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domenica 12 aprile 2020

Un'alba a colori di gioia - Anna Maria Canopi

Oggi possiamo ancora dirci con gioia: Il Signore è risorto! È veramente risorto! 
Sono trascorsi due millenni da quando se lo dicevano le pie donne e gli apostoli, stupiti e ancora come in sogno, come chi piange e ride insieme davanti a una notizia incredibilmente bella.
Tu eri la Gioia nel cuore del Padre, la purissima gioia dell’essergli Figlio e sei venuto come sorriso divino a dissipare le nostre umane tristezze. 
Annunzio di gioia il tuo concepimento nel grembo verginale di Maria, evento di gioia la tua nascita a Betlemme, notizia di gioia il tuo evangelo. 
Prezzo di gioia fu la tua croce e gioia per sempre la tua resurrezione. 
Il Signore risorto ci comunica la sua vita, la sua pace, la sua gioia. 
Tutta la creazione ne è coinvolta, non soltanto l’uomo; tutti gli elementi del cosmo sono investiti dell’energia divina irrompente dal sepolcro di Cristo. 
In Cristo risorto tutto il mondo viene purificato. 
La gioia pasquale è il canto della vita nuova, della santità dei figli di Dio.
La gioia del Risorto è la fonte della nostra pace. 
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: - Pace a voi!- Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: - Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,19-22).
La scena è stupenda e commovente: Gesù appare ai discepoli riuniti insieme; li abbraccia con il suo sguardo, dà loro il saluto di pace, infonde in essi lo Spirito santo, fa vedere e toccare le sue piaghe, i segni della sua crocifissione. Entra attraverso le porte chiuse, anche quelle del loro cuore assorbito dalla tristezza e paralizzato dalla paura. Facendosi riconoscere ravviva in loro la fede e la speranza, suscitando grande gioia. Anche oggi Gesù è vivo e sta in mezzo a noi mostrandoci i segni del suo amore.
La gioia dei discepoli è la nostra gioia. 
È la gioia che fa ardere il cuore. … Due discepoli erano in cammino … Verso il tramonto il grande, infaticabile Pellegrino del mondo si accompagnò ai due discepoli sulla strada di Emmaus. 
Essi non avevano nella loro bisaccia che una pesante riserva di tristezza: egli subito la vide, vi mise sopra le mani per dissolverla, per far vedere che era roba vecchia da buttare via. E tanto vi riuscì che, arrivati ad Emmaus, invece di tristezza poterono offrire anche a lui pane di festa. 
Fu però soltanto quando egli scomparve che lo riconobbero e capirono donde veniva quell’ardore che andava crescendo nel loro cuore mentre lo ascoltavano. 
Questa sembra una storia di quel lontano giorno, invece è sempre la nostra attualità. La fede, infatti, conosce fin troppo la malinconia del “giorno che declina” e si tira dietro spesso una fiacca speranza. 
Il sostegno della presenza di quel Compagno di viaggio ci è indispensabile. 

Signore, con cuore di pellegrini, 
lungo le strade di questo mondo, 
aneliamo alla tua presenza di pace e di gioia. 
Dissetaci fin d’ora con quell’acqua viva che tu solo sai donare; 
diventeremo così, per altri assetati, 
fontane di villaggio per una sosta di pace e di ristoro.
Vieni incontro a noi 
lungo i sentieri dei nostri umani smarrimenti, 
entra a porte chiuse da noi 
e alita sui nostri volti la fragranza del tuo Spirito; 
allora vivremo anche noi da risorti, 
annunziando con gioia a tutti gli uomini 
che tu sei l’unico nostro Salvatore. 
Concedici di camminare sulle piste della fede 
con accesa nel cuore la stella della speranza 
come chi sa di andare sicuro verso l’aurora. 
Allora tu, radiosa stella del mattino, 
brillerai nell’intimo del nostro cuore e noi, 
figli della resurrezione, staremo in bianche vesti, 
con volti raggianti di gioia, 
alla tua gloriosa presenza esultando per il trionfo dell’ Amore.

- Madre Anna Maria Cànopi - 


Fonte:  Il vangelo della gioia

Paoline Editoriale Libri, Milano 2001

Tiziano -  Resurrezione  1520-1522- 
chiesa di S.Nazaro e Celso a Brescia
Inno alla vita

O Dio, inesauribile Fonte della vita,
Amore che sempre crea e sempre rinnova,
noi siamo tue stille,
siamo cellule appena congiunte
a formare un corpo umano.
Nascoste nel grembo materno,
aneliamo a venire alla luce
per vedere le meraviglie del cosmo
scaturito dalla tua Parola di Vita.
Aneliamo a vedere il sole, la luna e le stelle,
e a contemplare tutte le cose belle
di cui hai ornato l’universo:
i monti, le valli, il mare, i fiumi e i laghi,
le piante, i fiori variopinti,
tutti gli animali piccoli e grandi,
ogni vivente che respira sulla terra.
Dio grande, Padre buono,
fa’ che possiamo anche noi
unirci al canto di lode di tutto il creato!
Ancor più, tu lo sai, noi aneliamo a nascere
per vedere il volto della mamma,
per godere della sua tenerezza,
sentirci cullati dalle sue ninna-nanne,
avere i suoi baci, le sue carezze,
come tu stesso, facendoti uomo
e nascendo dal grembo della Vergine Maria,
hai potuto godere tra le sue braccia.
E poi – tu ci comprendi! –
vorremmo anche provare la gioia
di essere portati sulle spalle
di un papà come Giuseppe!
Noi ci sentiamo in pericolo e indifesi…
Come sarebbe bello nascere
e trovare il calore protettivo, amorevole
di una sacra e serena famiglia!
Ascolta, Dio, Fonte della vita,
ascolta il nostro grido
e fa’ che possiamo nascere alla vita sulla terra
e poi a quella del Cielo!
Grazie! Amen!

Madre Anna Maria Cànopi, osb
Abbazia Benedettina «Mater Ecclesiæ»
Isola San Giulio - Orta (Novara)




Cristo è risorto! E' veramente risorto!  

Buona Pasqua!! 
Stefania




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sabato 11 aprile 2020

Maria ai piedi della croce - Giorgio di Nicomedia (sec. IX)

Bacio la tua passione, con cui io sono stato liberato dalle mie brutte passioni.
Bacio la tua croce, con cui hai condannato il mio peccato e mi hai liberato dalla condanna a morte.
Bacio quei chiodi con cui hai rimos­so il castigo della maledizione.
Bacio le ferite delle tue membra, con cui sono state fatte guarire le ferite della mia ribellione.
Bacio la canna con cui hai firmato l’attestato della mia liberazione e con cui hai colpito la testa arrogante del drago.
Bacio la spugna accostata alle tue labbra incontaminate, con cui l’amarezza della trasgressione mi fu trasformata in dolcezza. 

Avessi potuto gustare io quel fiele, quale dol­cissimo cibo non sarebbe stato! Avessi potuto io prendere l’aceto, che pia­cevole bevanda! 
Quella corona di spine sarebbe stata per me un diadema regale. 
Quegli sputi mi avrebbero ornato come splendide perle.
Quegli schemi mi avrebbero ornato come segni di profondo ossequio. 

Quegli schiaffi mi avrebbero glorificato come il prestigio più alto.
Ti bacio, Signore, e la tua passione è il mio vanto.
Bacio la lancia che ha squarciato la cambiale contro di me e ha aperto la fonte dell’im­mortalità.
Bacio il tuo fianco dal quale sgorgarono i fiumi della vita e zampillò per me il ruscello perenne dell’immortalità.
Bacio i tuoi panni funebri con cui mi hai adornato togliendomi i miei abiti vergognosi.
Bacio la preziosissima sindone di cui ti sei rivestito per avvolgere me nella veste dei tuoi figli adottivi.
Bacio la tomba nella quale hai inau­gurato il mistero della mia risurrezione e mi hai preceduto per la strada che esce dalla morte.
Bacio quella pietra con cui mi hai tolto il peso della paura della morte.



Giorgio di Nicomedia (sec. IX), Maria ai piedi della croce





"Cari fratelli e sorelle, penso che la Vergine Maria si sia posta più di una volta questa domanda: perché Gesù ha voluto nascere da una ragazza semplice e umile come me? 
E poi, perché ha voluto venire al mondo in una stalla ed avere come prima visita quella dei pastori di Betlemme? 
La risposta Maria l’ebbe pienamente alla fine, dopo aver deposto nel sepolcro il corpo di Gesù, morto e avvolto in fasce (cfr Lc 23,53). 
Allora comprese appieno il mistero della povertà di Dio. 
Comprese che Dio si era fatto povero per noi, per arricchirci della sua povertà piena d’amore, per esortarci a frenare l’ingordigia insaziabile che suscita lotte e divisioni, per invitarci a moderare la smania di possedere e ad essere così disponibili alla condivisione e all’accoglienza reciproca. 
A Maria, Madre del Figlio di Dio fattosi nostro fratello, rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera, perché ci aiuti a seguirne le orme, a combattere e vincere la povertà, a costruire la vera pace, che è opus iustitiae."

- Papa Benedetto XVI -



...senza Maria l'ingresso di Dio nella storia non arriverebbe al suo fine; non sarebbe cioè raggiunto ciò che si afferma nella professione di fede, che Dio è un Dio con noi e non solo un Dio in sé e per se stesso. 
Ecco perché questa donna, che definiva se stessa "umile", priva cioè di fama, viene a trovarsi nel nucleo centrale della professione di fede nel Dio vivente, né può essere eliminata dalla riflessione su di lui. 
Ella è parte irrinunciabile della nostra fede nel Dio vivente, nel Dio che agisce. La parola si fa carne; il fondamento, il significato eterno del mondo entra in lui. 
Non la guarda semplicemente dall'esterno, ma agisce in lei. 
Perché questo potesse accadere, c'era bisogno che la Vergine mettesse lei stessa a disposizione tutta la sua persona, quindi il suo corpo, così che essa divenisse il luogo del dimorare di Dio nel mondo. L'incarnazione abbisognava del suo Sì. Solo in questo modo il Logos e la carne diventano una cosa sola..........

Joseph Ratzinger - da "Il Dio vicino" L'eucarestia cuore della vita cristiana -









venerdì 10 aprile 2020

Ci siamo tutti - cardinale Giacomo Biffi

Ci siamo tutti: In questo quadro c’è tutta una folla di personaggi, dall’ umanità più diversa, coi più diversi atteggiamenti interiori. 
Ciascuno di noi in questa folla può riconoscersi e trovare il suo posto. 

C’è Maria di Betania, dal cuore gonfio di gratitudine e di affetto, che, incurante delle critiche, versa sul capo di Gesù tutto il suo prezioso profumo. 

C’è Pietro, estroverso e impulsivo, che parla troppo, che è troppo spavaldo, che dice di saper morire per Cristo; ma poi non sa affrontare le domande curiose e forse un po’ impertinenti di qualche serva. 
La sua fedeltà, conclamata alla sera, non dura fino al canto del gallo. 

Ci sono i capi dei Giudei, accecati dall’odio, al punto da ricorrere alle false testimonianze, in un processo che si era già assegnato come unico e inderogabile traguardo la morte, la morte ad ogni costo, senza alcuna attenzione alla innocenza o alla colpevolezza dell’imputato. 

E c’è Giuda. Le ragioni profonde del suo tradimento restano per noi incomprensibili. I trenta denari non ci bastano come spiegazione. 

Forse Giuda ha verso Gesù – come tanti cristiani di oggi verso la Chiesa – un amore deluso. È il rancore di chi si è visto defraudato nelle sue attese e nelle sue aspirazioni. Aveva puntato tutto su di lui e sul suo successo nel mondo; e si era a poco a poco reso conto che Gesù era un condottiero che non mirava a nessuna esteriore conquista, un capo che non voleva dominare, un re che rifiutava ogni regno sulla terra. Egli tradisce perché si sente tradito nelle sue erronee speranze. 
Ma forse il tradimento di Giuda è solo un enigma oscuro ed è vana impresa volerlo capire. Non è comprensibile, come in fondo non sono comprensibili neppure a noi stessi i nostri tradimenti, le nostre infedeltà, le nostre scelte del male, le nostre inspiegabili ribellioni al Dio che inspiegabilmente ci ama. 
Questa è l’umanità che circonda Gesù nella notte della sua donazione, quando, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). 
Questa è l’umanità, e non c’è da esserne fieri: in essa ci sono i deboli, gli insensibili, i malvagi, gli ostinati, i traditori. Ci sono tutti, ci siamo tutti. 
Gesù ci vede come siamo, generosi o ingrati, svogliati o pronti ad accogliere le sue proposte, vigili o distratti e spiritualmente ottusi, fedeli alla sua sequela o smarriti nei chiassosi e deludenti vicoli del mondo. Ci prende come siamo, per farci diventare come vuole lui. Ogni Settimana Santa, ogni celebrazione della Pasqua, è un altro tentativo del nostro Redentore di farci più veramente e più integralmente suoi. 
Decidiamo in questi giorni, decidiamo questa sera stessa di lasciarci raggiungere e di lasciarci cambiare. (Palme 1988).

I parenti dicevano: “È fuori di sé” (Mc 3,21), e cercavano di prenderlo e di toglierlo dalla circolazione. Gli scribi davano lo stesso giudizio, ma con una versione, per così dire, “teologica”, e dicevano: “È posseduto da uno spirito immondo” (Mc 3, 30).

Il discepolo vero e coerente di Gesù non dovrà allora meravigliarsi se riceverà le stesse incomprensioni che non sono state risparmiate al suo Maestro. Chi sta col Vangelo senza sconti e senza attenuazioni, e perciò parla di distacco dai beni, di valore della castità, di amore disinteressato, di matrimonio indissolubile, di assoluta onestà negli affari, di perdono dei nemici, di sofferenza accettata dalle mani di Dio, costui apparirà necessariamente al mondo di oggi come un personaggio strano, sprovveduto, pazzo… Dovremo tenerlo presente, quando ci sentiremo suggerire che bisogna adattare la religione agli usi e costumi dell’uomo di oggi; si tratta piuttosto di trovare all’uomo di oggi una testa che vada bene per il messaggio di Cristo.

- Cardinale Giacomo Biffi - 
da: "Stilli come rugiada il mio dire." Omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario. Anno B, Bologna 2015, pp. 79-80




Chi è stato? – ci domandiamo. 

L’asciutta e intensa narrazione evangelica ci risponde con molti nomi: Giuda, che ha organizzato l’imboscata; Caifa, che aveva detto: «È meglio che un uomo solo muoia per il popolo» (Gv 18,14); Pilato, magistrato senza coraggio e giudice senza giustizia; i soldati, che si sono sobbarcati materialmente al compito orrendo di uccidere. Come si vede, a perpetrare questo crimine si sono messi in tanti: amici ed estranei, ebrei e romani, autorità e semplici esecutori. 

Ma proprio questa folla di carnefici ci suggerisce un’altra e più profonda risposta. Chi è stato? Siamo stati tutti noi che dobbiamo riconoscerci peccatori e «per le sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5). Egli è stato annoverato tra i malfattori, proprio perché portava sulle sue spalle l’iniquità della moltitudine umana (cf. Is 53,12)
Oggi è dunque anche il giorno del nostro rimorso e del nostro pianto. 
La nostra indagine però non é finita. Neppure tutte le colpe della storia ci spiegano perché sia stato necessario un tale tormento. Chi è stato? La risposta più esauriente è questa: è stato il suo amore. 

- Cardinale Giacomo Biffi -
(Venerdì santo 1992)   





Cervo

Dagli uomini ferito, come cervo
che al natìo bosco corre per morire,
Ti rifugiasti in vetta del Calvario,
moribondo di sete e dissanguato,
percorrendo le vie dell'amarezza,
dell'amore alla polla sempiterna.
«Ho sete!». Tu gemevi. E noi, fratelli
tuoi, ma crudeli cacciatori, pure
morti di sete, in cerca della fonte
del vino tuo, corremmo sopra l'orme
cruente, d'amarezza nella valle.
Noi sete abbiam della bianchezza eterna
di codesto tuo cor, polla perenne
d'acqua di vita che giammai si secca.
Se di Cana alle nozze Tu mutasti
in vino l'acqua, della tua passione
nel cruento martirio, il rosso vino
festi acqua viva di Sicar, che smorza
in eterno la sete. Il sangue desti,
mistico cambio, con amore immenso
all'alme nostre, le samaritane
dai sei mariti, folli concubine
del sapere che inebbria e mai non sazia.
Ed il cuore, smarrito pei sentieri
del mondo sì intricati, giunge infine
alla vena del pozzo del tuo cuore
e ne fa suo rifugio e si ristora
della tua bocca al soffio che dà vita.

- Miguel de Unamuno -
 Il Cristo di Velazquez, pp. 67-68




Buona giornata a tutti. :-)

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giovedì 9 aprile 2020

Lavanda dei piedi - papa Benedetto XVI e Giacomo Biffi

La sera del più gran dono d’amore è però anche la sera del tradimento. 
Non riusciremmo a cogliere tutto lo spessore del Giovedì Santo, se ci dimenticassimo que­st’ombra inspiegabile e tragica che incombe sull’ultima cena del Signore. 
L’evangelista Giovanni ce lo ricorda senza attenuazioni, dicendo che «mentre cenavano», «già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» (Gv 13,2). Anche san Paolo nel suo racconto annota con cura che il grande regalo dell’Eucaristia è stato fatto da Gesù proprio «nella notte in cui venne tradito» (1 Cor 11,23).
Qui c’è per noi un richiamo serio e forte: questa è una storia d’amore, ma non è un romanzo rosa, rugiadoso e dolcificato. 
È una vicenda drammatica, che ci costringe a rievocare, insieme con la generosità del Signore, la tremen­da possibilità dell’uomo di rifiutarsi al suo Creatore.
Originariamente la parola «tradire» vuol dire conse­gnare.
Gesù si è lasciato consegnare ai suoi nemici, e ha voluto così patire – tra tutte le sofferenze – anche quella amara e pungente dell’ingratitudine e dell’infedeltà, inspie­gabile risposta dell’uomo alla sua iniziativa d’amore. Dob­biamo sempre temere di noi stessi, e, se pur ci pare di voler bene al Signore, non dobbiamo mai tralasciare di pregare con trepidazione perché ci sia concessa sino alla fine dei nostri giorni la grazia della perseveranza e di un cuore riconoscente.
Ma nello stesso momento in cui veniva consegnato ai suoi nemici, Gesù si consegnava anche ai suoi amici, si consegnava anche a noi, perché ogni giusta diffidenza verso noi stessi si rasserenasse nella certa persuasione dell’invincibile sua volontà di tenerci saldamente nel suo possesso e nella sua comunione. 
Nonostante la nostra debolezza, nonostante la nostra pericolosissima volubilità, noi siamo e restiamo di Cristo, come Cristo è di Dio: così ci dice il cibo eucaristico di cui ci nutriamo.
Anche se grande e sempre ritornante è la nostra propensione a smarrirci, l’Eucaristia ci assicura che le pecore del gregge del Signore – in virtù di questo alimento di salvezza, della assidua presenza del loro Pastore, del sacrificio redentivo che è perennemente efficace – «non andranno mai perdute» e «nessuno le rapirà» dalla sua mano (cf. Gv 10,28)

 - Cardinale Giacomo Biffi -
(Giovedì Santo 1988)







Lavanda dei piedi e Sacramenti (da Benedetto XVI)



- Scritto da Redazione de Gliscritti: 1

   

   

Quando il Signore dice a Pietro che senza la lavanda dei piedi egli non avrebbe potuto aver alcuna parte con Lui, Pietro subito chiede con impeto che gli siano lavati anche il capo e le mani. 
A ciò segue la parola misteriosa di Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi” (Gv 13, 10).
Allora sembra chiaro che il bagno che ci purifica definitivamente e non deve essere ripetuto è il Battesimo – l’essere immersi nella morte e risurrezione di Cristo, un fatto che cambia la nostra vita profondamente, dandoci come una nuova identità che rimane...
Ma anche nella permanenza di questa nuova identità, per la comunione conviviale con Gesù abbiamo bisogno della “lavanda dei piedi”… della lavanda dei peccati di ogni giorno, e per questo abbiamo bisogno della confessione dei peccati... Dobbiamo riconoscere che anche nella nostra nuova identità di battezzati pecchiamo. Abbiamo bisogno della confessione come essa ha preso forma nel Sacramento della riconciliazione. In esso il Signore lava a noi sempre di nuovo i piedi sporchi e noi possiamo sederci a tavola con Lui…
Ma così assume un nuovo significato anche la parola, con cui il Signore allarga il sacramentum facendone l’exemplum, un dono, un servizio per il fratello: “Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13, 14). 
Dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri nel quotidiano servizio vicendevole dell’amore.
Ma dobbiamo lavarci i piedi anche nel senso che sempre di nuovo perdoniamo gli uni agli altri. 
Il debito che il Signore ci ha condonato è sempre infinitamente più grande di tutti i debiti che altri possono avere nei nostri confronti (cfr Mt 18, 21-35). 
A questo ci esorta il Giovedì Santo: non lasciare che il rancore verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima. 
Ci esorta a purificare continuamente la nostra memoria, perdonandoci a vicenda di cuore, lavando i piedi gli uni degli altri, per poterci così recare insieme al convito di Dio.

dall’omelia di Benedetto XVI nella Basilica di San Giovanni in Laterano del Giovedì Santo, 20 marzo 2008



Signore Gesù,
come nell’Ultima Cena con i “tuoi”.
Ora sei in mezzo a noi come colui che serve.
Tu, l’Altissimo, ci onori del tuo servizio.
Umile ai nostri piedi,
ce li lavi, ce li baci, ce li profumi di crisma,
ce li  calzi di mansuetudine e di pace,
per farci camminare dietro di te
fino alla Casa del Padre.
Sappiamo che la strada del ritorno
passa per l’orto degli Ulivi,
sale sul monte della Croce,
scende nella grotta del Sepolcro,
sbocca nel Giardino rifiorito.
Signore Gesù,
pur essendo stolti e lenti di cuore,
desideriamo saperti imitare
e, nel tuo nome, di servirci a vicenda,
per rendere visibile nei nostri gesti
la tua immensa carità divina
ed essere un giorno introdotti
alla cena della Pasqua eterna
dove tu stesso, come ci hai promesso,
ancora passerai a servirci,
saziandoci di gioia
con la luce radiosa del tuo Volto.
Amen.

- Madre Anna Maria Cànopi -
Fonte: Il respiro dell'Anima di Anna Maria Cànopi 


Buona giornata a tutti. :-)



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mercoledì 8 aprile 2020

Dall'acqua alla cenere, dal pentimento al servizio - don Tonino Bello

«Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi. 
Tra questi due riti, si snoda la strada della quaresima. Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri.
A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo. 
Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala. 
Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole. 
Non c’è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. 
Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.
È difficile, per esempio, sottrarsi all’urto di quella cenere. 
Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”. (…) 
Quello “shampoo alla cenere”, comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.

La cenere ci bruci sul capo 

Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l’abbiamo “udita con gli occhi”, pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente. 
Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. 
Ricca di tenerezze, benchè articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il lavarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio. Una predica strana.
Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate. 
Miraggio o dissolvenza? 
Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell’attesa di Cristo? “Una tantum” per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane? Potenza evocatrice dei segni! Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.
La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnere l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare sui piedi degli altri.
Pentimento e servizio. 
Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa. Cenere e acqua. 
Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.

- don Tonino Bello - 

(Fonte: Dalla testa ai piedi, in LVD, Molfetta, 1989, n. 1, p. 15-17)




Questo virus ha messo in evidenza una grande verità: l’uomo è fragile. 
Ma rendersi conto di questo mette in risalto anche un’altra verità: tutto è dono.
Sì, tutto è dono: la vita, la salute, la famiglia, gli amici, la scuola, la natura, ecc…, ma il dono più grande è la fede. 
Sì, 𝐥𝐚 𝐟𝐞𝐝𝐞. Infatti, voglio ricordarvi questo episodio del Vangelo e le parole di Gesù: “ Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;  l'ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». 
E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui». E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.
Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e 𝐧𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐯𝐢 𝐬𝐚𝐫à  𝐢𝐦𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞.” (Mt 17, 14-20).

Dobbiamo proprio chiedere a Gesù di far crescere la nostra fede, almeno pari ad un granellino di senape, che è un seme piccolissimo.

- Don Pierre Laurent - 



Buona giornata a tutti. :-)