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sabato 8 aprile 2017

La tua morte, o Gesù, è una storia di mani - don Primo Mazzolari

La tua morte, o Gesù, è una storia di mani.
Una storia di povere mani, che denudano, inchiodano, giocano a dadi, spaccano il cuore.
Tu lo sai, tu lo vedi, o Signore.
Prima di giudicare, però, pensiamoci.
Ci sono dentro anche le nostre mani.
Mani che contano volentieri il denaro, mani che legano le mani agli umili, mani che applaudono le prepotenze dei violenti, mani che spogliano i poveri, mani che inchiodano perché nessuno contenda il nostro privilegio, mani che invano cercano di lavare le proprie viltà, mani che scrivono contro la verità, mani che trapassano i cuori.
La tua morte è opera di queste mani, che continuano nei secoli l'agonia e la passione.
Se potessimo dimenticare queste mani, se ci fosse un'acqua per lavare queste mani.
Per dimenticare le mie mani, ho bisogno di guardare altre mani, di sostituire le mie mani spietate con le mani misericordiose della Madonna, della Maddalena, di Giovanni, del Centurione che si batte il petto...


- don Primo Mazzolari -
Fonte:  Preghiere, ed. La Locusta



particolare del quadro "La deposizione Borghese" di Raffaello Sanzio: il gioco delle mani tra la Maddalena e Gesù è uno dei punti poeticamente più alti e commoventi del quadro. C’è delicatezza e un equilibrio che contrastano con il senso freddo di morte che pervade il corpo di Gesù.

Raffaello Sanzio
Deposizione Borghese (1507)
Villa Borghese, Roma, Italy

 Simone di Cirene, su, dagli una mano! Sì, tu, e più presto che puoi! 
Egli obbedisce, ma arriccia il naso. Di certo non si sarebbe offerto. 
Non sa l'onore che gli tocca; si è trovato lì, ed ebbe fortuna. 
Porterà la croce, brontolando, a malincuore, ma la croce lo ricambierà largamente.  

- Primo Mazzolari - 

Il bacio di Giuda (1303-1305)
Giotto (1267-1337)
Cappella degli Scrovegni, Padova (Italy)


Cristo, mio redentore.
Sono libero quando
accetto la libertà degli altri.
Sono libero quando
riesco ad essere persona.
Sono libero quando
non credo nell'impossibile.
Sono libero se la mia
unica legge è l'amore.
Sono libero quando credo che Dio
è più grande del mio peccato.
Sono libero quando
solo l'amore riesce a incantarmi.
Sono libero se mi accorgo
che ho bisogno degli altri.
Sono libero quando sono capace
di ricevere la felicità
che mi regalano gli altri.
Sono libero se solo la verità
può farmi cambiare strada.
Sono libero se posso
rinunciare ai miei diritti.
Sono libero quando amo il bene
del mio prossimo
più della mia stessa libertà.

- don Primo Mazzolari -



Buona giornata a tutti. :-)

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domenica 26 febbraio 2017

La stola presbiterale - Constantin Virgil Georghiu

Quando, davanti alla porta, arrivava un cristiano a cavallo, si sapeva che da qualche parte era successo qualche cosa di grave... prima che l'uomo bussasse alla porta mio padre era già pronto a partire con lui. 
Preparava svelto la borsa nella quale si trovava sempre l'Euchologio o libro di preghiere, la croce di legno, grande come il libro, le Sante Specie e il cucchiaino per la comunione, il labìs, o pinzette "per i divini carboni ardenti". Questo cucchiaino era d'argento, sempre molto pulito e luccicante, ma talmente usato che da una parte ne mancava. 
Esso è sempre servito solo per la comunione; lo si posa sulle labbra del fedele, con il pane bagnato nel vino, che sono il Corpo e il Sangue di Cristo... ero estremamente emozionato al pensiero che con esso anch'io avrei distribuito il Corpo e il Sangue di Dio. 
Il libro delle preghiere, la custodia delle Sante Specie e il cucchiaino erano avvolti nell'epitrakèlion e riposti nella borsa. 
L'epitrakèlion o stola, è l'ornamento primo che testimonia della dignità, del potere e della grazia sacerdotale. 
Letteralmente, epitrakèlion significa "sul collo" o "attorno al collo". Consiste in una lunga striscia di stoffa di lino o di seta, larga sei centimetri, che il sacerdote porta attorno al collo e le cui estremità ricadono in avanti, fin sotto il ginocchio. Queste due strisce che ricadono in avanti sono tenute insieme da dei bottoni, delle fibie o da una cucitura. In generale, esse sono ricamate con sette croci e con immagini di santi, e terminano con delle frange. L'epitrakèlion o stola simboleggia anzitutto il giogo di Cristo, che ogni sacerdote deve portare sulla terra. A causa di ciò, per ogni ufficio sacerdotale, anche per il più breve, il sacerdote deve portare attorno al collo "il giogo", l'epitrakèlion. 
Le frange simbolizzano le anime dei fedeli. 
L'epitrakèlion rappresenta il giogo di Cristo, ma rappresenta anche la grazia di Dio, effusa sul sacerdote, e il potere dello Spirito Santo, il potere sacerdotale. 
Per richiamare questa grazia e questo potere discesi dall'alto e riversati su di lui, il sacerdote, mettendo la stola attorno al collo prima dell'ufficio, recita ogni volta questa preghiera: "Benedetto sia Dio, che versa la sua grazia sui suoi sacerdoti, come il profumo effuso sulla testa di Aronne discese sulla sua barba e sulla frangia del suo vestito".... 
Il prete non può mai celebrare senza avere attorno al collo il giogo del sacerdozio. Se un prete si trova rinchiuso in una prigione o in un campo di concentramento, e se è spogliato di tutto, prima di celebrare deve trovare una stola, un giogo, un epitrakèlion. Deve strappare la sua tonaca o la sua camicia, farne una striscia che benedirà e metterà attorno al collo, a modo di epitrakèlion. 
E se il sacerdote non può trovare una striscia, allora deve utilizzare, come stola una corda. Qualsiasi corda. E servirà validamente da stola, da epitrakèlion, da ornamento sacerdotale (cf Simeone di Tessalonica). 
Nel corso dei secoli passati, i miei antenati, i sacerdoti di Petrodava, hanno dovuto passare una buona parte della loro vita, con i loro parrocchiani, rifugiati sulle rocce, nelle foreste e negli anfratti selvaggi dei loro Carpazi, a causa degli invasori dall'est. 
Lassù, vicini al cielo, i sacerdoti, come ornamento sacerdotale per i battesimi, per i funerali, per la comunione, non potevano fare altra cosa che prendere la corda che attaccava i loro cavalli e mettersela attorno al collo. 
Era il loro unico ornamento sacerdotale. 
Guardando dall'alto del cielo, gli angeli, che sono i cerimonieri della Chiesa, non sono mai rimasti scandalizzati e non hanno mai sorriso; semplicemente, hanno asciugato una lacrima alla vista di quei poveri preti proletari, con i piedi nudi nella montagna moldava, e che utilizzavano la corda dei loro animali come ornamento sacerdotale. 
Dopo la seconda guerra mondiale, migliaia e migliaia di preti, della mia famiglia e del mio popolo, sono stati impiccati agli alberi dei loro villaggi. Non avevano bisogno di cercare una corda per servirsene da epitrakèlion per dire la loro preghiera prima di morire. 
I carnefici mettevano loro la stola attorno al collo: la corda e l'ornamento sacerdotale nelle stesso tempo.. 
Soprattutto l'ornamento sacerdotale. 
Perché la morte, per un sacerdote, è una promozione: lascia la chiesa terrena, che è una copia, per andare nella cattedrale celeste, dove celebrerà la sublime e divina Liturgia, a fianco del nostro unico vescovo, il Signore Gesù Cristo.

- Constantin Virgil Georghiu, prete ortodosso
da: "Dalla venticinquesima ora all'eternità", ed. San Paolo, 2007


Anthonius Brouwer, Gli ultimi momenti dei martiri di Gorkum, 
1879 circa, Biblioteca Nazionale dei Paesi Bassi

Le Messe più belle Cardinale F.X. Nguyen Van Thuan

Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... 
Ho scritto: "Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco". 
I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l'etichetta "medicina contro il mal di stomaco", e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. [...] 
Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. 
Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! [...] 
Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. [...] 
Erano le più belle Messe della mia vita.

- F.X. Nguyen van Thuan - 
vietnamita, quando era Arcivescovo, trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui nove in isolamento. Questo è quello che disse a proposito della celebrazione eucaristica.




Buona giornata a tutti. :-)





mercoledì 23 novembre 2016

Vergine visse e vergine morì - Kahlil Gibran

I suoi contingenti erano ormai sopraffatti dal numero dei nemici ed il generale non ebbe altra scelta che ordinare: “Affinchè si risparmino vite e munizioni, dobbiamo ordinatamente ritirarci presso una città sconosciuta al nemico, ove poter mettere a punto una nuova strategia.
Marceremo attraverso il deserto poichè è meglio seguire questo tragitto che cadere nelle mani del nemico. Incontreremo monasteri e conventi che occuperemo al solo fine di procurarci cibo e provvigioni”.
Le truppe non ebbero niente da obiettare dal momento che non vedevano alternativa ad una situazione così critica.
Marciarono per giorni nel deserto, patendo fatica, caldo, fame, sete. Un giorno videro una costruzione imponente che sembrava un’antica fortezza. Il portone pareva quello di una città fortificata. Alla vista di ciò i loro cuori si rinfrancarono. Pensavano fosse un convento dove poter riposare e trovare cibo.
Quando aprirono il portone, per un pò, nessuno venne loro incontro. 

Poi sulla porta apparve una donna vestita completamente di nero, il viso era la sola parte visibile del suo corpo.
Ella spiegò all’ ufficiale di comando che quello era un convento di suore e come tale andava rispettato, nessun danno doveva essere arrecato alle religiose. Il generale promise loro protezione totale e chiese cibo per le sue truppe. Gli uomini furono serviti nell’ampio giardino del convento.
Il comandante era un uomo sui quarant’anni, pavido e dagli istinti irrefrenabili. L’ansia l’aveva reso inquieto, desiderava una donna che gli desse conforto e decise di costringere una delle suore. Così l’infida lussuria lo portava a profanare quel sacro luogo dove le suore si erano raccolte in comunione di Dio per innalzare a Lui eterne preghiere lontano da questo mondo falso e corrotto.
Dopo aver rassicurato la Madre Superiora, il vile comandante si arrampicò su una scala fino a raggiungere la stanza occupata da una suora che aveva visto dalla finestra. Gli anni di incessante preghiera e di solitaria abnegazione non avevano cancellato tutti i segni di femminea bellezza dal suo volto innocente. Aveva lasciato il mondo dominato dal peccato per poter trovar rifugio quì, luogo dove poter adorare Iddio lontana dalle distrazioni terrene.
Entrando nella stanza il criminale sguainò la spada e minacciò di ucciderla se avesse gridato aiuto.
Lei sorrise e rimase in silenzio comportandosi come se volesse assecondare il desiderio di lui. Poi lo guardò e disse: “Siedi e riposa, hai l’aria molto stanca” . Le si sedette vicino, sicuro della sua preda. 

E lei continuò: “Ho ammirazione per voi uomini di guerra che non temete di gettarvi in seno alla morte” .
Al che quello stupido codardo rispose: “Sono le circostanze che ci obbligano ad andare alla guerra. Se la gente non mi bollasse come vile, fuggirei lontano prima di acconsentire a guidare un maledetto esercito”.
Lei gli sorrise e disse: “Ma non sai che in questo santo luogo abbiamo un unguento che spalmato sul corpo protegge dal colpo della spada più tagliente?”.
“Straordinario! Dov’è questo unguento? Sicuramente potrò utilizzarlo.”
“Ebbene, te ne darò un pò.”
Nato ad un tempo in cui ancora si credeva a certe superstizioni, il generale non dubitò della suora. Ella aprì un vaso e gli mostrò un bianco balsamo. Al vederlo lui fu improvvisamente assalito dal dubbio. 

Lei ne prese un po’ e se lo spalmò sul collo dicendo: “Se non mi credi, ti darò una prova. Prendi la spada e colpiscimi al collo con tutta la tua forza”.
Egli esitava, ma lei continuava a incitarlo perchè la colpisse forte, e alla fine colpì.
Stette quasi per perdere i sensi alla vista della testa che rotolava via dal corpo della suora che si accasciò immoto sul pavimento. Allora capì lo stratagemma di cui si era servita per salvarsi dalla profanazione.
La monaca era morta… ed il comandante vedeva solo due cose di fronte a sè: il cadavere di una vergine ed un vaso d’unguento. 

Cominciò a fissare lo sguardo sull’unguento e poi sul corpo decapitato, dal corpo all’unguento. Allora perse la ragione, spalancò la porta e corse fuori agitando davanti a se la spada insanguinata, gridando alle sue truppe: “Presto, presto, fuggiamo da questo posto!”.
Non smise di correre finchè non fu raggiunto da alcuni dei suoi uomini che lo trovarono in lacrime come un bambino istupidito.
Gridava: “L’ho uccisa! L’ho uccisa!”.

- Khalil Gibran -
Da: “Gibran, tutte le poesie e i racconti”, New Compton Editori





Diceva un foglio bianco come la neve: "Sono stato creato puro, e voglio rimanere così per sempre. Preferirei essere bruciato e finire in cenere che essere preda delle tenebre e venir toccato da ciò che è impuro". 
Una boccetta di inchiostro sentì ciò che il foglio diceva, e rise nel suo cuore scuro, ma non osò mai avvicinarsi. 
Sentirono le matite multicolori, ma anch'esse non gli si accostarono mai. 
E il foglio bianco come la neve rimase puro e casto per sempre - puro e casto - ma vuoto.

- Kahlil Gibran - 




Un giorno Bellezza e Bruttezza si incontrarono sulla riva del mare. E dissero l'una all'altra, "Facciamo il bagno nel mare". Si svestirono e nuotarono nell'acqua. E dopo un poco Bruttezza tornò indietro sulla riva e si vestì di bellezza e camminò per la sua strada. Anche bellezza venne fuori dal mare e non trovò le sue vesti e lei era troppo timida per rimanere nuda, perciò indossò le vesti di bruttezza. E bellezza andò per la sua strada. E ancora oggi uomini e donne scambiano l'una per l'altra. Eppure c'è qualcuno che ha visto il viso di Bellezza e la riconoscono nonostante i suoi abiti. E c'è qualcuno che riconosce il viso di Bruttezza e l'abito non la nasconde dai loro occhi.

- Kahlil Gibran - 
da "Il vagabondo"



Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 31 agosto 2016

Amico dell’ultimo istante – Testamento spirituale del Priore Christian-Marie De Chergé

“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a quel paese. Che essi accettassero che il Padrone unico di ogni vita non può essere estraniato da questa dipartita brutale. 
Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di questa offerta? 
Che sapessero associare questa morte a tante egualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.

La mia vita non ha prezzo più alto di un’altra. Non vale di meno né di più; in ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia.

Ho vissuto abbastanza per considerarmi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che mi può colpire alla cieca.

Mi piacerebbe, se venisse il momento, di avere quello sprazzo di lucidità che mi permetterebbe di sollecitare il perdono di Dio e quello di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse ferito.

Non posso auspicare una morte così. Mi sembra importante dichiararlo. Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.

Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che forse chiameranno “la grazia del martirio”, doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se questi dice di agire nella fedeltà a ciò che crede essere l’Islam. 
So bene il disprezzo del quale si è arrivati a bollare gli algerini globalmente presi.

Conosco bene anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia.  
E’ troppo facile mettersi la coscienza in pace identificando questa religione con gli integralismi dei suoi estremisti.

L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima.

Ho proclamato abbastanza, credo, davanti a tutti, quel che ne ho ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre (tutta la mia prima chiesa), proprio in Algeria e, già allora, con tutto il rispetto per i credenti musulmani.

Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con precipitazione un “naïf” o un idealista: “ci dica adesso quel che pensa!”.  
Ma queste persone  devono sapere che la mia più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria del Cristo, frutti della sua passione, investiti dal dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando con le differenze.

Per questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante tutto e contro tutto.

In questo Grazie! In cui è detto tutto, ormai, della mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi, amici di questa terra, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, centuplo accordato secondo la promessa!

E anche te, amico dell’ultimo istante, che non avrai saputo quel che facevi.  
Sì, anche per te voglio dire questo grazie e questo ad-Dio da te deciso. 
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se lo vorrà Dio, nostro Padre comune. Amen! Inshallah!”


Diario, Algeri, 1° dicembre 1993  - Tibhirine, 1° gennaio 1994.


 - Padre Christian-Marie De Chergé -
http://www.monastere-tibhirine.org/



Nella notte fra il 26 e il 27 marzo del 1996 sette monaci trappisti del monastero di Notre-Dame de l’Atlas situato a Tibhirine, in Algeria, vennero sequestrati nel corso della sanguinosa guerra civile che fece decine di migliaia di morti nel paese nordafricano, per essere ritrovati uccisi il 21 maggio… Il Priore qualche tempo prima aveva scritto il testamento spirituale, sopra riportato, intuendo il precipitare degli eventi.
L’uccisione dei monaci fu rivendicata dai fondamentalisti islamici del Gia (Gruppo islamico armato) che annunciarono: "Ai monaci abbiamo tagliato la gola". Alla fine del mese di maggio ne furono ritrovati parzialmente i resti mortali.
Non si saprà forse mai se coloro che hanno assassinato i sette monaci fossero davvero militanti islamisti o provocatori del regime, ma la loro morte - come la loro vita – è stata vissuta da loro stessi e percepita nel mondo come un martirio.



"Un martire cristiano non è qualcosa di accidentale. Ancor meno il martirio del cristiano può essere il risultato della volontà dell'uomo di diventare un martire, a forza di volontà e di sforzi, così come un uomo, a forza di volontà e di sforzi, può diventare un capo. Un martire, un santo è sempre tale per volontà di Dio, per il suo amore verso gli uomini, che li avverte e li guida e li riconduce sui suoi sentieri.
Un martire non è mai frutto del progetto di un uomo, perché vero martire è colui che si fa strumento di Dio, che ha annullato la propria volontà nella volontà di Dio e, così facendo, non l'ha perduta ma ritrovata, poiché ha trovato la libertà nella sottomissione a Dio."

Dalla predica di San Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, martire, 1118-1170, la mattina di Natale del 1170, nel testo teatrale “Assassinio nella Cattedrale” di T. S. Eliot


Buona giornata a tutti. :-)

domenica 14 agosto 2016

“Ave Maria”, furono le sue ultime parole - San Massimiliano Maria Kolbe -

14 agosto 1941. Erano già passate due settimane. I prigionieri morivano uno dopo l’altro e ne rimanevano solo quattro, tra i quali padre Massimiliano, ancora in stato di conoscenza… Un giorno fu inviato il criminale tedesco Bock per fare un’iniezione di acido fenico ai prigionieri… Quando Bock arrivò là, lo dovetti accompagnare alla cella. Vidi padre Massimiliano, in preghiera, porgere lui stesso il braccio al suo assassino. Non potevo sopportarlo. Con la scusa che avevo del lavoro da fare, me ne andai. Ma non appena gli uomini delle SS e il boia se ne furono andati, tornai. Gli altri corpi, nudi e sporchi, erano stesi sul pavimento, con i volti che mostravano i segni della sofferenza. Padre Massimiliano era seduto, eretto, appoggiato al muro. Il suo corpo non era sporco come gli altri, ma pulito e luminoso. La testa era piegata leggermente da una parte. Il suo volto era puro e sereno, raggiante. Chiunque avrebbe notato e pensato che questi fosse un santo».
il francescano martire volontario, tese il braccio per l'iniezione mortale dicendo “Ave Maria”, furono le sue ultime parole.


In ogni focolare cattolico, anche i più poveri, potete trovare un rosario. Nei momenti di gioia o di tristezza, quando i credenti si rivolgono a Dio, pregano il rosario...
A Lourdes, l'Immacolata sgrana le perle del suo rosario e incoraggia Bernadette a recitarlo con lei. Se desideriamo crescere nell'amore di Gesù, dobbiamo meditare i misteri del Rosario con Maria ripetendo incessantemente e bisbigliando l'Ave Maria. Nessuno al mondo, neanche tra gli angeli, hanno amato e amano tanto il Signor Gesù, quanto la Madre di Dio.

- San Massimiliano Kolbe -


Padre Kolbe, l’innamorato di Gesù e dell’Immacolata, ripeteva: “Bisogna affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata. E’ necessario inondare la terra di un diluvio di stampa cristiana e mariana, e fasciare il mondo di carta scritta con parole di vita: solo così l’umanità di oggi potrà trovare la gioia di vivere e la via della salvezza”.

Dopo trent’anni dalla morte, il 17 ottobre 1971, è stato beatificato dal Papa Paolo VI.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II l’ha proclamato Santo il 10 ottobre 1982.





Buona giornata a tutti. :-)

mercoledì 20 luglio 2016

da: La parola a San Vincenzo de' Paoli - Marcelle Auclair

«Caro amico, due anni fa una gentile vecchia signora di Tolosa aveva fatto testamento in mio favore. Dopo aver recuperato l’eredità fui convinto da un gentiluomo presso cui alloggiavo a imbarcarmi con lui per Narbona. 
Il vento era così favorevole che ci avrebbe portati in un giorno a Narbona, se Dio non avesse permesso a tre brigantini turchi che incrociavano nel golfo di Lione di piombare su di noi e attaccarci con tanto impeto che tre dei nostri uomini furono uccisi e tutti gli altri feriti, e tra loro anch’io, che ricevetti una ferita di freccia che mi servirà da orologio per il resto della mia vita. 
Carichi di bottino, i pirati si diressero in Barberia.
Al nostro arrivo lì, fummo esposti in vendita. Ci condussero in piazza, dove i mercanti vennero a esaminarci, proprio come si fa quando si compra un cavallo o un bue.
Ci fecero aprire la bocca e mostrare i denti, esaminarono le nostre ferite e ci fecero camminare, trottare e correre. 
Fui comprato da un vecchio, medico farmacista e abilissimo nell’estrarre le quintessenze. Era un tipo molto umano e gentile. Erano cinquant’anni che lavorava cercando di scoprire la pietra filosofale, tutto invano per quel che riguardava la pietra, ma con lusinghiero successo per quanto concerneva un altro metodo di trasformare i metalli. 
Il vecchio mi aveva preso a ben volere e amava parlarmi di alchimia e ancor di più della sua religione, adoperandosi come meglio poteva per convertirmi, promettendomi grandi ricchezze e tutto il suo sapere. 
Dio sostenne sempre in me la sicurezza che un giorno sarei fuggito grazie alle costanti preghiere che offrivo a lui e alla Beata Vergine Maria, al cui unico intervento io credo fermamente di dovere la mia liberazione. 
Morto l’anziano, fui venduto dal nipote ad un cristiano rinnegato di Nizza in Savoia, che mi portò nella sua casa, un posto terribilmente caldo e sabbioso. Una delle sue mogli, turca di nascita, fu strumento dell’infinita misericordia di Dio nello strappare suo marito all’apostasia, riportarlo in seno alla Chiesa e liberarmi dalla schiavitù. Siccome era curiosa di conoscere il nostro modo di vivere, mi ordinò di cantare le lodi del mio Dio. 
Io iniziai a recitare, con le lacrime agli occhi, il salmo: «Sui fiumi di Babilonia». Poi cantai la Salve Regina» e diverse altre preghiere. Fu veramente splendido vedere come ella fosse rapita da tutto ciò. 
Quella sera non mancò di dire al marito quanto egli avesse avuto torto ad abbandonare la sua religione, che lei considerava molto buona, da quanto le avevo detto del nostro Dio e anche da alcuni inni di lode che avevo cantato in sua presenza. Ascoltandoli, disse, aveva provato una gioia così celeste da non credere che il paradiso dei suoi antenati potesse darle tanto piacere come quello provato mentre lodavo il mio Dio, e concluse che quanto aveva udito da me era realmente meraviglioso. 
Quella donna fece sì che suo marito mi dicesse, il giorno dopo, che egli aspettava solo la prima occasione perché tutti e due fuggissimo in Francia e che Dio sarebbe stato glorificato da quanto egli avrebbe fatto. Fuggimmo su una piccola imbarcazione e arrivammo a Aigues-Mortes il 15 giugno. 
Poco dopo raggiungemmo Avignone, dove Sua Signoria il Vice‑Legato, con le lacrime agli occhi e la voce rotta dai singhiozzi, lo riconciliò con Dio». 

- Marcelle Auclair -
da: La parola a San Vincenzo de' Paoli, ed Cittadella Nuova, 1971




«Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. 
Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. 
Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. 
Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. 
La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. 
E` una grande signora: bisogna fare ciò che comanda. Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcuna timore della morte. 
Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni». 

Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de' Paoli, sacerdote; (Cfr. lett, 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)





C'è un membro della Compagnia che, accusato di aver derubato un compagno, e pubblicamente definito come ladro - benchè‚ non fosse vero - tuttavia non ha mai voluto giustificarsi. Un giorno, vedendosi così ingiustamente accusato, pensava tra sè e sè: "Non ti discolpi? Ciò di cui ti accusano non è vero!". 
"Oh! no, rispose, rivolgendo il suo pensiero a Dio, bisogna che io sopporti pazientemente questo oltraggio". 
E così fece. Che cosa accadde in seguito? 
Sei mesi dopo, il vero ladro, che era andato a vivere cento leghe lontano da qui, riconobbe la sua colpa e scrisse chiedendo perdono. 
Ecco, Dio, talvolta, vuol provare alcune persone e perciò permette che succedano simili fatti.

(Vincenzo non dice proprio tutto: sta parlando di se stesso e del suo compaesano il giudice di Sore: l'accusa riguardava la somma di quattrocento scudi. Il ladro era un garzone venuto in casa)

- Marcelle Auclair -
da: La parola a San Vincenzo de' Paoli, ed Cittadella Nuova, 1971



Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 31 marzo 2016

Da: "Un vescovo contro Hitler" - Clemens Von Galen

«Eccellenza, anch’io fino a questo momento ho lasciato correre tutto questo senza pronunciare la protesta pubblica. Io ho tranquillizzato la mia coscienza dicendo a me stesso: se il cardinale Bertram e tanti vescovi, che mi superano per esperienza e per virtù, di fronte a tutto ciò restano tranquilli e si contentano di proteste cartacee e inefficaci, completamente ignorate dall’opinione pubblica, o dalle proteste, anch’esse sconosciute della Conferenza di Fulda, sarebbe arrogante, sarebbe disdicevole per la dignità degli altri illustri e reverendissimi signori, sarebbe forse anche pazzesco, se fossi io a lanciarmi in una “fuga nella pubblicità”. Mi mostrerei antipatico, probabilmente provocherei misure ancora più gravi nei confronti della Chiesa. Ma la mia coscienza non sopporta di essere messa in pace con questi argomentiex auctoritate. Penso spesso a San Tommaso Moro e al suo comportamento a proposito dell’argomentoex auctoritate. Mi torna in mente la parola di Isaia a proposito dei “canes muti non valentes latrare”; egli stesso soggiunse poi: “Ipsi pastores ignoraverunt intelligentiam”. 
Queste cose accadevano dunque solo nell’ Antico Testamento?»

Da: "Un vescovo contro Hitler", Von Galen, Pio XII e la resistenza al nazismo, di Stefania Falasca, San Paolo, p. 129



Un estratto della lettera che il beato Clemens Von Galen (1878-1946), vescovo di Münster, scrisse a Wilhelm Berning , vescovo di Osnabrück, il 26 maggio 1941. Pochi mesi dopo Von Galen ruppe gli indugi e salì sul pulpito proununciando una serie di memorabili omelie anti-naziste. 




Gigantesco in tutti i sensi, moralmente e fisicamente: il “Leone di Munster”, beato cardinale conte August von Galen. Fu colui che dal pulpito, sin dal primo momento, apertis verbis denunciò senza censura alcuna la radicale “anticristianità” del nazismo: o la Croce di Cristo o la croce di Hitler, dinanzi a questa altenativa poneva i suoi fedeli. Odiatissimo da Hitler, molteplici furono i piani per assassinarlo. Ma furono tutti accantonati: enorme era la sua popolarità nella Baviera cattolicissima, già di per sè freddissima nei confronti del nazismo. Non si potevano provocare oltre i cattolici bavaresi: uccidere il loro arcivescovo significava alienarseli tutti definitivamente.



"Non possiamo rinunciare a confessare che esiste qualcuno di più elevato della razza, del popolo e della nazione: l’Onnipotente ed eterno Creatore dei popoli e delle nazioni, al quale tutti i popoli devono adorazione e servizio, Colui che è Egli stesso il fine ultimo di ogni cosa".

- Beato Clemens August von Galen - 





“Questo è il messaggio del Beato Von Galen: la fede non si riduce a sentimento privato, da nascondere quando diventa scomodo, ma implica la testimonianza anche in ambito pubblico in favore dell’uomo, della giustizia e della Verità".

- papa Benedetto XVI -






“Noi siamo l’incudine, non il martello. Rimanete forti e irremovibili come l’incudine sotto l’imperversare dei colpi che si abbattono su di noi… Ma siate anche pronti al supremo sacrificio, secondo la parola: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini!”… Diventate duri, diventate irremovibili! Come un incudine sotto i colpi del martello! Può darsi che l’obbedienza a Dio, la fedeltà alla coscienza costi a me e a voi la vita, la libertà, l’esilio”. 

- Beato Clemens August von Galen - 





De profùndis clamàvi ad te, Dòmine;
Dòmine, exàudi vocem meam.
Fiant àures tuæ intendèntes
in vocem deprecatiònis meæ.
Si iniquitàtes observàveris, Dòmine,
Dòmine, quis sustinèbit?
Quia apud te propitiàtio est
et propter legem tuam sustìnui te, Dòmine.
Sustìnuit ànima mea in verbo ejus,
speràvit ànima mea in Dòmino.
A custòdia matutìna usque ad noctem,
speret Ìsraël in Dòmino,
quia apud Dòminum misericòrdia,
et copiòsa apud eum redèmptio.
Et ipse rèdimet Ìsraël ex òmnibus iniquitàtibus ejus.


Buona giornata a tutti. :-)