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martedì 26 novembre 2024

Tacere davanti a te - Jean Gallot

                                  Tacere davanti a te, offrirti il mio silenzio 
in omaggio d'amore.
Tacere davanti a te per poter dire l'inesprimibile
al di là delle parole.
Tacere per liberare il fondo del mio spirito,
l'essenza della mia anima
Tacere per lasciar battere il cuore più forte
nella tua intimità,
e per prendere il tempo di guardarti meglio,
più libero e più sereno.
Tacere per sognare di te, della tua presenza,
della tua grande bontà,
e per scoprirti nella tua realtà
più bello del mio sogno.
Tacere per lasciare che lo Spirito d'amore gridi in me
"Abba" al Padre,
e dirti "Signore" con la sua voce divina
dagli accenti ineffabili.
Tacere, lasciarti rivolgermi la tua parola
in tutta libertà,
sforzarmi di ascoltare il tuo linguaggio segreto
e di meditarlo.
Tacere e cercarti non più con le parole
ma con tutto il mio essere,
e trovarti veramente quale tu sei, Gesù,
nella tua divinità.

- Jean Galot -
da: "Amarti senza vederTi"



Il digiuno del cuore

Signore, fa' digiunare il nostro cuore: che sappia rinunciare a tutto quello che l'allontana dal tuo amore, Signore, e che si unisca a Te più esclusivamente e più sinceramente.

Fa' digiunare il nostro orgoglio, tutte le nostre pretese, le nostre rivendicazioni, rendendoci più umili e infondendo in noi, come unica ambizione, quella di servirTi. 

Fa' digiunare le nostre passioni, la nostra fame di piacere, la nostra sete di ricchezza, il possesso avido e l'azione violenta; che nostro solo desiderio sia di piacere a Te in tutto.

Fa' digiunare il nostro "io", troppo centrato su se stesso, egoista indurito, che vuole trarre solo il suo vantaggio: che sappia dimenticarsi, nascondersi, donarsi.

Fa' digiunare la nostra lingua, spesso troppo agitata, troppo rapida nelle sue repliche, severa nei giudizi, offensiva o sprezzante: fa' che esprima solo stima e bontà. 

Che il digiuno dell'anima, con tutti i nostri sforzi per migliorarci, possa salire verso di Te come offerta gradita, meritarci una gioia più pura, più profonda.
Amen

- Padre Jean Galot - 























Decalogo della parola

1. Prima di parlare controlla che il cervello sia inserito.
2. Non parlare di te: lascia che siano gli altri a scoprirlo.
3. Regala parole buone: la scienza sta ancora cercando una medicina più      efficace delle parole buone.
4. Non dire tutto ciò che pensi, ma pensa a tutto ciò che dici.
5. Adopera ragioni forti con parole dolci.
6. Quando parli, pensa all’insalata: è buona se ha più olio che aceto.
7. Non basta parlare: bisogna comunicare. Chi parla difficile non comunica.
8. Ascolta! Ascoltare è la forma più raffinata di parlare.
9. Quando senti altrui mancamenti, serra la lingua tra i denti.
10. Parla per ultimo: sarai ricordato per primo.

Pino Pellegrino, Marino Gobbin
Omelie per un anno, Vol. 1 – Anno A, Elledici 2004
























Buona giornata a tutti. :-)

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venerdì 3 marzo 2023

Digiuno e preghiera

Il digiuno non è sinonimo di dieta, occasione per perdere peso o rivendicazioni politiche. Il rapporto col cibo indica ben altro. 
Quando ci lanciamo sulle pietanze, quando consacriamo al cibo un’attenzione degna di ben altra causa, noi finiamo coll’aprire una finestra sulla nostra esistenza. 
Lo ammettiamo: siamo percorsi da un’ansia nevrotica, da un bisogno preoccupante di divorare, di riempirci, di colmare una fame profonda che nessun nutrimento riesce a calmare.
Ecco il digiuno: un rapporto diverso con il cibo, per avvertire finalmente necessità fondamentali che cerchiamo di coprire, per provare fame e sete di Dio, ma anche per vivere una condivisione più concreta con chi continuiamo a tenere fuori dalla nostra porta. 
È troppo tardi oggi per riappropriarci del digiuno come prassi che ci conduce a una misura alta della vita cristiana? Assolutamente no! Anzi è necessario riproporlo, riscoprire l’anima, l’attualità, la necessità e la fecondità di questa pratica che porta il cristiano sulla strada della conversione e dell’intercessione, della giustizia e della ricerca dell’unità. 
Il digiuno è una dimensione costante della vita cristiana che la Chiesa propone accanto alla preghiera e alla carità, anzi ha senso proprio in funzione della preghiera e della carità. 
Per questo è necessario chiedersi che cosa dice la Chiesa del digiuno. Come lo definisce, come lo pensa, come lo vive? Quali le ragioni e gli scopi di questa pratica? Scopriremo allora che l’originalità cristiana del digiuno sta nel suo essere vissuto come segno di conversione e di ritorno al primato dell’amore di Dio; nel suo essere vissuto in comunione viva con Cristo; nel suo essere animato dalla preghiera e orientato alla crescita della libertà, mediante il dono di sé nell’esercizio concreto della carità fraterna. 
Il digiuno, dunque, è in primo luogo una “terapia” per curare tutto ciò che impedisce di conformare se stessi alla volontà di Dio e ha come sua ultima finalità quella di aiutare ciascuno di noi a fare di sé dono totale a Dio. Da qui la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a non vivere più per se stesso, ma per Colui che lo amò e diede se stesso per lui, e anche a vivere per i fratelli (Paolo VI, Paenitemini, cap. I). 
Astenersi dal cibo consente al cristiano di esercitare e ribadire la sua libertà anche rispetto ai suoi bisogni fisici. 
Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita la disposizione interiore ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. 
Con il digiuno e la preghiera permettiamo a lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e la sete di Dio. «Il digiuno svolge la fondamentale funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di che cosa viviamo, di che cosa ci nutriamo e di ordinare i nostri appetiti intorno a ciò che è veramente centrale. E tuttavia sarebbe profondamente ingannevole pensare che il digiuno – nella varietà di forme e gradi che la tradizione cristiana ha sviluppato: digiuno totale, astinenza dalle carni, assunzione di cibi vegetali o soltanto di pane e acqua – sia sostituibile con qualsiasi altra mortificazione o privazione» (Enzo Bianchi). 
Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. San Giovanni ammonisce: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1Gv 3,17). 
Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (Benedetto XVI, Deus caritas est, 15). 
Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo. 
Il digiuno rappresenta una pratica ascetica importante, un’arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. 
Il digiuno non è una dieta, non è una moda: la differenza è abissale. 
Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d’origine, i cui effetti negativi investono l’intera personalità umana. Con la pratica del digiuno accogliamo l’invito del Maestro a vivere la nostra vita non come calcolo matematico, ma come abbandono provvidenziale a lui, senza alcuna ansia per le cose, ma in tensione verso l’altro e disponibili alle necessità dei poveri. 
Il senso autentico del digiuno ci inserisce in un cammino esodale di rinuncia a tutto ciò che è male e superfluo per immetterci in un percorso di gratuità, dono e condivisione vera. Riproponiamo pertanto il significato del digiuno secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù e secondo l’esperienza della Chiesa. Valorizzando il significato autentico e perenne di quest’antica pratica saremo aiutati a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge, compendio di tutto il Vangelo (Mt 22,34-40). Occorre, per questo, riscoprire l’identità originaria e lo spirito autentico del digiuno alla luce della Parola di Dio e della viva tradizione della Chiesa.  
Preghiera e digiuno non sono un peso o un dovere, ma piuttosto una celebrazione della bontà e della misericordia di Dio verso i suoi figli. Non resta altro che accettare l’invito a meditare sul digiuno, ma soprattutto a farne l’esperienza come atto d’amore nei confronti di Dio.

© Editrice Shalom s.r.l. 
© Libreria Editrice Vaticana (testi Sommi Pontefici) 
© 2008 Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena

 


Buona giornata a tutti :-)


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venerdì 1 aprile 2022

Dai Fioretti di San Francesco, Capitolo VII

                     

Come san Francesco fece una quaresima in una isola del lago di Perugia, dove digiunò 40 dì e 40 notti, e non mangiò più che un mezzo pane.
Il verace servo di Cristo san Francesco, perocchè in certe cose fu quasi un altro Cristo, dato al mondo per salute della gente, Iddio Padre il volle fare in molti atti conforme e simile al suo figliuolo Gesù Cristo; siccome ci dimostra nel venerabile collegio dei dodici compagni, e nel mirabile misterio delle sagrate istimate, e nel continuato digiuno della santa quaresima, la qual’egli fea in questo modo. 

Essendo una volta san Francesco, il dì del carnasciale, allato al lago di Perugia in casa d’un suo divoto, col quale era la notte albergato, fu inspirato da Dio, ch’egli andasse a fare quella Quaresima in un’ isola del lago; di che san Francesco pregò questo suo divoto che, per amor di Cristo, lo portasse colla sua navicella in un’isola del lago, ove non abitasse persona, e questo facesse la notte del dì della Cenere, sì che persona non se n’avvedesse, e costui per l’amore della grande divozione ch’ avea a san Francesco sollecitamente adempiette il suo priego e portollo alla detta isola, e san Francesco non portò seco se non due panelli. 
Ed essendo giunto nell’isola, e l’amico partendosi per tornare a casa, san Francesco il pregò caramente che non rivelasse a persona come fosse ivi, ed egli non venisse per lui se non il giovedì santo: e così si partì colui. 
E san Francesco rimase solo: e non essendovi nessuna abitazione nella quale si potesse riducere, entrò in una siepe molto folta, la quale molti pruni e arboscelli aveano acconcio a modo d’uno covacciolo, ovvero d’una capannetta; ed in questo luogo si puose in orazione a contemplare le cose celestiali. E ivi stelle tutta la quaresima, senza mangiare e senza bere altro che la metade d’uno di quelli panelli, secondo che trovò il suo divoto il giovedì santo, quando tornò a lui; il quale trovò di due panetti uno intiero, e l’altro mezzo. 
Si crede che san Francesco non mangiasse per riverenza del digiuno di Cristo benedetto, il quale digiunò quaranta dì e quaranta notti, senza pigliare nessuno cibo materiale; e così con quel mezzo pane cacciò da sè il veleno della vanagloria, e ad esempio di Cristo digiunò quaranta dì e quaranta notti ; e poi in quello luogo dove san Francesco avea fatta così maravigliosa astinenza fece Iddio molti miracoli per li suoi meriti; per la qual cosa cominciarono gli uomini a edificarvi delle case e abitarvi; e in poco tempo si fece un castello buono e grande, ed evvi il luogo de’ frati, che si chiama il luogo dell’Isola; e ancora gli uomini e le donne di quello castello hanno grande riverenza e divozione in quello luogo dove san Francesco fece la detta quaresima.



‌‌‌‌Strappa da te la vanità, non fu luomo
A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,
‌‌‌‌Strappa da te la vanità, ti dico strappala.

(Ezra Pound, Canti Pisani - LXXXI)



Se sei in condizione di sopportare il digiuno, farai bene a digiunare qualche giorno in più di quelli che comanda la Chiesa; perché, oltre all’effetto ordinario del digiuno, che è quello di liberare lo spirito, sottomettere la carne, praticare la virtù e accrescere l’eterna ricompensa in cielo, il digiuno ci dà modo di dominare i nostri appetiti, e mantenere la sensualità e il corpo sottomessi allo spirito; e anche se i digiuni non saranno molti, il nemico quando si accorgerà che sappiamo digiunare, ci temerà di più.
Il mercoledì, il venerdì e il sabato sono i giorni che i primi cristiani più facilmente consacravano alla astinenza: scegline uno tra di essi per digiunare, secondo quanto ti consiglierà la tua devozione e la discrezione del tuo direttore spirituale.

- San Francesco di Sales - 


Buona giornata a tutti :-)


martedì 23 marzo 2021

Propositi per la Quaresima con Sant'Antonio da Padova

Come nelle mani ci sono dieci dita, così dieci sono le specie di mortificazione:

1. La rinuncia alla propria volontà,
2. l’astinenza dal cibo e dalla bevanda,
3. la rigorosità del silenzio,
4. le veglie di preghiera durante la notte,
5. l’effusione delle lacrime,
6. il dedicare un congruo tempo alla lettura,
7. darsi da fare con fatica del corpo,
8. la generosa partecipazione alle necessità del prossimo,
9. il vestire dimessamente,
10. il disprezzo di se stessi.
       
                     S.Antonio di Padova, Serm. Dom. di Pentec.,1§7


Il digiuno di Cristo, durato quaranta giorni e quaranta notti, ci insegna in quale modo possiamo fare penitenza per i peccati commessi e come dobbiamo comportarci per non ricevere inutilmente la grazia di Dio. 
Ci dice l'Apostolo: «Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Dice infatti il Signore per bocca di Isaia: Al momento favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza» (2Cor 6,1-2; cf. Is 49,8). (Dom. I quar. §20)



Il nostro caro sant'Antonio, santo veramente adatto alla Quaresima perché - come tutti i santi francescani - sempre dedito alla conversione e alla penitenza, ci spiega almeno dieci modi diversi per dedicarsi a qualche esercizio penitenziale. 
La "disciplina della mortificazione", sebbene faticosa, non dev'essere per forza noiosa! 

La fantasia dei santi può aiutare anche noi a scegliere qualche modo adatto per preparaci alla Pasqua, oppure a renderci conto che ciò che già facciamo ha un valore aggiunto se lo offriamo con intenzione di riparazione per i peccati.


Buona giornata a tutti :-)

lunedì 25 maggio 2020

L'utilità del digiuno – Sant’Agostino

Fame degli uomini, fame degli angeli. Fame e sete di giustizia.
Dire qualcosa sul digiuno è un'ispirazione divina e anche il tempo dell'anno ci invita a farlo. E` un'osservanza questa, una virtù dell'animo, un vantaggio dello spirito a spese della carne, e non può essere oggetto di offerta a Dio da parte degli angeli. In cielo vi è ogni abbondanza e sazietà eterna. 
Lì non manca nulla perché in Dio si appaga ogni desiderio. 
Lì il pane degli angeli è Dio, che si è fatto uomo perché anche l'uomo potesse cibarsene 
Qui tutte le anime, che sono vestite di un corpo terreno, riempiono il ventre dei frutti della terra, là gli spiriti razionali, che governano corpi celesti, riempiono di Dio le loro menti. 
Tanto qui che lì vi è un cibo. Ma questo cibo nostro nel momento stesso che ristora viene meno; diminuisce nella misura in cui riempie. Quello invece rimane integro anche quando riempie. Bisogna aver fame di quel cibo. Lo prescrive Cristo quando dice: Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati 
Nel corso della vita terrena compete agli uomini aver fame e sete di giustizia, ma esserne appagati appartiene all'altra vita. 
Gli angeli si saziano di questo pane, di questo cibo. Gli uomini invece ne hanno fame, sono tutti protesi nel desiderio di esso. Questo protendersi nel desiderio dilata l'anima, ne aumenta la capacità. 
Fatti più capaci, a suo tempo saranno appagati. Che dire allora? Che su questa terra non ricevono alcun appagamento quelli che hanno fame e sete di giustizia? Sì che ricevono qualcosa, ma un conto è la refezione del viandante, un altro la perfezione dei beati. Ascolta l'Apostolo, che ha fame e sete, e certamente di giustizia, la più che se ne può raggiungere in questa vita, la più che se ne può praticare. Nessuno oserebbe confrontarsi con lui nonché ritenersi superiore. Dice dunque: Non che io abbia già acquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione 
E considerate chi è che parla: il " Vaso di elezione ", l'estremo lembo, per così dire, del vestito del Salvatore, una estrema frangia che tuttavia sana chi la tocca, come la donna che pativa perdite di sangue, perché aveva fede 
E` l'ultimo e il più piccolo degli Apostoli, come egli stesso dice: Io sono l'ultimo degli Apostoli, e: Io sono l'infimo degli Apostoli, e ancora: Non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Ma per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia in me non è stata vana, anzi ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio con me 
Ascoltando queste parole, ti sembra di ascoltare uno che è ripieno di grazia, al colmo della perfezione. Ma se l'hai ascoltato quando è sazio, ascolta di che cosa ha ancora fame. Dice: Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione, e: Fratelli, io non ritengo di aver raggiunto la méta, ma una cosa sì: dimentico del passato e proteso verso il futuro corro verso la méta, per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù 
Dice di non essere ancora perfetto, di non avere ancora ricevuto, di non avere ancora raggiunto. Ma dice di essere proteso in avanti; di correre verso il premio della chiamata suprema. 
E` in viaggio; ha fame, vuol essere saziato, si affretta, desidera giungere, brucia: nulla gli tarda quanto essere sciolto dal corpo per essere con Cristo.
Alimento terreno, alimento celeste.

- Sant’Agostino -



Cos’è la speranza per un cristiano? – papa Francesco

Si dice che è la più umile delle tre virtù, perché si nasconde nella vita.
La fede si vede, si sente, si sa cosa è.
La carità si fa, si sa cosa è.Ma cosa è la speranza?... essere in tensione verso questa rivelazione, verso questa gioia che riempirà la nostra bocca di sorrisi. …

I primi cristiani, la dipingevano come un’ancora: la speranza era un’ancora, un’ancora fissa nella riva dell’Aldilà. E la nostra vita è proprio camminare verso quest’ancora.
Mi viene a me la domanda: dove siamo ancorati noi, ognuno di noi? Siamo ancorati proprio là nella riva di quell’oceano tanto lontano o siamo ancorati in una laguna artificiale che abbiamo fatto noi, con le nostre regole, i nostri comportamenti, i nostri orari, i nostri clericalismi, i nostri atteggiamenti ecclesiastici, non ecclesiali, eh?
Siamo ancorati lì? Tutto comodo, tutto sicuro, eh? Quella non è speranza. San Paolo, indica poi un’altra icona della speranza, quella del parto. …Penso a Maria, una ragazza giovane, quando, dopo che lei ha sentito che era mamma è cambiato il suo atteggiamento e va, aiuta e canta quel cantico di lode. Quando una donna rimane incinta è donna, ma non è mai (solo) donna: è mamma. E la speranza ha qualcosa di questo. Ci cambia l’atteggiamento: siamo noi, ma non siamo noi; siamo noi, cercando là, ancorati là."

papa Francesco, 29 ottobre 2013


Signore, insegnaci a pregare

Signore, insegnaci
a sostenere il tuo silenzio,
quando l'ombra si aggira
e il fuoco scema.
Signore, insegnaci
a consumare l'attesa,
per trarne
l'alba che ci attende.
Signore, insegnaci
ad ascoltarti,
tu che vieni alle nostre labbra
quando preghiamo.
Signore, insegnaci
a parlarti.
Il fuoco sia nella nostra lingua
di fronte alla notte.
Signore, insegnaci
a chiamarti Padre nostro:
una preghiera
che ha il gusto del pane.
Una preghiera
che sia la nostra dimora.

Pierre Emmanuel

Évangéliaire,
Paris 1961, p. 118



Buona giornata a tutti :-)

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domenica 5 aprile 2020

Non una dieta né astinenza triste. Purificarsi per essere più liberi di Gianfranco Ravasi

«Abbà Eulogio diceva al suo discepolo: Figlio, poco alla volta, esercitati a restringere il tuo ventre, grazie al digiuno. 
Infatti, come un otre disteso diventa più sottile, così ugualmente il ventre quando riceve molto cibo. Ma se ne riceve poco, si riduce ed esige sempre poco». 
Questa parabola dei Padri del deserto egiziano illustra in modo pittoresco la genesi ascetica del digiuno. 
Da questa radice universale si è ramificata una prassi religiosa che ha i suoi vertici nel Kippur ebraico, la grande giornata penitenziale, totale astensione alimentare, sessuale e lavorativa, nel Ramadan islamico, uno dei "cinque pilastri" della fede musulmana, e soprattutto nell'ininterrotta tradizione cristiana. 
La secolarizzazione moderna ha ridotto questo atto spirituale prima ancora che corporale alla dieta o alla platealità di certi digiuni politici più spettacolari che genuini o, peggio ancora, al dramma dell'anoressia. 
In realtà tutte le grandi religioni sono fermamente convinte che digiunare è un atto di sua natura simbolico, nel senso più genuino del termine. 
Pensiamo solo alla lapidaria e incisiva dichiarazione di Isaia: «È questo il digiuno che il Signore vuole: sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne» (58, 6-7). 
Oppure si pensi all'ironia di Gesù nei confronti di un'astinenza meramente ritualistica che ti fa «assumere un'aria malinconica, sfigurare la faccia» a cui egli oppone paradossalmente «il profumarsi la testa e il lavarsi il viso» (Matteo 6, 16-17) perché il digiuno non sia farsa ma decisione intima che esprime autodisciplina, liberazione dal consumismo, dall'egoismo, dalla logica del possesso, dalle false necessità, ma anche purificazione dello spirito, controllo di sé, dominio dei sensi. 
Gli stessi Padri del deserto non esitavano a dichiarare che «è meglio bere vino con umiltà che bere acqua con orgoglio». 
Lo stesso islam con la voce di uno dei suoi grandi maestri mistici, al-Ghazali (1058-1111), ammoniva che il vero digiuno è astenersi dai peccati della lingua e degli altri membri, anzi è liberarsi da «tutto ciò che non è Dio». 
Persino la tradizione indù con Gandhi - che aveva dimostrato anche l'efficacia "politica" del digiuno - si muoveva in questa linea: «Il digiuno non ha senso se non educa alla sobrietà e se non è accompagnato da un costante desiderio di autodisciplina. Colui che ha soggiogato i sensi è il primo e più importante tra gli uomini. Tutte le virtù risiedono in lui». 
È, in questa luce, che il digiuno per la pace voluto da Giovanni Paolo II assume un segno universale esteriore perché l'umanità ne riscopra il valore esistenziale ultimo di purificazione da quel male estremo che è l'odio, la violenza, la guerra e ritrovi la purezza della fraternità solidale, della condivisione e dell'amore. Un'arma non offensiva che si erge contro le armi degli eserciti con una sua potenza trascendente, personale e sociale.

- cardinale Gianfranco Ravasi - 



Nel Salmo 50 (51), che è una supplica penitenziale, noi troviamo il senso di Dio e il senso del peccato, l’orrore per il male commesso e la speranza del perdono di Dio, la miseria umana e la misericordia divina.
La supplica penitenziale è espressione di un cammino penitenziale: la penitenza scaturisce dal pentimento, è legata alla "conversione", produce una progressiva purificazione del cuore, è funzionale alla carità: «Beato colui che digiuna per nutrire il povero» (Origene).
La vita cristiana è una penitenza permanente perché è una conversione continua e perché Cristo ha detto a chi vuol seguirlo di «prendere ogni giorno la propria croce». 
Il valore della penitenza è di estrema attualità: la pratica della penitenza oggi promuove una cultura alternativa all’edonismo imperante; costituisce un rimedio all’attuale fragilità della persona che non è stata educata al sacrificio; educa alla tolleranza, alla capacità di «portare gli uni i pesi degli altri»; riforma la società dell’opulenza educando alla sobrietà, all’apertura ai bisogni dell’altro, al "digiuno" del cibo sovrabbondante, delle parole inutili, degli spettacoli fatui, delle spese superflue. 
Di questa penitenza abbiamo bisogno.

- Mons. Giuseppe Greco - 


Buona giornata a tutti. :-)






sabato 4 aprile 2020

Il digiuno: frutto di umiltà

«Finchè l’uomo non diventa umile, non prende la paga della sua opera. 
La ricompensa non è data all’opera, ma all’umiltà. La ricompensa non è per la virtù né per la fatica che si sopporta nel praticarla, ma per l’umiltà che nasce da ambedue» (Isacco il Siro).

Non si vivono gli impegni quaresimali nella pretesa di dover meritare una ricompensa. Si tratta piuttosto di percorrere un cammino di penitenza e di digiuno che ha come suo frutto quella diminuzione di sé che ci rende bisognosi della salvezza di Dio.
A guidarci nel deserto quaresimale è la penitenza stessa del Battista, che deve diminuire perché Cristo cresca. 
Il fariseo della parabola di Luca digiuna ma si sazia di fatto del proprio io e del proprio orgoglio spirituale (Lc 18,9-14). 
Il pubblicano che vive l’umiltà del riconoscersi peccatore riceve il perdono e la salvezza: può saziarsi di Dio.
Digiuniamo per ricordare che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. 
Si digiuna, non solo del cibo ma di tutto ciò che nutre il nostro orgoglio, per giungere a quell’umiltà che purifica il nostro desiderio e ci fa comprendere che la vera fame che deve abitare la nostra vita è la fame di Dio.
La fame di essere suoi figli. 
Ed è figlio colui che non si procura da solo il pane per la propria vita, ma sa attenderlo dalle mani del Padre. 
Come Gesù, mite e umile di cuore perché può dire «tutto mi è stato dato dal Padre mio» (Mt 11,27). 
Digiunare conduce alla vita, facendoci morire a noi stessi per ricevere la vita nuova donataci dalla Pasqua di Gesù.


- fr. Luca Fallica -
Comunità monastica Ss. Trinità di Dumenza


Noi ti benediciamo, o Dio, in questo giorno che comincia, per il periodo santo della Quaresima, che tu ci concedi in preparazione alla Pasqua. 
Portaci, attraverso il digiuno, ad avere fame di te e a non essere schiavi delle creature. 
Insegnaci, attraverso la pratica dell'astinenza, a dividere i nostri beni con coloro che ne hanno bisogno. 
Aiutaci, attraverso la preghiera e il silenzio, a trovare nella croce di tuo Figlio il nostro riposo e la nostra gioia 

(Pensieri di Fenelon per la Quaresima)





Buona giornata a tutti. :-)



domenica 18 marzo 2018

don Bosco e la Quaresima

Primieramente voglio dirvi che la quaresima è già incominciata e bisogna santificarla colle buone opere. 
Io vi darò un mezzo per santificare questi giorni: la confessione e la comunione frequente per ottenere da Dio tutte le grazie delle quali si ha di bisogno. 
Fra tutto l’anno questi sono i giorni propizi! 
Io non intendo già con questo che facciate rigorose penitenze, o lunghi digiuni. Volete però che io vi suggerisca un modo di fare anche voi un po’ di penitenza, adattata alla vostra età ed alla vostra condizione? 
Io ve lo suggerisco. Consiste in un digiuno che tutti potete fare, cioè custodire il vostro cuore e i vostri sensi. 
Fate digiunare il demonio, non commettendo alcun peccato. 
Attenti ai sensi. Fate digiunare i vostri occhi. 
Gli occhi sono chiamati le finestre per le quali entra il demonio nell’anima. 
E noi come faremo per impedire che entri? 
Chiudete queste finestre, quando vanno chiuse. 
Non permettete mai che gli occhi si fermino in nessun modo a guardare cose o dipinti o fotografie che siano contrarie alla virtù della modestia. 
Ritirate subito gli sguardi, quando s’incontrano con oggetti pericolosi. Un’altra mortificazione degli occhi è di frenare la curiosità: mai e poi mai leggere libri che parlino contro la religione, o che siano immorali, o anche solo pericolosi per la vostra età. 
Come vi ho già detto e ripetuto molte volte, dateli alle fiamme questi libri, quando vi capitano nelle mani, consegnateli ai vostri educatori, liberatevi presto da simile peste. 


Vi è poi da mortificare, da far digiunare l’udito con non mai fermarsi ad ascoltare discorsi che possano offendere la bella virtù, o discorsi di mormorazione contro il terzo o il quarto, i Superiori o i compagni.
Far digiunare la lingua, con proibirle ogni parola che possa dare scandalo, astenendovi sempre dal dire motti pungenti contro qualche compagno, rifuggendo dal parlare male di chicchessia: insomma non tener mai un discorso, che non osereste fare al cospetto di un superiore.
Mortificate la gola, col non andare tanto in cerca di quello che più piace al palato, ma prendere quello che danno; non essere nel numero di coloro che desiderano sempre e studiano il modo di avere qualche cibo speciale, qualche bicchiere di vino.
Potrete anche fare qualche mortificazione sopportando con pazienza certe contrarietà, un po’ di caldo o un po’ di freddo, senza lamentarvi. 
Non dite subito come fanno alcuni: – Scriverò che mi si mandi da casa questo e quello. 
- Se non è vera necessità, pazientate alquanto, aspettate, fate con pacatezza, fate adagio. Non stizze, non musi, non irrequietezza. 
Mortificatevi sopportando con carità e pace qualche piccolo difetto dei vostri compagni, qualche incomodo o della camerata o della scuola. 
In conclusione, mortificatevi, non ascoltando, non dicendo e non facendo cosa contraria in qualsivoglia modo al buon esempio. 

Così facendo, benchè siano cose di poco peso, vi serviranno di penitenza adattata a ciascuno di voi, non vi nuoceranno, vi faranno raggiungere lo scopo pel quale venne istituito il digiuno della quaresima, vi aiuteranno potentemente a vincere le cattive inclinazioni, vi faranno acquistare grandi meriti per l’anima. 
Osservate bene l’orario, e specialmente in questo tempo di quaresima. 
Invece di fare opere di penitenza fate quelle dell’obbedienza. 
Siate puntuali al mattino nell’alzarvi, alla sera nell’andare a letto, nell’andare a scuola e in chiesa e nell’eseguire ogni altro vostro dovere.
Buona notte!

- don Bosco -


Buona giornata a tutti. :-)