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domenica 18 giugno 2023

Lezione di vita - + Cardinale Francisco Candido Xavier

 Che Dio non mi permetta di perdere il romanticismo,
anche sapendo che le rose non parlano...

Che Dio non mi permetta di perdere l'ottimismo,
anche sapendo che il futuro che ci aspetta non è tanto allegro...

Che io non perda la voglia di vivere,
anche sapendo che la vita è, in molti momenti, dolorosa...

Che io non perda la voglia di avere grandi amici,
anche sapendo che, con il giro del mondo, anche loro vanno via dalle nostre vite...

Che io non perda la voglia di aiutare le persone,
anche sapendo che molte di loro sono incapaci di vivere, di vedere, riconoscere e compensare questo aiuto...

Che io non perda la voglia di amare,
anche sapendo che la persona che io più amo può non provare lo stesso sentimento verso di me...

Che io non perda la luce e la lucentezza degli occhi,
anche sapendo che molte cose che vedrò nel mondo oscureranno i miei occhi...

Che io non perda la forza,
anche sapendo che la sconfitta e la perdita sono due avversari estremamente pericolosi...

Che io non perda la ragione,
anche sapendo che le tentazioni della vita sono molte e attraenti...

Che io non perda il sentimento di giustizia,
pur sapendo che il pregiudicato possa essere io stesso...

Che io non perda il mio abbraccio forte,
anche sapendo che un giorno le mie braccia saranno fiacche...

Che io non perda la bellezza e la gioia di vedere,
anche sapendo che molte lacrime scorreranno dai miei occhi e finiranno nella mia anima...

Che io non perda l'amore per la mia famiglia,
anche sapendo che molte volte essa mi chiederà degli sforzi incredibili per mantenere la sua armonia...

Che io non perda la voglia di essere grande,
anche sapendo che il mondo è piccolo...

E soprattutto...
Che io non dimentichi mai che Dio mi ama infinitamente,
che un piccolo grano di allegria e di speranza dentro ciascuno è capace di cambiare e trasformare qualsiasi cosa, poi...

La vita è costruita sui sogni
e realizzata nell'amore!

Francisco Candido Xavier



























"Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede “matura”, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. È la fede che egli vuole. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo. La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo".

papa Benedetto XVI, 28 giugno 2009




Quando Dio trova un’anima decisa a obbedire, allora Egli prende in mano la sua vita, come si prende il timone di una barca, o come si prendono in mano le redini di un carro. Egli diventa sul serio, e non solo in teoria, “Signore” cioè Colui che “regge”, che “governa” determinando, si può dire, momento per momento, i gesti, le parole di quella persona, il suo modo di impiegare il tempo, tutto.

(Padre Cantalamessa)


Buona giornata a tutti :-)

sabato 19 febbraio 2022

10 "A" da ricordare nella vita - card. François Xavier Nguyen van Thuan

Carissimi fratelli nel sacerdozio. Con questa omelia, concludiamo i nostri esercizi spirituali: giorni di preghiera, di silenzio, di intimità con il Signore che ci ha chiamati.

Prima di uscire e tornare alle nostre occupazioni, vorrei lasciarvi le dieci "A" da ricordare nella vita, perché è adesso che veramente cominciano gli esercizi: dopo i giorni di pace vissuti insieme, seguono tempi duri, pieni di impegni ed attività.
Molte volte pensiamo di dover agire e lavorare, ed è vero. Non è meno vero che dobbiamo prima pregare ed ascoltare.

Per questa ragione, le dieci "A" da ricordare nella vita sono divise in due parti: le prime cinque riguardano il fuoco interiore; le altre cinque l'impegno esteriore.

Cominciamo con il fuoco interiore, perché è la causa del fuoco esteriore:

Il fuoco interiore

1. Adorare: dopo questi esercizi, tutti noi possiamo dire: "Ho incontrato Gesù!" Abbiamo contemplato il volto di Cristo, che è Amore. L'abbiamo visto nei suoi quattordici difetti. Sappiamo che la gente cerca il volto di Dio. Siamo noi a farglielo vedere.

2. Amare: la seconda "A" da ricordare, è quella di "Amare": dopo che abbiamo incontrato Gesù, diciamo pieni di gioia: "Vidimus Iesum!". L'amore di Cristo ci scuote, così come è stato per san Paolo: "Caritas Christi urget nos!". È il fuoco dell'amore di Cristo che brucia i cuori degli apostoli. Lasciamoci bruciare! È fuoco d'amore!

3. Ascoltare: noi, sacerdoti, dobbiamo prima di tutto ascoltare Dio. Non possiamo parlarne se prima non lo ascoltiamo attentamente, come fece Maria a Betania. Gli uomini vogliono vedere Gesù tramite noi. In secondo luogo, ricordiamoci di poter ascoltare Dio nella nostra coscienza. Noi formatori di coscienze, quanto bisogno abbiamo di essere fedeli alla nostra propria coscienza. Finalmente, questa "A" vuole ricordarci il bisogno di ascoltare gli altri, come fa un padre con suo figlio, come fa un dottore con un ammalato, come faceva Cristo con tutti.

4. Abbandonarsi: parlando ancora del fuoco interiore, è importante "abbandonarsi", cioè, lasciarci amare da Dio. Egli ci ama non per i nostri meriti, né per le nostre azioni o qualità. Ci ama perché ci ha voluto adottare come figli suoi. Lasciamoci dunque amare da Dio!

5. Accettare: quest'ultima "A" del fuoco interiore ci insegna ad accettare sempre il momento presente, cioè, il pane quotidiano che Dio nella sua provvidenza ci dà ogni giorno: le nostre occupazioni, le nostre difficoltà, i nostri successi e fallimenti, noi stessi con la nostra propria croce. Accettiamola con amore e gioia. Viene da Dio.

L'impegno esteriore

L'uomo dal cuore ricolmo di Dio è l'apostolo che mostra a tutti il volto del Padre. Queste cinque "A" si riferiscono all'impegno esteriore e non possono esistere se non c'è prima il fuoco interiore.

6. Agire: questa sesta "A" ci ricorda che Gesù, non soltanto chiamò i suoi perché fossero con lui, ma pure perché andassero a predicare il suo vangelo: ite, baptizate, docete, sanate. È lui che ci invia. Come san Paolo, sopportiamo tutto a causa del Vangelo: omnia propter Evangelium.

7. Animare: mossi dallo Spirito Santo, portiamo Gesù a tutti gli uomini. Ogni nostro atto, dal più piccolo al più importante, è un'opportunità di portare Gesù. Nelle processioni del Corpus Christi, gli ostensori hanno dentro l'ostia, che è Gesù. Anche noi siamo un ostensorio. C'è o non c'è dentro di noi l'ostia? A cosa servirebbe una processione il cui ostensorio non abbia dentro Gesù?

8. Appassionarsi: l'ottava "A" ci ricorda che noi sacerdoti non siamo gente vuota, ma veramente appassionata. La nostra passione è contenuta nel Padre nostro, la gloria di Dio e la salvezza delle anime: Dio e gli uomini. Ecco la nostra passione. Innanzitutto Dio, e per questo preghiamo ogni giorno: sia santificato il tuo nome! Venga il tuo Regno! Sia fatta la tua volontà!
E poi, gli uomini, nostri fratelli: dacci oggi il nostro pane quotidiano! Rimetti i nostri debiti! non ci indurre in tentazione!...

9. Avventurarsi: il messaggio del vangelo esige radicalità. Cristo è un avventuriero e noi, suoi seguaci, dobbiamo pure avventurarci assolutamente, subito, senza condizioni. Toto corde, tota anima, usque ad effusionem sanguinis! Un chiaro esempio ne è Padre Kolbe, avventuriero di Cristo.

10. Allietarsi: l'ultima delle "A" non è meno importante delle altre. Dopo questi esercizi siamo tutti lieti e contenti. Allietiamoci nella grande gioia della speranza! Noi, che viviamo pienamente donati alle anime, ricordiamo la promessa di Cristo: "Chi darà un bicchiere d'acqua ad uno di questi, non rimarrà senza ricompensa".

Così, io posso ridere ogni giorno, malgrado le croci e le difficoltà. E se il tuo cuore ha ancora dei dubbi, non ti preoccupare! L'amore di Dio, è ancora più grande del tuo cuore.

Maria, stella dell'evangelizzazione.

(card. François Xavier Nguyen van Thuan)
Fonte: "Scoprite la gioia della speranza" card. François Xavier Nguyen van Thuan

Il card. Van Thuan dopo tredici oscuri e terribili anni trascorsi prigioniero dei comunisti in Vietnam fu invitato da Papa Giovanni Paolo II a predicare gli esercizi spirituali al Santo Padre e alla Curia Romana, nell'anno del Grande Giubileo del 2000

Proprio per far vedere al mondo che Dio l'aveva scelto soltanto per sé, gli ultimi anni del suo servizio alla Chiesa furono pieni di sofferenza, continua ma silenziosa, provocata da un tumore che lo condusse alla pace del Signore, il 16 settembre 2002.


"Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve, cerchiamo di essere una Chiesa che esce da se stessa e va verso gli uomini e le donne che non la frequentano, che non la conoscono, che se ne sono andati, che sono indifferenti.

- papa Francesco -


“La felicità che cercate,
la felicità che avete diritto di gustare
ha un nome,
un Volto:
quello di
Gesù di Nazareth,
nascosto nell’Eucaristia”!»

- Papa Benedetto XVI - 
Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia


Buona giornata a tutti :-)


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martedì 11 gennaio 2022

Chiamati insieme così come siamo - Jean Vanier

Nelle comunità cristiane, Dio sembra compiacersi di chiamare insieme nella stessa comunità delle persone umanamente molto diverse, provenienti da culture, classi o paesi molto diversi. 
Le più belle comunità vengono giustamente da questa grande di­versità di persone e di temperamenti. 
Questo fatto obbliga ognuno a superare le sue simpatie e antipatie per amare l'altro con le sue diversità.
Queste persone non avrebbero mai scelto di vivere con le al­tre. Umanamente questa pare una sfida impossibile, ma è pro­prio perché è impossibile che abbiamo la certezza interiore che è Dio che le ha scelte per vivere in quella comunità. E allora l'impossibile diventa possibile. Esse non si appoggiano più sul­le loro proprie capacità umane o sulle loro simpatie, ma sul Pa­dre che le ha chiamate a vivere insieme. Egli darà loro a poco a poco quel cuore nuovo e quello spirito nuovo perché diventino tutte testimoni dell'amore. In effetti, più è umanamente impos­sibile, e più questo è un segno che il loro amore viene da Dio e che Gesù vive: "Tutti riconosceranno che siete miei discepoli dall'amore che avrete gli uni per gli altri" (Gv 13, 35).
Per vivere con lui, Gesù ha scelto, nella prima comunità degli apostoli, uomini profondamente diversi: Pietro, Matteo (il pub­blicano), Simone (lo zelota), Giuda... Non avrebbero mai cam­minato insieme se il Maestro non li avesse chiamati.
Non bisogna cercare la comunità ideale. 
Si tratta di amare quelli che Dio ci ha messo accanto oggi. Essi sono segno della presenza di Dio per noi. Avremmo forse voluto delle persone diverse, più allegre e più intelligenti. Ma sono loro che Dio ci ha dato, che ha scelto per noi. È con loro che dobbiamo creare l'unità e vivere l'alleanza.

- Jean Vanier - 
da: "La comunità luogo del perdono e della festa"


“Non di rado, nel mondo moderno, ci sentiamo perdenti. Ma l’avventura della speranza ci porta oltre. 
Un giorno ho trovato scritto su un calendario queste parole: «Il mondo è di chi lo ama e sa meglio dargliene la prova». 
Quanto sono vere queste parole! 
Nel cuore di ogni persona c’è un’infinita sete d’amore e noi, con quell’amore che Dio ha effuso nei nostri cuori, possiamo saziarla.”

+ card. François Xavier Nguyen van Thuân



"Come una sola sorgente può dare acqua a molti campi su una grande pianura, così la ricchezza di uno solo può salvare dalla miseria un gran numero di poveri, a meno che la parsimonia e l’avarizia di quest’uomo non faccia ostacolo, come un masso caduto nel ruscello ne cambia il corso. Non viviamo solo secondo la carne, viviamo secondo Dio."

- San Gregorio Nisseno -
 

"Carissimi, portate nel mondo digitale la testimonianza della vostra fede. Sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! 
A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito dell'evangelizzazione di questo continente digitale. sappiate farvi carico con entusiasmo dell'annuncio del Vangelo ai vostri coetanei" 

- papa Benedetto XVI -




Buona giornata a tutti. :-)

lunedì 16 agosto 2021

In prigione, per Cristo - Servo di Dio Card. Van Thuan

Il Card. Van Thuan ci aiuta a vivere questo tempo

Gesù, ieri pomeriggio, festa di Maria Assunta, sono stato arrestato. Trasportato durante la notte da Saigon fino a Nhatrang quattrocentocinquanta chilometri di distanza in mezzo a due poliziotti, ho cominciato l'esperienza di una vita di carcerato.
Tanti sentimenti confusi nella mia testa: tristezza, paura, tensione, il mio cuore lacerato per essere allontanato dal mio popolo. Umiliato, ricordo le parole della Sacra Scrittura: «E' stato annoverato tra i malfattori" (Lc 22,37). 

Ho attraversato in macchina le mie tre diocesi, Saigon, Phanthiet, Nhatrang: con tanto amore verso i miei fedeli, ma nessuno di loro sa che il loro Pastore sta passando, la prima tappa della sua Via crucis. Ma in questo mare di estrema amarezza, mi sento più che mai libero. 

Non ho niente con me, neanche un soldo, eccetto il mio rosario e la compagnia di Gesù e Maria. Sulla strada della prigionia ho pregato: «Tu sei il mio Dio e il mio tutto ». Gesù, ormai posso dire come san Paolo: «Io Francesco, a causa di Cristo, ora sono in prigione» (Ef 3,1). 

Nel buio della notte in mezzo a questo oceano di ansietà, d'incubo, piano piano mi risveglio: «Devo affrontare la realtà. » 

«Sono in prigione, se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte nella vita mi si presenteranno simili occasioni? No, afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario». 

Gesù, io non aspetterò, vivo il momento presente, colmandolo di amore. 

La linea retta è fatta di milioni di piccoli punti uniti uno all'altro. Anche la mia vita è fatta di milioni di secondi e di minuti uniti uno all'altro. Dispongo perfettamente ogni singolo punto e la linea sarà retta. Vivo con perfezione ogni minuto e la vita sarà santa. 

Il cammino della speranza è lastricato di piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza. Come tu, Gesù, che hai fatto sempre ciò che piace al Padre tuo. Ogni minuto voglio dirti: Gesù, ti amo, la mia vita è sempre una «nuova ed eterna alleanza» con te. Ogni minuto voglio cantare con tutta la Chiesa:


Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo...

Residenza obbligatoria a Cây-Vông (Nhatrang, Centro Viet Nam),
16 agosto 1975, all'indomani dell'Assunzione di Maria

Preghiera per la canonizzazione del Servo di dio Card. Van Thuan

"Non lasciarti scoraggiare dai fallimenti. Se hai cercato di fare la volontà di Dio, ogni fallimento può essere un successo ai suoi occhi, perchè questo è il modo che Dio ha scelto. 

Guarda all'esempio di Gesù sulla Croce."

 - Servo di Dio Card. Van Thuan - 


Buona giornata a tutti. :-)

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domenica 25 ottobre 2020

In prigione per Cristo -Cardinale Van Tuan Francois Xavier

 Mi chiamo Francesco Nguyen Van Thuan e sono vietnamita, ma in Tanzania e in Nigeria i giovani mi chiamano Uncle Francis; così è più semplice chiamarmi zio Francesco, o meglio solo Francesco.

Fino al 23 aprile 1975 sono stato, per 8 anni, vescovo di Nhatrang, nel centro del Viet Nam, la prima diocesi che mi è stata affidata, dove mi sentivo felice, e verso la quale conservo sempre la mia predilezione. Il 23 aprile 1975 Paolo VI mi ha promosso arcivescovo coadiutore di Saigon. Quando i comunisti sono arrivati a Saigon, mi hanno detto che questa nomina era frutto di un complotto tra il Vaticano e gli imperialisti, per organizzare la lotta contro il regime comunista. Tre mesi dopo, sono stato chiamato al Palazzo presidenziale per esservi arrestato: era il giorno dell' Assunzione della Beata Vergine, 15 agosto 1975.
Quella notte, su una strada lunga 450 km che porta al luogo della mia residenza obbligatoria, tanti pensieri confusi vengono alla mia mente: tristezza, abbandono, stanchezza, dopo 3 mesi di tensioni. .. 
Ma nella mia mente sorge chiara una parola che disperde tutto il buio, la parola che monsignor John Walsh, vescovo missionario in Cina, pronunciò quando fu liberato dopo 12 anni di prigionia: «Ho passato la metà della mia vita ad aspettare ». E verissimo: tutti i prigionieri, incluso io stesso, aspettano ogni minuto la liberazione. Ma poi ho deciso: «Io non aspetterò. Vivo il momento presente, colmandolo di amore».
Non è una ispirazione improvvisa, ma una convinzione che ho maturato in tutta la vita. Se io passo il mio tempo ad aspettare, forse le cose che aspetto non arriveranno mai. La sola cosa che sicuramente arriverà è la morte.

Nel villaggio di Cày Vong, dove sono stato assegnato con residenza obbligatoria, sotto la sorveglianza aperta e nascosta della polizia « confusa» tra il popolo, giorno e notte mi sentivo ossessionato dal pensiero: Popolo mio! Popolo mio che amo tanto: gregge senza pastore! Come posso entrare in contatto con il mio popolo, proprio nel momento in cui hanno più bisogno del loro pastore? Le librerie cattoliche sono state confiscate, chiuse le scuole; le suore, i religiosi insegnanti vanno a lavorare nei campi di riso. La separazione è uno shock che distrugge il mio cuore.
«Io non aspetterò. Vivo il momento presente, colmandolo di amore; ma come?».

Una notte, viene una luce: «Francesco, è molto semplice, fai come san Paolo quando era in prigione: scriveva lettere a varie comunità ». La mattina seguente, nell'ottobre 1975, ho fatto segno a un ragazzo di 7 anni, Quang, che ritornava dalla Messa alle 5, ancora nel buio: «Di' a tua mamma di comprare per me vecchi blocchi di calendari ». Nella tarda sera, di nuovo al buio, Quang mi ha portato i calendari, e tutte le notti di ottobre e di novembre del 1975 ho scritto al mio popolo il mio messaggio dalla cattività. Ogni mattina, il ragazzo veniva a raccogliere i fogli per portarli a casa e far ricopiare il messaggio dai suoi fratelli e dalle sue sorelle. Ecco come è stato scritto il libro Il cammino della speranza, pubblicato in 8 lingue: vietnamita, inglese, francese, italiano, tedesco, spagnolo, coreano, cinese.
La grazia di Dio mi ha dato l'energia per lavorare e per continuare, anche nei momenti più disperati. Ho scritto il libro di notte, in un mese e mezzo, perché avevo paura di non poterlo terminare: temevo di essere trasferito in un altro luogo. Quando sono arrivato al numero 1001 ho deciso di fermarmi: sono come le «mille e una notte »...

Nel 1980, in residenza obbligatoria a Giangxa, nel Viet Nam del Nord, ho scritto, sempre di notte e in segreto, il mio secondo libro, Il cammino della speranza alla luce della Parola di Dio e del Concilio Vaticano II, poi il mio terzo libro, I pellegrini del cammino della speranza:
« Io non aspetterò. Vivo il momento presente, colmandolo di amore ».
Gli apostoli avrebbero voluto scegliere la via facile: « Signore, lascia andare la folla, così che possa procurarsi il cibo... ». Ma Gesù vuole agire nel momento presente: «Date loro da mangiare voi stessi» (Lc 9,13). Sulla croce, quando il ladrone gli ha detto: «Gesù, ricordati di me, quando verrai nel tuo regno », egli ha risposto: «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,42-43). Nella parola« oggi» sentiamo tutto il perdono, tutto l'amore di Gesù.
Padre Massimiliano Kolbe viveva questo radicalismo quando ripeteva ai suoi novizi: « Tutto, assolutamente, senza condizione ». Ho sentito Dom Helder Camara dire: «La vita è imparare ad amare ». Una volta, Madre Teresa di Calcutta mi ha scritto: «L'importante non è il numero di azioni che facciamo, ma l'intensità di amore che mettiamo in ogni azione ».
Come attingere questa intensità di amore nel momento presente? Penso che devo vivere ogni giorno, ogni minuto come l'ultimo della mia vita. Lasciare tutto ciò che è accessorio, concentrarmi soltanto sull'essenziale. Ciascuna parola, ciascun gesto, ciascuna telefonata, ciascuna decisione è la cosa più bella della mia vita, riservo a tutti il mio amore, il mio sorriso; ho paura di perdere un secondo, vivendo senza senso...
Ho scritto nel libro Il cammino della speranza: «Per te, il momento più bello è il momento presente (cfr. Mt 6,34; Gc 4,13-15). Vivilo appieno nell' amore di Dio. La tua vita sarà meravigliosamente bella se sarà come un cristallo formato da milioni di tali momenti. Vedi come è facile?» (CS, n. 997).
Carissimi giovani, nel momento presente Gesù ha bisogno di voi. Giovanni Paolo II vi chiama, insistente, ad affrontare le sfide del mondo di oggi: « Viviamo in un' epoca di grandi trasformazioni, nella quale tramontano rapidamente ideologie che sembravano dover resistere a lungo all'usura del tempo e nel pianeta si vanno ridisegnando confini e frontiere. L'umanità si ritrova spesso incerta, confusa e preoccupata (Mt 9,36), ma la parola di Dio non tramonta; percorre la storia e, nel mutare degli eventi, resta stabile e luminosa (Mt 24,35). La fede della Chiesa è fondata su Gesù Cristo, unico salvatore del mondo: ieri, oggi e sempre (Eb 13,8)» (Giovanni Paolo II, Messaggio per la XII giornata mondiale della Gioventù, 1997, n. 2).

(cardinale Van Tuan Francois Xavier)

un pò di biografia: http://leggoerifletto.blogspot.it/2012/09/francois-xavier-nguyen-van-thuan.html



"Ogni Paese, non solo il mio, 
ha bisogno di pace.
La pace nasce dal cuore
e per raggiungerla 
bisogna sradicare la fonte dell'odio 
che è la paura"

Aung San Suu Kyi,
premio Nobel per la pace 
in udienza dal Papa 29 ottobre 2013




Buona giornata a tutti :-)

martedì 14 aprile 2020

La pace del cuore - Wilfrid Stinissen

Non c’è abbandono senza la pace del cuore.
Abbandonare allo spirito divino tutti noi stessi, tutto quel che siamo e quel che facciamo, è possibile soltanto se si è sulla sua stessa lunghezza d’onda, il che vuol dire se si è in pace, perché il nostro è un Dio di pace (cf. 1Cor 14,33).
Quando l’anima è inquieta e il cuore agitato, non filtriamo più i suggerimenti dello Spirito divino. 
«La regola d’oro della vita interiore – scrive il de Caussade – è la pace del cuore.
Bisogna proteggerla con la massima cura ed ogni volta che la si sente minacciata abbandonare qualsiasi altra cosa per tentare di reinstaurarla, proprio come quando scoppia un incendio e si pensa solo a correre a spegnere il fuoco.
Satana usa ogni sua astuzia per privarci della pace.
Mille pretesti sono buoni, persino quelli dettati da una falsa pietà: l’urgenza di esaminare la propria coscienza, di pentirsi dei peccati, di rendersi conto che si abusa della grazia divina, che non si progredisce nel santo viaggio per cui Dio finirà con l’abbandonarci, e altri cento imbrogli che ben pochi riuscirebbero a districare.
Per i maestri della vita interiore, che sanno distinguere la bianca farina di Dio dalla crusca del diavolo, le aspirazioni divine sono sempre miti e pacifiche e generano umiltà e fiducia, le altre invece si distinguono per la violenza, l’agitazione e il frastuono, fanno cadere nello scoraggiamento, portano all'incredulità, alla presunzione, all’insolenza e all’ostinazione.

Allontaniamo quindi sempre da noi quel che non è impregnato di pace, sottomissione, docilità e fiducia, quel che non è dotato di tutti quegli aspetti che sono contrassegnati dal sigillo divino».
Per conservare ed aumentare la pace interiore ci sarà di aiuto compiere le nostre azioni in maniera rilassata, con calma, senza mai perdere il dominio di noi stessi. La tensione sta spesso ad indicare il predominio dell’ego.
Dio non è mai stato un fautore di tensioni.
Ciascuno di noi ha un suo ritmo che va rispettato, quando lo si violenta, senza che sia strettamente necessario, ci si allontana da Dio.
Se non siamo in armonia con noi stessi non possiamo esserlo con Dio.

La calma, il silenzio, la distensione non solo sono benefici al fisico e alla mente, ma producono una maggiore apertura a Dio, ed incarnano in noi la sua pace, che come scrive san Paolo deve «regnare» nel cuori (Col 3,15).

- Wilfrid Stinissen -
Fonte : da “Padre nelle tue mani”




Forse l’uomo d’oggi non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute nella parola «padre» con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, perché la figura paterna spesso oggi non è sufficientemente presente, anche spesso non è sufficientemente positiva nella vita quotidiana. 

- Papa Benedetto XVI - 
Udienza Generale 23 maggio 2012


Siamo ancora tutti quanti in casa. Nel nord-Italia le cose vanno leggermente meglio, ma i morti sono ancora tanti. 
E' stata sollevata, da più parti, l'ipotesi che l'inquinamento dell'aria possa agire come vettore dell'infezione e come fattore peggiorativo dell'impatto sanitario della pandemia in corso. 
Molti mi scrivono che son stanchi di stare in casa, peggio che in prigione e trovano tutte le scuse per uscire. Qualcuno va a fare la spesa dieci volte al giorno e pare ci sia un giro di cani prestati ai vicini di casa come scusa per poter fare una passeggiatina. 

L'autentica rivoluzione cristiana è "l'assolutamente impensabile": vivere ogni giorno dentro a quel giorno, sino in fondo. 

Scriveva il Card. Van Thuan: "Sono in prigione, se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte nella vita mi si presenteranno simili occasioni? No, afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario". 

Vivere, in pace e felici, nel grigio quotidiano è la vera novità cristiana, dalla quale tutti vogliono invece fuggire. 
Stare dove il Signore ci ha posti, senza sperare un altro luogo, senza voli mentali in paradisi illusori annunciati da falsi profeti, padri d'ogni ideologia e d'ogni idealismo. 
Per chi guarda gli eventi con gli occhi di Cristo il grigio rivela i colori meravigliosi che nasconde. 
Le ferite gloriose di Cristo sono le soglie dischiuse sul cammino alla Vita eterna dentro la vita quotidiana.

Buona giornata a tutti. :-)
Stefania



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domenica 26 febbraio 2017

La stola presbiterale - Constantin Virgil Georghiu

Quando, davanti alla porta, arrivava un cristiano a cavallo, si sapeva che da qualche parte era successo qualche cosa di grave... prima che l'uomo bussasse alla porta mio padre era già pronto a partire con lui. 
Preparava svelto la borsa nella quale si trovava sempre l'Euchologio o libro di preghiere, la croce di legno, grande come il libro, le Sante Specie e il cucchiaino per la comunione, il labìs, o pinzette "per i divini carboni ardenti". Questo cucchiaino era d'argento, sempre molto pulito e luccicante, ma talmente usato che da una parte ne mancava. 
Esso è sempre servito solo per la comunione; lo si posa sulle labbra del fedele, con il pane bagnato nel vino, che sono il Corpo e il Sangue di Cristo... ero estremamente emozionato al pensiero che con esso anch'io avrei distribuito il Corpo e il Sangue di Dio. 
Il libro delle preghiere, la custodia delle Sante Specie e il cucchiaino erano avvolti nell'epitrakèlion e riposti nella borsa. 
L'epitrakèlion o stola, è l'ornamento primo che testimonia della dignità, del potere e della grazia sacerdotale. 
Letteralmente, epitrakèlion significa "sul collo" o "attorno al collo". Consiste in una lunga striscia di stoffa di lino o di seta, larga sei centimetri, che il sacerdote porta attorno al collo e le cui estremità ricadono in avanti, fin sotto il ginocchio. Queste due strisce che ricadono in avanti sono tenute insieme da dei bottoni, delle fibie o da una cucitura. In generale, esse sono ricamate con sette croci e con immagini di santi, e terminano con delle frange. L'epitrakèlion o stola simboleggia anzitutto il giogo di Cristo, che ogni sacerdote deve portare sulla terra. A causa di ciò, per ogni ufficio sacerdotale, anche per il più breve, il sacerdote deve portare attorno al collo "il giogo", l'epitrakèlion. 
Le frange simbolizzano le anime dei fedeli. 
L'epitrakèlion rappresenta il giogo di Cristo, ma rappresenta anche la grazia di Dio, effusa sul sacerdote, e il potere dello Spirito Santo, il potere sacerdotale. 
Per richiamare questa grazia e questo potere discesi dall'alto e riversati su di lui, il sacerdote, mettendo la stola attorno al collo prima dell'ufficio, recita ogni volta questa preghiera: "Benedetto sia Dio, che versa la sua grazia sui suoi sacerdoti, come il profumo effuso sulla testa di Aronne discese sulla sua barba e sulla frangia del suo vestito".... 
Il prete non può mai celebrare senza avere attorno al collo il giogo del sacerdozio. Se un prete si trova rinchiuso in una prigione o in un campo di concentramento, e se è spogliato di tutto, prima di celebrare deve trovare una stola, un giogo, un epitrakèlion. Deve strappare la sua tonaca o la sua camicia, farne una striscia che benedirà e metterà attorno al collo, a modo di epitrakèlion. 
E se il sacerdote non può trovare una striscia, allora deve utilizzare, come stola una corda. Qualsiasi corda. E servirà validamente da stola, da epitrakèlion, da ornamento sacerdotale (cf Simeone di Tessalonica). 
Nel corso dei secoli passati, i miei antenati, i sacerdoti di Petrodava, hanno dovuto passare una buona parte della loro vita, con i loro parrocchiani, rifugiati sulle rocce, nelle foreste e negli anfratti selvaggi dei loro Carpazi, a causa degli invasori dall'est. 
Lassù, vicini al cielo, i sacerdoti, come ornamento sacerdotale per i battesimi, per i funerali, per la comunione, non potevano fare altra cosa che prendere la corda che attaccava i loro cavalli e mettersela attorno al collo. 
Era il loro unico ornamento sacerdotale. 
Guardando dall'alto del cielo, gli angeli, che sono i cerimonieri della Chiesa, non sono mai rimasti scandalizzati e non hanno mai sorriso; semplicemente, hanno asciugato una lacrima alla vista di quei poveri preti proletari, con i piedi nudi nella montagna moldava, e che utilizzavano la corda dei loro animali come ornamento sacerdotale. 
Dopo la seconda guerra mondiale, migliaia e migliaia di preti, della mia famiglia e del mio popolo, sono stati impiccati agli alberi dei loro villaggi. Non avevano bisogno di cercare una corda per servirsene da epitrakèlion per dire la loro preghiera prima di morire. 
I carnefici mettevano loro la stola attorno al collo: la corda e l'ornamento sacerdotale nelle stesso tempo.. 
Soprattutto l'ornamento sacerdotale. 
Perché la morte, per un sacerdote, è una promozione: lascia la chiesa terrena, che è una copia, per andare nella cattedrale celeste, dove celebrerà la sublime e divina Liturgia, a fianco del nostro unico vescovo, il Signore Gesù Cristo.

- Constantin Virgil Georghiu, prete ortodosso
da: "Dalla venticinquesima ora all'eternità", ed. San Paolo, 2007


Anthonius Brouwer, Gli ultimi momenti dei martiri di Gorkum, 
1879 circa, Biblioteca Nazionale dei Paesi Bassi

Le Messe più belle Cardinale F.X. Nguyen Van Thuan

Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... 
Ho scritto: "Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco". 
I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l'etichetta "medicina contro il mal di stomaco", e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. [...] 
Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. 
Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! [...] 
Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. [...] 
Erano le più belle Messe della mia vita.

- F.X. Nguyen van Thuan - 
vietnamita, quando era Arcivescovo, trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui nove in isolamento. Questo è quello che disse a proposito della celebrazione eucaristica.




Buona giornata a tutti. :-)





martedì 20 settembre 2016

Perseguitati per la Fede

17 gennaio 1954, domenica
Una cornacchia si è seduta in cima ad un alto abete. Si è guardata attorno con espressione autoritaria e ha emesso un grido di vittoria. A questo essere rumoroso sembra davvero che l'abete le debba tutto: la sua esistenza, la sua bellezza slanciata, il verde sempre vivo, la forza nella lotta col vento. 
Questa superbia della Cornacchia è stupefacente. 
Grande benefattrice dell'abete silenzioso! E l'abete neppure trema; sembra che non veda la cornacchia; meditabondo leva i suoi rami verso il cielo. Sopporta tranquillamente l'ospite rumoroso. 
Nulla turba i suoi pensieri, la sua serietà, la sua pace. Tante nubi sono già passate su di lui, tanti uccelli si sono fermati qui! E se ne sono andati, così come tu te ne andrai. 
Questo non è il tuo posto, non ti senti sicura e urlando così cerchi di supplire alla mancanza di forza. 
Io sono cresciuto da questa terra e sono piantato con le mie radici nel suo cuore. E tu, nube passeggera, che getti un'ombra di tristezza sulla mia cima dorata, sei in balia dei venti. Bisogna sopportarti tranquillamente. 
Tu gracchi la tua canzone noiosa, senza anima e povera, poi te ne vai. Che cosa riesci a fare con un urlo? 
Io resto, per perseverare nel raccoglimento, per costruire la mia pazienza, per sopportare turbini e tempeste, per andare sempre più in alto, tranquillamente. Non mi oscuri il sole, non mi affascini, non muti il fine del mio salire. C'era il bosco e voi non c'eravate, non ci sarete e ci sarà il bosco. 
Una favola? Non, non è una favola.

Stefan Wyszynski - 
da: Appunti dalla prigione


Servo di Dio Stefan Wyszynski Cardinale, Primate di Polonia
Zuzela, Polonia, 3 agosto 1901 - Varsavia, Polonia, 28 maggio 1981

Arcivescovo, Cardinale primate di Polonia, ha svolto un ruolo determinante non solo nella evoluzione dei rapporti tra Chiesa cattolica ed uno Stato a regime comunista, ma nello stesso sviluppo della storia del suo paese durante la Guerra Fredda. Chiamato nel 1948 a reggere le diocesi di Gniezno e Varsavia, come altri prelati degli Stati dell'Est europeo si trovò, negli anni dello stalinismo, impedito di esercitare la propria missione. Nel 1953 ci fu una dura fase di repressione contro la Chiesa; il 25 settembre è arrestato, internato, isolato da ogni contatto è liberato il 28 ottobre 1956. La persecuzione non fece però perdere la serenità di visione al cardinale che, nell'ottobre del 1956, quando la Polonia si ribellò alla dittatura sovietica e si avviò sulla via nazionale al socialismo riaffidando la guida del partito a Gomulka (Rivolta di Poznan), diede prova di notevole sensibilità politica. Wyszynski infatti fu pronto a concordare con Gomulka un modus vivendi tra Stato e Chiesa evitando atteggiamenti che avrebbero potuto accrescere la tensione nel Paese e favorire un intervento armato sovietico. La moderazione del cardinale venne giudicata eccessiva dagli ambienti più conservatori della Curia romana.
Quando il primate polacco, nel 1957, poté compiere il suo viaggio a Roma per rendere visita a papa Pio XII dovette fare alcuni giorni di anticamera.
Grande amico di papa Giovanni Paolo II, il suo funerale fu un evento nazionale a cui non poté assistere il papa perché ancora ricoverato al Gemelli dopo il celebre attentato. (da Santi e Beati)

"Appunti... 1953-56" date alle stampe 3 settimane prima di morire, sono note personali.


Le Messe più belle  - Cardinale F.X. Nguyen Van Thuan

Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... Ho scritto: "Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco". I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l'etichetta "medicina contro il mal di stomaco", e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. [...] Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! [...] Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. [...] Erano le più belle Messe della mia vita.

F.X. Nguyen van Thuan, vietnamita, quando era Arcivescovo, trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui nove in isolamento. 

qui trovate il link con una breve biografia:



Mia madre - card. Joseph Mindszenty

Un decennio prima della mia terza prigionia avevo scritto queste parole sull'amore materno: «Sarai dimenticato dai tuoi superiori dopo averli serviti; dai tuoi dipendenti, allorché essi non percepiranno più il tuo potere; i tuoi amici, quando verrai a trovarti in difficoltà... Solo tua madre ti attende davanti al portone della prigione. Nella profondità del carcere possiedi soltanto l'amore della madre. Solo lei scende con te laggiù. E se sarai precipitato ancor più in basso del carcere, nell'abisso del penitenziario, della casa dei condannati a morte, solo lei non avrà paura di varcare quella soglia...».
Quando scrivevo quelle parole non pensavo che la mia vecchia madre sarebbe stata l'unica stella nel cielo oscuro della mia prigionia e che lei sola mi avrebbe visitato e abbracciato durante gli otto anni di segregazione in carcere.
Chi è mia madre? Una donna di ottantacinque anni, madre di sei figli, che viveva nella sua casa di Mindszent circondata dal rispetto e dall'amore di quattordici nipoti e altrettanti pronipoti. Al tempo del mio arresto e quando io finii trascinato nel fango, ella aveva settantaquattro anni ed era rimasta vedova da due anni. Anche se proveniva da un ambiente semplice e paesano, si precipitò per aiutarmi e mi stette a fianco fino alla sua morte con intelligenza e con tatto. Fu capace di rintracciarmi nel mondo disumano delle prigioni comuniste. Prima d'allora non aveva mai varcato la soglia di un ministero. Ora invece abbordava i dirigenti del partito che erano giunti al potere in maniera illegale. Ciò fu per lei una croce pesante. Ma dovunque compariva, nei ministeri, in prigione, nel penitenziario, il suo atteggiamento testimoniava la sua forza d'animo.
Mia madre mi visitò ventidue volte durante la mia prigionia. Dei sette diversi posti in cui fui detenuto ella ne vide solo tre: l'ospedale della prigione, Püspökszentlàsló e Felső; Petény. Non potè vedere gli altri quattro.
Per compiere quei viaggi ella aveva coperto una distanza di dodicimila chilometri. E quando Dio la chiamò da questa vita terrena, suo figlio prigioniero non poté prender parte neppure alla sua sepoltura per ripagarla un po' di tante fatiche e di tanti sacrifici.
Era molto triste per l'imminente nuova collettivizzazione delle vigne, dei campi, dei prati e dei boschi della nostra famiglia. Quello che la faceva soffrire non erano in primo luogo le perdite materiali ma l'attaccamento al proprio pezzo di terra che aveva coltivato per tutta una vita. Ciò rappresentava la fine dell'indipendenza delle famiglie; l'educazione dei figli e la santificazione delle domeniche e dei giorni festivi ne avrebbero sofferto.
Il 5 febbraio 1960 ruppi le lenti degli occhiali e non fui in grado di sostituirle subito in quella clausura. Così mi limitai a recitare il rosario e a leggere il messale con l'aiuto di una lente. Come al solito, al memento dei vivi la ricordai, ma avrei già dovuto includerla nel memento dei morti. Verso le undici dello stesso giorno il segretario dell'ambasciata venne a trovarmi con in mano un telegramma. Non lo aveva ancora deposto sul tavolo che io già lo sapevo: mia madre era morta.
In quel giorno oscuro non toccai cibo e non aprii libro; la sua morte mi aveva sconvolto. Recitai la sua preghiera preferita, il rosario. Piansi la sua perdita e poi mi calmai. La gratitudine per averla avuta durante la vita doveva essere più grande del dolore per la sua dipartita verso la patria.
In quelle ore ripensai ai giorni passati a Ostia e alle lacrime versate su sua madre dall'Agostino ormai convertito al cristianesimo.
Durante la notte mia sorella notò un cambiamento e mandò subito a chiamare il parroco. Mia mamma sapeva che era venuta la sua ora. Nella sua mano teneva accesa la candela dei moribondi.
Negli ultimi quarti d'ora aveva pregato con devozione assieme ai famigliari e si era addormentata nell'eternità senza agonia.
Tutti gli anni mia madre soleva passare in preghiera la notte della vigilia di Pasqua al cimitero, in compagnia delle donne del villaggio sue amiche. Solo quando cominciava ad albeggiare ritornavano a casa per preparare i cibi pasquali per la benedizione. La fede nella risurrezione dei morti era profondamente radicata nel suo cuore. Per lei la risurrezione di Cristo e la risurrezione della carne erano due proposizioni di fede strettamente unite, conforme all'insegnamento dell'apostolo Paolo. Sapeva in chi aveva creduto e perciò non sarà delusa; questa è la mia ferma convinzione.
Quanto spesso ho pensato: "...Solo quando giacerà sotto terra capirò veramente il suo valore e la grazia inestimabile che ho avuto in lei". Oggi mi sento non solo povero ma anche profondamente in colpa di fronte a quella tomba, che non ho mai potuto visitare e che verosimilmente non vedrò mai.
Mia madre è stata una santa. In lei e attorno a lei non ho mai visto alcunché di disdicevole, ma solo cose buone e belle. Sono fermamente convinto che ella è felice nell'eternità e sospiro in questa valle di lacrime di poterla un giorno rivedere nella gioia.

- card. Joseph Mindszenty - 
da: Memorie


Servo di Dio Jozsef Mindszenty Cardinale, Primate d’Ungheria
Csehimindszent, Austria-Ungheria, 29 marzo 1892 - Vienna, Austria, 6 maggio 1975

Già Primate d’Ungheria, venne nominato cardinale da papa Pio XII nel 1946. Per la sua tenace opposizione al regime comunista, venne arrestato una prima volta nel 1944 con l'accusa di alto tradimento. Rilasciato l'anno seguente, fu nuovamente incarcerato il 26 dicembre 1948 e condannato all'ergastolo l'anno successivo con l'accusa di cospirazione tesa a rovesciare il governo comunista ungherese. Liberato dopo otto anni di carcere durante la insurrezione popolare del 1956, trovò asilo politico nell'ambasciata americana di Budapest. Per molti anni Mindszenty rifiutò l'invito del Vaticano a trovare riparo presso lo stato pontificio e solo quindici anni dopo, nel 1971, con l'interessamento dell'allora presidente Nixon, poté finalmente lasciare l'ambasciata e raggiungere la Santa Sede. Poco dopo si stabilì a Vienna, dove morì per un arresto cardiaco susseguente ad un intervento chirurgico. Nel 1991 le sue ceneri vennero solennemente trasportate da Mariazell ad Esztergom, città ungherese nella quale fu arcivescovo, per essere tumulate nella cripta della Basilica.
 (Da Santi e Beati)


Buona giornata a tutti. :-)