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lunedì 10 luglio 2017

Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita - Padre Alberto Maggi

Introduzione
La morte di una persona cara è un dramma che segna per sempre l’esistenza degli individui, sia per quelli che pensano che la morte sia la fine di tutto, sia per quanti credono nella risurrezione o in altre forme di sopravvivenza. 
Ma la sofferenza per la perdita della persona amata è paradossalmente più dolorosa proprio per i credenti, a causa delle confuse o errate idee religiose che accompagnano la morte, e degli intenti consolatori di parenti, amici e conoscenti, specialmente se questi sono persone religiose.
Nell’istante del lutto sono molti gli interrogativi riguardo a tutto quel che circonda la morte (Perché proprio a lui o lei? Perché ora? Perché così giovane e così buono?). Ma, soprattutto, è inquietante l’interrogativo: dove è ora il defunto? 
Com’è? Che cos’è? Che cosa fa? 
È sufficiente la tradizionale risposta che i nostri cari, nella migliore delle ipotesi, sono in Cielo e contemplano beati il Signore per tutta l’eternità? Che godono della Requiem aeternam in una sorta di Casa di Riposo celeste?

Il momento del lutto non è tempo di parole ma di silenzio, di presenza che supplisca l’assenza, di forza che si faccia carico della debolezza. 
Quale parola potrà infatti mai confortare la persona afflitta dalla perdita di un proprio caro? 
Ogni parola e ogni frase, anche se formulate con le migliori intenzioni, saranno inadeguate e inopportune, come denuncia Giobbe agli amici venuti a consolarlo: «Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori molesti. Non avranno termine le parole campate in aria? O che cosa ti spinge a rispondere? Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: comporrei con eleganza parole contro di voi e scuoterei il mio capo su di voi. Vi potrei incoraggiare con la bocca e il movimento delle mie labbra potrebbe darvi sollievo» (Gb 16,2-5).
Nel tempo del lutto c’è solo da com-piangere, piangere con chi piange («Piangete con quelli che sono nel pianto», Rm 12,11), circondare le persone di caldo affetto e tanto amore. 
A chi è affranto per la morte che l’ha colpito nei suoi affetti più cari non servono parole, ma occorre fargli sperimentare la forza della vita. 
Poi, dopo qualche tempo, può venire il momento del dialogo, per cercare di dare un significato a quel che sembra insensato, come appunto è la morte, per tentare di capire che quel che appare come un annichilimento in realtà è un potenziamento della persona. 
Ma ci vuole tempo, pazienza, discrezione e tanta delicatezza. Un approccio maldestro, seppure animato da buoni propositi, può causare danni devastanti e spesso irreparabili.
Quel che occorre fare subito, al momento del lutto, è evitare accuratamente le persone pie, devote, bigotte, quelle che su tutto pontificano con frasi preconfezionate, sentenze, certezze che non attingono dalla loro esperienza ma dalla dottrina. 
Sono quelle che alla persona distrutta dal dolore sentenziano: «Il Signore l’ha chiamato», «L’ha preso» e, se il morto era conosciuto per la sua bontà, affermano sicure, accompagnando la frase con un rassegnato sospiro: «Eh, sono sempre i migliori che se ne vanno!» oppure, con aria quasi soddisfatta: «I più buoni il Signore li vuole con sé», o in alternativa: «Era già maturo per il paradiso»
Nel caso il defunto sia molto giovane, questi becchini del dolore affermano impudentemente che «I fiori più belli il Signore li vuole con sé…». 
Se poi è un bambino in tenera età, consolano i genitori dicendo che il loro bimbo «È un angioletto in paradiso…». 
Queste espressioni consolatorie precedono il cristianesimo e sono note fin dall’antichità. 
È di Menandro, famoso commediografo greco vissuto tre secoli prima di Cristo, la celebre frase «Muore giovane colui che gli dèi amano» (frammento 111 K.-Th), ripresa da Giacomo Leopardi, come epigrafe per il suo Amore e morte (XXVII): «Muore giovane colui ch’al cielo è caro». 
Nel Libro della Sapienza, la morte del giovane viene giustificata così: «Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo […]. Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove. Fu rapito, perché la malvagità non alterasse la sua intelligenza o l’inganno non seducesse la sua anima […]. 
Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita» (Sap 4,7.10-11.13).
A chi non accetta e non si rassegna a questo lutto, e protesta, dicendo che l’angioletto se lo sarebbero tenuto ben volentieri nella loro famiglia, ecco tutto un fuoco di sbarramento a forza di «Accetta la croce che Dio ti ha mandato», «È la volontà del Signore», «È il Signore che pota», «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto», «La felicità non è di questo mondo», con tutto l’inesauribile repertorio dell’infinito stupidario religioso del quale si alimentano insaziabili i pii devoti, più beoti che beati. 
Frasi che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, facendo nascere un sordo rancore verso questo Dio spietato che toglie, coglie, manda croci, pota vite e persone, e la cui volontà coincide sempre con la sofferenza degli uomini e mai, neanche una sola volta, con la loro felicità.

- Padre Alberto Maggi -
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore





….. Il momento del morire è il momento più bello della nostra esistenza, perché finalmente ci si apre alla dimensione per la quale siamo stati creati e allora si capisce perché un Francesco d’Assisi può chiamare Sorella Morte. La morte non ci toglie nulla ma ci viene incontro per regalarci tutto, ci viene incontro per regalarci la dimensione di pienezza di vita, alla quale siamo chiamati…

- Padre Alberto Maggi OSM - 
Assisi 31 agosto 2012



Buona giornata a tutti. :-)








mercoledì 14 giugno 2017

Sofferenza che trasfigura (2) - don Marino Gobbin

Alla mia mamma

Ti guardo, o mamma, seduta accanto al mio capezzale.
Il viso segnato da rughe, un velo d’argento è sceso sui tuoi capelli.
E la stanchezza pesa sui tuoi dolci occhi.
Il tuo respiro è affannoso.
Un tubicino ti lega sempre alla bombola d’ossigeno.
Gli anni passano, mamma, e le tue forze vengono meno.
La fede in Dio ti dà forza e… la corona del rosario scorre tra le dita, unendoti sempre al tuo Signore.
Quanto hai sofferto per me, o mamma,
quante preghiere hai innalzato al Signore perché io accettassi la croce!
La tua vita per me hai sacrificato.
Notte e giorno con affanno sempre pronta ad aiutarmi nelle mie necessità, sempre pronta a curare le mie ferite, ad asciugare il sudore del mio dolore.
Ti fai Cirenea, aiutandomi a portare la croce.
Martire d’amore sei, o mamma, su questa terra.
Ora sei debole, o mamma,
tale da non potermi accudire come tu vuoi,
ma nel tuo cuore non si è ridotto il materno amore.
Grazie, o mamma, per quello che hai fatto,
per quello che fai e per quello che ancora farai per il tuo figlio infermo.

- Nino Baglieri - 

Da: “Sulle ali della croce. Nino Baglieri e… tanta voglia di vivere”, a cura di Giuseppe Ruta. Editore Elledici 2008, pp. 162-163




Nino Baglieri, nato il 1° maggio 1951 e scomparso il 2 marzo 2007 a Modica in Sicilia all’età di 56 anni, l’ho conosciuto alcuni anni fa recandomi in Sicilia a dare gli Esercizi Spirituali a un gruppo di consacrati secolari della Famiglia Salesiana, i volontari Con Don Bosco. 
Sono rimasto in silenzio, attonito di fronte alla serenità e alla pace che trasmetteva la sua presenza. Quest’anno che mi sono recato nuovamente a dare una predicazione al gruppo, e lui mancava, ho percepito viva la sua presenza e il dono della sua vita per i fratelli consacrati e per la Chiesa e i giovani. In quell’occasione ma anche quest’anno era lui colui che insieme a Dio dava gli esercizi! 
Io balbettavo parole… Nino per quasi quaranta anni ha vissuto la sua vita fra il letto e la sedia a rotelle, perché divenuto tetraplegico in seguito a un incidente sul lavoro. Infatti, dopo aver frequentato le scuole elementari e aver intrapreso il mestiere di muratore, a diciassette anni, il 6 Maggio 1968, precipita da un’impalcatura alta 17 metri. 
Ricoverato d’urgenza, Nino si accorge con amarezza di essere rimasto completamente paralizzato. 
Inizia così il suo cammino di sofferenza, passando da un centro ospedaliero all’altro, ma senza alcun miglioramento. 
E in quei primi momenti c’è stato chi, senza sensibilità e delicatezza, ha suggerito alla madre una soluzione drastica: l’eutanasia! 
Lei si oppose con tutte le forze, decisa a consegnarsi in tutto e per sempre per questo figlio bisognoso di tutto e in un tempo in cui nessun aiuto gli era riconosciuto e neppure l’incidente… 
Dopo l’incidente, egli ha vissuto un periodo di ribellione e disperazione durato circa dieci anni, che si trasformerà in cammino di conversione quando, attraverso la preghiera di un sacerdote accompagnato da alcuni giovani, riceve l’effusione dello Spirito Santo. 
Era il 24 marzo 1978, venerdì santo, alle quattro del pomeriggio. Da quel momento la sua vita subisce la svolta, accetta la Croce e dice il suo "si" al Signore. Incomincia a leggere il Vangelo e la Bibbia: riscopre le meraviglie della fede. Tutto ciò ne delineerà indelebilmente il carattere, fino a diventare una figura di spicco nel panorama ecclesiale della Diocesi di Noto e della Famiglia Salesiana. Aiutando alcuni ragazzini, vicini di casa, a fare i compiti, impara a scrivere con la bocca. Redige, così, le sue memorie, le lettere a persone di ogni categoria in varie parti del mondo, personalizza immagini-ricordo che omaggia a quanti vanno a visitarlo. 
Alla matita dedica una sua preghiera affidandogli un compito impegnativo diventare lo strumento di grazia e di santità per i fratelli. E con quale maestria la usava! 
Allora non c’erano ancora i computer con cui si poteva dialogare semplicemente con gli occhi, lui si è industriato, si è esercitato… 
La sua matita poteva rompere silenzio e omertà, farlo uscire di casa senza neppur muoversi, raggiungere i cuori anche i nostri cuori… 
Testardo e caparbio ne ha fatto una lode all’Eterno amore.

- Don Marino Gobbin -




Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 29 maggio 2017

Sofferenza che trasfigura - don Marino Gobbin

La sofferenza? Un mistero che accompagna l’uomo per trasfigurarlo. 
Accanto a chi soffre, a ogni sofferenza, quando ci si dona, si riceve moltissimo perché ci si svuota per riempirsi della Verità, dell’Essenzialità, della Vita vera. 
Di fronte alla sofferenza è Dio a sceglierti per comunicarti qualcosa, e sovente lo fa attraverso degli intermediari che sono gli stessi sofferenti. 
Un medico dopo un servizio in un ospedale pediatrico particolare per la sofferenza ivi raccolta e la situazione umana in cui vivevano i ricoverati racconta: «In questo ambiente non siamo noi che scegliamo, ma sono loro che ci scelgono! …
E, ancora una volta, sarà lui a scegliermi! Era lì. Fermo, dinanzi all’infermeria. Nel suo lettuccio. Mi rapì con lo sguardo! Poi mi trafisse! Solo due carezze in cambio di un sorriso senza fine che sprizzava gioia infinita. 
I suoi occhi nei miei occhi. I suoi: lucenti, brillanti, chiari, limpidi, senza tristezza. Era lì che attendeva. In quegli occhi per un momento ho visto l’Infinito... e allora i miei, miopi, furono solcati da lacrime che li oscurarono per alcuni momenti. 
E lì ho visto Dio! Lui, l’umile Dio, che si fa piccolo, si fa carne, si fa "mendicante dell’amore". Lui era lì. 
Mi guardava e non mi chiedeva nulla... Attendeva il gesto più piccolo e semplice come una carezza. 
L’attendeva per svelarsi e amarmi. 
Non ero stato io a dare qualcosa a lui, perché una carezza è un nulla dinanzi a quella sofferenza, ma era stato lui a donarmi qualcosa. Ma cosa? Aveva illuminato la mia anima rattrappita; si era fatto specchio per lasciarmi intravedere tutte le cose più belle che io avevo e che lui apparentemente non possedeva. 
Ma non mi aveva messo in soggezione. 
Mi aveva interrogato senza parlarmi. 
Spronato senza toccarmi. 
Liberato senza rimproverarmi. Solo il suo sguardo». E più oltre narra ciò che ha scoperto: «Credo che in tutte le storie di sofferenza in cui ci si dona, si riceve perché ci si svuota per riempirsi della Verità, dell’Essenzialità, della Vita vera. In occasioni come queste si scopre la nostra vocazione, ma soprattutto quella di chi vive la sofferenza. 
Oserei dire che queste persone hanno ricevuto da Dio una grande vocazione: quella di farci comprendere e amare l’essenzialità della vita stessa. 
Penso che loro sono qui in mezzo a noi per dirci qualcosa... 
Essi sono quello specchio che mette a nudo la nostra anima per lasciarci percepire il valore della vita e la missione dell’uomo, chiamato dall’Amore all’amore. Alla fine di questa esperienza raccontata così com’è "scesa" dal cuore nella penna, nessuna pretesa, nessun applauso. 
L’applauso va a loro e forse anche a chi ha avuto il coraggio di dargli la vita nonostante la loro esistenza sembrasse tutto tranne "vita". 
"Esseri inutili" agli occhi di noi "comuni sani". 
"Uomini speciali" ai miei occhi dopo questa esperienza. 
Provate a incrociare gli sguardi di quei genitori che hanno figli gravemente malati e capirete che quello che ho scoperto non è pura fantasia.

- Don Marino Gobbin -


Inno di lode

Guardo il mio corpo infermo e lodo Te, o Signore.
Grazie per il dono della vita che ogni giorno Tu mi fai.
Il mio corpo sembra morto 
ma nel mio petto continua a battere il mio cuore. 
Le gambe non si muovono 
eppure per le vie del mondo io cammino.
Son ferme le mie mani, ma Tu, 
Signore, il mondo mi fai accarezzare. 
Meraviglie hai fatto Tu, 
Signore, mi hai aperto alla vita e all’amore.
Nel dolore ti ho cercato, 
con ardore il tuo nome ho invocato.
Nella Croce ti ho incontrato e Tu, 
Signore, tutto in gioia hai cambiato.
Da questo mio letto di dolore 
quest’inno di lode innalzo a Te, o Signore. 
Grazie perché mi hai amato!

- Nino Baglieri - 

Da: “Sulle ali della croce. Nino Baglieri e… tanta voglia di vivere”, a cura di Giuseppe Ruta. Editore Elledici 2008, p. 168





Buona giornata a tutti. :-)




domenica 3 luglio 2016

C’è qualcuno lassù? . Don Ferrero Bruno

Era una famigliola felice e viveva in una casetta di periferia.
Ma una notte scoppiò nella cucina della casa un terribile incendio.
Mentre le fiamme divampavano. genitori e figli corsero fuori.
In quel momento si accorsero, con infinito orrore, che mancava il più piccolo, un bambino di cinque anni.
Al momento di uscire, impaurito dal ruggito delle fiamme e dal fumo acre, era tornato indietro ed era salito al piano superiore.
Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati, le due sorelline cominciarono a gridare.

Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile...
E i vigili del fuoco tardavano.
Ma ecco che lassù, in alto, s'aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò, urlando disperatamente: "Papà! Papà!".
Il padre accorse e gridò: "Salta giù!".
Sotto di sè il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma senti la voce e rispose: "Papà, non ti vedo...".
"Ti vedo io, e basta. Salta giù!" Urlò, l'uomo.
Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo.
Non vedi Dio. Ma Lui vede te. Buttati!

(don Bruno Ferrero)



Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide che non c'era nessuno. 

 - Martin Luther King - 


Cari Amici miei,
abbiate la forza ed il coraggio di assumervi un po’ delle sofferenze altrui.
Fate entrare i loro sentimenti e i loro pensieri nelle vostre viscere che sono il luogo privilegiato per accogliere e condividere le emozioni, le passioni, i timori, le difficoltà, le tristezze e gli affetti del prossimo.
Ma fate diventare le vostre viscere luogo di accoglienza non solo delle preoccupazioni e dei dolori ma anche delle vittorie, delle gioie, delle felicità, dei sogni e delle esperienze piacevoli di chi vi è vicino.
Cominciate almeno da chi vi è più vicino e che senza accorgervene trascurate per abitudine.
Vi dico questo perché questo comportamento prima di portare beneficio al prossimo beneficherà voi stessi modificando il vostro modo di essere e rendendovi persone piacevoli e migliori….in una parola “misericordiose”.
Se volete cambiare il mondo sappiate che potete cominciare da qui, da voi stessi, allenandovi ad avere uno sguardo che entra e scruta gli invisibili sentimenti delle persone, vedendo anche aldilà delle apparenze.
Perché dal vostro modo di essere misericordiosi scaturiranno tutte le molteplici opere di misericordia, che sono diverse e tante a secondo della diversità delle persone alle quali rivolgerete la vostra attenzione e delle circostanze in cui vi troverete.

Vi abbraccio.

- Massimo Arrighi - 
(diacono della Diocesi di Lecce)



Benedizione della Famiglia

O Gesù, volgi lo sguardo tuo su questa famiglia
e colmala di benedizioni celesti e temporali,
e santificala nel tuo Nome!
Sostieni Tu la salute della mamma 
affinché abbia la forza di sostenere 
il peso dell’educazione dei figli.
Accresci forza e vigore al papà, 
affinché nelle sue attività sia sempre sano 
e cresca nella sua interiore pietà.
La casa sia un tempio del tuo amore 
dove Tu regni e sia piena di pace e di carità.
Crescano come fiori del tuo altare i figli;
siano lontane da loro 
le insidie ed incursioni dello spirito maligno.
Così sia.

Testo tratto dagli scritti 
del Servo di Dio don Dolindo Ruotolo




























Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


sabato 28 maggio 2016

L'amore non è già fatto, si fa - Padre Michel Quoist

Non è un vestito già confezionato,
ma stoffa da tagliare, preparare e cucire.

Non è un appartamento chiavi in mano,
ma una casa da concepire, costruire, conservare e, spesso, riparare.

Non è una vetta conquistata,
ma scalate appassionanti e cadute dolorose.

Non è un solido ancoraggio nel porto della felicità,
ma è un levar l'ancora, è un viaggio in pieno mare.

Non è un sì trionfale che si segna fra i sorrisi e gli applausi,
ma è una moltitudine di "sì" che punteggiano la vita,
tra una moltitudine di "no" che si cancellano strada facendo.

Non è l'apparizione improvvisa di una nuova vita,
perfetta fin dalla nascita,
ma sgorgare di sorgente e lungo tragitto di fiume
dai molteplici meandri, qualche volte in secca,
altre volte traboccante,
ma sempre in cammino verso il mare infinito.

- Padre Michel Quoist - 



Non puoi amare la sofferenza, essa rimane un male anche dopo la venuta di Gesù Cristo, ma tu puoi amare l'occasione che essa ti porge per offrire e ricuperare:

-il tuo mal di testa di oggi,

-la stanchezza di tutto il corpo oppresso dalla fatica,
-la lancinante sofferenza che morde la tua carne e non ti lascia riposare,
-l'immobilità dolorosa,
-l'infermità,
-la sofferenza morale, piccola o grande, passeggera o permanente,
-il lavoro penoso o monotono, impegno sindacale o politico che assorbe o strazia, sensibilità urtata, fallimento dei tuoi sforzi, caduta umiliante...


Tutte le tue sofferenze:

il Cristo le ha già sofferte,
offerte,
il Padre le ha ricevute dalle mani del Figlio Suo come penitenza dei peccati,
per mezzo dell'amore di Gesù Cristo esse hanno già riscattato il mondo.


- Padre Michel Quoist -
da: "Riuscire. Suggerimenti per una vita autenticamente cristiana"


Regina della Pace

Aiutaci, dolce Vergine Maria, aiutaci a dire:
ci sia pace per il nostro povero mondo.
Tu che fosti salutata dallo Spirito della Pace,
ottieni pace per noi.
Tu che accogliesti in te il Verbo della pace,
ottieni pace per noi.
Tu che ci donasti il Santo Bambino della pace,
ottieni pace per noi.
Tu che sei vicina a Colui che riconcilia 
e dici sempre sì a Colui che perdona,
votata alla sua eterna misericordia,
ottieni a noi la pace.
Astro clemente nelle notti feroci dei popoli,
noi desideriamo la pace.
Colomba di dolcezza tra gli avvoltoi dei popoli,
noi aspiriamo alla pace.
Ramoscello di ulivo che germoglia nelle foreste bruciate 
dei cuori umani,
noi abbiamo bisogno di pace.
Perchè siano finalmente liberati i prigionieri,
gli esiliati ritornino in patria,
tutte le ferite siano risanate,
ottieni per noi la pace.
Per l’angoscia degli uomini ti chiediamo la pace.
Per i bambini che dormono nelle loro culle
ti chiediamo la pace.
Per i vecchi che vogliono morire nelle loro case
ti chiediamo la pace.
Madre dei derelitti, nemica dei cuori di pietra,
stella che risplendi nelle notti dell’assurdo,
ti chiediamo la pace. Amen.



Buona giornata a tutti. :-)


giovedì 28 aprile 2016

La contemplazione - padre Thomas Merton

La contemplazione non deve essere confusa con l'astrazione. 
Una vita contemplativa non va vissuta con un ritiro permanente dentro la propria mente. 
L'esistenza ridotta e limitata di un piccolo gruppo isolato e specializzato non basta per la «contemplazione». 
Il vero contemplativo non è meno interessato degli altri alla vita normale, non è meno preoccupato per quello che capita nel mondo, ma più  interessato, più preoccupato. 
Il fatto di essere un contemplativo lo rende capace di un interesse maggiore e di una preoccupazione più profonda. Essendo distaccato, e avendo ricevuto il dono di un cuore puro, egli non si limita a prospettive ristrette e provinciali. Non è coinvolto facilmente nella confusione superficiale che la maggior parte degli uomini prende per realtà. E per questa ragione può vedere più chiaramente ed entrare più direttamente nella pura attualità della vita umana. La cosa che lo distingue dagli altri uomini, e che gli dà il chiaro vantaggio su di essi, è il fatto di possedere una comprensione molto più spirituale di ciò che è «reale» e di ciò che è «effettivo». 

- Padre Merton Thomas - 
da: "L'esperienza interiore. Note sulla contemplazione" Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 212



L'uomo si serve della sua intelligenza nella maniera più completa e totale solo quando tutte le sue capacità conoscitive convergono in un intelletto illuminato, aperto e guidato dallo Spirito Santo. 
L'uomo contemplativo è colui che guarda attraverso la sua intelligenza con l'occhio luminoso dello Spirito Santo. 

 - Marko Ivan Rupnik  - 
da: "Il discernimento, Lipa 2007,p. 25




Il contemplativo non è semplicemente un uomo a cui piace starsene seduto a pensare, o tanto meno uno che se ne sta seduto con lo sguardo assente. 
La contemplazione è qualcosa di più della pensosità o della tendenza alla riflessione. Indubbiamente un'indole pensosa e riflessiva non è certo da disprezzarsi in questa nostra era di vacuità e di automatismo, e può effettivamente condurre l'uomo alla contemplazione. [...].
Il contemplativo non è isolato in se stesso, ma è liberato dal suo io esteriore ed egotistico attraverso l'umiltà e la purità di cuore - quindi non esiste più in lui un serio ostacolo all'amore semplice ed umile per gli altri uomini.

- Padre Merton Thomas - 
da: "Semi di contemplazione", B. Tasso - E. Lante Rospigliosi (Edd),  Ed. Garzanti, 1991, pp. 17; 57


Ti ringrazio per il tuo amore incondizionato, perché non mi hai dimenticato e abbandonato.
Ti ringrazio perché vegli su ogni attimo della mia vita; i momenti di gioia e di difficoltà, attraverso i quali mi conduci alla maturità e alla fede profonda.
Ti ringrazio per l’aiuto che mi dai, aiuto che conduce al bene, quando in te depongo la mia fiducia.
Ti ringrazio perché mi proteggi da ogni forza oscura e perché posso sentire la tua vicinanza e l’amore, l’aiuto e la salvezza.
Grazie per coloro che mi hai assegnato per sostenermi e assistermi attraverso le vie della vita.
Grazie per la tua bontà e la misericordia che mi accompagna ovunque mi trovi.
Grazie perché mi permetti di abbandonare i brutti pensieri e mi induci a pensare a quel che mi cura e incoraggia.
Grazie per tutti i tuoi doni, in particolare per il dono d’amore che allontana da me ogni paura.
Ti adoro, Gesù, ti onoro e ti rendo grazie, per la misericordia che hai di me in questo momento e perché io possa stare con te e rivolgerti questa preghiera. Amen.




Buona giornata a tutti. :-)