo perché questo comportamento prima di portare beneficio al prossimo beneficherà voi stessi modificando il vostro modo di essere e rendendovi persone piacevoli e migliori….in una parola “misericordiose”.
Se volete cambiare il mondo sappiate che potete cominciare da qui, da voi stessi, allenandovi ad avere uno sguardo che entra e scruta gli invisibili sentimenti delle persone, vedendo anche aldilà delle apparenze.
Perché dal vostro modo di essere misericordiosi scaturiranno tutte le molteplici opere di misericordia, che sono diverse e tante a secondo della diversità delle persone alle quali rivolgerete la vostra attenzione e delle circostanze in cui vi troverete.

Vi abbraccio.

- Massimo Arrighi - 
(diacono della Diocesi di Lecce)



Benedizione della Famiglia

O Gesù, volgi lo sguardo tuo su questa famiglia
e colmala di benedizioni celesti e temporali,
e santificala nel tuo Nome!
Sostieni Tu la salute della mamma 
affinché abbia la forza di sostenere 
il peso dell’educazione dei figli.
Accresci forza e vigore al papà, 
affinché nelle sue attività sia sempre sano 
e cresca nella sua interiore pietà.
La casa sia un tempio del tuo amore 
dove Tu regni e sia piena di pace e di carità.
Crescano come fiori del tuo altare i figli;
siano lontane da loro 
le insidie ed incursioni dello spirito maligno.
Così sia.

Testo tratto dagli scritti 
del Servo di Dio don Dolindo Ruotolo




























Buona giornata a tutti. :-)

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