L'avidità è ambivalente
Friedrich Schorlemmer sostiene quindi
nel suo libro che anche nell'avidità manifesta e stridente di avere sempre più
riconoscimenti, ricchezza e potere si può scoprire il desiderio profondo di
felicità.
Secondo questo autore, sotto l'avidità c'è «la paura che nella
felicità tranquilla si nasconda la noia, lo squallore delle cose sempre uguali,
una parsimonia simile alla morte.»
L'avidità ci spinge a cercare la
nostra felicità. Ma se l'avidità si manifesta solo nella sua configurazione
materiale come bramosia di denaro e di consumi sempre più grandi, come
desiderio di maggior fama e potere, allora «perdiamo quello che nel più profondo
di noi stessi ci auguriamo di ottenere: per la nostra vita e per la società»
Non si tratta però di sradicare in noi
l'avidità.
Sarebbe come strappare dal campo di grano la zizzania e ogni erba
cattiva, e Gesù, nella celebre parabola, ci mette ben in guardia dal farlo (cf.
Mt 13,24-30). Ci sarebbe il pericolo di distruggere gli aspetti positivi
dell'avidità insieme con quelli negativi.
Si tratta invece di porre un limite
all'erba cattiva dell'avidità e trasformarla in terreno nutriente per il buon
grano, in modo che ne risulti un nutrimento non solo per il nostro corpo, bensì
soprattutto per la nostra anima.
L'ambivalenza dell'avidità si
manifesta anche nella fattispecie dell'avarizia. Quest'ultima può diventare
la virtù della parsimonia e del risparmio.
La parsimonia è la condizione per
poter padroneggiare la propria vita.
Ci sono persone che non hanno mai
abbastanza denaro, perché manca loro la capacità di essere parsimoniosi.
In
modo simile ci si comporta con l'ambizione. Essa può pretendere troppo da una
persona e sottoporla a una pressione continua. Eppure Evagrio Pontico, uno
scrittore monastico del IV secolo, pensa che per i giovani monaci l'ambizione
sia qualcosa di totalmente buono, poiché li spinge all'ascesi.
Li spinge a
combattere con le passioni e a vincerle. Ma anche a questo riguardo si tratta
sempre della giusta misura. L'ambizione mi stimola sempre a migliorare me
stesso, a non essere mai contento di quello che ho a disposizione. È la forza
motrice per farmi sviluppare ulteriormente.
La parola ambizione significa in
origine «ricercare l'onore», tendere all'onore. L'onore non significa soltanto
un bell'aspetto e diventare famosi.
L'onore significa anche dignità, rispetto e
magnanimità. Una persona degna di onore è uno che viene rispettato perché vive
la sua dignità in quanto uomo. L'ambizione è dunque una buona forza
propulsiva, per lavorare su di me e per creare qualcosa di buono per gli altri.
Ma può anche tenermi sotto la sua presa.
Allora non riesco più a godere di ciò
che ottengo, ma vorrei avere sempre di più. Allora non riesco mai a dire: mi
basta, è sufficiente.
E non riesco mai a godere di quello che è e di quello che
ho ottenuto.
Come esiste un'ambizione «buona» e
un'ambizione «cattiva», così c'è anche una curiosità bella, rinfrescante e
una curiosità antipatica, che non mantiene la giusta distanza. Se leggo un
libro con curiosità, mi immergo in un mondo per me sconosciuto e sperimento me
stesso come una persona nuova.
Se entro in un museo con uno spirito curioso, la
curiosità apre i miei sensi alla bellezza delle immagini.
La curiosità di
ascoltare l'interpretazione di una sinfonia di Mozart o di Beethoven aumenta
il piacere e il godimento del concerto.
Ma c'è anche una curiosità senza
limiti, che si nutre continuamente di cose sensazionali o di pettegolezzi, che
vuol sapere tutto e diffonde soltanto e sempre i difetti e gli errori altrui.
In
cammino verso un'avidità liberante
In tutto questo, si tratta chiaramente
di avere sempre la giusta misura. L'avidità come forza motrice della vita è
qualcosa che non ci è possibile spegnere. L'ambizione può essere una fonte di
energia, per lavorare su di sé, per diventare una brava persona, per andare
avanti nel proprio cammino spirituale o per fare qualcosa di buono per gli
altri. Ma l'avidità può diventare anche una dipendenza, che non mi permette mai di trovare la quiete.
E
l'ambizione può diventare una coazione a voler ottenere sempre di più e non
godere mai con riconoscenza di quello che sono riuscito a produrre.
La grande domanda di tutti i maestri
spirituali del passato era questa: come possiamo essere liberati dalla forza
distruttiva dell'avidità?
Quali mezzi spirituali ci permettono di trasformare
l'avidità in una buona energia per nutrire la nostra vita?
Che cosa ci porta
fuori dal dominio dell'avidità e ci guida verso l'essenza, verso il centro
della persona umana?
La domanda sulla trasformazione dell'avidità è connessa
alla nostalgia di una tranquillità vitale e di una liberà interiore.
La persona
dominata dall'avidità è inquieta e interiormente schiava.
Chi si lascia
determinare dall'avidità, non riesce mai a trovare quiete.
Molte persone
desiderano ardentemente raggiungere la quiete. Ma sono incapaci di ottenerla,
perché, non appena si siedono tranquilli, subito vengono sempre colpiti
dall'avidità di voler ancora di più, di ricevere ancor più informazioni, di
soddisfare un maggior numero di bisogni, di essere ancor più apprezzati e
riconosciuti.
Nell'avidità si sperimenta il contrario della libertà.
Le persone
diventano schiave della bramosia di tendere a un potere e a una ricchezza
sempre più grandi, a una fama maggiore e a una comunicazione continua.
Quindi, in questo scritto mi interessa
presentare l'avidità come una buona energia per la vita, ma nello stesso tempo
voglio aiutare le persone a liberarsi dalla sua forza distruttiva perché
giungano alla quiete del cuore e alla libertà interiore.
In queste pagine non vorrei accusare
nessuno e nemmeno cadere nel moralismo. Vorrei descrivere il fenomeno
dell'avidità e, sulla base dei racconti del Nuovo Testamento, indicare alcune
vie che ci conducono alla liberazione dall'avidità.
A mio avviso il Nuovo
Testamento ha qualcosa di decisivo da dire a questo riguardo, su come si
presenti concretamente l'essere prigionieri dell'avidità e come possiamo liberarci
dalle sue catene.
I testi biblici ci mostrano diversi ambiti in cui opera
l'avidità: non c'è solo l'avidità di possedere beni o di consumarli, ma ci può
essere anche l'avidità di chiudersi nella propria paura o di garantirsi una
sicurezza contro ogni cosa. L'avidità è spesso la risposta a esperienze della
prima fanciullezza, ad esempio quando si ha la sensazione di non essere mai
all'altezza di quello che ci viene chiesto, di non essere mai sazi, di essere
interiormente affamati.
I testi biblici ci mostrano anche le cause e i motivi
di questa nostra avidità.
E nello stesso tempo ci indicano i modi e la via per
poterci liberare dai suoi legami. Questa libertà nei confronti dell'avidità, e
non la sua totale estinzione, è il presupposto per trovare la pace e la calma
interiore.
Vorrei dunque rivolgermi alle persone
che sentono il desiderio di una libertà e di una quiete interiore, che scoprono
dentro di sé uno spazio interiore in cui si sentono libere, pur nel mezzo di
un mondo che è dominato dall'avidità; uno spazio in cui sono totalmente
presenti a se stesse, libere dalla pressione di doversi continuamente
giustificare, esibirsi o dare prova di se stesse; uno spazio in cui si è liberi
dalla costrizione di dover soddisfare subito ogni genere di bisogni. A questo
riguardo, la Bibbia è per me un buon aiuto per trovare la giusta strada. Mi
confronto a lungo con il testo biblico, finché non si apra per me come un
segnale che mi indica la direzione verso una vita realizzata, verso la libertà
e la pace interiore.
- Anselm Grün -
Da: “Avidità - Come sottrarsi al
desiderio del «sempre di più»”, Edizioni Messaggero di Padova
Buona giornata a tutti. :-)