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martedì 22 marzo 2016

La missione di Angiolino

Angiolino era preoccupato. L'Eterno Padre gli aveva assegnato la missione di consolare il suo Figlio agonizzante. "Di che cosa potrà mai aver bisogno il Signore?", pensava tra sé. 
In un baleno lasciò la Gloria del Paradiso, raggiunse la Palestina, si diresse verso Gerusalemme e deviò sul Getsemani. 
Là si arrestò pieno di stupore: lo stesso Dio che aveva contemplato sfolgorante d'infinita gloria, quello stesso Dio davanti al quale stava sempre in adorazione, ora era lì, al buio, prostrato a terra, tutto tremante e angosciato. «Devo assolutamente trovare qualcuno che lo possa consolare!», si disse dirigendosi verso gli Apostoli. «Sicuramente loro sono disposti ad aiutarmi: hanno ricevuto tanti insegnamenti e hanno visto tanti miracoli!». Ma i Discepoli dormivano. 
«Che delusione! Forse tra i miracolati troverò qualcuno disposto a consolarlo!». Il povero Angiolino girò tutta la Giudea: visitò ciechi che vedevano, storpi che camminavano, sordi che sentivano, ma tutti erano intenti a festeggiare la Pasqua. 
«Tutti pensano a festeggiare e non c'è nessuno che pensi al Signore! Vorrà dire che andrò avanti e indietro nel tempo radunando le anime sante del passato e del futuro!». 
Angiolino non ci mise molto: con una velocità supersonica portò un esercito di anime. Tra quelle del passato si distingueva il Re Davide, il profeta Isaia, Mosè, Geremia e tutti gli altri profeti. Brillavano con una luce tutta speciale san Giuseppe e san Giovanni Battista. 
Tra le anime del futuro c'erano gli Apostoli ormai diventati coraggiosi, schiere sterminate di martiri, di vergini e di confessori. Si vedeva santa Chiara che commossa sussurrava: «Era tutta la vita che chiedevo questa grazia...», accanto a lei c'era san Francesco, sant'Antonio, santa Veronica, poi san Domenico, santa Caterina da Siena, santa Gemma, san Giovanni Bosco, san Massimiliano Maria Kolbe... e San Pio che confuso e profondamente commosso assumeva su di sé la pesantissima Croce, condividendo con Cristo le atroci sofferenze della Passione. 
Gesù ne ebbe un gran sollievo, ma la visione delle numerosissime anime che avrebbero disprezzato il suo Sacrificio lo prostrava e addolorava ancora profondamente. 
Allora, Angiolino come un lampo si diresse verso la casa dell'Immacolata. La Signora stava offrendo tutto con Gesù. «Mia dolce Regina, non volevo disturbarti, perché so che stai soffrendo molto e avresti bisogno di essere consolata tu stessa, ma sei l'unica che può aiutarmi!». 
«Angiolino caro, in questo momento l'unica mia consolazione è proprio quella di poter consolare Gesù! Su, presto! Torna nell'Orto degli Ulivi e portagli il mio Cuore!». 
Angiolino tutto tremante prese quel preziosissimo Cuore nelle sue mani di luce e lo portò subito a Gesù.

- Miriam Soter -



Il leccio è un albero grande e longevo, sempreverde e ornamentale, originario dell'area del Mediterraneo. 
Appartiene al genere della quercia e, per la sua bellezza decorativa, è utilizzato per vari impieghi: per arricchire giardini boscosi o creare viali alberati, ma produce anche un ottimo legname. 
Il leccio è un albero di media grandezza dalla chioma verde scuro assai fitta, una corteccia quasi nera, dalla ricca produzione di ghiande. 
Esso ha radici molto forti che scavano nel terreno in profondità, infatti ha un’ottima resistenza alla siccità, perché riesce a procurarsi l'umidità necessaria grazie al suo apparato radicale. 
Nell’antichità, Ovidio raccontava che le api, simbolo delle anime immortali, si posavano su questo albero, apprezzandone l’infiorescenza giallo oro. Inoltre, attirando i fulmini, si credeva che il leccio possedesse funzione oracolare. 
Plinio scriveva che sul colle Vaticano cresceva il leccio più vecchio della città con un’iscrizione su bronzo in caratteri etruschi: segno di come l’albero fosse già oggetto di venerazione. 
Un’altra leggenda giunta fino a noi racconta che, quando il Cristo fu condannato a morte, i carnefici si recarono nel bosco per prendere del legno per poter costruire la croce e il leccio solo offrì il suo legno per la Passione di Cristo. 
Il beato Egidio, compagno di san Francesco, ci dice che Gesù prediligeva il leccio, perché fu l’unico albero a capire che doveva sacrificarsi, in modo che si compisse la Redenzione.



Il simbolo del coniglietto

Uno dei simboli pasquali per eccellenza è il coniglio. Diverse sono le storie che riguardano l’origine di questa tradizione. Si narra che sia nata dai riti pre-cristiani basati sulla fertilità che vedevano nel coniglio e nella lepre, animali molto fertili, i simboli del rinnovamento della vita, rinnovamento che si ha con l’inizio della stagione di primavera. 
Un’altra leggenda vuole che sant’Ambrogio abbia indicato la lepre come simbolo di Resurrezione a causa del suo manto in grado di cambiare colore secondo le stagioni. 
Questo suo variare secondo il ritmo della natura fu collegato al concetto di rinascita e quindi a quello della Resurrezione. 
Il coniglio come simbolo pasquale fu introdotto, per la prima volta, in Germania, nel XV secolo, con la preparazione di dolcetti a forma dell’animale. Furono le stesse popolazioni europee, a seguito dei flussi migratori, a diffondere la tradizione anche in America dove il coniglietto pasquale è chiamato “Easter Bunny”.






In preparazione a questa settimana Santa scopriamo il silenzio: ascoltare in silenzio, meditare in silenzio; e allargare il cuore sul mondo, in silenzio. Cessiamo di fare chiasso, cessiamo di non sciupare e di rovinare la grazia, nel tempo in cui Dio tenta di salvarci e di salvare il mondo. 
In questi giorni la Parola di Dio si intensificherà affinché i nostri occhi non si stacchino da Gesù, ma lo seguano passo dopo passo per apprendere dai suoi gesti il suo amore per tutti noi. 
E solo guardando il suo viso sulla croce potremo incontrare i suoi occhi affranti dal dolore, ma sempre pieni di Misericordia e di affetto, che ci guarderanno come guardarono Pietro, che pure lo aveva tradito, e sentiremo nel profondo del cuore un nodo di dolore e di tenerezza assieme, e inizieremo a seguirlo con un cuore nuovo.




Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione
prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca.
Girare il mondo con quel recipiente
e ad ogni piede cingermi dell’asciugatoio
e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio
per non distinguere i nemici dagli amici
e lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato,
del carcerato, dell’omicida, di chi non mi saluta più,
di quel compagno per cui non prego mai,
in silenzio,
finché tutti abbiano capito nel mio
il tuo Amore.

- Madeleine Delbrel - 



Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 21 marzo 2016

Lamenti del Signore -

Io per te ho flagellato l'Egitto e i primogeniti suoi
e tu mi hai consegnato per esser flagellato.
Popolo mio, che male ti ho fatto?
In che ti ho provocato? Dammi risposta.
Io ti ho guidato fuori dall'Egitto
e ho sommerso il faraone nel Mar Rosso,
e tu mi hai consegnato ai capi dei sacerdoti.
Io ho aperto davanti a te il mare,
e tu mi hai aperto con la lancia il costato
Io ti ho fatto strada con la nube,
e tu mi hai condotto al pretorio di Pilato
Io ti ho nutrito con manna nel deserto,
e tu mi hai colpito con schiaffi e flagelli.
Io ti ho dissetato dalla rupe con acqua di salvezza,
e tu mi hai dissetato con fiele e aceto.
Io per te ho colpito i re dei Cananei,
e tu hai colpito il mio capo con la canna
Io ti ho posto in mano uno scettro regale,
e tu hai posto sul mio capo una corona di spine.
lo ti ho esaltato con grande potenza,
e tu mi hai sospeso al patibolo della croce.



«Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti»
Isaia 53,2-5




...La Croce di Gesù è il segno supremo dell’amore di Dio per ogni uomo, è la risposta sovrabbondante al bisogno che ha ogni persona di essere amata. Quando siamo nella prova, quando le nostre famiglie si trovano ad affrontare il dolore, la tribolazione, guardiamo alla Croce di Cristo: lì troviamo il coraggio per continuare a camminare; lì possiamo ripetere, con ferma speranza, le parole di san Paolo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? 
Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35.37)....

- Papa Benedetto  XVI -
dalla "Via Crucis del 06 aprile 2012"


La colomba di Pasqua 

La colomba è uno dei simboli pasquali per eccellenza tanto da essere diventata anche un dolce della tradizione italiana, con impasto molto simile a quello del panettone natalizio. Nel simbolismo cristiano, la colomba pasquale è segno di pace e fratellanza e sembra abbia origini molto antiche, non ben verificabili. Si narra che questo tipico dolce risalga al periodo medioevale quando i Barbari, sotto il comando del Re Alboino, scesero in Italia per conquistare Pavia. Un assedio di tre anni che terminò con la resa della città lombarda, il giorno della vigilia di Pasqua dell'anno 572. Quando Re Alboino entrò in città, gli andò incontro un artigiano che portava in dono quattro particolari pani a forma di colomba: essi piacquero tanto al Re che promise di rispettare la città (che elesse a capitale del Regno longobardo) e i suoi abitanti. Negli anni ‘30 del Novecento, fu il pubblicitario Dino Villani (che lavorava per la ditta Motta) ad avere l’idea di proporre un dolce per il periodo pasquale. La proposta fu di utilizzare l’impasto dei panettoni, sfruttando gli stessi macchinari già in uso e dando la forma di una colomba, rivestita di glassa all’amaretto e mandorle. Il dolce ebbe un grande successo e da allora è parte della nostra tradizione culinaria.



Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it






venerdì 18 marzo 2016

La festa del passaggio - Erri De Luca

Pèsah Pasqua è voce del verbo ebraico “pèsah”, passare.
Non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al viaggio. 
Da non credente vedo le persone di fede così, non impiantate in un centro della loro certezza ma continuamente in movimento sulle piste.
Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere, scruta perciò ogni segno di presenza.
Chi crede, insegue, perseguita il creatore costringendolo a manifestarsi.
Perciò vedo chi crede come uno che sta sempre su un suo “pèsah”, passaggio. Mentre con generosità si attribuisce al non credente un suo cammino di ricerca, è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai, chi non s’azzarda nell’altrove assetato del credente.
Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle scritture sacre, l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme.
Sono due scatti verso l’ignoto. Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un'altra terra e una nuova libertà. Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa, verso la più integrale resurrezione.
Pasqua/pèsah è sbaraglio prescritto, unico azzardo sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere.
Inciampo e resto fermo, il Sinai e il Golgota non sono scalabili da uno come me, che pure in vita sua ha salito e sale cime celebri e immense. 

Restano inaccessibili le alture della fede.
Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli corrieri a ogni costo, atleti della parola pace.

- Erri De Luca -



Coraggio, fratello che soffri.
C’è anche per te una deposizione dalla croce.
C’è anche per te una pietà sovrumana.
Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua...
Coraggio.
Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio.
Tra poco, il buio cederà il posto alla luce,
la terra riacquisterà i suoi colori
e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.

 - don Tonino Bello - 


Ci vuole una grande umanità per capire
che la cosa più difficile da sopportare è il dolore
 
e che la cosa di cui abbiamo più bisogno
 
è che nel dolore ci sia qualcuno con noi
 
che condivide e ci aiuta a non essere soli.
 
Ci vuole solo una grande, infinita, straordinaria umanità. 
È questa la vita umana...


A.Savorana
da Una cosa dell’altro mondo
 

In questo mondo




Buona giornata a tutti. :-)


giovedì 17 marzo 2016

Gesù e l’agnello - Jose' Saramago

Gesù strinse il capo dello spago con cui l’agnello era legato alla corda, la bestia guardò il suo nuovo padrone e belò, fece beeee con quel tono timido e tremulo degli agnelli che moriranno giovani perché tanto amati dagli dei. Questo suono, udito migliaia di volte durante la sua nuova attività di pastore, toccò il cuore di Gesù al punto che sentì le membra dissolversi dalla pena, lui era lì, come non gli era mai accaduto prima in maniera così assoluta, signore della vita e della morte di un altro essere, quest’agnello bianco, immacolato, privo di volontà e di desideri, che protendeva verso di lui un musetto interrogativo e fiducioso, gli si vedeva la lingua rosea mentre belava e, sotto la lanugine, era roseo l’interno delle orecchie, e rosee erano le unghie, che non si sarebbero mai indurite, modificando in zoccoli un termine che aveva per il momento in comune con gli uomini. 
Gesù accarezzò la testa dell’agnello, che gli rispose sollevandola e sfiorandogli la palma della mano con il naso umido, facendolo rabbrividire. [...] Allora Gesù, quasi gli fosse nata dentro una luce, decise, contro il rispetto e l’obbedienza, contro la Legge della sinagoga e la parola di Dio, che questo agnello non sarebbe morto, che quanto gli era stato dato per morire avrebbe continuato a vivere e che lui, venuto a Gerusalemme per sacrificare, dalla città se ne sarebbe andato più peccatore di quanto vi era entrato, non gli bastavano le vecchie mancanze, adesso è caduto anche in questa, e arriverà il giorno, giacchè Dio non dimentica, in cui dovrà pagarle tutte. 
Per un attimo, il timore del castigo lo fece esitare ma, con un’immagine rapidissima, la mente gli presentò la visione terrorizzante di un agnello e di altri animali sacrificati fin dalla creazione dell’uomo, perché l’umanità è stata posta su questo mondo proprio per adorare e sacrificare. A tal punto lo turbarono queste fantasie che gli parve di vedere la scalinata del Tempio allagata di rosso, gocciolante di gradino in gradino, e lui lì in mezzo, con i piedi nel sangue, che sollevava al cielo il suo agnello sgozzato morto.[...] Con l’agnello avvolto nella bisaccia, come per difenderlo da una minaccia ora imminente, Gesù si precipitò fuori della piazza, si perse fra le strade più strette, senza badare alla direzione in cui andava.

- Jose' Saramago -
Da: “Il Vangelo secondo Gesu' Cristo”




Non è un merito, è pura grazia.

“Ci prepara ad essere dei cirenei per aiutarlo a portare la Croce. E la nostra vita cristiana senza questo non è cristiana. E’ una vita spirituale, buona… ‘Gesù è il grande profeta, anche ci ha salvato. Ma Lui e io no…’. Tu con Lui! Facendo la stessa strada. Anche la nostra identità di cristiani deve essere custodita e non credere che essere cristiani è un merito, è un cammino spirituale di perfezione. Non è un merito, è pura grazia.”

Papa Francesco, omelia in S. Marta, 26 settembre 2014





Gesù prega e suda sangue nell'orto del Getsemani. 

<< Cari amici, anche noi nella preghiera dobbiamo essere capaci di portare davanti a Dio le nostre fatiche, la sofferenza di certe situazioni, di certe giornate, l'impegno quotidiano di seguirlo, di essere cristiani, e anche il peso del male che vediamo in noi e attorno a noi, perché Egli ci dia speranza, ci faccia sentire la sua vicinanza, ci doni un pò di luce nel cammino della vita. >>
 
- papa Benedetto XVI  -
Udienza Generale 1° Febbraio 2012


Credo in Dio e credo nell'uomo, quale immagine di Dio.
Credo negli uomini, nel loro pensiero, nel valore della loro sterminata fatica.
Credo nella vita come dono e come durata, come possibilità illimitata di elevazione, non prestito effimero dominato dalla morte.
Credo nella gioia: la gioia di ogni stagione, di ogni tappa, di ogni aurora, di ogni tramonto, di ogni volto, di ogni raggio di luce che parta dal cervello, dai sensi, dal cuore.
Credo nella famiglia del sangue e nella famiglia prescelta per il mio lavoro.
Credo nel dovere di servire il bene comune perché giustizia, libertà e pace siano a fondamento della vita sociale.
Credo nella possibilità di una grande famiglia umana e nell'unità dei cristiani quale Cristo la volle.
Credo nella gioia dell'amicizia, nella fedeltà e nella parola degli uomini.
Credo in me stesso, nella capacità che Dio mi ha conferito, perché possa sperimentare la più grande fra le gioie, che è quella del donare e del donarsi.
In questa fede voglio vivere, per questa fede voglio lottare e con questa fede voglio addormentarmi in attesa del grande, gioioso risveglio.

(Padre Giulio Bevilacqua)
(1881-1965)































Buona giornata a tutti. :-)





mercoledì 16 marzo 2016

Liberati dal giogo del male - don Luigi Giussani -

"Dal paese d'Egitto ci hai tratti
E cammini con noi nel deserto,
Per condurci alla santa montagna
Sulla quale s'innalza la Croce."

Inno dei Vespri del Tempo di Quaresima 
  
Liberati dal giogo del male, descrive quello che è il tempo liturgico della Quaresima.
La Quaresima è il ricordo del lungo viaggio fatto dagli ebrei per essere liberati dall'Egitto, che è simbolo della schiavitù del male, dell'alienazione; è il ricordo di quel grande passaggio durato quarant'anni nel deserto.
Ma noi sentiamo la vita come un esodo, come l'uscita verso il suo significato? Questo significato già ci è stato dato, perciò la vita come esodo è l'affermarne in noi di qualcosa che è già presente, a differenza degli Ebrei che camminavano verso qualcosa che ancora non avevano. 
Percepire la vita come esodo, e percepire lo scopo della vita come la Pasqua ultima, vera, eterna, significa ricondurre tutto il desiderio della vita all'affermarsi in noi di quello che è già accaduto, che è già dentro la nostra vita, di quella storia che è incominciata con Abramo, che ha avuto il suo culmine profetico in Mosè e la grande avventura del popolo ebraico dall'Egitto fino alla Palestina.
Perciò non ci possiamo meravigliare che la parola "deserto" o la parola "sete", "fame", o la parola "confusione" o la parola "lamento", o la parola " ribellione" gremiscano questo esodo nuovo, come hanno gremito l'esodo antico. 
Ma il presentimento della grazia profonda di Pasqua, che è l'inizio della Presenza che è già in noi, è solo in proporzione al desiderio che abbiamo che si manifesti in noi quello che è già presente, ciò che avvenne.
"Pascha nostra immolatus est Christus", "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato".
Questo è il fulcro, dovrebbe essere il fulcro di tutto il nostro modo di pensare, di giudicare, di sentire, e dovrebbe diventare la forma del nostro decidere, del nostro atteggiamento pratico.
Qui è contenuto tutto il discorso quaresimale: che la Croce è necessaria alla Risurrezione, che il sacrificio è necessario per la verità dei rapporti, perché non sia menzogna il nostro rapporto tra di noi e con le cose.

- Don Luigi Giussani -

da: “Tutta la terra desidera il Tuo volto”



Il nostro maestro interiore 

(..) Guardate, voi giovani avete un grosso difetto - l'ho avuto anch'io - ed è la ricerca del padre. Si va alla ricerca del maestro, della guida autorevole, del grande condottiero; no, siamo tutti figli di Dio e non c'è maestro; il nostro maestro è nell’ invisibile. 
"Uno solo è il vostro maestro ed è nell'invisibile": questa è una parola che non troverete in nessuna conoscenza religiosa, solo nel cristianesimo.
I cristiani hanno un solo maestro; ed egli è nell'invisibile, nel profondo del nostro essere.
C'è chi approfitta del fatto che molti uomini hanno bisogno di un maestro. 

Ci sono dittatori e ci sono quelli che vogliono essere dominati dai dittatori; il dittatore ha la possibilità di esserlo soltanto se ci sono degli schiavi.
Liberarsi dalla ricerca del capo, camminare ognuno col proprio  passo, è la grande libertà cristiana; l'andare a cercare direttori spirituali e tutte le varie guide è un decadere nella religione del Padre. 

Nella religione del Figlio uno solo è il maestro ed è nell'invisibile, nel profondo di noi. 
Questa non è faciloneria: quando affrontiamo noi stessi con lucidità, coraggio e rispetto, ci spaventiamo, perchè il nostro essere profondo esige da noi delle azioni che il nostro essere superficiale non vorrebbe compiere; ma questo è il maestro.(..)

- Giovanni Vannucci -
Tratto da: “Cristo e la libertà”




La preghiera di Gesù come Figlio “uscito dal Padre” esprime in modo particolare il fatto che egli “va al Padre”. 
“Va” e al Padre conduce tutti coloro che il Padre “ha dato a lui” (cf. Gv 16, 28.17). 
A tutti, inoltre, lascia il durevole patrimonio della sua preghiera filiale: “Quando pregate, dite: “Padre nostro . . .”” (Mt 6, 9cf. Lc 11, 2). 
Come appare da questa formula insegnata da Gesù, la sua preghiera al Padre è caratterizzata da alcune note fondamentali: è una preghiera piena di lode, piena di sconfinato abbandono alla volontà del Padre, e, per quanto concerne noi, piena di implorazione e di richiesta di perdono. 
In questo contesto rientra in modo particolare la preghiera di ringraziamento.

- San Giovanni Paolo II, papa -
Udienza Generale, Mercoledì, 29 luglio 1987



Tutto, Signore, custodisci, 
nel palmo della tua mano; 
perché la vita 
- tutta la vita ch'io conosco, 
e anche la vita che non ho vissuta - 
è appena una goccia di rugiada, 
sopra il tuo palmo aperto. 
Però io ci ho nuotato dentro, 
a quella goccia; 
per me è stata grande come te 
perché, al di fuori, non ti avrei conosciuto 
né ti potrei conoscere. 
Questa vita che è tua, 
perché viene da te, 
questa vita che è mia, 
perché tu me l'hai data, 
è la goccia, il lago, il mare 
nel quale ho navigato, per tanti anni 
e dal quale non posso essere tolto 
perché boccheggerei, 
come fa un pesce, 
fuori della sua acqua

- Adriana Zarri - 
Da: Dodici lune



Buona giornata a tutti. :-)










martedì 15 marzo 2016

Grandezza di un falegname di nome Giuseppe – don Tonino Bello -

Dimmi, Giuseppe, quand'è che hai conosciuto Maria? 
Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l'anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso? 
O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte sotto l'arco della sinagoga? 
O forse un meriggio d'estate, in un campo di grano, mentre, abbassando gli occhi splendidi per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all' umiliante mestiere di spigolatrice? 
Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo sapevi; e poi tu la notte hai intriso il cuscino con lacrime di felicità? 
Ti scriveva lettere d'amore? Forse sì; e il sorriso, con cui accompagni il cenno degli occhi verso l'armadio delle tinte e delle vernici, mi fa capire che in uno di quei barattoli vuoti, che oramai non si aprono più, ne conservi ancora qualcuna. Poi una notte, hai preso il coraggio a due mani, sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta, e le hai cantato sommessamente le strofe del Cantico dei cantici: "Alzati, amica mia, mia bella e vieni! Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, e se n'è andata. I fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati, amica mia, mia bella e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro".
E la tua amica, la tua bella, la tua colomba si è alzata davvero. 
È venuta sulla strada, facendoti trasalire. 
Ti ha preso la mano nella sua e, mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto. Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvé. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell'universo e più alto del firmamento che vi sovrastava.
Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio, e di dimenticarla per sempre. Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore, e le dicesti tremando: "Per te, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria. Purché mi faccia stare con te". Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente. (...) E io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. 
Lei ha puntato tutto sull'onnipotenza del Creatore.
Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura.
Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza.
La carità ha fatto il resto, in te e in lei.

- don Tonino Bello - 



...Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore - la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico - che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono più pieno a Lui...

- Papa Benedetto XVI –
dal "Messaggio per la Quaresima 2011" 



"Prendete a Modello la Famiglia di Nazareth
che, pur chiamata ad una missione incomparabile,
fece il nostro stesso cammino,
tra gioie e dolori, 
tra preghiera e lavoro,
tra speranze e prove angustianti,
sempre radicata nell'adesione alla volontà di Dio".

Dal Magistero di san Giovanni Paolo II, papa


Arca di salvezza


Mio Signore, unico Bene a cui anela la mia anima,
tu mi hai attirata nella solitudine perché tutto
il mio essere stia raccolto in te in silenzio di adorazione,
in preghiera di lode e di supplica
per tutti i tuoi figli, miei fratelli sparsi per le aspre vie del mondo.

Il tuo tabernacolo d'amore
sia la mia arca di salvezza in cui rimango sempre per attirare anche loro.

Dammi lacrime di sincera compunzione per la mia miseria
e i miei peccati, distendi sui miei occhi l'ombra della tua croce
e distilla nel mio cuore il sangue preziosissimo che sgorga
dal tuo costato.

Veglia sui miei passi di giorno
e sul mio riposo di notte; difendimi dal maligno
e custodiscimi nella tua pace,
affinché in questa povera creatura che io sono
si possa manifestare agli smarriti di cuore
la tua bontà smisurata verso tutti
e la splendida gloria del tuo Amore.


- Madre Anna Maria Cànopi - 






Buona giornata a tutti. :-)