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giovedì 17 ottobre 2019

Don Martino va all'Inferno - leggenda medievale

Questa è la storia di don Martino, reverendo parroco di Cucugnano. 
Fin da giovane Martino sognava di diventare un buon parroco e di portare pace e serenità nel cuore di quelli che sarebbero stati i suoi parrocchiani, facendo del suo paese una sorta di isola felice in un mondo pieno di odio e di rancore.
Martino studiò alacremente e fu ordinato sacerdote. Poi, finalmente, un giorno il vescovo lo convocò per comunicargli che gli era stata affidata la parrocchia di Cucugnano.
Don Martino arrivò alla sua parrocchia una mattina molto presto e si accorse che nessuno lo stava aspettando. Ne rimase un po' deluso, ma non si scoraggiò, e già da quello stesso giorno si mise all'opera per realizzare il suo sogno.
«Il nostro parroco è come il prezzemolo, ce lo ritroviamo dappertutto» mormoravano gli abitanti di Cucugnano. Però gli volevano un gran bene anche se di andare in chiesa, o di pregare, non ne avevano proprio voglia.
Don Martino non trascurava nessuno: il suo santo zelo lo portava in ogni casa e chiunque in paese poteva dire di aver ricevuto da lui qualche parola buona o utili consigli.
La domenica però pochi contraccambiavano i favori del loro parroco recandosi in chiesa e questo era per lui un grande cruccio.
Fu così che don Martino, salito sul pulpito una domenica mattina, guardando la desolata chiesa semivuota se ne uscì con queste parole: «Vorrei rivelare ai miei amati parrocchiani il modo per mettere le mani su un tesoro che potrà far diventare tutti ricchi e felici. Però, dal momento che oggi non c'è quasi nessuno, preferisco svelarne il segreto la prossima domenica, di modo che ciascuno abbia la propria parte».
Scese quindi dal pulpito senza aggiungere altro.
Potete immaginare quale pienone ci fu in chiesa la domenica seguente! Chi si sarebbe lasciato scappare l'occasione per sapere dov'era un tesoro?
Il parroco salì sul pulpito nel silenzio generale, tutti lo guardavano in trepidante attesa.
«State tranquilli, il tesoro c'è ed è per tutti. Dove si trova lo saprete ben presto. Ora ascoltate attentamente quanto mi è successo.
L'altra notte fui svegliato all'improvviso da un vento strano che entrava nella mia stanza. Mi alzai, guardai fuori dalla finestra e sapete cosa vidi? 
Un angelo tutto bianco che mi faceva cenno con la mano di seguirlo. 
Bastò il mio desiderio di andare con lui e in un lampo fui trasportato fin sulla porta del Paradiso. Era bellissima, grande e tutta lucente. Mi aprì san Pietro in persona che aveva in mano delle chiavi d'oro con le quali poteva aprire la porta per uscire dal tempo ed entrare nella dimensione eterna. 
Là san Pietro teneva un librone enorme sul quale comparivano tutte le anime del Paradiso, quelle che furono e quelle che saranno. Allora, giusto perché ero lì e che erano stati loro a invitarmi, azzardai a chiedere quanti abitanti di Cucugnano si trovassero sul suo libro.
San Pietro, che vi assicuro è un uomo molto cordiale, spulciò attentamente ogni pagina e, essendo fuori dal tempo, non impiegò che un attimo.
Potete immaginare come rimasi quando mi comunicò che nessun cucugnanese si trovava fra quei nomi. Io cominciai a disperarmi: "Come, proprio nessuno?".
San Pietro mi consolò rincuorandomi: "Non angustiatevi, don Martino, vedrete che i vostri parrocchiani avranno dovuto scontare qualche peccatuccio. Li troverete senz'altro in Purgatorio. Ora vi mando a mio nome dal Santo Portinaio e lì potrete verificare voi stesso".
Sempre accompagnato dall'angelo silenzioso, scesi di qualche piano e bussai alle porte del Purgatorio. La strada era stata disastrosa. Era piena di ciottoli pungenti e profondi precipizi, e in ogni dove si sentivano lunghi sospiri simili a folate di vento. Mi fu aperto dal Santo Portinaio che era stato già avvisato del mio arrivo.
Mentre controllavamo il grande libro dell'Espiazione udivo voci indistinte che mormoravano in continuazione: "Oh, se non avessi fatto...". "Ah, se non avessi detto...". "Ma come ho potuto non capire...". "Eppure sarebbe stato così semplice...".
Quelle povere anime mi facevano una gran pena: quanto avrei voluto avere la possibilità di aiutare ognuna di loro!
Finalmente giungemmo all'ultima pagina del libro e il Santo Portinaio mi disse, tirando un grosso sospiro: "State tranquillo, reverendo, di cucugnanesi qui in Purgatorio non c'è nemmeno l'ombra: saranno certamente tutti in Paradiso".
Mi sentii mancare! Come? Se non c'erano cucugnanesi né in Paradiso né in Purgatorio, voleva dire che... non osavo portare a termine il terribile pensiero.
Il buon angelo che mi accompagnava sembrava titubante. Sarei andato anche laggiù?
Sì, mi sarei sincerato personalmente che non si fosse trattato di un equivoco. Ero deciso a scendere anche all'Inferno!
Il Portinaio del Purgatorio mi guardò con comprensione, mi consegnò delle scarpe speciali con le quali non mi sarei ustionato i piedi lungo la strada degli inferi e mi diede grossi occhiali scuri attraverso i quali scrutare fra le fiamme.

Mi feci coraggio e, seguendo l'angelo, cominciai a scendere sempre più giù.
Il caldo si faceva insopportabile, non ce l'avrei fatta se ogni tanto l'angelo non mi avesse sfiorato con le grandi ali regalandomi un po' di frescura.
In fondo a quella strada buia e torrida vidi a un tratto le porte dell'Inferno, spalancate come le fauci di un mostro!»
A questo punto don Martino fece una pausa nel suo racconto tergendosi il sudore con un fazzolettone, come se bastasse quella rievocazione per fargli patire un gran caldo.
I parrocchiani, a naso in su, non fiatavano.
«Dunque, ero proprio all'Inferno» riprese il buon prete. «L'angelo non ne varcò la soglia e anch'io sinceramente ne avrei fatto volentieri a meno. Non si sentivano che urla e lamenti, l'aria era impregnata dei più sgradevoli odori e ogni tanto qualcuno prorompeva in tremendi schiamazzi.
"Allora, ti decidi o no?" mi domandò all'improvviso un diavolo gobbo con un grosso forcone in mano.
"Lasciami stare" implorai pieno di spavento. "Sono un servo di Dio!".
"Per tutti i satanassi! E allora cosa vieni a fare qui? A prendermi in giro? Guarda che non ti conviene! Servo di Dio o no, ti arrostisco per bene". Poi, visto al di là della soglia l'angelo in attesa, mi chiese nuovamente: "Dimmi quello che vuoi e andatevene, tu e il tuo sbiadito accompagnatore".
Mi feci un po' di coraggio e chiesi: "Io vorrei solo sapere se qui presso di voi avete qualcuno dei miei parrocchiani di Cucugnano...".
Il diavolo non mi lasciò finire la frase e proruppe in una risata che da noi avrebbe scosso tutto il paese: "Ma dico, sei forse scemo? Chi non sa che gli abitanti di Cucugnano stanno tutti qui?".
Io, preso da uno sgomento che non so spiegarvi, guardai in quell'aria densa e opaca e, tra pianti e grida, vi vidi proprio tutti...
Rimasi talmente inorridito che mi paralizzai proprio lì, davanti a quel diavolo puzzolente, tanto che l'angelo stese veloce un'ala oltre la soglia dell'Inferno e mi portò via con sé.
E ora eccomi qui a raccontarvi questa incredibile avventura. Ma si può andare avanti così e infilarsi come beoti proprio dentro le fauci dell'Inferno?»
Don Martino tacque all'improvviso, scrutando l'effetto delle sue parole.
Sbalorditi e impressionati dalla miracolosa avventura toccata al loro parroco, i cucugnanesi tacevano, ma erano tutti pallidi e tremanti.
Il prete riprese fiato e, approfittando di quell'attimo di sbigottimento generale, proseguì: «Dunque così non va e io ho deciso di fare tutto il possibile per sottrarvi all'abisso verso cui vi state avviando. Cominceremo da domani. Lunedì confesserò i vecchi, spero di non avere molto da fare. Martedì i bambini, e questa sarà una giornata di riposo. Mercoledì confesserò gli uomini e sarà una vera giornataccia. Giovedì le donne..., povere le mie orecchie. Venerdì so io chi confesserò... glielo farò sapere a quattr'occhi. Sabato mattina sarete tutti a posto e con le coscienze tranquille, pronti per la messa di domenica, in barba a quei furboni di diavoli che già gongolano pensando a voi».
«E il tesoro?» chiese timidamente qualcuno.
«Il vero tesoro non è altro che la pace nel cuore e la serenità di una vita spesa all'ombra del buon Dio. Non bisogna fare grandi cose, basta amarlo... il resto va da sé».
«E adesso fate una buona giornata e così sia!» tagliò corto don Martino.
Dopo la predica di quella domenica le cose cambiarono a Cucugnano. Non che tutti divennero santi, per carità! Ma don Martino sognava tutte le notti di guidare una grande processione in cui lui e i suoi parrocchiani percorrevano una strada stellata verso la città di Dio.

- leggenda medievale -
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 



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domenica 13 ottobre 2019

da: "Le ore" - Michael Cunningham

Viviamo le nostre vite, facciamo qualunque cosa e poi dormiamo – è così semplice e ordinario. 
Pochi saltano dalle finestre o si annegano o prendono pillole; più persone muoiono per un incidente; e la maggior parte di noi, la grande maggioranza, muore divorata lentamente da qualche malattia o, se è molto fortunata, dal tempo stesso. 
C’è solo questo come consolazione: un’ora qui o lì, quando le nostre vite sembrano, contro ogni probabilità o aspettativa, aprirsi completamente e darci tutto quello che abbiamo immaginato, anche se tutti tranne i bambini (e forse anche loro) sanno che queste ore saranno inevitabilmente seguite da altre molto più cupe e difficili. 
E comunque amiamo la città, il mattino; più di ogni altra cosa speriamo di averne ancora.

da: Le Ore
di Michael Cunningham, editore Bompiani



La nostra vita è fatta da un susseguirsi di ore; ce ne saranno di piacevoli che quasi sicuramente saranno poi seguite da altre spiacevoli, consapevolezza dalla quale non si può fuggire, forse neppure quando siamo bambini.

Immagina di voltarti indietro, di tirare fuori la pietra dalla tasca, di tornare a casa. 
Potresti continuare a vivere; potresti compiere questo atto finale di gentilezza.

Eppure questo amore indiscriminato è totalmente serio per lei, come se ogni cosa del mondo fosse parte di un intento vasto e imperscrutabile e ogni cosa del mondo avesse il suo nome segreto, un nome che non può essere incanalato in una lingua, ma è semplicemente il vedere e sentire le cose in sé.
Non amiamo forse i bambini in parte perché vivono al di fuori del regno del cinismo e dell'ironia? 
È così terribile per un uomo volere più giovinezza, più piacere?
Le sembra di aver iniziato in quel momento a vivere nel mondo, a capire le promesse implicite in uno schema che è più grande della felicità umana, sebbene contenga la felicità umana insieme a ogni altra emozione.
Non mangiare è un vizio, un tipo di droga – con lo stomaco vuoto si sente veloce e pulita, lucida di mente, pronta per una battaglia.
Ha capito che avrebbe avuto problemi a credere in se stessa, nelle stanze della casa, e quando ha gettato uno sguardo a questo nuovo libro sul comodino, impilato sull'altro che ha finito la scorsa notte, lo ha preso automaticamente, come se leggere fosse il solo e naturale compito con cui iniziare la giornata, la sola via praticabile per gestire il passaggio dal sonno al dovere.
Inspira profondamente. È così bello. È molto più di... Be', di quasi tutto, in realtà. In un altro mondo, avrebbe potuto trascorrere tutta la vita a leggere.
Una pagina, decide: solo una. 
Non è ancora pronta.

da: Le Ore
di Michael Cunningham, editore Bompiani



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sabato 12 ottobre 2019

Come Adamo, sfuggiamo alla responsabilità della propria vita - Martin Buber

Rabbi Shneur Zalman, il Rav della Russia, era stato calunniato presso le autorità da uno dei capi dei mitnagghedim, che condannavano la sua dottrina e la sua condotta, ed era stato incarcerato a Pietroburgo. 
Un giorno, mentre attendeva di comparire davanti al tribunale, il comandante delle guardie entrò nella sua cella. 
Di fronte al volto fiero e immobile del Rav che, assorto, non lo aveva notato subito, quest'uomo si fece pensieroso e intuì la qualità umana del prigioniero. Si mise a conversare con lui e non esitò ad affrontare le questioni più varie che si era sempre posto leggendo la Scrittura. 
Alla fine chiese: "Come bisogna interpretare che Dio Onnisciente dica ad Adamo: «Dove sei?». "Credete voi - rispose il Rav - che la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e tutti gli individui?". "Sì, lo credo", disse. "Ebbene - riprese lo zaddik - in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: ‘Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo?’
Dio dice per esempio: ‘Ecco, sono già quarantasei anni che sei in vita. Dove ti trovi?’".
All'udire il numero esatto dei suoi anni, il comandante si controllò a stento, posò la mano sulla spalla del Rav ed esclamò: "Bravo!"; ma il cuore gli tremava.

Qual è il senso di questa storia?
A prima vista ci ricorda quei racconti talmudici in cui un romano o un altro pagano consulta un saggio ebreo a proposito di un passo della Bibbia per mettere in luce una pretesa contraddizione nell'insegnamento di Israele, e riceve una risposta che dimostra l'assenza di contraddizione o che confuta la critica in altro modo, con l'aggiunta a volte di un ammonimento a carattere personale.
Ma non tardiamo a notare una differenza significativa tra i racconti del Talmud e questo chassidico, anche se questa differenza appare all'inizio più importante di quanto sia in realtà. La risposta infatti viene data su un piano diverso da quello in cui è stata formulata la domanda.
Il comandante cerca di smascherare una pretesa contraddizione nelle credenze ebraiche: nel Dio in cui credono, gli ebrei vedono l'Essere onnisciente, ma la Bibbia gli attribuisce domande analoghe a quelle che farebbe chiunque ignori una cosa e voglia apprenderla. Dio cerca Adamo che si è nascosto, fa risuonare la sua voce nel giardino e chiede dov'è; ciò significa che non lo sa, che è possibile nascondersi da lui: dunque Dio non è l'onnisciente.

Ma, invece di spiegare il passo biblico e risolvere l'apparente contraddizione, il Rabbi se ne serve solo come punto di partenza, utilizzandone il contenuto per rivolgere al comandante un rimprovero per la vita da lui condotta fino a quel momento, per la sua mancanza di serietà, la sua superficialità e l'assenza di senso di responsabilità nella sua anima. 
La domanda oggettiva - che, in fondo, per quanto qui sia posta senza secondi fini, non è però una domanda autentica bensì una semplice forma di controversia - riceve una risposta personale; anzi, invece di una risposta, ne risulta un ammonimento a carattere personale. 
Di queste repliche talmudiche non è rimasto apparentemente altro che l'ammonimento che a volte le accompagnava.
Ciò nonostante, esaminiamo il racconto più da vicino. Il comandante chiede chiarimenti sul brano del racconto biblico che riguarda il peccato di Adamo. La risposta del Rabbi mira a questo, a dirgli: "Adamo sei tu. E a te che Dio si rivolge chiedendoti: ‘Dove sei?’". Apparentemente non gli ha fornito nessun chiarimento sul significato del brano biblico in quanto tale. 
Ma in realtà la risposta illumina sia la situazione di Adamo nel momento in cui Dio lo interpella, sia la situazione di ogni uomo in ogni tempo e in ogni luogo. Infatti, non appena si renderà conto che la domanda biblica è indirizzata a lui personalmente, il comandante prenderà necessariamente coscienza della portata dell'interrogativo posto da Dio: "Dove sei?", sia esso rivolto ad Adamo o a chiunque altro. 
Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere non è perché l’uomo gli faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell'uomo una reazione suscitabile per l'appunto solo attraverso una simile domanda, a condizione che questa colpisca al cuore l'uomo e che l'uomo da essa si lasci colpire al cuore.
Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla responsabilità della propria vita. 
Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire alla responsabilità della vita che si è vissuta, l'esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento. 
Proprio nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento "davanti al volto di Dio", l'uomo scivola sempre, e sempre più profondamente, nella falsità. 
Si crea in tal modo una nuova situazione che, di giorno in giorno e di nascondimento in nascondimento, diventa sempre più problematica. 
È una situazione caratterizzabile con estrema precisione: l'uomo non può sfuggire all'occhio di Dio ma, cercando di nascondersi a lui, si nasconde a se stesso. Anche dentro di sé conserva certo qualcosa che lo cerca, ma a questo qualcosa rende sempre più, difficile il trovarlo. 
Ed è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: vuole turbare l'uomo, distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada sbagliata, far nascere in lui un ardente desiderio di venirne fuori.
A questo punto tutto dipende dal fatto che l'uomo si ponga o no la domanda. Indubbiamente, quando questa domanda giungerà all'orecchio, a chiunque "il cuore tremerà", proprio come al comandante del racconto. Ma il congegno gli permette ugualmente di restare padrone anche di questa emozione del cuore. La voce infatti non giunge durante una tempesta che mette in pericolo la vita dell'uomo; è "la voce di un silenzio simile a un soffio", ed è facile soffocarla. Finché questo avviene, la vita dell'uomo non può diventare cammino. 
Per quanto ampio sia il successo e il godimento di un uomo, per quanto vasto sia il suo potere e colossale la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finché egli non affronta la voce. 
Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: "Mi sono nascosto". 
Qui inizia il cammino dell'uomo.
Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell'uomo l'inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano. Ma è decisivo, appunto, solo se conduce al cammino: esiste infatti anche un ritorno a se stessi sterile, che porta solo al tormento, alla disperazione e a ulteriori trappole. 
Quando il Rabbi di Gher arrivò, nell’interpretazione della Scrittura, alle parole rivolte da Giacobbe al suo servo – "Quando ti incontrerà Esaù, mio fratello, e ti domanderà: ‘Tu, di chi sei? Dove vai? Di chi è il gregge che ti precede?’" - disse ai suoi discepoli: "Osservate come le domande di Esaù assomiglino a questa massima dei nostri saggi: ‘Considera tre cose: sappi da dove vieni, dove vai e davanti a chi dovrai un giorno rendere conto’. 
Prestate molta attenzione, perché chi considera queste tre cose deve sottoporre se stesso a un serio esame: che in lui non sia Esaù a porre le domande. Anche Esaù infatti può porre domande su queste tre cose, sprofondando l'uomo nell'afflizione".
Esiste una domanda demoniaca, una falsa domanda che scimmiotta la domanda di Dio, la domanda della verità. 
La si riconosce dal fatto che non si ferma al "Dove sei?" ma prosegue: "Nessun cammino può farti uscire dal vicolo cieco in cui ti sei smarrito". 
Esiste un ritorno perverso a se stessi che, invece di provocare l'uomo al ravvedimento e metterlo sul cammino, gli prospetta insperabile il ritorno e così lo inchioda in una realtà in cui ravvedersi appare assolutamente impossibile e in cui l'uomo riesce a continuare a vivere solo in virtù dell'orgoglio demoniaco, dell'orgoglio della perversione.

- Martin Buber - 
da: Il cammino dell'uomo, Qiqajon, 1990, pagg.21-23


Mosaico bizantino V-VI sec., Nord Siria, Museo di Cleveland


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venerdì 11 ottobre 2019

Il fratello ricco e il fratello povero

C’era una volta due fratelli; uno molto ricco, l’altro molto povero. 
Un giorno il povero faceva la guardia ai covoni di grano ammucchiati nel campo del fratello ricco e mentre se ne stava lì seduto sul covone scorse una donna in bianco che raccoglieva le spighe rimaste nei campi mietuti e le aggiungeva ai covoni. 
Quando la donna giunse fino a lui, la prese per mano, se la tirò vicino e le chiese che cosa facesse lì. “Sono la Felicità di tuo fratello e raccolgo le spighe rimaste, perché il suo grano sia ancora più abbondante.” 
“Dimmi, allora, e la mia felicità, dov’è?” replicò il poveretto. “verso Oriente” rispose la donna, e scomparve.
Fu così che il povero si mise in testa di andare per il mondo in cerca della propria Felicità. 
E quando un giorno di buonora stava per mettersi in viaggio, dal suo camino saltò fuori la Miseria e piangeva e pregava che la prendesse con sé. “Mia cara, - disse il povero  sei troppo debole per affrontare un viaggio così lungo, non ce la faresti mai; ma qui c’è una boccetta vuota, fatti piccina, infilatici dentro e ti porterò con me”.  
La Miseria s’infilò nella boccetta e lui senza perdere tempo la tappò con un turacciolo e l’avvolse bene in modo che non si rompesse. 
Quando si trovò per via, appena arrivò a un pantano tirò fuori la boccetta e la gettò via, liberandosi così dalla Miseria.
Dopo qualche tempo giunse a una grande città e un certo signore lo prese al suo servizio con l’incarico di scavargli uno scantinato. “Non riceverai del denaro, - gli disse  ma tutto ciò che trovi scavando è tuo”.
Dopo un po’ che scavava trovò un lingotto d’oro, secondo gli accordi gli sarebbe spettato, ma lui ne diede una metà al signore e riprese il lavoro. Arrivò finalmente a una porta di ferro, l’aperse e vi trovò un sotterraneo pieno di ogni ricchezza. 
Ed ecco che da una cassa lì sotto s’udì una voce: “Mio signore, aprimi! Aprimi!”. Egli spostò il coperchio e da dentro saltò fuori una bella fanciulla tutta in bianco che s’inchinò davanti a lui e gli disse: “Sono la tua Felicità, quella che hai cercato così a lungo; d’ora innanzi sarò vicina a te e alla tua famiglia”. 
Dopo di che scomparve. Egli rimase poi a guardarsi intorno e a rimirare quella ricchezza  con il suo signore di una volta e da quel momento fu immensamente ricco e la sua fama cresceva di giorno in giorno. 
Eppure non dimenticò mai l’indigenza di un tempo e si prodigò in tutti i modi per aiutare i poveri del luogo.
Un giorno, mentre passeggiava per la città, incontrò il fratello che si trovava da quelle parti per affari. L’invitò a casa e gli raccontò con tutti i particolari le sue avventure e che aveva visto la Felicità spigolare nel campo di grano e come s’era liberato della propria Miseria e altro ancora. 
L’ospitò per qualche giorno e quando il fratello stava per partire gli diede molto denaro per il viaggio, fece molti doni alla moglie e ai figli e si separò da lui fraternamente.
Ma suo fratello era un uomo sleale e invidiava la Felicità dell’altro. Da quando aveva lasciato la sua casa non faceva che pensare come far tornare il fratello nella Miseria. Non appena giunse alla palude dove il fratello aveva ficcato la boccetta, si mise a cercarla e non si dette pace finché non la trovò. L’aperse subito. La Miseria  saltò fuori immediatamente, cominciò a crescere davanti ai suoi occhi, saltargli intorno, l’abbracciò, lo baciò e lo ringraziò di averla liberata da quella prigionia.  “Sarò sempre grata a te e alla tua famiglia e non vi abbandonerò fino alla morte”.
Inutilmente il fratello invidioso cercò di dissuaderla, invano la mandava dal suo padrone di una volta; non riuscì in nessun modo a togliersi la Miseria di dosso, né a venderla né a regalarla né a sotterrarla né ad annegarla, gli stette sempre alle calcagna. 
I briganti lo derubarono della merce che stava portando a casa; riuscì a ritornare chiedendo l’elemosina; al posto del suo palazzo trovò un mucchio di cenere e tutto il suo raccolto era stato portato via da una inondazione. 
Fu così che al fratello invidioso non rimase null’altro che… la Miseria.

da: "Fiabe di Praga magica" di Scilla Abbiati, Arcana Ed., 1993


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martedì 8 ottobre 2019

La favola del pesciolino d'oro - don Bruno Ferrero, sdb

C'era una volta un pesciolino d'oro, che un bel giorno prese i suoi sette talenti e guizzò lontano, a cercar fortuna. Non era arrivato tanto lontano che incontrò un'anguilla, che gli disse: "Psst, ehilà compare, dove te ne vai?".

"Me ne vado in cerca di fortuna", rispose fieramente il pesciolino d'oro.
"Sei arrivato al punto giusto", disse l'anguilla. "Per soli quattro talenti ti puoi comprare questa magnifica e velocissima pinna, grazie alla quale viaggerai a velocità doppia".
"Oh, è un ottimo affare", disse estasiato il pesciolino d'oro. Pagò, prese la pinna e nuotò via più velocemente di prima.
Arrivò ben presto dalle parti di una grossa seppia, che lo chiamò.
"Ehilà, compare, dove te ne vai?".
"Sono partito in cerca di fortuna", rispose il pesciolino d'oro.
"L'hai trovata, figliolo", disse la seppia. "Per un prezzo stracciato ti posso vendere questa elica, così viaggerai ancora più in fretta".
Il pesciolino d'oro comprò l'elica con il denaro che gli era rimasto e ripartì a velocità doppia.
Arrivò ben presto davanti a un grosso squalo, che lo salutò.
"Ehilà, compare, dove te ne vai?".
"Sono in cerca di fortuna", rispose il pesciolino d'oro.
"L'hai trovata. Prendi questa comoda scorciatoia", disse lo squalo indicando la sua gola spalancata, "così guadagnerai un sacco di tempo".
"Oh, grazie mille!", esclamò il pesciolino d'oro e si infilò nelle fauci dello squalo, dove venne comodamente digerito.

Chi non sa bene che cosa vuole, finisce, molto facilmente, dove non avrebbe voluto.


- don Bruno Ferrero, sdb - 
da: "Cerchi nell'acqua" Casa editrice Elledici



Ogni giorno per andare al lavoro, per mangiare, per muoverci, per vivere, noi compiamo una serie infinita di atti di fiducia. 
Ci affidiamo agli altri, al medico che ci cura, al muratore che ha costruito la nostra casa, al pizzaiolo che ci fa mangiare, al pilota che ci deve portare lontano. 
Diamo fiducia non perché lo vogliamo, perché davvero ci fidiamo, ma perché non possiamo farne a meno. 
E non è vero che la fiducia si dà solo alle cose serie, la fiducia si dà a tutto e tutti, per obbligo, perché la fiducia ci fa vivere. E morire.


- Alessandro Perissinotto - 





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domenica 6 ottobre 2019

Chi vuole 50 euro?


Un noto predicatore cominciò la sua conferenza esibendo una banconota da 50 euro.
All'assemblea di circa 200 persone chiese: "Chi di voi vuole questi 50 euro?" Le mani cominciarono ad alzarsi. Continuò: "Darò questi 50 euro a uno di voi, ma prima lasciatemi fare questo!"
Stropicciò la banconota nelle sue mani. Poi chiese: "C'è ancora qualcuno che li vuole?" Le mani si alzarono di nuovo. "Va bene" continuò. "E se io faccio questo?" Buttò la banconota al suolo e la calpestò diverse volte.
Poi prese la banconota in mano, ora sporca e consumata.
"Adesso, c'è ancora qualcuno che la vuole?". 
Di nuovo 200 mani si alzarono. 
"Amici, ora avete imparato una lezione importante. Non importa quello che io ho fatto alla banconota - voi la volete lo stesso perché non ha perso il suo valore. Sono ancora 50 euro. 


Molte volte nella nostra vita ci buttiamo via, ci calpestiamo e ci infanghiamo a causa delle decisioni che prendiamo e delle circostanze che incontriamo. 

Ci sentiamo come svuotati, senza valore. Ma non importa quello che ci è successo o che ci succederà, voi non perderete mai di valore agli occhi di Dio".

Dio ci dice nel libro del profeta Isaia: 

«Perché tu sei prezioso ai miei occhi, 
perché sei degno di stima e io ti amo, 
do uomini al tuo posto 
e nazioni in cambio della tua vita» 
(Isaia 43,4).


Per Dio tuo Padre, sporco o pulito, a pezzi o tutto intero, sei infinitamente prezioso. Ha dato la vita di Suo Figlio Gesù in cambio della tua.


Non c’è avaro che non si riproponga di fare, un giorno, una spesa ingente; ma arriva la morte e fa realizzare i suoi progetti all’erede.

- Voltaire -




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martedì 24 settembre 2019

Strategia dell’asino

C’erano una volta un uomo anziano e un vecchio asino. 
Un giorno, l’asino cadde in un pozzo ormai esaurito, ma profondo. 
Il povero animale ragliò tutto il giorno e l’uomo cercò di pensare a come tirarlo fuori dal pozzo. Alla fine, però, pensò che l’asino era molto vecchio e debole, senza contare che da tempo aveva deciso di riempire di terra il pozzo che era ormai prosciugato. 
Decise di seppellire là il vecchio asino. 
Chiese a diversi vicini di aiutarlo; tutti presero una pala e cominciarono a gettare terra nel pozzo. L’asino si mise a ragliare con tutta la forza che aveva. Dopo un po’, però, tra lo stupore generale, dal pozzo non venne più alcun suono. Il padrone dell’asino guardò nel pozzo, credendo che l’asino fosse morto, ma vide uno spettacolo incredibile: tutte le volte in cui veniva gettata una palata di terra nel pozzo, l’asino la schiacciava con gli zoccoli. 
Il suo padrone e i vicini continuarono a gettare terra nel pozzo, e l’asino continuò a schiacciarla, formando un mucchio sempre più alto, finché riuscì a saltare fuori.




Una scimmia da un albero gettò una noce di cocco in testa ad un saggio. L’uomo la raccolse, ne bevve il latte, mangiò la polpa e con il guscio si fece una ciotola.






“Fin da quando nasciamo gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia come gli altri ci hanno detto che è. 
Il bambino apprende come deve percepire il mondo per essere pienamente integrato. 
Passo dopo passo, gli viene resa familiare una descrizione del mondo che egli impara a percepire, mantenere e difendere come “la vera realtà”. 
La ragione induce gli uomini a dimenticare che la descrizione è soltanto una descrizione, ma prima che arrivino a capirlo, hanno intrappolato la loro essenza in una gabbia da cui emergono raramente nel corso della vita.”

- Carlos Castaneda -




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giovedì 19 settembre 2019

L'Ultimo Posto – don Bruno Ferrero

L'Inferno era al completo ormai, e fuori della porta una lunga fila di persone attendeva ancora di entrare. Il diavolo fu costretto a bloccare all'ingresso tutti i nuovi aspiranti.

"E' rimasto un solo posto libero, e logicamente deve toccare al più grosso dei peccatori", proclamò.
"C'è almeno qualche pluriomicida tra voi?".
Per trovare il peggiore di tutti, il diavolo cominciò ad esaminare i peccatori in coda.
Dopo un po' ne vide uno di cui non si era accorto prima.
"Che cosa hai fatto tu?", gli chiese. "Niente. Io sono un uomo buono e sono qui solo per un equivoco".
"Hai fatto certamente qualcosa", ghignò il diavolo, "tutti fanno qualcosa."
"Ah, lo so bene", disse l'uomo convinto, "ma io mi sono sempre tenuto alla larga. Ho visto come gli uomini perseguitavano altri uomini, ma non ho partecipato a quella folle caccia. Lasciano morire di fame i bambini e li vendono come schiavi; hanno emarginato i deboli come spazzatura. Non fanno che escogitare perfidie e imbrogli per ingannarsi a vicenda. Io solo ho resistito alla tentazione e non ho fatto niente. Mai".
"Assolutamente niente?", chiese il diavolo incredulo. "Sei sicuro di aver visto tutto?".
"Con i miei occhi!".
"E non hai fatto niente?", ripeté il diavolo. "No!".
Il diavolo ridacchiò: "Entra, amico mio. Il posto è tuo!". 



Un sant'uomo passeggiava per la città quando si imbatté in una bambina dagli abiti laceri che chiedeva l'elemosina.
Rivolse il pensiero al Signore: "Dio, come puoi permettere una cosa del genere? Ti prego, fa' qualcosa".
Alla sera il telegiornale gli mostrò scene di morte, occhi di bambini moribondi e corpi straziati.
Di nuovo pregò: "Signore, quanta miseria. Fai qualcosa!".
Nella notte, il Signore gli disse chiaramente: "Io ho già fatto qualcosa: ho fatto te!".



“Amerai il tuo prossimo come te stesso”. 
L'indifferenza porta dritti.... all' inferno.

- Don Bruno Ferrero -
Fonte:  Solo il Vento lo sa di Bruno Ferreo, Casa Editrice: ElleDiCi



“Il peccato non è rivelatore dell'uomo, non dice chi siamo veramente; non è dal male che emerge la nostra realtà. L'uomo non coincide col suo peccato, ma con le sue possibilità, con ciò che può diventare, con i semi di vita, con il buon grano che ha in sé. 
Solo il positivo rivela l'uomo, solo la bellezza. La tua bellezza è la tua verità. 
Per questo Gesù perdona, perché vede noi oltre noi, ci vede in un giardino di possibilità. E vede la nostra vita "d'ora in avanti", come una vita che va di inizio in inizio. Di primavera in primavera. L'argomento del giudizio universale, l'argomento del contendere cosmico con Dio, non sarà il male ma il bene. 
Dio non ci chiederà conto di quanto male abbiamo commesso, ma di quanto bene abbiamo compiuto”. 

- Ermes Maria Ronchi -
sacerdote e teologo


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