Visualizzazione post con etichetta omelie. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta omelie. Mostra tutti i post

domenica 3 ottobre 2021

Niente arriva più inaspettato della vecchiaia - Card. Giacomo Biffi

È la prima volta che mi capita di prendere la parola in una circostanza come questa, e trovo qualche difficoltà. Forse la cosa più semplice è che tenti di esprimere con semplicità i sentimenti che oggi sono più vivi nel mio animo. 
Penso di poter contare sulla comprensione dei miei ascoltatori e sull’atteggiamento misericordioso di quanti hanno voluto amichevolmente essermi accanto per questa celebrazione, tanto più che siamo nella casa della Madonna di San Luca, dove la nostra madre carissima ci mette tutti a nostro agio come sempre.

Il primo sentimento che avverto è la sorpresa. Mi pare sia stato Trotzkj a dire che niente arriva più inaspettato della vecchiaia. È proprio vero: anche da giovani si sa che al mondo ci sono i vecchi; ma a quell’età si guarda ai vecchi come a una popolazione lontana e inconfrontabile, press’a poco come quando si pensa agli eschimesi o ai watussi. Nessuno si rende davvero conto che si diventerà come loro e si entrerà nel loro numero.
Naturalmente a poco a poco ci si persuade; e allora subentra un secondo stato d’animo, tutto signoreggiato dai ricordi. Non avendo più davanti a noi un avvenire prevedibile da colmare mentalmente con le nostre attese e i nostri progetti, si è sospinti a guardare indietro, a ripercorrere il tempo andato, e si comincia ad abbandonarsi alle rievocazioni.
Passano e ripassano davanti alla nostra memoria tutti gli anni che si sono succeduti. E qui si fa un’altra scoperta: la catena degli avvenimenti, dai quali siamo stati condizionati e plasmati, appare ai nostri occhi determinata quasi interamente dalla casualità.
Troppe combinazioni, troppe esperienze fatte, troppi incontri che hanno colmato la mia vicenda mi si rivelano oggi in tutta la loro occasionalità. 
Se fossi nato altrove, o anche solo in un altro angolo della mia città; se mi fossi imbattuto in frequentazioni differenti; se avessi avuto altri insegnamenti e altri esempi di vita; se fossi stato coinvolto in altri accadimenti, è indubbio che non avrei pensato, giudicato, agito come poi mi è avvenuto di agire, di giudicare, di pensare; e adesso sarei diverso da quello che sono. 
È un pensiero che per un momento m’inquieta. Ma solo per un momento, perché è sùbito vinto e superato dalla verità di un Dio che - se esiste, come esiste - non può che essere il Signore dell’universo, della storia e dei cuori, cui niente sfugge di mano: tutto obbedisce al suo disegno di salvezza e di amore.
Alla luce di questa persuasione ogni pagina di qualsivoglia biografia riceve un’altra lettura, anche della mia (come è ovvio). 
Tutto ciò che sulle prime mi era sembrato contingente e fortuito mi si manifesta perciò come frutto di un progetto mirato: un progetto eccedente ogni mia immaginazione e del tutto gratuito, liberamente formulato da colui che è l’Eterno.

Il caso, come si vede, non esiste. Ma allora (mi domando) come mai il Signore consente che gli occhi dell’uomo, quando non sono superiormente illuminati, lo vedano così dominante e quasi onnipresente nella creazione di Dio? 
C’è, credo, una risposta plausibile: la casualità è soltanto il travestimento assunto da un Dio che vuol passeggiare in incognito per le strade del mondo; un Dio che si studia di non abbagliarci con la sua onnipotenza e col suo splendore.

Quando si arriva qui, ogni pensiero e ogni esame lasciano il posto alla contemplazione stupita dell’incredibile e arcana benevolenza del “Padre della luce”, dal quale “discende ogni buon regalo e ogni dono perfetto” (cfr. Gc 1,17). 
Ogni sentimento è allora naturalmente trasceso e più radicalmente inverato in quello onnicomprensivo ed esauriente della riconoscenza.
Questa di stasera è per me davvero una “eucaristia”, nel significato più intenso del termine, che tocca e fa vibrare il mio essere in tutte le sue fibre. Oggi, “grazie” diventa per me la parola che riassume tutte le altre; la parola cui (se è compresa bene) non c’è più niente da aggiungere. E sono lieto di poterla pronunciare ed elevare al cielo in questo santuario, così caro al nostro popolo bolognese che qui da secoli viene ad aprire il suo cuore, a chiedere, a implorare e alla fine a ringraziare, appunto.
Certo il mio canto di gratitudine e di lode è difettoso e inadeguato. 
Ma siete venuti in molti ad aiutare il mio povero “grazie”. 
Il Signore vi benedica: voi, miei fratelli nell’episcopato che anche in quest’ora non mi avete lasciato solo, voi presbiteri che per tanti anni avete generosamente collaborato con me, voi carissimi diaconi, voi tutti che oggi m’incoraggiate con la vostra presenza e il vostro affetto. 
Il Signore vi benedica tutti e vi ricompensi come sa fare lui.

Possiamo raccogliere un ultimo conforto dai versetti del quarto vangelo che abbiamo ascoltato. 
Gesù morente sulla croce dice prima: “Ecco il tuo figlio”, e poi: “Ecco la tua madre” (cfr. Gv 19,26-27). E la cosa mi ha sempre colpito. Prima di preoccuparsi di affidare Maria (che resta sola) a Giovanni, si preoccupa di affidare Giovanni (che non resta solo) a Maria. Il suo primo pensiero non è per la madre sua, è per l’apostolo; e non tanto per la persona di Giovanni, che ha già una madre; una madre che è anzi lì anche lei tra le donne che sono sotto la croce (cfr. Mt 27,56), quanto per l’umanità che egli rappresenta e più specificamente per tutti coloro che, come lui, saranno nei secoli rivestiti del carisma apostolico. 
Il Figlio di Dio, Redentore e Signore di tutti, ce lo ha garantito: il sacerdozio ministeriale è posto sotto la singolare protezione materna della Regina del cielo e della terra. Per questo a noi non possono mancare mai, fino all’ultimo giorno, la serenità e la speranza.
A questo proposito devo dire che, arrivato a questa età, ho imparato a dire meglio, con più senso, l’ultima parte dell’Ave Maria (superando la mia anteriore superficialità e spensieratezza):

“Madre di Dio, prega per noi peccatori,
adesso e nell’ora della nostra morte.
Amen”.

 Omelia del Card. Giacomo Biffi per gli ottant'anni 
(Basilica di San Luca - 13 giugno 2008)





13 giugno 1928, Milano - 11 giugno 2015 Bologna

«A una data età nessuno di noi è quello a cui madre natura lo destinava; ci si ritrova con un carattere curvo come la pianta che avrebbe voluto seguire la direzione che segnalava la radice, ma che deviò per farsi strada attraverso pietre che le chiudevano il passaggio».

- Italo Svevo- 
da: “La coscienza di Zeno”


«Più invecchio anch’io, più mi accorgo che l’infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono, ma sono i due stati più profondi in cui ci è dato vivere. 
In essi si rivela la vera essenza di un individuo, prima o dopo gli sforzi, le aspirazioni, le ambizioni della vita. […] 
Gli occhi del fanciullo e quelli del vecchio guardano con il tranquillo candore di chi non è ancora entrato nel ballo mascherato oppure ne è già uscito. 
E tutto l’intervallo sembra un vano tumulto, un’agitazione a vuoto, un inutile caos per il quale ci si chiede perché si è dovuto passare».

– Marguerite Yourcenar –
da: “Archivi del Nord”



 Ch'io non faccia di professione il vecchio, 
o Signore ch'io non sia uno scarto di vesperali memorie.
 Conservatore sì ma capace di imparare ancora; 
autoritario un po' ma teso ad avere più amore che potere; 
abitudinario per necessità 
ma che il mio orologio non segni sempre la stessa ora; 
impotente ma non imbecille; 
pensionato ma non disoccupato: 
che il futuro non sembri un lontano passato.  

- Dario Rezza - 
 da: "Riflessi d'autunno" Ed. Palumbi


venerdì 10 aprile 2020

Ci siamo tutti - cardinale Giacomo Biffi

Ci siamo tutti: In questo quadro c’è tutta una folla di personaggi, dall’ umanità più diversa, coi più diversi atteggiamenti interiori. 
Ciascuno di noi in questa folla può riconoscersi e trovare il suo posto. 

C’è Maria di Betania, dal cuore gonfio di gratitudine e di affetto, che, incurante delle critiche, versa sul capo di Gesù tutto il suo prezioso profumo. 

C’è Pietro, estroverso e impulsivo, che parla troppo, che è troppo spavaldo, che dice di saper morire per Cristo; ma poi non sa affrontare le domande curiose e forse un po’ impertinenti di qualche serva. 
La sua fedeltà, conclamata alla sera, non dura fino al canto del gallo. 

Ci sono i capi dei Giudei, accecati dall’odio, al punto da ricorrere alle false testimonianze, in un processo che si era già assegnato come unico e inderogabile traguardo la morte, la morte ad ogni costo, senza alcuna attenzione alla innocenza o alla colpevolezza dell’imputato. 

E c’è Giuda. Le ragioni profonde del suo tradimento restano per noi incomprensibili. I trenta denari non ci bastano come spiegazione. 

Forse Giuda ha verso Gesù – come tanti cristiani di oggi verso la Chiesa – un amore deluso. È il rancore di chi si è visto defraudato nelle sue attese e nelle sue aspirazioni. Aveva puntato tutto su di lui e sul suo successo nel mondo; e si era a poco a poco reso conto che Gesù era un condottiero che non mirava a nessuna esteriore conquista, un capo che non voleva dominare, un re che rifiutava ogni regno sulla terra. Egli tradisce perché si sente tradito nelle sue erronee speranze. 
Ma forse il tradimento di Giuda è solo un enigma oscuro ed è vana impresa volerlo capire. Non è comprensibile, come in fondo non sono comprensibili neppure a noi stessi i nostri tradimenti, le nostre infedeltà, le nostre scelte del male, le nostre inspiegabili ribellioni al Dio che inspiegabilmente ci ama. 
Questa è l’umanità che circonda Gesù nella notte della sua donazione, quando, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). 
Questa è l’umanità, e non c’è da esserne fieri: in essa ci sono i deboli, gli insensibili, i malvagi, gli ostinati, i traditori. Ci sono tutti, ci siamo tutti. 
Gesù ci vede come siamo, generosi o ingrati, svogliati o pronti ad accogliere le sue proposte, vigili o distratti e spiritualmente ottusi, fedeli alla sua sequela o smarriti nei chiassosi e deludenti vicoli del mondo. Ci prende come siamo, per farci diventare come vuole lui. Ogni Settimana Santa, ogni celebrazione della Pasqua, è un altro tentativo del nostro Redentore di farci più veramente e più integralmente suoi. 
Decidiamo in questi giorni, decidiamo questa sera stessa di lasciarci raggiungere e di lasciarci cambiare. (Palme 1988).

I parenti dicevano: “È fuori di sé” (Mc 3,21), e cercavano di prenderlo e di toglierlo dalla circolazione. Gli scribi davano lo stesso giudizio, ma con una versione, per così dire, “teologica”, e dicevano: “È posseduto da uno spirito immondo” (Mc 3, 30).

Il discepolo vero e coerente di Gesù non dovrà allora meravigliarsi se riceverà le stesse incomprensioni che non sono state risparmiate al suo Maestro. Chi sta col Vangelo senza sconti e senza attenuazioni, e perciò parla di distacco dai beni, di valore della castità, di amore disinteressato, di matrimonio indissolubile, di assoluta onestà negli affari, di perdono dei nemici, di sofferenza accettata dalle mani di Dio, costui apparirà necessariamente al mondo di oggi come un personaggio strano, sprovveduto, pazzo… Dovremo tenerlo presente, quando ci sentiremo suggerire che bisogna adattare la religione agli usi e costumi dell’uomo di oggi; si tratta piuttosto di trovare all’uomo di oggi una testa che vada bene per il messaggio di Cristo.

- Cardinale Giacomo Biffi - 
da: "Stilli come rugiada il mio dire." Omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario. Anno B, Bologna 2015, pp. 79-80




Chi è stato? – ci domandiamo. 

L’asciutta e intensa narrazione evangelica ci risponde con molti nomi: Giuda, che ha organizzato l’imboscata; Caifa, che aveva detto: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo» (Gv 18,14); Pilato, magistrato senza coraggio e giudice senza giustizia; i soldati, che si sono sobbarcati materialmente al compito orrendo di uccidere. Come si vede, a perpetrare questo crimine si sono messi in tanti: amici ed estranei, ebrei e romani, autorità e semplici esecutori. 

Ma proprio questa folla di carnefici ci suggerisce un’altra e più profonda risposta. Chi è stato? Siamo stati tutti noi che dobbiamo riconoscerci peccatori e «per le sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5). Egli è stato annoverato tra i malfattori, proprio perché portava sulle sue spalle l’iniquità della moltitudine umana (cf. Is 53,12)
Oggi è dunque anche il giorno del nostro rimorso e del nostro pianto. 
La nostra indagine però non é finita. Neppure tutte le colpe della storia ci spiegano perché sia stato necessario un tale tormento. Chi è stato? La risposta più esauriente è questa: è stato il suo amore. 

- Cardinale Giacomo Biffi -
(Venerdì santo 1992)   





Cervo

Dagli uomini ferito, come cervo
che al natìo bosco corre per morire,
Ti rifugiasti in vetta del Calvario,
moribondo di sete e dissanguato,
percorrendo le vie dell'amarezza,
dell'amore alla polla sempiterna.
«Ho sete!». Tu gemevi. E noi, fratelli
tuoi, ma crudeli cacciatori, pure
morti di sete, in cerca della fonte
del vino tuo, corremmo sopra l'orme
cruente, d'amarezza nella valle.
Noi sete abbiam della bianchezza eterna
di codesto tuo cor, polla perenne
d'acqua di vita che giammai si secca.
Se di Cana alle nozze Tu mutasti
in vino l'acqua, della tua passione
nel cruento martirio, il rosso vino
festi acqua viva di Sicar, che smorza
in eterno la sete. Il sangue desti,
mistico cambio, con amore immenso
all'alme nostre, le samaritane
dai sei mariti, folli concubine
del sapere che inebbria e mai non sazia.
Ed il cuore, smarrito pei sentieri
del mondo sì intricati, giunge infine
alla vena del pozzo del tuo cuore
e ne fa suo rifugio e si ristora
della tua bocca al soffio che dà vita.

- Miguel de Unamuno -
 Il Cristo di Velazquez, pp. 67-68




Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it


seguimi ed iscriviti alla mia pagina YouTube

https://www.youtube.com/channel/UCyruO4BCbxhVZp59h8WGwNg





domenica 14 luglio 2019

Educare alla compagnia, più che alla onnipresenza di Dio – don Tonino Bello

Ho provato a pensare se ci possa mai essere qualche an­golo del mondo sottratto, per così dire, all'invadenza del nome di Dio. 
Un posto non toccato dai raggi della sua luce. 
Un luogo in cui trovare asilo politico dalla persecuzione amorevole del suo sguardo. 
Un ricettacolo segreto, insom­ma, munito di franchigia religiosa. Ma non mi è riuscito di trovarne.
La gloria di Jahvè  straripa da tutte le parti. 
Co­me fiume in piena raggiunge le sponde più remote. 
Non ci sono argini che ne fermino il flusso di santità. 
Non ci sono zolle di terra che non si lascino inumidire dalla sua rugiada. Neppure gli spazi dove si imbastiscono le trame più ini­que sono impermeabili all'azione di Dio. 
Neppure i recinti dove si consumano i peccati più neri possono sottrarsi alla sua presenza. Anche i covi più torbidi dove ribolle schiuma del male sono lambiti dall'onda della sua potenza.
Il nome di Dio è grande anche lì.
Lì, nei santuari dove la gente si raccoglie in cerca di pace; ma anche oltre la siepe del giardino comunale, disseminato di siringhe.
Nelle celle del monastero di clausura impregnate di preghiera; ma anche giù, nei sotterranei della metropoli, dove si sfrenano ogni notte le orge della dissolutezza.
Lassù, nell'eremo solitario dove si tocca il silenzio con le mani; ma anche in quell'appartamento dell'ultimo piano del grattacielo, dove si progettano i loschi affari di una spregiudicata lobby finanziaria.
Nella biblioteca del convento, dove il monaco si sprofonda nella ricerca del mistero di Dio; ma anche nello studio fotografico d'una inafferrabile catena di produzione, dove si allestiscono gli spettacoli licenziosi delle riviste per adulti. 
Nelle aule delle università teologiche, in cui si racconta la storia della sal­vezza; ma anche nelle misteriose soffitte degli indovini, dove la gente, tra evocazioni e deliri, abbocca ai filtri della stregoneria.
All'interno della cattedrale dove risuonano i canti gregoriani e s'innalzano gli incensi dai turiboli d'ar­gento; ma anche all'interno di quella bisca clandestina, do­ve tra bestemmie e volute di avana, la vita si impregna dì disperazione.
Nel centro di accoglienza della Caritas, dove i volontari fanno i turni di notte; ma anche nei bassifondi di periferia, dove la malavita organizzata celebra le sue li­turgie di violenza e di morte...

Vengono in mente i versetti del Salmo 139:

«Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti.
Se prendo le ali dell'aurora
per abitare all'estremità del mare,
anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra» (Sal 139, 8‑10).

La verità è che Dio solo è il Signore dell'universo, e che la terra non è oggetto di spartizione tra l'impero del bene e l'impero del male.
Non ci sono paletti catastali che segnino il limite delle sue proprietà.
Non c'è riserva di caccia che gli impedisca di scavalcare il filo spinato della nostra cattiveria.
Lui solo è il santo. Penetra l'intimità delle cose.
Rag­giunge le fibre segrete della materia. Invade il cuore del­l'uomo, anche il più determinato a esibirgli il divieto di ac­cesso.
Non gli appartengono solo le aree del sacro. 
Riempie d'olio tutte le lampade della vita. 
Fa ardere i roghi della storia, accende le fiammelle della cronaca, illumina i cre­puscoli delle nostre stagioni spirituali.
Tutto è suo. Lo spazio e il tempo.
Sì, anche il tempo. Perché la grandezza del suo nome non si commisura sul­l'arco del martirologio romano, ma si estende di generazio­ne in generazione. Anzi raggiunge i tempi in cui non c'era­no neppure generazioni, ma c'era solo il “caos”, il grande sbadiglio, che egli ha deciso di trasformare in “cosmo”, la grande bellezza, riflesso della sua gloria.

«O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome
su tutta la terra!» (Sal 8, 1).

Su tutta la terra. Anche su quella porzione di storia e di geografia che attualmente soffre i travagli del parto, ma che un giorno lascerà la zona d'ombra per entrare nella lu­ce meridiana.
Ecco perché la nostra voce deve fare esplodere l'osanna a Dio, non solo nell'alto, ma anche nel basso dei cieli.

- don Tonino Bello -
Fonte: "Dire Dio oggi. Dallo stupore alla trascendenza"
Scrigni, collana diretta da don Ciccio Savino, Ed. Insieme, pagg. 10,11,12,13






- Iscrivetevi al Canale Youtube, Cliccate una volta su Iscriviti e una Volta sulla Campanellina :) Grazie




sabato 20 aprile 2019

Il Sabato Santo

Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. 
Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. 
Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. 
Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. 
Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: "Sia con tutti il mio Signore". E Cristo rispondendo disse ad Adamo: "E con il tuo spirito". E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: "Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! 
A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! 
A coloro che erano morti: Risorgete! 
A te comando: Svegliati, tu che dormi! 
Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. 
Risorgi, opera delle mie mani! 
Risorgi mia effigie, fatta a mia immagine! 
Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. 
Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. 
Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. 
Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. 
Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. 
Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. 
Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati.
Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. 
Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. 
Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. 
Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. 
Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. 
In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli".

- Antica Omelia sul Sabato Santo -



Silenzio, silenzio, per favore. Gesù giace, rigido, il volto tumefatto e sfigurato, avvolto da un telo di lino tessuto apposta. 
La tomba di Giuseppe di Arimatea, che non ha potuto salvare il Maestro malgrado la sua influenza nel Sinedrio e il suo denaro, ora accoglie il rabbì. L'aveva fatta scavare per sé, quella tomba, ora, ultimo gesto di un amico, la cede al Signore. 
E' tutto finito, tutto tace. 
Gli apostoli, sconvolti da quanto accaduto, vagano sotto gli ulivi nei pressi della città, alcuni si sono nascosti per paura di finire come il Signore. 
La gente guarda sconsolata i pali delle croci macchiate del sangue raggrumato alla porte della città, già si parla d'altro nei mercati. 
Il profeta di Nazareth ha osato troppo, come poteva immaginare di passarla liscia? 
Belle parole, le sue, ma la realtà è un'altra cosa...
Nelle nostre chiese, spoglie, non si celebra più la messa, la Chiesa è in lutto, attende, aspetta. 
La notte sta per arrivare, la notte più lunga dell'anno, la madre di tutte le notti, la notte dell'annuncio, la notte dell'attesa...

- Paolo Curtaz -
Commento per il Sabato Santo 2003




Immenso Pietro, grande Pietro, Pietro benedetto che dici ciò che tutti noi, nei momenti di fatica e di incomprensione, di croce e di passione, vorremmo essere capaci di dire: "Andarcene? Ma dove vuoi che andiamo, Signore?".  

- Paolo Curtaz - 
da: "Gesù Zero", San Paolo Edizioni



... silenzio ...




sabato 5 gennaio 2019

papa Benedetto XVI - dall' Omelia della Santa Messa nella Solennità della Epifania del Signore - 06 gennaio 2006 -

La luce che a Natale brillava nella notte illuminando la grotta di Betlemme, dove restano in silenziosa adorazione Maria, Giuseppe ed i pastori, oggi risplende e si manifesta a tutti. 
L'Epifania è mistero di luce, simbolicamente indicata dalla stella che guidò il viaggio dei Magi. 
La vera sorgente luminosa, il "sole che sorge dall'alto" (Lc 1,78), è però Cristo. Nel mistero del Natale, la luce di Cristo si irradia sulla terra, diffondendosi come a cerchi concentrici. Anzitutto sulla santa Famiglia di Nazaret: la vergine Maria e Giuseppe sono illuminati dalla divina presenza del Bambino Gesù. La luce del Redentore si manifesta poi ai pastori di Betlemme, i quali, avvertiti dall'angelo, accorrono subito alla grotta e vi trovano il "segno" loro preannunciato: un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (Lc 2,12) ...
Il fulgore di Cristo raggiunge infine i Magi, che costituiscono le primizie dei popoli pagani. Restano in ombra i palazzi del potere di Gerusalemme, dove la notizia della nascita del Messia viene recata paradossalmente proprio dai Magi, e suscita non gioia ma timore e reazioni ostili. 
Misterioso disegno divino: "la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (Gv 3,19).
Ma che cos'è questa luce? 
E' solo una suggestiva metafora, oppure all'immagine corrisponde la realtà? L'apostolo Giovanni scrive nella sua Prima Lettera: "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre" (1Gv 1,5); e più avanti aggiunge: "Dio è amore". 
Queste due affermazioni, unite insieme, ci aiutano a meglio comprendere: la luce, spuntata a Natale, che oggi si manifesta alle genti è l'amore di Dio, rivelato nella Persona del Verbo incarnato. Attratti da questa luce, giungono i Magi dall'Oriente. Nel mistero dell'Epifania, dunque, accanto ad un movimento di irradiazione verso l'esterno, si manifesta un movimento di attrazione verso il centro, che porta a compimento il movimento già iscritto nell'Antica Alleanza. 
La sorgente di tale dinamismo è Dio, Uno nella sostanza e Trino nelle Persone, che tutto e tutti attira a sé. 
La Persona incarnata del Verbo si presenta così come principio di riconciliazione e di ricapitolazione universale (Ef 1,9-10). 
Egli è la meta finale della storia, il punto di arrivo di un "esodo", di un provvidenziale cammino di redenzione, che culmina nella sua morte e resurrezione...
- papa Benedetto XVI - 
dall' Omelia della Santa Messa nella Solennità della Epifania del Signore - 06 gennaio 2006 -


Una mela, o un piccolo mandarino, una noce nella calza erano sufficienti a farci sentire felici.


Zitti, zitti, presto a letto
la Befana è qui sul tetto,
sta guardando dal camino
se già dorme ogni bambino,
se la calza è ben appesa,
se la luce è ancora accesa!
Quando scende, sola, sola,
svelti sotto alle lenzuola!
Li chiudete o no quegli occhi?
Se non siete stati buoni
niente dolci, nè balocchi,
solo cenere e carbone!


Buona giornata a tutti. :-)

Tanti auguri alle mie befanine... Francesca, Laura, Daniela




lunedì 11 dicembre 2017

La morte della Parrocchia - don Bruno Ferrero

Sui muri e sul giornale della città comparve uno strano annuncio funebre: «Con profondo dolore annunciamo la morte della parrocchia di Santa Eufrosia. I funerali avranno luogo domenica alle ore 11».
La domenica, naturalmente, la chiesa di Santa Eufrosia era affollata come non mai. Non c’era più un solo posto libero, neanche in piedi. 

Davanti all’altare c’era il catafalco con una bara di legno scuro.
Il parroco pronunciò un semplice discorso: «Non credo che la nostra parrocchia possa rianimarsi e risorgere, ma dal momento che siamo quasi tutti qui voglio fare un estremo tentativo. Vorrei che passaste tutti quanti davanti alla bara, a dare un’ultima occhiata alla defunta. Sfilerete in fila indiana, uno alla volta e dopo aver guardato il cadavere uscirete dalla porta della sacrestia. Dopo, chi vorrà potrà rientrare dal portone per la Messa».
Il parroco aprì la cassa. Tutti si chiedevano: «Chi ci sarà mai dentro? Chi è veramente il morto?».
Cominciarono a sfilare lentamente. Ognuno si affacciava alla bara e guardava dentro, poi usciva dalla chiesa.  Uscivano silenziosi, un po’ confusi.

Perché tutti coloro che volevano vedere il cadavere della parrocchia di Santa Eufrosia e guardavano nella bara, vedevano, in uno specchio appoggiato sul fondo della cassa, il proprio volto.
«Anche voi, come pietre vive, formate il tempio dello Spirito Santo, siete sacerdoti consacrati a Dio e offrite sacrifici spirituali che Dio accoglie volentieri, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pietro 2,5).

Se c’è polvere nelle sale della tua parrocchia, c’è polvere sulla tua anima.

- don Bruno Ferrero - 




"...Dovremmo avere invece paura di non avere più il coraggio di cercare qualcosa per paura di soffrire, per paura di questa angoscia che a volte ti toglie l'aria. 
Il vangelo appunta tutto quello che molto spesso accade a noi. 
Esso non è un libro di ideali e di proclami, ma una strada tracciata da vite concrete, da storie concrete, che partono da quel poco che siamo e conducono dritti alla meta, al Senso ultimo della storia.  
E allo stesso tempo non dobbiamo avere paura di non capire tutto subito, di non comprendere fino in fondo il significato di ciò che viviamo. 
La nostra perseveranza e fedeltà alla realtà e non semplicemente a quello che vorremmo fosse la nostra realtà, ci salva. 
Stare davanti alle cose che oggettivamente esistono nella nostra vita (quel tale padre, quella tale madre, quell'amico, quel corpo che abbiamo, quelle attitudini, quella malattia, quell'amore, quei limiti, quella gioia) ci portano a quella salvezza che è un fatto vero e non una proiezione dei nostri sogni. Molto spesso ci rifugiamo nei nostri sogni per non affrontare la realtà, ecco perchè il cristianesimo non è un sogno ma  una realtà che và vissuta ad occhi aperti. Per credere bisogna essere svegli e con gli occhi aperti, altrimenti si rischia di confondere la fede con una suggestione soporifera creata appunto per evitare la vita e non per salvarla. Meravigliose, a questo proposito, le parole del Papa... "

- don Luigi Maria Epicoco
da "Tracce di Parola di Dio" 2.7.2011



 "La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. 
Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. 
Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. 
Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. 
L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. 
Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. 
Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. 
Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio musicale”. 
La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui. 
E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. 
Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti." 

- papa Benedetto XVI - 
Omelia, Basilica Vaticana, 24 dicembre 2009


Buona giornata a tutti. :-)