Appena entrato, si guardò intorno con l'occhio attento di
chi cerca qualcosa di particolare, ma la chiesa gli parve del tutto normale,
comunque offriva un po' di frescura e i rumori della città vi giungevano
piacevolmente attutiti.
Ai lati della navata centrale si allineavano piccole
cappelle, ognuna con la rappresentazione di una figura sacra e un tavolino in
ferro su cui brillavano allegri tanti lumini. Non che lo studente fosse
particolarmente religioso ma ormai, dopo gli studi fatti, sapeva riconoscere
gran parte delle figure rappresentate in ogni nicchia.
La Vergine... san Giuseppe con il suo bastone... san
Pietro crocifisso a testa in giù... E questa? Si fermò incuriosito davanti al
quadro di una giovanissima donna che reggeva fra le braccia una foglia di palma
e un piccolo agnello.
Quella tela lo affascinò a tal punto da non riuscire a
staccarne gli occhi. Così si sedette su un banco da cui poterla comodamente
osservare. Era certamente una giovane dell'antica Roma: lo si notava subito
dall'abbigliamento, ma anche dai tratti del volto con il naso diritto e
affilato, gli occhi scuri e penetranti soffusi di fierezza e dignità, l'ovale
perfetto e le labbra sottili appena increspate da un sorriso.
Il nostro studente si domandava quale artista l'avesse
mai ritratta con tanta maestria... o forse la fanciulla stessa, con la sua
conturbante bellezza, aveva dato vita e anima a quella tela.
«Non la riconosci?» gli chiese una voce al suo fianco.
Il ragazzo fece un balzo: era talmente intento a
osservare il quadro che non si era accorto di non essere più solo. Vicino a lui
sedeva una donna anziana e sorridente, bella di quella particolare bellezza
interiore che solo l'età sa donare quando la vita ha maturato buoni frutti.
«A essere sincero, non la riconosco proprio. Lei sa chi
è?»
«Ma certo» rispose la donna: «porto il suo nome e so
tutto di lei... Vuoi conoscerne la storia?».
«Ne sarei felice, ma non vorrei farle perdere tempo...»
rispose lui, senza sapersi spiegare il perché di quell'insopprimibile desiderio
di ascoltare la storia della "ragazza con l'agnello".
«Non ho problemi di tempo, figlio mio. Allora ascolta...»
e l'anziana signora si sedette vicino a lui cominciando il suo racconto.
«Si chiamava Agnese e la sua bellezza, come puoi ben
vedere, era straordinaria. Chi la incontrava non poteva che fermarsi ad
ammirarla, rimanendo calamitato dall'espressione di quel viso. Non era solo la
perfezione delle forme che risaltava in
Agnese, ma qualcosa di più profondo, come se un fuoco
l'abitasse emanando un alone luminoso.
Di lei era pazzamente innamorato il figlio del prefetto
che avrebbe dato qualunque cosa pur di essersene ricambiato. Più volte l'aveva
chiesta in moglie offrendole quello che nessuna donna in Roma avrebbe neanche
osato sperare di possedere, ma Agnese pareva non interessarsi né all'amore del
giovane né a quanto lui le offriva.
Un giorno le parve però corretto giustificarsi con lui,
sperando che di fronte a un'evidenza che non gli lasciava speranze avrebbe
smesso di soffrire. Gli confidò quindi di essere già innamorata di un uomo cui
nessun altro poteva essere paragonato, che non le offriva nulla di quanto si
potesse immaginare ma qualcosa che valeva molto di più. Lo pregò quindi di non
tormentarsi per lei ma di rivolgere il suo amore verso una giovane che potesse
ricambiarlo rendendolo felice.
A quelle parole, pronunciate con dolcezza ma anche con
determinazione, il giovane tornò al suo palazzo in preda alla disperazione,
avendo intuito che non avrebbe mai potuto competere con questo misterioso
rivale.
Passò un certo tempo e il prefetto cominciò seriamente a
preoccuparsi per lo stato di depressione in cui era caduto il figlio. Decise
quindi di scoprire chi fosse l'amante di questa cocciuta fanciulla e, forte del
suo potere, sguinzagliò i migliori informatori per tutta Roma.
Uno di loro aveva particolarmente in odio Agnese, essendo
a sua volta segretamente innamorato di lei e, come spesso accade agli uomini,
non gli parve vero di poter distruggere ciò che non poteva avere.
Si recò quindi dal prefetto e gli raccontò di come Agnese
facesse parte della setta dei cristiani e, come molti di loro, fosse esperta in
arti magiche tanto da dichiararsi perdutamente innamorata di qualcuno
crocifisso a Gerusalemme tanti anni prima. Il suo parere personale era che non
si può amare qualcuno che neppure si è conosciuto e che, per giunta, è già
morto, senza dar segno di un profondo squilibrio della mente, sicuramente
dovuto ai malefici influssi di qualche forza occulta.
In parte rincuorato da questa notizia che non prospettava
nessun aitante giovane nella vita di Agnese, il prefetto decise di convocarla
al suo palazzo per rendersi personalmente conto della situazione.
Quando la vide ne rimase però stranamente turbato: non
solo era bella, ma emanava qualcosa di simile a una calda e fluida corrente che
faceva vibrare il cuore. Non riuscì neppure a trattarla troppo rudemente, come
era sua abitudine. Cercò invece di allettarla con parole e offerte che la sua
esperienza sapeva non avrebbero potuto lasciare indifferente una donna.
Ma Agnese non era una donna come le altre e tutto quello
che lui metteva in campo, pensando di far presa sulla sua natura femminile, si
scioglieva nella totale indifferenza.
Di fronte a tanto evidente insuccesso non poté che prendere
il sopravvento la collera e il prefetto passò a ben altri sistemi per tentare
di convincere la ragazza a sposare il figlio, non ultima la prospettiva di
terribili torture.
La paura che albergava nel cuore di Agnese, come in
quello di chiunque altro, in quel momento irruppe in tutta la sua potenza. Era
giovane e amava la vita: come non temere il dolore e la morte? Le era stato
insegnato che la vita era un grande dono
divino, ma anche che il coraggio di difendere ciò in cui
si crede la rende veramente degna di essere vissuta.
Agnese era perciò confusa: la mente metteva in campo i
suoi soldati, uno da una parte e uno dall'altra, come sempre in
contrapposizione. Che fare?
Non rimaneva che scavalcare d'un balzo la mente e
tuffarsi nel cuore: così la giovane rimase ferma sul suo tenace rifiuto.
"Se lo è cercato proprio lei" pensò il
prefetto, come per alleggerirsi da un peso, e convocò per quello stesso giorno
il tribunale che avrebbe dovuto giudicare Agnese in quanto appartenente alla
fanatica setta dei cristiani.
Contro di loro tuonò il più agguerrito dei giudici
romani: "... non si può ulteriormente tollerare un nido di vipere simile a
quello nel cuore della città! I cristiani sono dei pazzi, fautori di pericolose
utopie e, come tali, vanno distrutti".
Avrebbero però concesso ad Agnese, in virtù della sua
incosciente giovinezza, ancora una scelta: avrebbe avuto salva la vita se fosse
entrata a far parte delle vestali del tempio.
Ma come avrebbe potuto inchinarsi di fronte a un vuoto
simulacro, quando nel suo cuore ardeva la fiamma dell'unico Dio vivente! Il
solo pensiero la faceva rabbrividire: il tempio di Vesta sarebbe stato simile a
una nera tomba in cui la sua anima sarebbe lentamente morta.
"È la tua ultima possibilità" replicò il
prefetto: "o ti unisci alle vergini che onorano la dea Vesta o sarai
portata nella piazza delle meretrici e lì la tua sorte seguirà quella delle
altre sciagurate che offrono il loro corpo, non a un degno amore ma solo alla
bramosia dei sensi".
"Tu non sai quello che stai dicendo" rispose
pacatamente Agnese, sicura delle sue parole come mai lo era stata prima
d'allora. "Nulla accade fuori dalla volontà divina e se è questo che Lui
vorrà nessuno toccherà il mio corpo".
"Stupida ragazza" pensò indispettito il
prefetto, chiedendosi con quale demoniaca fattura i cristiani fossero riusciti
a irretire quella giovane mente.
La sentenza fu subito emessa: Agnese doveva essere
condotta nella piazza delle meretrici, denudata e lì lasciata per il pubblico
piacere. Così, caricata su un traballante carro, la giovane cristiana venne
condotta nella malfamata piazza, dove ogni più abominevole desiderio della
carne poteva essere appagato.
Fu gettata in una cella aperta sulla strada e lì
cominciarono a spogliarla. Ma, a mano a mano che le vesti le venivano tolte, i
suoi capelli iniziarono a crescere a dismisura, finché la sua nudità fu
ricoperta da una folta chioma, pesante e morbida come un prezioso mantello.
La voce che una giovane e bellissima donna era stata
portata fra le meretrici attirò un gran numero di persone, ma chiunque
guardasse nella cella di Agnese non vedeva altro che una luce abbagliante
davanti alla quale non si poteva fare a meno di inginocchiarsi in deferente
silenzio.
Il figlio del prefetto aveva seguito tutta questa vicenda
con il cuore in tumulto, diviso fra un accecante amore e un odio altrettanto
smisurato. Potrà sembrare assurdo che due sentimenti a tal punto contrastanti
possano condividere lo stesso cuore, ma questa è l'altalena della luce e
dell'ombra.
Così una sera, più che mai in preda all'ansia, cercò la compagnia degli amici più intimi con cui cenare e, soprattutto, spegnere nella coppa del vino il suo tormento. Era già notte fonda quando decisero di recarsi nella piazza delle meretrici per dare una bella lezione a quella sciocca cristiana.
Nella piazza si aggiravano ormai poche persone
ciondolanti, più preda dell'alcol che del desiderio. Il luogo si presentava in
tutto il suo squallore e le celle si affacciavano sul selciato come tante
bocche nere e sdentate.
"Entrate voi e divertitevi quanto volete" disse
il figlio del prefetto agli amici, mentre i suoi occhi si riempivano di una
rabbia spaventosa.
"Sei sicuro di volerlo?" chiese uno di loro.
"Vi ho detto di entrare!" urlò il giovane.
Tornò il silenzio. Solo qualche ubriaco biascicava parole
sconnesse e alcune donne ridacchiavano in un angolo.
Non passò molto tempo prima che il gruppo di giovani
ritornasse dall'amico.
"Allora?" chiese questi cupo.
"Allora... niente!" risposero quelli con il
volto sbiancato. "Dai retta a noi, andiamocene. Lei non è una donna come
le altre. O è una dea o è un demone: certamente non appartiene alla terra ma
all'Olimpo".
"Stupide femminucce, vi farò vedere io a chi
appartiene!" e così dicendo il ragazzo attraversò di corsa la piazza e
sparì nel buio.
Oltre quella soglia stava Agnese, la sua adorata Agnese
che aveva osato respingerlo e alla quale ora lui avrebbe strappato dignità e
vita. E lei era là, brillante come una stella nell'oscurità e altrettanto
lontana. Il giovane si bloccò per un attimo soltanto, poi il solo vederla
riaccese in lui una fiamma potente come quelle degli inferi.
Si slanciò su di lei come il lupo sul piccolo agnello, ma
come le sue mani si posarono sul corpo di Agnese il giovane cadde a terra
fulminato.
Quando lo aveva visto entrare, lei aveva tremato di
paura, perché più di ogni altra emozione l'amore può manifestare una potenza
dirompente; ma poi, guardando il giovane corpo immobile ai suoi piedi, Agnese
provò una profonda pietà. Pensò in quel momento che forse aveva amato quel
giovane, anche se non come lui avrebbe voluto.
Il prefetto fu subito informato di quanto era accaduto e
si precipitò in preda all'angoscia là dove il figlio giaceva. Abbracciò il
corpo senza vita e pianse a lungo.
Agnese lo stava osservando con tristezza quando lui le
chiese fra i singhiozzi: "Perché hai colpito proprio lui e non gli altri?
Perché proprio il mio ragazzo?".
"Non io l'ho colpito! Chi è entrato qui prima di lui
ha percepito la presenza dell'angelo inviato da Dio per proteggere il mio
corpo, ma solo tuo figlio, accecato dalla passione, ha teso le sue mani su di
me e l'angelo lo ha colpito."
"Ora so che il Dio di cui parli è davvero presente e
potente. Ti prego, Agnese, chiedigli di avere pietà e di restituirmi l'unico figlio!"
"Io posso chiedere, ma non è in mio potere cambiare
ciò che deve essere. Se Dio lo vorrà, tuo figlio ti sarà restituito". Così
Agnese si sedette sulle pietre del pavimento e prese nel suo grembo la testa
del giovane romano; poi chiuse gli occhi e pregò.
Piccole gocce di sudore le imperlavano la fronte cadendo
sul volto senza vita del ragazzo, mentre un alone di luce pareva giocare,
accarezzando ora l'una ora l'altro.
Quando lui riaprì gli occhi, vide il volto pallidissimo
di Agnese che lo stava guardando e le sorrise. Un'emozione intensa li unì per
un breve attimo e da quel momento non si rividero mai più.
Mentre il giovane si rialzava sostenuto dal padre, un
drappello di guardie irruppe nella piazza trascinando via Agnese, né qualcuno
ebbe modo di salvarla.
Il prefetto e suo figlio, così come coloro che furono
presenti al miracoloso evento, si convertirono al cristianesimo, ma dovettero
fuggire in gran fretta da Roma e furono perseguitati per lungo tempo come
traditori.
Agnese fu invece portata nella prigione del prefetto
Aspasio, che la condannò al rogo. Ma, ancora una volta, l'angelo di Dio giocò
un brutto scherzo ai suoi aguzzini. Ogni volta che il fuoco veniva acceso, le
rosse lingue ardenti danzavano in ogni dove fuorché intorno al corpo della ragazza.
Il fuggi fuggi intorno alla pira era generale, pareva che
ogni brace andasse alla ricerca di una persona prescelta e non la perdesse più
di mira... successe un vero parapiglia mentre Agnese non veniva neppure lambita
da una fiammella.
Aspasio era furente contro quella cristiana che aveva già
portato abbastanza guai, trasformando persino il suo predecessore, insieme al
figlio e ai suoi amici, in altrettanti fanatici di quel Dio che metteva
scompiglio ovunque arrivasse. Era veramente troppo! Decise così che sarebbe
stata sgozzata come un agnello.
Era giunto il suo tempo e così doveva essere. Agnese
porse la sua gola al boia come l'agnello al macellaio... ma il sangue non
scorre mai invano...»
«Scusa, ragazzo, ma non si viene in chiesa per dormire».
Il nostro studente si scosse intorpidito guardando di traverso il sacerdote che
lo stava gentilmente scuotendo per una spalla.
«Ma, veramente, stavo ascoltando la storia di questa
santa... Agnese, se non sbaglio...» rispose il ragazzo guardando verso
l'altare.
«Sì, certo che è Agnese, ma qui da ore non entra nessuno;
quindi non vedo chi possa averti raccontato la sua storia» rispose il prete,
cominciando a guardare il ragazzo con più sospetto.
«Ma, reverendo, non ha visto una signora anziana seduta
di fianco a me?»
«Assolutamente no; e adesso scusa ma ho da confessare. Se
vuoi, fermati, ma fammi il piacere di non rimetterti a dormire!» e così dicendo
si affrettò verso la sacrestia.
«Agnese...» bisbigliò il ragazzo e, guardando la
splendida creatura che teneva tra le braccia la palma del martirio e l'agnello
dell'innocenza, le sorrise. Si guardò subito intorno per accertarsi che nessuno
l'avesse visto. Ora quel gesto gli sembrava sciocco, ma era stato così
spontaneo, quasi familiare. Non riusciva a staccarsi da quel luogo, ma era
tardi e doveva andare. Prima di uscire la guardò ancora... c'era qualcosa di
strano... ma cos'era?
- Leggenda attribuita a sant'Ambrogio -
da: "Leggende Cristiane. Storie
straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura
di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A.