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lunedì 5 aprile 2021

O Signore risorto….- Madre Teresa di Calcutta

O Signore risorto,
fa’ che ti apra
quando bussi alla mia porta.

Donami gioia vera
per testimoniare al mondo
che sei morto e risorto
per sconfiggere il male.
Fa’ che ti veda e ti serva
nel fratello sofferente,
malato, abbandonato, perseguitato…
aiutami a riconoscerti
in ogni avvenimento della vita
e donami un cuore sensibile
alle necessità del mondo.

O Signore risorto,
riempi il mio cuore
di piccole opere di carità,
quelle che si concretizzano in un sorriso,
in un atto di pazienza e di accettazione,
in un dono di benevolenza e di compassione,
in un atteggiamento di perdono cordiale,
in un aiuto materiale secondo le mie possibilità.
Amen.

- Madre Teresa di Calcutta -

Fonte: “Vivi davvero! Da madre Teresa parole di saggezza” a cura di L. Guglielmoni, F.Negri. Ed.Paoline



Leggendo la Scrittura apprendiamo però anche che Cristo e lo Spirito Santo sono inseparabili tra loro. Se Paolo con sconcertante sintesi afferma: Il Signore è lo Spirito (2 Cor 3, 17), appare non solo, nello sfondo, l’unità trinitaria tra il Figlio e lo Spirito Santo, ma soprattutto la loro unità riguardo alla storia della salvezza: nella passione e risurrezione di Cristo vengono strappati i veli del senso meramente letterale e si rende visibile la presenza del Dio che sta parlando. 
Leggendo la Scrittura insieme con Cristo, impariamo a sentire nelle parole umane la voce dello Spirito Santo e scopriamo l’unità della Bibbia. […] 
Nella maniera forse più bella essa si manifesta nel racconto di san Giovanni circa la prima apparizione del Risorto davanti ai discepoli: il Signore alita sui discepoli e dona loro in questo modo lo Spirito Santo. 
Lo Spirito Santo è il soffio di Cristo. E come il soffio di Dio nel mattino della creazione aveva trasformato la polvere del suolo nell’uomo vivente, così il soffio di Cristo ci accoglie nella comunione ontologica con il Figlio, ci rende nuova creazione. Per questo è lo Spirito Santo che ci fa dire insieme col Figlio: Abba, Padre! (cfr Gv 20, 22; Rm 8, 15).

- papa Benedetto XVI - 
discorso alla Curia romana, Sala Clementina, 22 dicembre 2008




Chi ha dato la luce ai ciechi, purificato i lebbrosi, drizzato gli storpi e camminato a piedi asciutti sul mare come su terra ferma? 
Non forse il Cristo Dio che risuscita i morti? 
Chi ha risuscitato dalla tomba un morto di quattro giorni, e il figlio della vedova? 
Chi, come Dio, ha drizzato il paralitico costretto a letto? 
Grida la pietra stessa, gridano i sigilli che avete messo, aggiungendo guardie per sorvegliare il sepolcro: 
Cristo è veramente risorto e vive nei secoli!

- Sant' Andrea di Creta - 
Canone orientale dei vespri della domenica delle mirofore



Buon lunedì in albis :-)







lunedì 3 giugno 2019

I poveri fanno paura – don Primo Mazzolari

Incredibile che il più buono degli uomini, il più mansueto, colui che da secoli porta la croce di tutti, faccia paura!

Eppure, molti hanno paura del povero, come molti Farisei avevano paura di Cristo, non soltanto quando predicava, ma pur quando, condannato a morte, saliva il Calvario. 

Anche morto ave­vano così paura di Lui che misero le guardie al Sepolcro.

Non fa paura il povero, non fa paura la voce di giustizia che Dio fa sua, ma il numero dei poveri.
Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono con­tare: i poveri si abbracciano, non si contano. 

Eppure v’è chi tiene la statistica dei poveri e ne ha paura : paura di una pazienza che si può anche stancare, paura di un silenzio che potrebbe 

di­ventare un urlo, paura del loro lamento che potrebbe diventare un canto, paura dei loro stracci che potrebbero farsi bandiera, paura dei loro arnesi che potrebbero farsi barricata.

E sarebbe così facile andare incontro al povero! Ci vuoi così poco a dargli speranza e fiducia! Invece, la paura non ha mai suggerito la strada giusta.
Ieri, fu la paura che pagò manganellatori: e non vorrei che oggi la paura consigliasse di nuovo a qualcuno di foraggiare quel qualsiasi movimento di reazione invece di essere giusti verso co­loro che hanno diritto alla giustizia di tutti.
Ma c’è da perdere, oggi a far lavorare.
Chi vi ha detto che si debba sempre guadagnare quando diamo il lavoro? Prima del guadagno, c’è l’uomo: prima del diritto al guadagno, il diritto di vivere. Sta scritto infatti: «tu non ucci­derai ».
Il guadagno può farci omicida: e Giuda ha venduto il Sangue del Giusto, per trenta denari.

***

La paura fa anche dire: — Non sono mai contenti i poveri. Diamo cinque ed è come non glieli avessimo dati: diamo dieci e il volto non cambia. La ragione c’è e non vi fa onore…
Date cinque e con la mano tenete il cuore chiuso: date dieci e il cuore lo tenete ancora più chiuso.
Perché teniamo il cuore chiuso con i poveri? crediamo forse ch’essi abbiano soltanto bisogno d’aumenti?
La povertà non si paga: la povertà si ama.
Per questo motivo non raggiungeremo mai l’incontro lungo la strada delle concessioni. Fino a quando ci sarà una classe che può concedere e una classe che può reclamare un diritto, non avremo il ponte.

***

Qualcuno trova più comodo e redditizio distrarre e stordire il povero con i divertimenti, onde fargli dimenticare che ha qualche cosa da chiedere una richiesta di giustizia da presentare. Per to­gliergli dignità, per togliere, al povero la sua eminente dignità, lo si stordisce.

I patrizi della decadenza avevano creato il tribunum volupta­tum per solazzare i poveri. Ho l’impressione che molti, borghesi e no, si assumerebbero volentieri, direttamente o indirettamente, il poco nobile ufficio.

I poveri che si divertono non fanno le barricate: i popoli che si abbruttiscono si possono comperare.
- Don Primo Mazzolari -
Fonte: Rivista “Adesso n. 7 – 15 aprile 1949”



I più poveri fra i poveri cercano nelle montagne di spazzatura dei ricchi

«La verità è un anelito dell'essere umano, e cercarla presuppone sempre un esercizio di autentica libertà. 
Molti, tuttavia, preferiscono le scorciatoie e cercano di evitare questo compito. 
Alcuni, come Ponzio Pilato, ironizzano sulla possibilità di poter conoscere la verità, proclamando l'incapacità dell'uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti. 
Questo atteggiamento, come nel caso dello scetticismo e del relativismo, produce un cambiamento nel cuore, rendendo freddi, vacillanti, distanti dagli altri e rinchiusi in se stessi. 
Persone che si lavano le mani come il governatore romano e lasciano correre il fiume della storia senza compromettersi». 

- Papa Benedetto XVI -


Buona giornata a tutti. :-)





domenica 21 aprile 2019

Cristo è risorto – don Bruno Ferrero

Al tempo della propaganda antireligiosa, in Russia, un commissario del popolo aveva presentato brillantemente le ragioni del successo definitivo della scienza. Si celebrava il primo viaggio spaziale. Era il momento di gloria del primo cosmonauta, Gagarin. Ritornato sulla terra, aveva affermato che aveva avuto un bel cercare, in cielo: Dio proprio non l’aveva visto. Il commissario tirò la conclusione proclamando la sconfitta definitiva della religione.
Il salone era gremito di gente. La riunione era ormai alla fine. “Ci sono delle domande?”.
Dal fondo della sala un vecchietto che aveva seguito il discorso con molta attenzione disse sommessamente: “Christòs ànesti”, “Cristo è risorto”. 
Il suo vicino ripeté, un po’ più forte: “Christòs ànesti”. 
Un altro si alzò e lo gridò; poi un altro e un altro ancora. 



Infine tutti si alzarono gridando: “Christòs ànesti”, “Cristo è risorto”.
Il commissario si ritirò confuso e sconfitto. Al di là di tutte le dottrine e di tutte le discussioni, c’è un fatto. Per la sua descrizione basterà sempre un francobollo: Christòs ànesti. Tutto il cristianesimo vi è condensato. Un fatto: non si può niente contro di esso. I filosofi possono disinteressarsi del fatto. Ma non esistono altre parole capaci di dar slancio all’umanità: Gesù è risorto. 
- don Bruno Ferrero -
Fonte: La vita è tutto quello che abbiamo, Editore Elledici


Inno

Sfolgora il sole di Pasqua,
risuona il cielo di canti,
esulta di gioia la terra.
Dagli abissi della morte
Cristo ascende vittorioso
insieme agli antichi padri.
Accanto al sepolcro vuoto
invano veglia il custode:
il Signore è risorto.
O Gesù, re immortale,
unisci alla tua vittoria
i rinati nel battesimo.
Irradia sulla tua Chiesa,
pegno d'amore e di pace,
la luce della tua Pasqua.
Sia gloria e onore a Cristo,
al Padre e al Santo Spirito
ora e nei secoli eterni. Amen.


Signore Gesù, risorgendo da morte hai vinto il peccato:
fa che la nostra Pasqua segni una vittoria completa sul nostro peccato.
Signore Gesù, risorgendo da morte hai dato al tuo corpo
un vigore immortale:
fa che il nostro corpo riveli la grazia che lo vivifica.
Signore Gesù, risorgendo da morte hai portato la tua umanità in cielo:
fa che anch'io mi incammini verso il Cielo,
con una vera vita cristiana.
Signore Gesù, risorgendo da morte e salendo al Cielo,
hai promesso il tuo ritorno:
fa che la nostra famiglia sia pronta per
ricomporsi nella gioia eterna.
Così sia.




Facciamo festa perchè Cristo è risorto.... 
non perchè in tavola abbiamo le uova di cioccolato..

Buona Pasqua!! :-)


martedì 23 ottobre 2018

Intervista da Emmaus - Stuart Jackman

Intervista a Cleofa', uno dei due discepoli di Emmaus

Stavamo tornando a casa, continuando a confabulare sugli avvenimenti di questo fine settimana, riandandovi per la centesima volta. 
Ci sforzavamo di dare un qualche costrutto alle cose, ma senza molto successo. Ed ecco che, a circa un chilometro dalla città, ci si avvicina un uomo...
- Era il Nazareno?
Be', questa è la cosa buffa: Noi non l'abbiamo riconosciuto. Siamo stati suoi seguaci per quasi due anni. Non eravamo di quelli importanti, ma credevamo in lui, l'abbiamo ascoltato decine di volte mentre parlava… eppure quello che si è avvicinato a noi ieri pomeriggio, ci parve del tutto forestiero.
Inoltre, sembrava completamente all'oscuro di quanto era successo a Gerusalemme in questi ultimi giorni. Si unì alla nostra conversazione, ma ci toccò informarlo sulla crocifissione di venerdì scorso e sulle voci di ieri mattina sulla risurrezione.
Sembrava non fosse al corrente di nulla, ma poi, conversando con noi, si è rifatto ai tempi passati e, cominciando da Mosè e attraverso tutti i profeti, è giunto ai giorni nostri. Aveva tutto sulle punte delle dita, formidabile era! 
Ce ne stavamo lì, imbambolati a bocca aperta a guardarlo. Tutti quei passaggi e brani di profezie, i testi più difficili, egli li ha collegati tra loro... come tasselli di un puzzle. Ha reso chiaro tutto l'insieme e l'ha fatto apparire quasi - come dire? - inevitabile. Soprattutto la risurrezione!

E questo è il punto culminante, la conclusione prodigiosa che dà significato a tutto il resto! Il Messia viene, ma la gente non lo riconosce. 
Nessuno lo accoglie perché non corrisponde in nulla a quello che noi ci attendevamo ch'egli fosse. Invece di incoronarlo re, lo mettiamo a morte. Non sappiamo chi sia e così ci liberiamo di lui. Ma il Messia è il vincitore della morte. 
E il terzo giorno egli ritorna in vita per stabilire il suo regno.
- Se il Messia è il vincitore della morte, come può morire?
Ma se non incontra la morte faccia a faccia come può vincerla?
Questo è quanto il nostro misterioso compagno di viaggio ci spiegò chiaramente. Se il Messia vuole soccorrere gli uomini, deve condividere con loro l'esperienza della morte, deve morire come muoiono tutti gli uomini. Noi non possiamo essere partecipi della vita nel suo regno, se egli non ha prima condiviso con noi la morte.
- I suoi nemici del Sinedrio gli dicevano: "Se sei il Figlio di Dio, salva te stesso"
Eppure sembra un'idea piuttosto ragionevole!
Oh certamente avrebbe potuto farlo!... Ma allora non ci avrebbe aiutati: se egli avesse inventato per sé una scappatoia dell'ultimo minuto, allora non avrebbe fatto per noi alcuna differenza. Non si vince la morte evitandola. La si vince solo se la si accetta per poi superarla, ritornando in vita dall'altro lato. Siccome Gesù Nazareno ha fatto questo, noi non dobbiamo più aver paura della morte.
- E mentre egli vi spiegava tutte queste cose, voi continuaste a non riconoscerlo?
Non prima di aver raggiunto Emmaus. Ci disse che avrebbe proseguito, ma lo convincemmo a fermarsi da noi, come nostro ospite graditissimo. Fu così ch'egli venne a casa con noi e là avvenne il fatto: l'abbiamo riconosciuto durante la cena! Ce ne stavamo seduti attorno al tavolo, pronti a mangiare. Lo invitammo a dire la preghiera di ringraziamento, secondo il nostro costume. A quel punto egli prese il pane, pronunciò la benedizione, e lo spezzò. Lo stavamo guardando, e in quel momento l'abbiamo riconosciuto: Gesù, il Messia, che era morto ed è vivo di nuovo! Ch'egli sia benedetto!
- Lei è sicuro di questo?
Nel modo più assoluto! So perfettamente chi era, perché gli stavamo seduti a fianco e lo fissavamo mentre spezzava il pane. Ed era Gesù! Era proprio Gesù!
- E poi cosa accadde?
E' scomparso! Svanito! Un istante prima era là che ci porgeva il pane, e un attimo dopo era sparito!
Per nulla impauriti, ci siamo precipitati fuori, abbiamo piantato la cena lasciando di stucco le nostre famiglie e siamo ripartiti subito per Gerusalemme.
- Lei sa certamente che le autorità prendono molto sul serio tutta questa faccenda, avrà visto le pattuglie per le strade... Non ha un po' di paura per quanto le potrebbe capitare?
Be', un po' di paura ce l'ho. Ma, vede, il peggio che possano fare è uccidermi. Ma adesso la morte non è più una cosa importante. 

Gesù l'ha reso sufficientemente chiaro: la morte non è la fine, ma soltanto un inizio. 
Fino a ieri mattina noi fruivamo solo di una mezza vita… eravamo tutti vivi a metà. Questo è ciò che eravamo. 
Ma ora è tutto diverso: Lui è di nuovo vivo, e siccome lui è vivo, anche noi siamo vivi a nostra volta. Vivi per davvero, come non l'eravamo mai stati!

- Stuart Jackman -
da: "Il caso del Nazareno", Ed. Paoline 1985 (pagg. 188-196)


La Cena in Emmaus, un dipinto a olio su tela , realizzato nel 1606 da Michelangelo Merisi, noto come Caravaggio, è conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano, Italy



Agnelli nell’ Agnello

Dobbiamo accettare il fatto che Cristo è il Servo di Jahvè, il Servo sofferente che porta su di sé i peccati dell'umanità. 
La Chiesa, che lo ha incontrato resuscitato, lo dà al mondo attraverso la stoltezza della predicazione: Costui, che per un poco di tempo vediamo coperto di ignominia, tornerà come il "Figlio dell'Uomo" sulle nubi del cielo con potere e gloria grande. 
Portiamo la sua debolezza e la sua ignominia, completando nel nostro corpo quello che manca alla sua passione in questa generazione. 
Cacciamo via la tentazione del potere, perché è la debolezza di Dio quella che ci converte, quella che salva il mondo. 
Noi predichiamo Cristo e questi crocifisso. Mentre gli uomini si divorano l'un l'altro e uccidono... 
La Chiesa porta i peccati con Cristo sulla croce, non li distrugge con la spada. Anche se a volte la tentazione totalitaria è molto forte, è sempre una menzogna, è sempre una tentazione. 
Cristo è morto senza armi sopra una croce, senza giudicare, perdonando. 
Quelli che hanno ricevuto del suo Spirito fanno sempre questa stessa cosa. Non lasciamoci ingannare.


- Kiko Arguello -


Buona giornata a tutti :)







sabato 11 agosto 2018

La porta del morto - Essere dimora e Sede del Creatore - santa Chiara 11 agosto

Quasi tutte le case d'Assisi avevano due porte, che davano sulla strada in 
pen­dio. 
Una più grande e larga, con lo sca­lino basso; l'altra più piccola e stretta, con lo scalino altissimo. 
Le due porte, vicinissime tra loro, non stavano in simmetria sulla facciata, perché diverse di forma e di livello. 
Per uscire dalla porta maggiore, bastava fare un passo. Per uscire dalla porta minore, occorreva fare un salto. Mentre però la porta grande restava quasi sempre aperta a chi entrava e a chi usciva, la porta stretta restava sempre chiusa e nessuno vi passava. 
Era la cosiddetta «porta del morto, che si apriva soltanto per far passare la bara di chi usciva, piedi in avanti, dalla casa, per non farvi più ritorno. Un'usanza, leggermente superstiziosa; voleva che il morto non passasse dalla porta dei vivi, e, viceversa, impediva ai vivi di passare dalla porta del morto. Perciò si aveva ben cura di tenere la porta del morto sprangata fino a che non si desse la dolo­rosa necessità d'usarla. Neppur per errore un vivo doveva passar dalla porta del morto, per timore del malaugurio. Non solo dunque la porticina veniva solida­mente sprangata, ma tra un funerale e l'altro vi si accumulava contro ogni sorta di materiale. 
La casa dormiva, la sera della Domenica delle Palme, quando Chiara scese dalla sua camera e s'avviò, a tentoni, verso la porta del morto. Voleva uscire segretamente ed era certa di non incontrare nessuno sulla soglia di quella porta. 
Trovò l'apertura ingombra di molti attrezzi, che rimosse con le sue mani delicate. Quando fi­nalmente giunse ai chiavacci e alle sprangature si senti stanca. Con sforzo tentò di far scorrere i paletti della porta, ma i chiavacci le resistettero. 
Dalla morte del padre, la porta non era stata riaperta e i ferri arrugginiti non scorrevano più negli anelli. Chiara allora s'inginocchiò. 
Appoggiò la fronte al ferro della porta e rivolse a Dio una preghiera. Poi si rialzò sicura di sé. Sotto la sua mano i chiavacci scorsero senza un cigolio, come se fos­sero stati unti di fresco. 
La porta s'aprì senza stridere e apparve la strada, in basso, illuminata dalla luna. Pacifica di Guelfuccio, la fida com­pagna, l'attendeva in un angolo d'ombra. Chiara rimase un attimo dritta sull'alta soglia. Poi, senza neppure volgersi indietro, spiccò un salto leggero. 
Aveva oltrepassato la soglia del morto. 
Si era divisa irreparabilmente dalla famiglia. 
Non avreb­be fatto più ritorno alla sua casa. 
Chiara era per­duta. Chiara era morta. Chiara andava verso una altra vita.



BENEDIZIONE
Prima di morire, come già aveva fatto Francesco, Chiara benedice le sue Sorelle presenti e future indicando loro il cuore della vocazione cristiana e clariana, l’amore:
“…Siate sempre amanti di Dio, delle vostre anime e di tutte le vostre Sorelle, e siate sempre sollecite di osservare quanto avete promesso al Signore. Il Signore sia con voi sempre, e ora voi siate sempre con Lui. Amen” (FF2857)
Chiara ha compreso che l’amore riversato da Dio nel nostro cuore ci rende sempre più capaci di amare noi stessi, perché ci insegna a guardarci con i Suoi stessi occhi di misericordia e, allo stesso tempo, ci apre alla comunione con gli altri attraverso l’accoglienza e il perdono.




Essere dimora e sede del Creatore 

L’abbassarsi di Dio – osserva Chiara – non si è concluso con l’incarnazione, ma si compie ancora oggi nella vita dei credenti. 
Infatti l’Altissimo Signore del cielo e della terra, che la Vergine Maria portò nel suo grembo, prende ora dimora nel cuore di chi lo accoglie:

“Ecco, è ormai chiaro che, per la grazia di Dio, l’anima dell’uomo fedele è più grande del cielo, perché i cieli non possono contenere il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora e sede (…) come afferma la Verità stessa: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui (Gv.14,21.23).
Come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme, specialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo…” 
(3^ lett. 21-26).




La benedizione di santa Chiara

Nel nome del Padre del Figlio
e dello Spirito Santo. 
Il Signore vi benedica
e vi custodisca. 
Vi mostri la sua faccia
e abbia misericordia di voi.
Volga verso di voi il suo volto
e vi dia pace.

Sorelle e figlie mie, e a tutte le altre che verranno e rimarranno nella vostra comunità, e alle altre ancora, tanto presenti che venture, che persevereranno fino alla fine negli altri monasteri delle povere dame.

Io Chiara, ancella di Cristo, pianticella del beatissimo padre nostro san Francesco, sorella e madre vostra e delle altre sorelle povere, benché indegna, prego il Signore nostro Gesù Cristo, per la sua misericordia e per l'intercessione della santissima sua genitrice, santa Maria, e del beato Michele arcangelo e di tutti i santi angeli di Dio, del beato Francesco padre nostro e di tutti i santi e le sante, che lo stesso Padre celeste vi dia e vi confermi questa santissima benedizione sua in cielo e in terra: in terra, moltiplicandovi nella grazia e nelle sue virtù fra i servi e le ancelle sue nella Chiesa sua militante; e in cielo, esaltandovi e glorificandovi nella Chiesa trionfante fra i santi e le sante sue.

Vi benedico nella mia vita e dopo la mia morte, come posso, con tutte le benedizioni, con le quali il Padre delle misericordie ha benedetto e benedirà i suoi figli e le sue figlie in cielo e sulla terra, e con le quali il padre e la madre spirituale ha benedetto e benedirà i figli suoi e le figlie spirituali.

Siate sempre amanti delle anime vostre e di tutte le vostre sorelle, e siate sempre sollecite nell'osservare quelle cose che avete promesso al Signore.

Il Signore sia sempre con voi e voglia il Cielo che voi siate sempre con lui.

Amen.



Buona giornata a tutti. :-)



giovedì 29 marzo 2018

Lavanda dei piedi, capovolgimento della vita - don Primo Mazzolari


«Io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto» (Giovanni 13,15)


Un lontano mi scrive parole, che, se non mi sorprendono, mi fanno soffrire.

«Non parteciperò al rito del giovedì santo. La lavanda mi ha sempre inchiodato. Forse passa per quest'impressione incancellabile il filo che mi tiene ancora avvinto, in un certo senso, alla chiesa. Ma se ci tornassi quest'anno con l'animo che mi hanno fatto gli avvenimenti all'insaputa di me stesso, mi verrebbe la tentazione di gridare anche contro di voi, che pur mostrate di capire tante cose: capite voi quello che fate? - Forse non l'avete mai capito: certo, adesso, non lo capite più. Quell'azione è un capovolgimento della vita e voi ne fate un rito».

Amico caro e lontano, nella mia chiesa non si fa la funzione del Mandato, ma il vangelo che lo racconta, lo leggo ugualmente a bassa voce - il tono dell'indegnità che si confessa - davanti al cenacolo, dopo l'Ufficio delle tenebre, quando non ci si vede più e ci si può vergognare di noi stessi senza falsi pudori. Lo leggo per me e, se vuoi, anche per te e per qualcun altro che soffre come noi, quantunque le parole decisive non si possano leggere che per sé.

- don Primo Mazzolari -
da: Scritti



«Gesù sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre»...

Per un cristiano non ci sono ore inconsapevoli; ogni ora segna il transito dal mondo al Padre, dal terrestre allo spirituale, dal parziale all'universale, dal temporale all'eterno.
Il distacco, che prepara il transito, non può avvenire che per un accrescimento d'amore, vale a dire nella luce della carità del Padre, che non conosce limiti. «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».
Un «passaggio» o una «conversione» che diminuisse le affezioni naturali e ci sottraesse alle parziali emozioni che tali affetti giustamente ci comandano, non sarebbe un'ascensione.
Si sale verso il Padre, con cuore purificato, ma non separato. 
Il nostro vero patrimonio umano ce lo portiamo con noi per accrescerne il valore nella santità.
Niente ci deve impedire di portare «sino alla fine», nella pienezza della carità, i nostri vincoli umani: neanche la presenza del traditore, neanche la possibilità di piegare per altre vie le resistenze delle creature.
Proprio quando Gesù sa che «il diavolo aveva già messo in cuore» a Giuda Iscariota di tradirlo, quando ha la certezza che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che stava per ritornare a Dio «...si levò da tavola, depose le sue vesti e preso un asciugatoio, se ne cinse...».
Facendosi uomo aveva preso «la forma del servo». Ma nessuno se n'era accorto fino a quel momento, tanto era in alto il Maestro nella sua così comune umanità. 
Operava grandi miracoli, si trasfigurava sul monte, predicava con autorità mai vista, parlava come un profeta non aveva mai parlato.
Gli uomini avevano bisogno di vedere il servo, in una forma evidente, inequivocabile. L'amore ve l'avrebbe fissato per sempre e in un gesto che sfida le false grandezze e le false dignità create dal nostro orgoglio.
«Si levò da tavola, depose le sue vesti, e preso un asciugatoio se ne cinse. Poi mise dell'acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio».
Non ha cominciato né da Pietro né da Giovanni; forse da Giuda, per subito gustare l'estrema ripugnanza di servire l'inservibile, di amare l'inamabile.
Quando arriva a Pietro si sente dire: - Tu Signore, lavare i piedi a me? - 
Pietro misurava soltanto la propria miseria, e non poneva l'occhio sul mandato di carità che lo avrebbe impegnato come seguace di Cristo, per tutta la vita.
- Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo. - 
Capiva il fatto dell'umiliazione, non capiva la lezione che il Maestro intendeva dargli attraverso il mistero dell'umiliazione. Pietro voleva aver parte con Cristo immaginando chi sa quali ricompense; per questo era disposto a farsi lavare anche le mani e il capo. Neanche il primo degli apostoli sapeva che l'unica condizione per aver parte con lui, è legata, più che a una lavanda materiale, alla continuazione di quella carità che il Cristo veniva istituendo con un atto quasi sacramentale.
«Come dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe riprese le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: - Capite quel che vi ho fatto?».
E poiché gli apostoli non capivano l'istituzione della carità, che doveva precedere di poco l'istituzione del sacramento della carità, il Maestro è costretto a continuare la lezione.
«Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io che sono il Signore e Maestro v'ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Poiché io vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v'ho fatto io».
L'istituzione dell'eucaristia si chiude con parole quasi eguali: - Fate questo in memoria di me. -
I cristiani di tutti i tempi hanno trovato più facile ripetere la presenza eucaristica della presenza della carità, dimenticando che non si può capire una mensa dalla quale, almeno uno, dietro l'esempio del Maestro, non si alzi per continuare nel mondo quella carità che è il fermento celeste del pane del mistero.

- don Primo Mazzolari -
da: Scritti

Milano - Chiesa del Santo Sepolcro - Lavanda dei piedi - Terracotta del 1500


Amico lontano e caro, non ti dico: torna anche quest'anno al rito del Mandato. Non ti dico neppure: non chiederti se noi comprendiamo quello che il Cristo ha fatto.
Appunto perché hai l'impressione che nelle nostre chiese ciò che tu giustamente chiami il capovolgimento sia in pericolo di diventare una semplice «forma rituale», io ti scongiuro di non fermarti quest'anno nella navata della tua chiesa, spettatore indeciso e indisposto. 
Portati avanti, fino alla tavola eucaristica per «levarti» subito dopo la comunione, non come un commensale qualunque, ma come un servo dell'Amore che deve cambiare il mondo.
I «capovolgimenti» non si attendono, si fanno. «Se sapete queste cose, siete beati se le fate».

- don Primo Mazzolari -
da: Scritti



Siamo qui

Siamo qui, Signore Gesù.
Siamo venuti come colpevoli che ritornano
al luogo del loro delitto.
Siamo venuti come colui che ti ha seguito,
ma ti ha anche tradito,
tante volte fedeli e tante volte infedeli.
Siamo venuti per riconoscere il misterioso rapporto
tra i nostri peccati e la tua Passione,
l'opera nostra e l'opera tua.
Siamo venuti per batterci il petto
e domandarti perdono,
per implorare la tua misericordia.
Siamo venuti perché sappiamo che tu puoi,
che tu vuoi perdonarci
perché hai espiato per noi.
Tu sei la nostra redenzione e la nostra speranza.


                                                       - Papa Paolo VI - 

da: "La vita in Cristo e nella Chiesa", maggio 2014, pag. 53



Mentre il sole volge alla fine del suo corso e la luce del tramonto cede il posto alla tenebra, i colori del crepuscolo risplendono sulla comunità radunata nel cenacolo antico e nuovo: l’ora è giunta.
Radunati intorno all’altare per celebrare la Santa Cena, inebriati dal profumo del balsamo che sale dal Sacro Crisma, contempliamo nell’Eucarestia il nostro Salvatore, che lava i nostri piedi ed offre la sua vita.
Non teme il tradimento del nostro peccato, come non esitò di fronte a quello di Giuda, si dona pienamente e totalmente: tutto se stesso per noi, per sempre, perché Egli è l’Amore incondizionato.
Nel silenzio della Chiesa, muta di fronte ad un gesto così alto di donazione, nessuna parola.
L’attenzione è tutta verso quel tabernacolo in cui è presente l’Amato e la mente torna alle parole di Didaché: «Come questo pane spezzato era disperso sui monti e, raccolto, è divenuto uno, così la tua Chiesa sia raccolta dalle estremità della terra nel tuo regno» (IX, 4).

- Padre Giuseppe Midili -