17 gennaio 1954, domenica
Una cornacchia si è seduta in cima ad un alto abete. Si è
guardata attorno con espressione autoritaria e ha emesso un grido di vittoria.
A questo essere rumoroso sembra davvero che l'abete le debba tutto: la sua
esistenza, la sua bellezza slanciata, il verde sempre vivo, la forza nella
lotta col vento.
Questa superbia della Cornacchia è stupefacente.
Grande
benefattrice dell'abete silenzioso! E l'abete neppure trema; sembra che non
veda la cornacchia; meditabondo leva i suoi rami verso il cielo. Sopporta tranquillamente
l'ospite rumoroso.
Nulla turba i suoi pensieri, la sua serietà, la sua pace.
Tante nubi sono già passate su di lui, tanti uccelli si sono fermati qui! E se
ne sono andati, così come tu te ne andrai.
Questo non è il tuo posto, non ti
senti sicura e urlando così cerchi di supplire alla mancanza di forza.
Io sono
cresciuto da questa terra e sono piantato con le mie radici nel suo cuore. E
tu, nube passeggera, che getti un'ombra di tristezza sulla mia cima dorata, sei
in balia dei venti. Bisogna sopportarti tranquillamente.
Tu gracchi la tua
canzone noiosa, senza anima e povera, poi te ne vai. Che cosa riesci a fare con
un urlo?
Io resto, per perseverare nel raccoglimento, per costruire la mia
pazienza, per sopportare turbini e tempeste, per andare sempre più in alto,
tranquillamente. Non mi oscuri il sole, non mi affascini, non muti il fine del
mio salire. C'era il bosco e voi non c'eravate, non ci sarete e ci sarà il
bosco.
Una favola? Non, non è una favola.
- Stefan Wyszynski -
da: Appunti dalla prigione
Servo di Dio Stefan Wyszynski Cardinale, Primate di
Polonia
Zuzela, Polonia, 3 agosto 1901 - Varsavia, Polonia, 28
maggio 1981
Arcivescovo, Cardinale primate di Polonia, ha svolto un
ruolo determinante non solo nella evoluzione dei rapporti tra Chiesa cattolica
ed uno Stato a regime comunista, ma nello stesso sviluppo della storia del suo
paese durante la Guerra Fredda. Chiamato nel 1948 a reggere le diocesi di
Gniezno e Varsavia, come altri prelati degli Stati dell'Est europeo si trovò,
negli anni dello stalinismo, impedito di esercitare la propria missione. Nel 1953 ci fu una dura fase di repressione contro la Chiesa; il 25 settembre è arrestato, internato, isolato da ogni contatto è liberato il 28 ottobre 1956. La
persecuzione non fece però perdere la serenità di visione al cardinale che,
nell'ottobre del 1956, quando la Polonia si ribellò alla dittatura sovietica e
si avviò sulla via nazionale al socialismo riaffidando la guida del partito a
Gomulka (Rivolta di Poznan), diede prova di notevole sensibilità politica.
Wyszynski infatti fu pronto a concordare con Gomulka un modus vivendi tra Stato
e Chiesa evitando atteggiamenti che avrebbero potuto accrescere la tensione nel
Paese e favorire un intervento armato sovietico. La moderazione del cardinale
venne giudicata eccessiva dagli ambienti più conservatori della Curia romana.
Quando il primate polacco, nel 1957, poté compiere il suo
viaggio a Roma per rendere visita a papa Pio XII dovette fare alcuni giorni di
anticamera.
Grande amico di papa Giovanni Paolo II, il suo funerale
fu un evento nazionale a cui non poté assistere il papa perché ancora
ricoverato al Gemelli dopo il celebre attentato. (da Santi e Beati)
"Appunti... 1953-56" date alle stampe 3 settimane prima di morire, sono note personali.
Le Messe più
belle - Cardinale
F.X. Nguyen Van Thuan
Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito,
a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere
le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... Ho scritto: "Per favore,
mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco". I
fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per
la Messa, con l'etichetta "medicina contro il mal di stomaco", e
delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. [...] Non potrò mai
esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia
d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare
ed era questa la mia cattedrale! [...] Ogni volta avevo l'opportunità di
stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il
calice più amaro. [...] Erano le più belle Messe della mia vita.
F.X. Nguyen van Thuan, vietnamita, quando era
Arcivescovo, trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui
nove in isolamento.
qui trovate il link con una breve biografia:
Mia madre - card. Joseph
Mindszenty
Un decennio prima della mia terza prigionia avevo scritto
queste parole sull'amore materno: «Sarai dimenticato dai tuoi superiori dopo
averli serviti; dai tuoi dipendenti, allorché essi non percepiranno più il tuo
potere; i tuoi amici, quando verrai a trovarti in difficoltà... Solo tua madre
ti attende davanti al portone della prigione. Nella profondità del carcere
possiedi soltanto l'amore della madre. Solo lei scende con te laggiù. E se
sarai precipitato ancor più in basso del carcere, nell'abisso del penitenziario,
della casa dei condannati a morte, solo lei non avrà paura di varcare quella
soglia...».
Quando scrivevo quelle parole non pensavo che la mia
vecchia madre sarebbe stata l'unica stella nel cielo oscuro della mia prigionia
e che lei sola mi avrebbe visitato e abbracciato durante gli otto anni di
segregazione in carcere.
Chi è mia madre? Una donna di ottantacinque anni, madre
di sei figli, che viveva nella sua casa di Mindszent circondata dal rispetto e
dall'amore di quattordici nipoti e altrettanti pronipoti. Al tempo del mio
arresto e quando io finii trascinato nel fango, ella aveva settantaquattro anni
ed era rimasta vedova da due anni. Anche se proveniva da un ambiente semplice e
paesano, si precipitò per aiutarmi e mi stette a fianco fino alla sua morte con
intelligenza e con tatto. Fu capace di rintracciarmi nel mondo disumano delle
prigioni comuniste. Prima d'allora non aveva mai varcato la soglia di un
ministero. Ora invece abbordava i dirigenti del partito che erano giunti al
potere in maniera illegale. Ciò fu per lei una croce pesante. Ma dovunque
compariva, nei ministeri, in prigione, nel penitenziario, il suo
atteggiamento testimoniava la sua forza d'animo.
Mia madre mi visitò ventidue volte durante la mia
prigionia. Dei sette diversi posti in cui fui detenuto ella ne vide solo tre:
l'ospedale della prigione, Püspökszentlàsló e Felső; Petény. Non potè
vedere gli altri quattro.
Per compiere quei viaggi ella aveva coperto una distanza
di dodicimila chilometri. E quando Dio la chiamò da questa vita terrena, suo
figlio prigioniero non poté prender parte neppure alla sua sepoltura per
ripagarla un po' di tante fatiche e di tanti sacrifici.
Era molto triste per l'imminente nuova collettivizzazione
delle vigne, dei campi, dei prati e dei boschi della nostra famiglia. Quello
che la faceva soffrire non erano in primo luogo le perdite materiali ma
l'attaccamento al proprio pezzo di terra che aveva coltivato per tutta una
vita. Ciò rappresentava la fine dell'indipendenza delle famiglie; l'educazione dei
figli e la santificazione delle domeniche e dei giorni festivi ne avrebbero
sofferto.
Il 5 febbraio 1960 ruppi le lenti degli occhiali e non
fui in grado di sostituirle subito in quella clausura. Così mi limitai a
recitare il rosario e a leggere il messale con l'aiuto di una lente. Come al
solito, al memento dei vivi la ricordai, ma avrei già dovuto includerla nel
memento dei morti. Verso le undici dello stesso giorno il segretario
dell'ambasciata venne a trovarmi con in mano un telegramma. Non lo aveva ancora
deposto sul tavolo che io già lo sapevo: mia madre era morta.
In quel giorno oscuro non toccai cibo e non aprii libro;
la sua morte mi aveva sconvolto. Recitai la sua preghiera preferita, il
rosario. Piansi la sua perdita e poi mi calmai. La gratitudine per averla avuta
durante la vita doveva essere più grande del dolore per la sua dipartita verso
la patria.
In quelle ore ripensai ai giorni passati a Ostia e alle
lacrime versate su sua madre dall'Agostino ormai convertito al cristianesimo.
Durante la notte mia sorella notò un cambiamento e mandò
subito a chiamare il parroco. Mia mamma sapeva che era venuta la sua ora. Nella
sua mano teneva accesa la candela dei moribondi.
Negli ultimi quarti d'ora aveva pregato con devozione
assieme ai famigliari e si era addormentata nell'eternità senza agonia.
Tutti gli anni mia madre soleva passare in preghiera la
notte della vigilia di Pasqua al cimitero, in compagnia delle donne del
villaggio sue amiche. Solo quando cominciava ad albeggiare ritornavano a casa
per preparare i cibi pasquali per la benedizione. La fede nella risurrezione
dei morti era profondamente radicata nel suo cuore. Per lei la risurrezione di
Cristo e la risurrezione della carne erano due proposizioni di fede
strettamente unite, conforme all'insegnamento dell'apostolo Paolo. Sapeva in
chi aveva creduto e perciò non sarà delusa; questa è la mia ferma convinzione.
Quanto spesso ho pensato: "...Solo quando giacerà
sotto terra capirò veramente il suo valore e la grazia inestimabile che ho
avuto in lei". Oggi mi sento non solo povero ma anche profondamente in
colpa di fronte a quella tomba, che non ho mai potuto visitare e che
verosimilmente non vedrò mai.
Mia madre è stata una santa. In lei e attorno a lei non
ho mai visto alcunché di disdicevole, ma solo cose buone e belle. Sono
fermamente convinto che ella è felice nell'eternità e sospiro in questa valle
di lacrime di poterla un giorno rivedere nella gioia.
- card. Joseph Mindszenty -
da: Memorie
Servo di Dio Jozsef Mindszenty Cardinale, Primate
d’Ungheria
Csehimindszent, Austria-Ungheria, 29 marzo 1892 - Vienna,
Austria, 6 maggio 1975
Già Primate d’Ungheria, venne nominato cardinale da papa
Pio XII nel 1946. Per la sua tenace opposizione al regime comunista, venne
arrestato una prima volta nel 1944 con l'accusa di alto tradimento. Rilasciato
l'anno seguente, fu nuovamente incarcerato il 26 dicembre 1948 e condannato
all'ergastolo l'anno successivo con l'accusa di cospirazione tesa a rovesciare
il governo comunista ungherese. Liberato dopo otto anni di carcere durante la
insurrezione popolare del 1956, trovò asilo politico nell'ambasciata americana
di Budapest. Per molti anni Mindszenty rifiutò l'invito del Vaticano a trovare
riparo presso lo stato pontificio e solo quindici anni dopo, nel 1971, con
l'interessamento dell'allora presidente Nixon, poté finalmente lasciare
l'ambasciata e raggiungere la Santa Sede. Poco dopo si stabilì a Vienna, dove
morì per un arresto cardiaco susseguente ad un intervento chirurgico. Nel 1991
le sue ceneri vennero solennemente trasportate da Mariazell ad Esztergom, città
ungherese nella quale fu arcivescovo, per essere tumulate nella cripta della
Basilica.
(Da Santi e Beati)
Buona giornata a tutti. :-)
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