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sabato 20 luglio 2019

Un cammino senza scorciatoie - Tiziano Terzani

Si sa, capita a tanta gente, ma non si pensa mai che potrebbe capitare a noi. Questo era sempre stato anche il mio atteggiamento. 
Così, quando capitò a me, ero impreparato come tutti e in un primo momento fu come se davvero succedesse a qualcun altro. 
«Signor Terzani, lei ha il cancro», disse il medico, ma era come non parlasse a me, tanto è vero - e me ne accorsi subito, meravigliandomi - che non mi disperai, non mi commossi: come se in fondo la cosa non mi riguardasse.
Forse quella prima indifferenza fu solo un'istintiva forma di difesa, un modo per mantenere un contegno, per prendere le distanze, ma mi aiutò.
Riuscire a guardarsi con gli occhi di un sé fuori da sé serve sempre. Ed è un esercizio, questo, che si può imparare.
Passai ancora una notte in ospedale, da solo, a riflettere. 
Pensai a quanti altri prima di me, in quelle stesse stanze, avevano avuto simili notizie e trovai quella compagnia in qualche modo incoraggiante. 
Ero a Bologna. C'ero arrivato attraverso la solita trafila di piccoli passi, ognuno di per sé insignificante, ma nell'insieme decisivi, come tante cose nella vita: una persistente diarrea incominciata a Calcutta, vari esami all'Istituto delle Malattie Tropicali a Parigi, altri esami per scoprire la causa di un' inspiegabile anemia, finché un accorto medico italiano, non accontentandosi delle spiegazioni più ovvie, s'era messo con un suo strano strumento - un penetrante serpentaccio di gomma dall'occhio luminoso - a guardare nei recessi più reconditi del mio corpo e, per coltivata esperienza, aveva immediatamente riconosciuto quel che conosceva.
Gli ero grato per essere stato bravo e chiaro. Così potevo, con calma, e ora con una vera ragione, fare i miei conti, ristabilire le mie priorità e prendere le decisioni necessarie.
Stavo per compiere cinquantanove anni e mi venne da voltarmi indietro, come si fa per guardare con soddisfazione la salita che si è fatta, una volta arrivati in cima a una montagna.
La mia vita fino ad allora? Meravigliosa! Un'avventura dopo l'altra, un grande amore, nessun rimpianto, niente di importantissimo ancora da fare. Se da ragazzo, partendo per questo viaggio, mi fossi dato per meta quella di per sé già agognata da tanti di «piantare un albero, mettere al mondo un figlio e scrivere un verso», più o meno c'ero arrivato. E quasi senza accorgermene, senza sforzo e, strada facendo, divertendomi.
Quella notte in ospedale, nel silenzio rotto solo dal frusciare delle auto sull'asfalto bagnato della strada e da quello delle suore sul linoleum del corridoio, mi venne in mente un'immagine di me che da allora mi accompagna.
Mi parve che tutta la mia vita fosse stata come su una giostra: fin dall'inizio m'era toccato il cavallo bianco e su quello avevo girato e dondolato a mio piacimento senza che mai - me ne resi conto allora per la prima volta -, mai qualcuno fosse venuto a chiedermi se avevo il biglietto.
No. Davvero il biglietto non ce l'avevo.
Tutta la vita avevo viaggiato a ufo! 
Bene: ora passava il controllore, pagavo il dovuto e, se mi andava bene, magari riuscivo anche a fare... un altro giro di giostra.

- Tiziano Terzani -
Fonte: "Un Altro giro di giostra", ed. Longanesi & Co., 2004





Ogni giorno ci sono nuove storie di massacri, ingiustizie, torture ma ci si fa appena caso..
Siamo sopraffatti..
Pensiamo di non poterci fare nulla e così tutti diventiamo sempre più complici del più semplice dei crimini ... l'indifferenza !!

- Tiziano Terzani -







«La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su. 
È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco. 
A salire c'è più speranza. 
È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all'erta.»

- Tiziano Terzani - 
da “La fine è il mio inizio”





Ciò che è fuori è anche dentro; e ciò che non è dentro non è da nessuna parte. 
Per questo viaggiare non serve. 
Se uno non ha niente dentro, non troverà mai niente fuori. 

E’ inutile andare a cercare nel mondo quel che non si riesce a trovare dentro di sé.

- Tiziano Terzani - 

sabato 25 maggio 2019

Il cespuglio spinoso – Don Bruno Ferrero

Era cresciuto sui fianchi del monte e si era inebriato di aria e di sole. Ma dopo i primi tempi in cui era un germoglio verde tenero, i suoi rametti contorti e sgraziati si erano coperti di spine sgradevoli ed appuntite...


Era detestato dagli uccelli e dalle pecore, alle quali senza volerlo strappava bioccoli di lana quando lo sfioravano.
Perfino le capre, che non sono schizzinose e brucherebbero anche le pietre, lo evitavano.

Gli altri cespugli e gli arbusti sfoggiavano fiori e foglie, e taluni perfino frutti.
Il povero cespuglio spinoso produceva solo spine...
Il vento della sera gli portava il disprezzo e la derisione delle altre piante.

Ma quando Dio volle parlare a Mosè, scelse l'umile cespuglio spinoso sui fianchi della montagna.
E il cespuglio divenne il trono di Dio, splendente più del sole, ardente di luce e di fuoco, come se ognuna delle sue spine si fosse trasformata in una pietra preziosa dai mille riflessi di luce purissima.



- Don Bruno Ferrero -
Fonte: A volte basta un raggio di sole, ed.Elledici


"Non disprezzare il peccatore, poiché tutti siamo colpevoli. 
Se, per amore di Dio, ti alzi contro di lui, piangi piuttosto su di lui. 
Perché lo disprezzi? 
Disprezza piuttosto i suoi peccati, e prega per lui, per essere simile a Cristo, che non si è irritato contro i peccatori, bensì ha pregato per loro (cfr Lc 23,24). Non vedi forse come egli ha pianto su Gerusalemme? 
Infatti anche noi, più di una volta, siamo stati giocati dal diavolo. 
Perché disprezzare colui che, come noi, è stato giocato dal diavolo che si burla di noi tutti? 
Perché, tu che sei soltanto un uomo, disprezzi il peccatore? 
Sarà forse perché non è stato giusto come te? 
Ma dov'è la tua giustizia, se non hai l'amore? 
Perché non hai pianto su di lui? Al contrario lo perseguiti. 
Per ignoranza si irritano, coloro che ritengono di possedere il discernimento delle opere dei peccatori."

- Isacco di Siria -
monaco nella regione di Mossul, santo delle Chiese ortodosse 


  


“Dio è vicino
a ciò che è piccolo,
ama ciò che è perduto,
ciò che è insignificante,
ciò che è debole.
Quando gli uomini dicono
“perduto”
egli dice
“trovato”;
quando dicono
“condannato”,
egli dice
“salvato”.

- Dietrich Bonhoeffer -


Buona giornata a tutti. :-)









giovedì 28 febbraio 2019

Solitudine e comunità - Dietrich Bonhoeffer

“A te, o Dio, nel raccoglimento sale la lode in Sion” (Salmo 65,2)
Molti cercano la comunione per paura della solitudine. Siccome non sanno più rimanere soli, sono spinti in mezzo agli uomini. 
Anche cristiani, che non riescono a risolvere i loro problemi, sperano di trovare aiuto dalla comunione con altri. Di solito, poi, sono delusi e rimproverano alla comunità ciò che è colpa loro. 
La comunità cristiana non è una casa di cura per lo spirito; chi, per sfuggire a se stesso, entra nella comunità, ne abusa per chiacchiere e distrazione, per quanto spirituale possa sembrare il carattere di queste chiacchiere e di questa distrazione. 
In realtà egli non cerca affatto comunione, ma l’ebbrezza che possa fargli dimenticare per un momento la sua solitudine, e proprio così crea la solitudine mortale dell’uomo.

- Dietrich Bonhoeffer - 

Da: La vita comune



Chi non sa rimanere solo tema la comunità.
Infatti egli arrecherà solo danno a sé e alla comunità. Solo ti sei trovato di fronte a Dio quando ti ha chiamato, solo ha dovuto seguire la sua chiamata, solo hai dovuto prendere su di te la tua croce, lottare e pregare solo, e solo morrai e renderai conto a Dio. 
Non puoi sfuggire a te stesso; infatti è Dio che ti ha scelto. 
Se non vuoi restare solo, respingi la vocazione rivolta a te da Cristo e non partecipare alla comunione degli eletti.
Ma vale pure il contrario.

Chi non sa vivere nella comunità si guardi dal restare solo.
Tu sei stato chiamato alla comunità, la vocazione non è stata rivolta a te solo; nella comunità degli eletti porti la tua croce, lotti e preghi con loro. 
Non sei solo nemmeno nella morte, e al giudizio universale sarai solamente un membro della grande comunità di Gesù Cristo. Se sdegni la comunione con i fratelli rifiuti la chiamata di Gesù Cristo e la tua solitudine non può che portarti male.
Ambedue le cose vanno insieme. 
Solo nella comunità impariamo a vivere come si deve, e solo essendo soli impariamo a inserirci bene nella comunità. Una cosa non precede l’altra: ambedue incominciano insieme, cioè con la chiamata di Gesù Cristo. Ognuna delle due presa a sé ci mette di fronte a profondi abissi e gravi pericoli. 
Chi desidera comunione senza solitudine, precipita nella vanità delle parole e dei sentimenti; che cerca la solitudine senza la comunità, perisce nell’abisso della vanità, dell’infatuazione di se stesso, della disperazione.

Chi non sa restare solo tema la comunità. 
Chi non è inserito nella comunità tema la solitudine.
La giornata comune del gruppo comunitario è accompagnata dalla giornata solitaria di ogni membro. 
Deve essere così. La giornata in comune senza la giornata solitaria è improduttiva tanto per la comunità quanto per il singolo membro.

- Dietrich Bonhoeffer - 

Da: La vita comune




Il senso dell’apertura richiesta a ogni comunità, pur nella sua peculiarità di storia, composizione e finalità, si rende più nitido se si considerano le sue funzioni principali nella vita umana. 
La prima funzione da ricordare è relativa al percorso di individuazione del singolo. 
Nel trovare se stesso, l’essere umano ha bisogno di sperimentare l’appartenenza a una comunità di vita e ravvisa in essa – per adesione naturale, per contrasto o distacco, per nuova scelta – lo specchio della sua identità. Da qui trae il sistema di regole, di ruoli, di significati necessario al suo orientamento quotidiano e all’apertura verso il futuro. In tal modo la comunità ... media tra l’individualità in via di elaborazione e l’universalità della società, ma può fare questo in modo adeguato solo se, anziché produrre nei singoli un adattamento spersonalizzante, ne promuove l’originalità personale. 
Si pone allora la questione del limite della comunità, nel senso del suo confine interno, ossia del rispetto dell’intimità, dell’originalità e della libertà della persona. E del suo diritto alla solitudine, che certo non va intesa come isolamento coattivo, il quale è sempre sofferenza e negazione per chi vi è imprigionato. 
L’identità personale si forgia nell’imparare a trovare di volta in volta il punto può armonico della tensione tra prossimità e distanza, appartenenza e separazione, comunità e solitudine, libertà di somigliare e libertà di differire rispetto a chi, di volta in volta, rappresenta un riferimento autorevole.
Lungo questo confine mobile ogni persona è chiamata a incarnare il dono originale ricevuto elaborandolo creativamente e ricomunicandolo liberamente ad altri ... Nell’accogliere la solitudine intima, che tende come un arco la nostra libertà, giungiamo a noi stessi e abbiamo la facoltà grazie a cui il nostro essere diviene interamente bene per gli altri. 
Per questo la solitudine non è il contrario della comunità; semmai entrambe hanno i loro contrari nell’isolamento, nell’egocentrismo narcisistico, nel vivere senza ricerca, nella violenza. Pertanto, se una comunità nega alla persona il suo diritto alla solitudine, commette uno stupro spirituale, desertifica una fonte fondamentale di senso, di identità, di libertà, di amore.

- Roberto Mancini -
da:  L’uomo e la comunità, Qiqajon, Bose 2004, pp. 127-128 -131


"In questo momento il mio animo si allarga per abbracciare tutta la Chiesa sparsa nel mondo. Sono veramente commosso e vedo la Chiesa viva e penso che dobbiamo dire grazie anche perchè il tempo oggi è bello."

- Papa Benedetto XVI -
27 febbraio 2013






Buona giornata a tutti. :-)





domenica 27 gennaio 2019

L'insegnante belga che salvò mille ebrei

Andrée Geulen è stata un’insegnante belga che salvò quasi mille bambini ebrei dall’orrore della Shoah.

Nel 1942 aveva vent’anni quando un giorno nella scuola elementare dove insegnava, alcuni studenti ebrei si presentarono in classe con la stella gialla cucita sui vestiti. Quella stella che evidenziava con disprezzo l’appartenenza ad un popolo catapultò Andrée in una realtà che fino a quel momento osservava distrattamente e nonostante il suo nome non fosse legato ad alcun movimento politico, decise di agire.
Prima di tutto ordinò a tutti i suoi studenti di indossare un grembiule affinché si coprissero le stelle gialle dei suoi studenti ebrei per evitare episodi di bullismo. Poi fece conoscenza con Ida Sterno, una ragazza ebrea affiliata ad un gruppo clandestino che si occupava di trovare rifugi sicuri per i bambini ebrei.
Un giorno nel mezzo della notte i nazisti fecero irruzione nella scuola portando via dodici bambini ebrei che erano stati nascosti dalla preside. Andrée non nascose il suo sdegno e dopo che un soldato tedesco le domandò come avesse potuto fare l’insegnante degli ebrei, rispose:«E tu non ti vergogni di fare la guerra ai bambini ebrei?». 
Con i bambini anche la preside e suo marito finirono nei campi di sterminio dove furono trucidati.
Per oltre due anni Andrée continuò la sua battaglia contro la follia dei nazisti. Radunò centinaia di bambini ebrei anche di due, tre anni per trasferirli in monasteri o nelle case di famiglie cristiane.
«Ancora piango quando penso ai momenti in cui sono stata costretta a sottrarre i bambini dai loro genitori – racconta Andree che oggi ha 97  anni (nata il 6 settembre 1921 ndr)  – senza dire loro dove li avrei portati».
Quando la guerra finì, Andrée s’impegnò per i ricongiungimenti familiari, a volte capitò che i figli non ritrovarono più i loro genitori perché finiti nelle camere a gas. 
Per anni Andrée continuò a mantenere i contatti con i suoi bambini e nel 1989 Israele l’inserì tra i Giusti fra le Nazioni conferendole la cittadinanza onoraria.«Quello che ho fatto è stato solo il mio dovere. Disobbedire alle leggi di allora era la sola cosa normale da fare».


La paura 

Di nuovo l’orrore ha colpito il ghetto,
un male crudele che ne scaccia ogni altro.
La morte, demone folle, brandisce una gelida falce
che decapita intorno le sue vittime.
I cuori dei padri battono oggi di paura
e le madri nascondono il viso nel grembo.
La vipera del tifo strangola i bambini
e preleva le sue decime dal branco.
Oggi il mio sangue pulsa ancora,
ma i miei compagni mi muoiono accanto.
Piuttosto di vederli morire
vorrei io stesso trovare la morte.
Ma no, mio Dio, noi vogliamo vivere!
Non vogliamo vuoti nelle nostre file.
Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore.
Vogliamo fare qualcosa. E’ vietato morire!

- Eva Picková -




 Al cominciar del giorno, Dio, ti chiamo. 
Aiutami a pregare
e a raccogliere i miei pensieri su di te; 
da solo non sono capace.
C'è buio in me,
in te invece c'è luce;
sono solo, ma tu non m'abbandoni; 
non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto; 
sono inquieto, ma in te c'è la pace;
c'è amarezza in me, in te pazienza;
non capisco le tue vie,
ma tu sai qual è la mia strada.
Padre del cielo,
siano lode e grazie a te 
per la quiete della notte, 
siano lode e grazie a te
per il nuovo giorno.
Signore,
qualunque cosa rechi questo giorno,
il tuo nome sia lodato!
Amen.

- Dietrich Bonhoeffer -


Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 10 gennaio 2019

Sposatevi. Basta cincischiare. Prendete e sposatevi - don Giuseppe Marino

“Sposatevi. 
Basta cincischiare. Prendete e sposatevi. Ma pensate davvero che ci sia bisogno di carriera, casa, posizione sociale? Ma credete a tutto quello che vi hanno detto sul fatto che dovete "realizzarvi" e poi fare famiglia? 
Un po' di furbizia: convivenza, divorzio, anticoncezionali sono stati inventati tutti per rendere la donna e l'uomo "liberi", ovvero soli. 
Giratevi intorno: solitudine. Depressione. Tristezza. 
Adesso basta. Ci si sposa. E a vent'anni, per lo meno prima dei trenta. Prendete un prete e sposatevi. Giuratevi fedeltà, coraggio, onore e forza nei momenti di scoramento (saranno tanti, inutile mentire). 
La convivenza è una non-assunzione di responsabilità, è un lasciare la porta aperta, una situazione di fuga. 
Il matrimonio no. Significa prendere e guardare nella stessa direzione: coraggio e determinazione. 
E tanto sesso. Eh sì. Il sesso serve per quello: per stare insieme. Ci si scopre fare davvero l'amore per un sacco di motivi oltre che per fare un bambino. Per scacciare la paura, per consolarsi da una fase di tristezza. E non è genitalità, che è noiosa, ma sessualità vera (volete saperne di più? Leggetevi l’Humanæ Vitæ).
E siate anticonformisti: usate i metodi naturali! 
I figli vanno fatti da giovani. E i figli richiedono energie. E un matrimonio. 
I figli hanno diritto alla certezza di avere genitori uniti. No, non si cresce bene coi genitori separati, posso garantirlo. 
Forza! Siate coraggiosi! Sposatevi! 
Ma no, non è uguale a convivere: è giurare rispetto eterno. 
È dire "Sì" anche con lutti, tristezze, depressioni, amarezze. 
Dire "Sì" costantemente anche se pesa, costa, stanca.
Coraggio. Intraprendenza. Forza. 
E amore? Sì. Serve. Serve per i figli. Serve per mettere tasselli nella loro serenità e nella loro sicurezza in sé stessi. 
Sposatevi. Siate uomini, chiedetelo alla vostra donna. 
Siate donne, dedicatevi alla famiglia. Sposatevi e riempitevi di bambini. 
Ci saranno loro a fianco a voi il giorno della vostra morte, non il datore di lavoro, non i vostri titoli di studio, non i clienti. I vostri figli e chi vi ha amato per una vita!”

- don Giuseppe Marino -
omelia 31 dicembre 2018



Il matrimonio è più del vostro amore reciproco,
ha maggiore dignità e maggior potere.
Finché siete solo voi ad amarvi, il vostro sguardo
si limita nel riquadro isolato della vostra coppia.
Entrando nel matrimonio siete invece un anello
della catena di generazioni che Dio fa andare e venire
e chiama al suo regno.
Nel vostro sentimento godete solo il cielo privato della vostra felicità.
Nel matrimonio, invece, venite collocati attivamente nel mondo e ne divenite responsabili.
Il sentimento del vostro amore appartiene a voi soli.
Il matrimonio, invece, è un’investitura e un ufficio.
Per fare un re non basta che lui ne abbia voglia, occorre che gli riconoscano l’incarico di regnare.
Così non è la voglia di amarvi, che vi stabilisce come strumento della vita.
E’ il matrimonio che ve ne rende atti.

Non è il vostro amore che sostiene il matrimonio:
è il matrimonio che d’ora in poi,
porta sulle spalle il vostro amore.

Dio vi unisce in matrimonio: non lo fate voi, è Dio che lo fa.
Dio protegge la vostra unità indissolubile di fronte ad ogni pericolo che la minaccia dall’interno e dall’ esterno.
Dio è il garante dell’indissolubilità.

E’ una gioiosa certezza sapere che nessuna potenza terrena,
nessuna tentazione, nessuna debolezza
potranno sciogliere ciò che Dio ha unito.

- Dietrich Bonhoeffer -



Buona giornata a tutti. :-)











domenica 2 dicembre 2018

Avvento significa saper attendere - Dietrich Bonhoeffer

Così ci inoltriamo nell’Avvento, il tempo che da’ forma ad ogni attesa.

Festeggiare l'Avvento significa saper attendere: attendere è un'arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Esso vuole staccare il frutto maturo non appena germoglia; ma gli occhi ingordi vengono soltanto illusi, perché un frutto apparentemente così prezioso è dentro ancora verde, e mani prive di rispetto gettano via senza gratitudine ciò che li ha delusi. Chi non conosce la beatitudine acerba dell'attendere, cioè il mancare di qualcosa nella speranza, non potrà mai gustare la benedizione intera dell'adempimento.
Chi non conosce la necessità di lottare con le domande più profonde della vita, della sua vita e nell'attesa non tiene aperti gli occhi con desiderio finché la verità non gli si rivela, costui non può figurarsi nulla della magnificenza di questo momento in cui risplenderà la chiarezza; e chi vuole ambire all'amicizia e all'amore di altro, senza attendere che la sua anima si apra all'altra fino ad averne accesso, a costui rimarrà eternamente nascosta la profonda benedizione di una vita che si svolge tra due anime.
Nel mondo dobbiamo attendere le cose più grandi, più profonde, più delicate, e questo non avviene in modo tempestoso, ma secondo la legge divina della germinazione, della crescita e dello sviluppo.

- Dietrich Bonhoeffer -
da: "Voglio vivere questi giorni con voi", a cura di M. Weber, Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 37
anche: Ia domenica di Avvento, 2 dicembre 1928



“L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo...
Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra "statura" morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo...”.

- papa Benedetto XVI -
dall’ “Angelus del 28 novembre 2010”



Tempo di venuta. 

Di sorprendente novità. 

Il tempo liturgico che più mi corrisponde, 
tempo di presagi e di profezia, 

di inizi e di incompiutezza, 
tempo di invocazione.


Un giorno avrà fine l'attesa, 
che io veda il Tuo sorgere, già qui. 

Nella penombra che è la vita.


- Franca Negri -



 Buon Avvento....