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giovedì 1 aprile 2021

Gli uni i piedi degli altri – don Tonino Bello

Carissimi

Ve lo confesso: è stata una sorpresa anche per me. Non avevo mai dato troppo peso, infatti, a questa espressione pronunciata da Gesù dopo che ebbe finito di lavare i piedi ai discepoli: “anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Gli uni gli altri, a vicenda, cioè, scambievolmente. 
Questo vuol dire che la prima attenzione, non tanto in ordine di tempo quanto in ordine di logica, dobbiamo esprimerla all’interno delle nostre comunità, servendo i fratelli e lasciandoci servire da loro.
Spendersi per i poveri, va bene.
Abilitarsi come Chiesa a lavare i piedi di coloro che sono esclusi da ogni sistema di sicurezza e che sono emarginati da tutti i banchetti della vita va meglio. Ma prima ancora dei marocchini, degli handicappati, dei barboni, degli oppressi, di coloro che ordinariamente stazionano fuori del cenacolo, ci sono coloro che condividono con noi la casa, la mensa, il tempio.
Solo quando hanno asciugato le caviglie dei fratelli, le nostre mani potranno fare miracoli sui polpacci degli altri senza graffiarli. E solo quando sono stati lavati da una mano amica, i nostri calcagni potranno muoversi alla ricerca degli ultimi senza stancarsi.
Della lavanda dei piedi in altri termini, dobbiamo recuperare il valore della reciprocità. Che è l’insegnamento più forte nascosto in quel gesto di Gesù. Finora forse ne abbiamo fatto un po’ troppo un esercizio eroico di conquista. L’abbiamo scambiato per uno stile di accaparramento di benevolenze mondane. L’abbiamo inteso come un espediente missionario, capace se non di provocare la fede, almeno di vincolare le emozioni dei cosiddetti lontani.
Un bel gesto insomma. Di quelli che fanno immagine. Soprattutto per quel gioco di contrasti.
Perché quanto più Gesù sprofonda fino a terra, tanto più emerge l’altezza del suo messaggio.
Invece, con quella frase “gli uni gli altri”, espressa nel testo greco da un inequivocabile pronome reciproco, siamo chiamati a concludere che brocca, catino e asciugatoio, prima che essere articoli di esportazione, vanno adoperati all’interno del cenacolo.
Non vanno collocati fuori dalla chiesa, quasi per essere offerti come ferri del mestiere a coloro che, terminate le loro liturgie, escono nel mondo.
No. Non c’è Eucarestia dentro e lavanda dei piedi fuori. L’una e l’altra sono operazioni complementari da esprimere ambedue negli spazi dove i discepoli di Cristo si radunano e vivono.
Fuori semmai c’è da portare la logica di quei doni: frutti che maturano in pienezza solo al calore della serra evangelica. In conclusione, brocca, catino e asciugatoio devono divenire arredi da risistemare al centro di ogni esperienza comunitaria. Con la speranza che non rimangano suppellettili semplicemente ornamentali.
Che cosa significa tutto questo per noi? Che ad esempio, un sacerdote difficilmente potrà essere portatore di annunci credibili se, nell’ambito del presbiterio, non è disposto a lavare i piedi di tutti gli altri e a lasciarsi lavare i suoi da ognuno dei confratelli.
Anzi, c’è di più o di peggio.
E’ l’intero presbiterio che manca di credibilità, se nel suo grembo serpeggia il rifiuto o il riserbo sdegnoso, o il fastidio, a tal punto che i piedi ognuno se li deve lavare per conto suo.
Non si tratta di essere mondi, cioè puri. Anche gli apostoli dell’ultima cena lo erano: “voi siete mondi” aveva detto loro Gesù.
Il problema è essere servi. Perché gli uomini accettano il messaggio di Cristo, non tanto da chi ha sperimentato l’ascetica della purezza, quanto di chi ha vissuto le tribolazioni del servizio.
Altro che gesto sentimentale, quello di Gesù, da incorniciare magari nell’album dei buoni esempi!

La logica della lavanda dei piedi è eversiva.
A tal punto che grida all’ipocrisia quando in una associazione ecclesiale lacerata dalle risse e dilaniata dalle rivalità, si pretende di organizzare il pediluvio alla gente. Ma a chi andiamo a raccontarla!
Il servizio agli ultimi che stanno fuori non purifica nessuno quando si salta il passaggio obbligato del servizio agli ultimi che stanno dentro. Anzi si ritorce come condanna perfino su chi crede che gli basti la riconciliazione procuratagli dai sacramenti, quando poi snobba quella grande riconciliazione con la vita che si raggiunge lavando i piedi del prossimo più prossimo.
Gli uni gli altri.
A partire dalle famiglie. Che non possono dirsi cristiane se non assumono la logica della reciprocità. Perché, se il marito smania di lavare i piedi ai tossici, la moglie si vanta di servire gli anziani, e la figlia maggiore fa ferro e fuoco per andare al terzo mondo come volontaria, ma poi tutte e tre non si guardano in faccia quando stanno in casa, la loro è soltanto una contro testimonianza penosa che danneggia perfino i destinatari di un servizio apparentemente così generoso.
Ce n’è abbastanza perché la ripetizione rituale della lavanda dei piedi che tra la commozione generale, celebreremo il giovedì santo, ci metta nell’animo una voglia struggente di servizio, di accoglienza e di pace. Verso tutti. A partire dai più vicini. E ci mandi in crisi, più che mandarci in estasi.
Perché, visto che siamo così lenti a convertirci, quella brocca è esposta al sacrilegio non meno della stessa Eucarestia.

- don Tonino Bello -


 

I piedi la parte più bassa del corpo due piedi per procedere in avanti male si cammina, con un solo piede. 

Per procedere ogni giorno. Fare passi nuovi. 

Possiamo camminare bene. E verso il bene. 

Vera metafora della nostra vita. 

Dunque oggi Signore, mi fermo anche io. 

Ai piedi. Ai Tuoi piedi. Oggi ti chiedo perdono.

Per le cose fatte coi i piedi. Per i progetti grandiosi. 

Per i tentativi di farmi grande. Invece di servire e lavare. 

I piedi sporchi, i peccati degli altri. Lava i miei piedi sporchi: e il cuore deluso. 

Amen.


 




Buona giornata a tutti. :-)


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giovedì 9 aprile 2020

Lavanda dei piedi - papa Benedetto XVI e Giacomo Biffi

La sera del più gran dono d’amore è però anche la sera del tradimento. 
Non riusciremmo a cogliere tutto lo spessore del Giovedì Santo, se ci dimenticassimo que­st’ombra inspiegabile e tragica che incombe sull’ultima cena del Signore. 
L’evangelista Giovanni ce lo ricorda senza attenuazioni, dicendo che «mentre cenavano», «già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» (Gv 13,2). Anche san Paolo nel suo racconto annota con cura che il grande regalo dell’Eucaristia è stato fatto da Gesù proprio «nella notte in cui venne tradito» (1 Cor 11,23).
Qui c’è per noi un richiamo serio e forte: questa è una storia d’amore, ma non è un romanzo rosa, rugiadoso e dolcificato. 
È una vicenda drammatica, che ci costringe a rievocare, insieme con la generosità del Signore, la tremen­da possibilità dell’uomo di rifiutarsi al suo Creatore.
Originariamente la parola «tradire» vuol dire conse­gnare.
Gesù si è lasciato consegnare ai suoi nemici, e ha voluto così patire – tra tutte le sofferenze – anche quella amara e pungente dell’ingratitudine e dell’infedeltà, inspie­gabile risposta dell’uomo alla sua iniziativa d’amore. Dob­biamo sempre temere di noi stessi, e, se pur ci pare di voler bene al Signore, non dobbiamo mai tralasciare di pregare con trepidazione perché ci sia concessa sino alla fine dei nostri giorni la grazia della perseveranza e di un cuore riconoscente.
Ma nello stesso momento in cui veniva consegnato ai suoi nemici, Gesù si consegnava anche ai suoi amici, si consegnava anche a noi, perché ogni giusta diffidenza verso noi stessi si rasserenasse nella certa persuasione dell’invincibile sua volontà di tenerci saldamente nel suo possesso e nella sua comunione. 
Nonostante la nostra debolezza, nonostante la nostra pericolosissima volubilità, noi siamo e restiamo di Cristo, come Cristo è di Dio: così ci dice il cibo eucaristico di cui ci nutriamo.
Anche se grande e sempre ritornante è la nostra propensione a smarrirci, l’Eucaristia ci assicura che le pecore del gregge del Signore – in virtù di questo alimento di salvezza, della assidua presenza del loro Pastore, del sacrificio redentivo che è perennemente efficace – «non andranno mai perdute» e «nessuno le rapirà» dalla sua mano (cf. Gv 10,28)

 - Cardinale Giacomo Biffi -
(Giovedì Santo 1988)







Lavanda dei piedi e Sacramenti (da Benedetto XVI)



- Scritto da Redazione de Gliscritti: 1

   

   

Quando il Signore dice a Pietro che senza la lavanda dei piedi egli non avrebbe potuto aver alcuna parte con Lui, Pietro subito chiede con impeto che gli siano lavati anche il capo e le mani. 
A ciò segue la parola misteriosa di Gesù: “Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi” (Gv 13, 10).
Allora sembra chiaro che il bagno che ci purifica definitivamente e non deve essere ripetuto è il Battesimo – l’essere immersi nella morte e risurrezione di Cristo, un fatto che cambia la nostra vita profondamente, dandoci come una nuova identità che rimane...
Ma anche nella permanenza di questa nuova identità, per la comunione conviviale con Gesù abbiamo bisogno della “lavanda dei piedi”… della lavanda dei peccati di ogni giorno, e per questo abbiamo bisogno della confessione dei peccati... Dobbiamo riconoscere che anche nella nostra nuova identità di battezzati pecchiamo. Abbiamo bisogno della confessione come essa ha preso forma nel Sacramento della riconciliazione. In esso il Signore lava a noi sempre di nuovo i piedi sporchi e noi possiamo sederci a tavola con Lui…
Ma così assume un nuovo significato anche la parola, con cui il Signore allarga il sacramentum facendone l’exemplum, un dono, un servizio per il fratello: “Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13, 14). 
Dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri nel quotidiano servizio vicendevole dell’amore.
Ma dobbiamo lavarci i piedi anche nel senso che sempre di nuovo perdoniamo gli uni agli altri. 
Il debito che il Signore ci ha condonato è sempre infinitamente più grande di tutti i debiti che altri possono avere nei nostri confronti (cfr Mt 18, 21-35). 
A questo ci esorta il Giovedì Santo: non lasciare che il rancore verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima. 
Ci esorta a purificare continuamente la nostra memoria, perdonandoci a vicenda di cuore, lavando i piedi gli uni degli altri, per poterci così recare insieme al convito di Dio.

dall’omelia di Benedetto XVI nella Basilica di San Giovanni in Laterano del Giovedì Santo, 20 marzo 2008



Signore Gesù,
come nell’Ultima Cena con i “tuoi”.
Ora sei in mezzo a noi come colui che serve.
Tu, l’Altissimo, ci onori del tuo servizio.
Umile ai nostri piedi,
ce li lavi, ce li baci, ce li profumi di crisma,
ce li  calzi di mansuetudine e di pace,
per farci camminare dietro di te
fino alla Casa del Padre.
Sappiamo che la strada del ritorno
passa per l’orto degli Ulivi,
sale sul monte della Croce,
scende nella grotta del Sepolcro,
sbocca nel Giardino rifiorito.
Signore Gesù,
pur essendo stolti e lenti di cuore,
desideriamo saperti imitare
e, nel tuo nome, di servirci a vicenda,
per rendere visibile nei nostri gesti
la tua immensa carità divina
ed essere un giorno introdotti
alla cena della Pasqua eterna
dove tu stesso, come ci hai promesso,
ancora passerai a servirci,
saziandoci di gioia
con la luce radiosa del tuo Volto.
Amen.

- Madre Anna Maria Cànopi -
Fonte: Il respiro dell'Anima di Anna Maria Cànopi 


Buona giornata a tutti. :-)



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mercoledì 17 aprile 2019

Il martirio di Rabbi Akiva

Secondo il Talmud, per cercare di eliminare per sempre l’Ebraismo, il governo Romano proibì ai Maestri Ebrei di insegnare la Torah.
Tuttavia, Rabbi Akiva si rifiutò di seguire questo decreto e fu catturato e condannato a morte.
Mentre il torturatore gli bruciava la pelle, il Rabbino sorrideva e recitava le preghiere della sera, collegandosi così con il sacrificio serale nel Tempio di Gerusalemme.
I suoi discepoli volevano risparmiargli quell’ultimo sforzo: “Maestro, ora però sei dispensato!”.
Ma Rabbi Akiva disse:
«Per tutta la vita mi sono tormentato a causa del verso:
“Amerai il Signore tuo Dio con tutta l’anima”, con il mio ultimo respiro, e mi sono sempre chiesto quando sarei stato capace di adempiere questo precetto, ed ora che finalmente posso adempierlo, non dovrei farlo?»
Allora egli cominciò a recitare lo Shemà:
“Ascolta Israele, Hashem è il nostro Dio, Hashem è uno” (Shemà Yisrael, Hashem Elohenu Hashem Echad) e morì mentre pronunciava l’ultima parola.
Si racconta che in quel momento una voce dal Cielo proclamò:
«Tu sei beato Akiva, il tuo respiro si è spento con “Echad”. Tu sei beato Akiva, avrai una parte nel Mondo Avvenire.»

(Questo racconto si trova nel Talmud Bavlì, Berachot 61b)


Caravaggio, La negazione di S. Pietro

Decisivo nella vicenda fu quello che avvenne nella notte tra il giovedì e il venerdì della Passione. 
Cristo, condotto fuori della casa del sommo sacerdote, fissò Pietro negli occhi. L’apostolo, che lo aveva appena rinnegato tre volte, folgorato da quello sguardo, comprese tutto. 
Gli tornarono alla mente le parole del Maestro e si sentì trafiggere il cuore. “E uscito, pianse amaramente”. 
Il pianto di Pietro ci scuota nell’intimo, sì da spingerci ad un’autentica purificazione interiore. 

- San Giovanni Paolo II, papa -



Una domanda e un rimprovero, le parole di Gesù rivolte ai discepoli, a Pietro, a ciascuno di noi. 
Il Vangelo di oggi è stretto in questa morsa perché fuoriesca il pus che giace nascosto nei nostri cuori e nelle nostre menti. 
Pensare secondo gli uomini, ecco il veleno. 
La parola greca che nel Vangelo indica il pensiero assume una gamma di significati che ruotano attorno a quello più profondo di sapienza. La stessa che diviene astuzia nel caso del serpente. Ma indica anche la sapienza creatrice di Dio, come appare in più testi della letteratura sapienziale, dove assume il senso di giudizio, perspicacia, discernimento. 
Nei Vangeli, il termine indica spesso una sapienza capace di valutare, aspirare a una meta, prendere posizione. 
Il pensiero è dunque legato alla sapienza, che può essere secondo la carne o secondo Dio. 
E' una sorta di Dna spirituale, la molecola chiave nell'economia della cellula. Come in una catena di informazioni, nel Dna è contenuta l'informazione genetica dalla quale partono tutte le informazioni su come deve essere fatta e su cosa deve produrre una cellula. L'informazione viene poi trasmessa alle generazioni successive. 
Potremmo allora chiederci quale sapienza è all'origine dei nostri pensieri, delle aspirazioni, delle scelte e dei nostri atti. Se il nostro Dna spirituale stia scrivendo una catena carnale o una catena divina. Se in noi tutto è scomposto, frammentato, se i dubbi la fanno da padrone, oppure se si vi è un centro, un'origine che infonde pace, gioia, gratitudine. Seguiamo il Signore o lo prendiamo in disparte scandalizzati dalla Croce? Appartiene a Cristo chi ne ha lo Spirito e il pensiero. 
Pensare secondo la carne, seguirne i desideri significa essere nemici di Dio. Pietro con i suoi pensieri umani, carnali, era un nemico di Dio, sino ad identificarsi con Satana diventando così scandalo, l'inciampo sul cammino di obbedienza che il Figlio doveva percorrere. 
Il pensiero di Pietro si era posto davanti e di traverso a quello di Dio. Gesù doveva soffrire ed essere rifiutato per risorgere. Era questa la missione di Cristo, del Messia, che Pietro aveva pur riconosciuto e confessato. 
Era il Figlio dell'uomo, l'Uomo che realizzava il pensiero di Dio. 
Era la Sapienza stessa di Dio, la scandalosa Sapienza della Croce. Per questa sapienza Egli doveva donare la vita, e non era un dovere morale, ma, come suggerisce l'originale greco, era una necessità di tipo naturale. Era nel suo Dna l'amore per i propri amici e anche per i propri nemici, sino alla morte. Lui pensava un amore infinito.
Altro aveva in mente Pietro. 
Altro abbiamo in mente noi. 
Anziani, sacerdoti, scribi, sono tutte categorie che ci portiamo dentro. Costituiscono la catena del Dna dei nostri pensieri: prestigio, potere, intelligenza, religione vista e usata come un totem capace di soddisfare i nostri desideri. 
Gesù è infatti rifiutato proprio dai nostri pensieri, la cui immagine appare chiaramente nelle categorie "religiose" che storicamente lo condurranno al supplizio: 
"Sono le tre maschere dell'unico male, l'egoismo... Corrispondono alle tre concupiscenze sulle quali si struttura il mondo...e ai tre aspetti seducenti e illusori del frutto proibito, che già ad Eva parve buono, bello e desiderabile" (Silvano Fausti, Ricorda e racconta il Vangelo). 
Il veleno di satana, il Dna impazzito dei nostri pensieri. Ma proprio qui appare la salvezza, per Pietro e per ciascuno di noi. L'amore infinito di Gesù, che chiama per nome il nostro pensiero corrotto, per tirar fuori ed espellere il veleno che ci distrugge. 
Satana e Pietro, tu ed io. Satana che occulta la verità scoprendone solo un pezzettino. Satana che mostra il rifiuto e la morte e nasconde la risurrezione. E Pietro ci casca, e sgrida il Signore. 
Non ha sentito, non ha potuto ascoltare la buona notizia che il Signore aveva annunciato subito dopo quella della passione, si era bloccato alla parte che riguardava il dover soffrire; il suo pensiero inquinato gli aveva sottratto l'epilogo di Gloria. Non aveva compreso l'amore, il dover morire per risuscitare, il dover caricarsi del rifiuto e dei peccati, per cancellarli e per risorgere, garanzia del perdono e della vita eterna. Lo capirà più tardi, quando l'evento annunciato si farà carne in Lui, la carne santificata dallo Spirito di Cristo risorto. Quando il pensiero sarà, per mezzo dello Spirito Santo, lo stesso pensiero di Cristo, e guiderà la sua carne ad essere offerta in una missione identica a quella del Signore. 
La Croce che ora rifiuta sarà il suo destino, la morte con la quale glorificherà chi ha rifiutato. E così per noi. 
Esattamente quello che stiamo oggi rifiutando sarà il nostro trofeo, il candelabro sul quale brillerà la luce del Padre in noi. 
Malattie, fallimenti, rifiuti. La nostra croce. 
Per ora però, Pietro deve scendere, tornare, convertirsi. Tornare a camminare dietro Gesù. La traduzione scelta non ci aiuta a capire l'amore di Gesù verso Pietro. In greco non dice "lungi da me" ma "dietro di me". Quest'ultima è l'espressione che caratterizza il discepolo. 
Gesù vuole Pietro vicino come vuole noi con Lui, ma al nostro posto. Non ci giudica, ci illumina. Ci dice la verità svelando quello che abbiamo nel cuore e nella mente. E ci attira a sé con amore, per imparare a seguirlo, a camminare umilmente ogni giorno dietro di Lui, per conoscerlo negli eventi della vita. Seguirlo e conoscerlo nella misura in cui conosciamo noi stessi. 
Siamo oggi chiamati a pregare con San Francesco:
"Chi sei tu Signore, e chi sono io?" (Considerazioni sulle stimmate). 
Camminare con Lui per ricevere da Lui, in dono, il suo Spirito, il Dna sano della Sapienza celeste, quella della Croce, per pensare le cose secondo Dio, quelle di lassù per vivere quaggiù. 
"Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. 
“Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità" (card. Joseph Ratzinger, Omelia nella Missa pro eligendo Romano Pontifice).

- don Antonello Iapicca -



Buona giornata a tutti. :-)











venerdì 12 aprile 2019

Sono anch’io un crocefisso – don Primo Mazzolari

Questa sera il tabernacolo è vuoto, la croce è nuda, chiuso il sepolcro, gli altari desolati, ma la Messa continua sugli ignoti calvari di una terra ove ogni picco, ogni greco, ogni preda è un tabernacolo, un altare, una croce.

Il mio prete ha tolto anche i grossi candelieri di ferro battuto: sull'altare non c'è che il grande crocifisso e la sua ombra fatta anche più grande.

Questa nudità m'agghiaccia.
Ho l'impressione di trovarmi per la prima volta in faccia alla morte, all'ingiustizia, al dolore, alla guerra... Come siano arrivate queste nostre tristezze fin sull'altare, non so: come si siano legate a quel tronco, fatte una sola cosa col crocifisso, non so...
So che ci sono anch'io lassù, sul legno, inchiodato sul legno...
inchiodato con la fame di tutti gli uomini,
con l'esilio di tutti,
con la desolazione di tutti,
con l'odio che fa la guerra,
con la menzogna che fa l'ingiustizia.

Son venuto per vedere e mi trovo inchiodato. 
Sono anch'io un crocifisso!
Quanti siamo qui o anche gli altri..., tutti dei crocifissi.

Ogni tentativo di fuga mi è impossibile questa sera. 
Cristo mi fa uomo con lui, come lui, uomo di dolore, uomo di offerta.
Le mie ragioni non tengono: i miei alibi son falsi; ci sono arrivato per tutte le strade, con tutti i disperati, i percossi, gli affamati, con tutti i felici, gli oppressori, i sazi...
Il crocifisso è mio: io sono nel crocifisso.

Chi mi ha condotto in chiesa questa sera? Chi m'ha gettato contro codesto crocifisso enorme proprio in questo Venerdì santo? Tutti e nessuno.
Bisognava pure che quel «resto» senza nome, che nessuno vuole, che nessuno capisce, lo mostrassi a qualcuno: bisognava trovargli un nome (c'è troppa orfanezza nel mio cuore!), un rifugio.
E adesso che ne so il nome, che ne vedo il volto, cos'ho guadagnato?
Quando troverò uno che ha fame... non gli potrò più dire (era così spiccio e comodo!): «Non so chi tu sia», perché ti ho visto.
Davanti allo sguardo mortificato del mio operaio, al quale nego l'aumento del salario, adesso che tutto cresce, non potrò più voltargli le spalle dignitoso e sdegnato, perché io non ti posso più licenziare, o Cristo.
Se vedrò piangere, non potrò più scantonare, perché sei tu che piangi.
Quando leggerò dei morti che la guerra ammucchia, non potrò pensare che i miei dividendi crescono per la sola ragione che gli altri muoiono, perché tu mi obbligheresti a guardarmi le mani. E chi può guardare delle mani, le proprie mani che grondano sangue? Questo ho guadagnato stasera.
Il «resto» che da anni e anni, con sforzi disumani ero riuscito a serrare in un angolo morto della mia anima, ha rotto gli argini, m'inonda e mi sommerge. Per la prima volta, a faccia aperta, ho fissato in volto il mio male.


Crocifissi come te.

Ma tu, dall'alto della tua croce, invochi perdono: noi, dalla nostra croce, odiamo;
tu doni il Paradiso a un ladrone, noi togliamo il pane anche all'orfano.
Tu sulla croce, sei nudo, sei l'uomo. Noi siamo obbligati a portare la maschera dell'uomo forte, dell'uomo grande, dell'uomo implacabile... fin sulla croce.
Signore, toglimi questa maschera, fammi vedere come sono, come siamo per avere almeno pietà gli uni degli altri.
Tu ci hai comandato di amarci gli uni gli altri come tu ci ami.
Ho paura che quel giorno sia ancora molto lontano, troppo lontano.
Almeno potessimo arrivare ad aver pietà gli uni degli altri!
A vivere e a morire da uomini, da poveri uomini come siamo, in pace con noi stessi!

- don Primo Mazzolari -
 Fonte: Tempo di passione di Primo Mazzolari, Paoline 2005




«Ora è solo nella notte, solo in mezzo agli uomini, solo in faccia a Dio. 
Uomo di carne e di sangue, uomo che sa che la sua distruzione è vicina, che la sua carne sarà trafitta, che il suo sangue colerà sulla terra. 
Nessuno saprà forse mai il significato vero delle parole che il Figlio indirizza al Padre, nella solitudine nera degli ulivi. 
La preghiera del Getsemani è il più imperscrutabile mistero divino della storia di Cristo.»

- Giuseppe Papini -
da Storia di Cristo




«E adesso, che prima di riprendere la Messa, ripeterò il gesto di Cristo nell’ultima cena, lasciate che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro. 
E lasciate che io domandi a Gesù, a Gesù che è in agonia, a Gesù che ci accetta come siamo, lasciate che io gli domandi, come grazia pasquale, di chiamarmi amico. 
La Pasqua è questa parola detta ad un povero Giuda come me, detta a dei poveri Giuda come voi.  
Anche quando noi ci rivolteremo tutti i momenti contro di Lui, anche quando lo bestemmieremo, anche quando rifiuteremo il Sacerdote all’ ultimo momento della nostra vita, ricordatevi che per Lui noi saremo sempre gli amici.»

- don Primo Mazzolari -






Sei la vita
per gli uomini e la luce: al tuo morire
nel buio son piombati. Ma l'estremo
sospiro tuo fu oscurità d'incendio,
fu tenebra d'amore fiammeggiante
ove la luce di risurrezione
già palpitava. E fu degna corona
il tuo disincarnarti, e compimento
dell'obbedienza che ti fece Uomo.

- Miguel de Unamuno - 
da: "Il Cristo di Velasquez", p. 84




Buona giornata a tutti. :-)