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sabato 17 ottobre 2015

Niente arriva più inaspettato della vecchiaia - Card. Giacomo Biffi -

È la prima volta che mi capita di prendere la parola in una circostanza come questa, e trovo qualche difficoltà. Forse la cosa più semplice è che tenti di esprimere con semplicità i sentimenti che oggi sono più vivi nel mio animo. 
Penso di poter contare sulla comprensione dei miei ascoltatori e sull’atteggiamento misericordioso di quanti hanno voluto amichevolmente essermi accanto per questa celebrazione, tanto più che siamo nella casa della Madonna di San Luca, dove la nostra madre carissima ci mette tutti a nostro agio come sempre.

Il primo sentimento che avverto è la sorpresa. Mi pare sia stato Trotzkj a dire che niente arriva più inaspettato della vecchiaia. È proprio vero: anche da giovani si sa che al mondo ci sono i vecchi; ma a quell’età si guarda ai vecchi come a una popolazione lontana e inconfrontabile, press’a poco come quando si pensa agli eschimesi o ai watussi. Nessuno si rende davvero conto che si diventerà come loro e si entrerà nel loro numero.
Naturalmente a poco a poco ci si persuade; e allora subentra un secondo stato d’animo, tutto signoreggiato dai ricordi. Non avendo più davanti a noi un avvenire prevedibile da colmare mentalmente con le nostre attese e i nostri progetti, si è sospinti a guardare indietro, a ripercorrere il tempo andato, e si comincia ad abbandonarsi alle rievocazioni.
Passano e ripassano davanti alla nostra memoria tutti gli anni che si sono succeduti. E qui si fa un’altra scoperta: la catena degli avvenimenti, dai quali siamo stati condizionati e plasmati, appare ai nostri occhi determinata quasi interamente dalla casualità.
Troppe combinazioni, troppe esperienze fatte, troppi incontri che hanno colmato la mia vicenda mi si rivelano oggi in tutta la loro occasionalità. 
Se fossi nato altrove, o anche solo in un altro angolo della mia città; se mi fossi imbattuto in frequentazioni differenti; se avessi avuto altri insegnamenti e altri esempi di vita; se fossi stato coinvolto in altri accadimenti, è indubbio che non avrei pensato, giudicato, agito come poi mi è avvenuto di agire, di giudicare, di pensare; e adesso sarei diverso da quello che sono. 
È un pensiero che per un momento m’inquieta. Ma solo per un momento, perché è sùbito vinto e superato dalla verità di un Dio che - se esiste, come esiste - non può che essere il Signore dell’universo, della storia e dei cuori, cui niente sfugge di mano: tutto obbedisce al suo disegno di salvezza e di amore.
Alla luce di questa persuasione ogni pagina di qualsivoglia biografia riceve un’altra lettura, anche della mia (come è ovvio). 
Tutto ciò che sulle prime mi era sembrato contingente e fortuito mi si manifesta perciò come frutto di un progetto mirato: un progetto eccedente ogni mia immaginazione e del tutto gratuito, liberamente formulato da colui che è l’Eterno.

Il caso, come si vede, non esiste. Ma allora (mi domando) come mai il Signore consente che gli occhi dell’uomo, quando non sono superiormente illuminati, lo vedano così dominante e quasi onnipresente nella creazione di Dio? 
C’è, credo, una risposta plausibile: la casualità è soltanto il travestimento assunto da un Dio che vuol passeggiare in incognito per le strade del mondo; un Dio che si studia di non abbagliarci con la sua onnipotenza e col suo splendore.

Quando si arriva qui, ogni pensiero e ogni esame lasciano il posto alla contemplazione stupita dell’incredibile e arcana benevolenza del “Padre della luce”, dal quale “discende ogni buon regalo e ogni dono perfetto” (cfr. Gc 1,17). 
Ogni sentimento è allora naturalmente trasceso e più radicalmente inverato in quello onnicomprensivo ed esauriente della riconoscenza.
Questa di stasera è per me davvero una “eucaristia”, nel significato più intenso del termine, che tocca e fa vibrare il mio essere in tutte le sue fibre. Oggi, “grazie” diventa per me la parola che riassume tutte le altre; la parola cui (se è compresa bene) non c’è più niente da aggiungere. E sono lieto di poterla pronunciare ed elevare al cielo in questo santuario, così caro al nostro popolo bolognese che qui da secoli viene ad aprire il suo cuore, a chiedere, a implorare e alla fine a ringraziare, appunto.
Certo il mio canto di gratitudine e di lode è difettoso e inadeguato. 
Ma siete venuti in molti ad aiutare il mio povero “grazie”. 
Il Signore vi benedica: voi, miei fratelli nell’episcopato che anche in quest’ora non mi avete lasciato solo, voi presbiteri che per tanti anni avete generosamente collaborato con me, voi carissimi diaconi, voi tutti che oggi m’incoraggiate con la vostra presenza e il vostro affetto. 
Il Signore vi benedica tutti e vi ricompensi come sa fare lui.

Possiamo raccogliere un ultimo conforto dai versetti del quarto vangelo che abbiamo ascoltato. 
Gesù morente sulla croce dice prima: “Ecco il tuo figlio”, e poi: “Ecco la tua madre” (cfr. Gv 19,26-27). E la cosa mi ha sempre colpito. Prima di preoccuparsi di affidare Maria (che resta sola) a Giovanni, si preoccupa di affidare Giovanni (che non resta solo) a Maria. Il suo primo pensiero non è per la madre sua, è per l’apostolo; e non tanto per la persona di Giovanni, che ha già una madre; una madre che è anzi lì anche lei tra le donne che sono sotto la croce (cfr. Mt 27,56), quanto per l’umanità che egli rappresenta e più specificamente per tutti coloro che, come lui, saranno nei secoli rivestiti del carisma apostolico. 
Il Figlio di Dio, Redentore e Signore di tutti, ce lo ha garantito: il sacerdozio ministeriale è posto sotto la singolare protezione materna della Regina del cielo e della terra. Per questo a noi non possono mancare mai, fino all’ultimo giorno, la serenità e la speranza.
A questo proposito devo dire che, arrivato a questa età, ho imparato a dire meglio, con più senso, l’ultima parte dell’Ave Maria (superando la mia anteriore superficialità e spensieratezza):

“Madre di Dio, prega per noi peccatori,
adesso e nell’ora della nostra morte.
Amen”.

 Omelia del Card. Giacomo Biffi per gli ottant'anni 
(Basilica di San Luca - 13 giugno 2008)





13 giugno 1928, Milano - 11 giugno 2015 Bologna

«A una data età nessuno di noi è quello a cui madre natura lo destinava; ci si ritrova con un carattere curvo come la pianta che avrebbe voluto seguire la direzione che segnalava la radice, ma che deviò per farsi strada attraverso pietre che le chiudevano il passaggio».

- Italo Svevo- 
da: “La coscienza di Zeno”


«Più invecchio anch’io, più mi accorgo che l’infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono, ma sono i due stati più profondi in cui ci è dato vivere. 
In essi si rivela la vera essenza di un individuo, prima o dopo gli sforzi, le aspirazioni, le ambizioni della vita. […] 
Gli occhi del fanciullo e quelli del vecchio guardano con il tranquillo candore di chi non è ancora entrato nel ballo mascherato oppure ne è già uscito. 
E tutto l’intervallo sembra un vano tumulto, un’agitazione a vuoto, un inutile caos per il quale ci si chiede perché si è dovuto passare».

– Marguerite Yourcenar –
da: “Archivi del Nord”



 Ch'io non faccia di professione il vecchio, 
o Signore ch'io non sia uno scarto di vesperali memorie.
 Conservatore sì ma capace di imparare ancora; 
autoritario un po' ma teso ad avere più amore che potere; 
abitudinario per necessità 
ma che il mio orologio non segni sempre la stessa ora; 
impotente ma non imbecille; 
pensionato ma non disoccupato: 
che il futuro non sembri un lontano passato.  

- Dario Rezza - 
 da: "Riflessi d'autunno" Ed. Palumbi



Buona giornata a tutti. :-)

martedì 6 gennaio 2015

Epifania, i Re Magi e papa Benedetto XVI -

Attorno alle figure dei Re Magi, sin dai tempi più lontani, si sono diffuse storie e leggende che, ancora oggi, continuano ad affascinare. Questi re stranieri che venivano dal lontano Oriente, colpiscono l'immaginazione dei bambini che, impazienti, attendono il giorno dell'Epifania per collocare finalmente le statuine dei tre saggi nel presepe. Arrivano con animali sconosciuti, indossano abiti di foggia inconsueta, portano doni misteriosi, hanno la pelle scura. Non conosciamo con precisione la loro storia eppure sono presenze familiari e rassicuranti che ci riportano all'infanzia. Forse per questo persino la pubblicità li ha scelti come testimonial.

Nella scena del Presepe, nelle raffigurazioni pittoriche che impreziosiscono numerose chiese del nostro territorio, i Magi sono immobili davanti alla Madonna ed al Bambino, in atto di adorazione. Sono finalmente arrivati alla meta ma il loro viaggio è stato lungo.
Pellegrini per eccellenza, simbolo dell'incontro tra Oriente ed Occidente, sono una presenza lungo le vie di pellegrinaggio. Le loro immagini dipinte o scolpite nelle chiese sono state un segnale importante per i pellegrini. Lungo le strade molte locande ancora oggi si chiamano "Tre Re".
Anche dopo la loro morte, avvenuta in Oriente, i Magi continuarono a viaggiare. Le loro spoglie mortali, vere o presunte che fossero, compirono un viaggio ben più lungo e misterioso di quello che li aveva condotti a Betlemme.




Non sappiamo con precisione quanti furono i saggi che fecero visita a Gesù; dodici secondo una Cronaca orientale del 774-775, in numero maggiore o talvolta minore di tre nelle antiche raffigurazioni di alcune catacombe. La tradizione cristiana ne riconobbe tre a cui corrispondevano i nomi latini di Caspar, Balthasar, Melchior.
Nel VIII secolo il Venerabile Beda descriveva Melchiorre come "un vecchio dai capelli bianchi, con una folta barba e lunghe chiome ricciute", Gasparre " un giovane imberbe" e Baldassarre "di carnagione olivastra e con una barba considerevole".
L'appellativo Magi, letteralmente "ingannatori, stregoni, sapienti", indicava in essi la saggezza, la sapienza. Jacopo da Varazze nella Legenda Aurea, testo assai diffuso nel Medioevo, ne precisa in tal senso il significato facendo derivare il termine "magi" da "magni", cioè grandi, nella sapienza.
Incerta è la loro provenienza. La nozione di Oriente si sfuma, a seconda delle diverse fonti considerate, in un territorio non ben definito: la Persia o la Caldea, la Sabea (regione attraversata dal fiume Sabe) piuttosto che l'Arabia o l'India.


I Magi partirono dalla loro terra in gran fretta quando, secondo il racconto di Giovanni Crisostomo, in cima al Monte Vittoria apparve loro una stella in forma di bimbo bellissimo con una croce sul capo. Ciò poté avvenire poiché ogni anno, dodici uomini salivano sul Monte Vittoria e vi restavano in abluzioni e preghiera in attesa dell'apparizione della stella annunciata dal profeta Balaam. Partirono con i dromedari, animali velocissimi che in un giorno percorrevano quanto un cavallo in tre. Arrivarono dall'Oriente a Gerusalemme in tredici giorni. Qui chiesero ai Giudei il luogo della nascita di Gesù poiché secondo la profezia "essi conoscevano il tempo ma non il luogo".
Secondo un altro racconto il viaggio dei Magi durò due anni durante i quali però, non ebbero bisogno di viveri, le montagne si spianavano, i fiumi non ponevano ostacoli.



Finalmente giunti a Betlemme offrirono al Salvatore oro , incenso e mirra, doni che Persiani e Caldei usavano portare ad un re e simboli di maestà divina, regale potestà ed umana mortalità.
Avvertiti in sogno di non far ritorno da Erode, raggiunsero le loro terre d'origine dove, secondo le leggende orientali, riportarono il dono che essi ricevettero dalle mani del Bambino o della Vergine. Una pietra staccata dalla mangiatoia, un pane rotondo, una fascia in cui era stato avvolto il bambino, a seconda delle diverse versioni, tutte accomunate dalla nascita del culto del fuoco. In ciascuno dei tre casi, infatti, dall'oggetto regalato si sprigionò un fuoco sacro, degno di venerazione.
Circa l'origine di tale culto nel "Milione" di Marco Polo troviamo il racconto della leggenda che egli raccolse in Persia, a Cala Ataperistan. Ai Magi il bambino avrebbe donato un cofanetto chiuso, ed essi, tornati nella loro terra "apersono lo bossolo, e quivi trovarono una pietra...e gittarono questa pietra in un pozzo. Gittata la pietra nel pozzo, un fuoco discese dal cielo ardendo e gittossi in quel pozzo. Quando i re viddono questa meraviglia, penteronsi di ciò ch'avevano fatto. E presono di quello foco, e portaronno in loro contrada, e puoserlo in una loro chiesa; e tuttavolta lo fanno ardere, e adorano quello fuoco come Iddio".



La luce che a Natale brillava nella notte illuminando la grotta di Betlemme, dove restano in silenziosa adorazione Maria, Giuseppe ed i pastori, oggi risplende e si manifesta a tutti. L'Epifania è mistero di luce, simbolicamente indicata dalla stella che guidò il viaggio dei Magi. La vera sorgente luminosa, il "sole che sorge dall'alto" (Lc 1,78), è però Cristo. Nel mistero del Natale, la luce di Cristo si irradia sulla terra, diffondendosi come a cerchi concentrici. Anzitutto sulla santa Famiglia di Nazaret: la vergine Maria e Giuseppe sono illuminati dalla divina presenza del Bambino Gesù. La luce del Redentore si manifesta poi ai pastori di Betlemme, i quali, avvertiti dall'angelo, accorrono subito alla grotta e vi trovano il "segno" loro preannunciato: un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (Lc 2,12).............
Il fulgore di Cristo raggiunge infine i Magi, che costituiscono le primizie dei popoli pagani. Restano in ombra i palazzi del potere di Gerusalemme, dove la notizia della nascita del Messia viene recata paradossalmente proprio dai Magi, e suscita non gioia ma timore e reazioni ostili. Misterioso disegno divino: "la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie" (Gv 3,19).
Ma che cos'è questa luce? E' solo una suggestiva metafora, oppure all'immagine corrisponde la realtà? L'apostolo Giovanni scrive nella sua Prima Lettera: "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre" (1Gv 1,5); e più avanti aggiunge: "Dio è amore". Queste due affermazioni, unite insieme, ci aiutano a meglio comprendere: la luce, spuntata a Natale, che oggi si manifesta alle genti è l'amore di Dio, rivelato nella Persona del Verbo incarnato. Attratti da questa luce, giungono i Magi dall'Oriente. Nel mistero dell'Epifania, dunque, accanto ad un movimento di irradiazione verso l'esterno, si manifesta un movimento di attrazione verso il centro, che porta a compimento il movimento già iscritto nell'Antica Alleanza. La sorgente di tale dinamismo è Dio, Uno nella sostanza e Trino nelle Persone, che tutto e tutti attira a sé. La Persona incarnata del Verbo si presenta così come principio di riconciliazione e di ricapitolazione universale (Ef 1,9-10). Egli è la meta finale della storia, il punto di arrivo di un "esodo", di un provvidenziale cammino di redenzione, che culmina nella sua morte e resurrezione.......

Papa Benedetto XVI - dall' Omelia della Santa Messa nella Solennità della Epifania del Signore - 06 gennaio 2006 -




Buona giornata a tutti. :-)







domenica 7 dicembre 2014

dalle "Lettere" di sant'Ambrogio, vescovo e Dottore della Chiesa -

Hai ricevuto il sacerdozio e, stando a poppa della Chiesa, tu guidi la nave sui flutti. Tieni saldo il timone della fede in modo che le violente tempeste di questo mondo non possano turbare il suo corso. 
Il mare è davvero grande, sconfinato; ma non aver paura, perché "E' lui che l'ha fondata sui mari, e sui fiumi l'ha stabilita "(Sal.23,2). 
Perciò non senza motivo, fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile contro l'infuriare del mare in tempesta. 
E' battuta dalle onde ma non è scossa e, sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza dove accogliere chi è affaticato. Se tuttavia essa è sbattuta dai flutti sul mare, pure sui fiumi corre, su quei fiumi soprattutto di cui è detto: I fiumi hanno innalzato la loro voce (cfr. Sal 92, 3). 
Vi sono infatti fiumi che sgorgano dal cuore di colui che è stato dissetato da Cristo e ha ricevuto lo Spirito di Dio. Questi fiumi, quando ridondano di grazia spirituale, alzano la loro voce. Vi è poi un fiume che si riversa sui suoi santi come un torrente. 
Chiunque abbia ricevuto dalla pienezza di questo fiume, come l'evangelista Giovanni, come Pietro e Paolo, alza la sua voce; e come gli apostoli hanno diffuso la voce della predicazione evangelica con festoso annunzio fino ai confini della terra, così anche questo fiume incomincia ad annunziare il Signore. Ricevilo dunque da Cristo, perché anche la tua voce si faccia sentire. Raccogli l'acqua di Cristo, quell'acqua che loda il Signore. Raccogli da più luoghi l'acqua che lasciano cadere le nubi dei profeti. Chi raccoglie acqua dalle montagne e la convoglia verso di sé, o attinge alle sorgenti, lui pure, come le nubi, la riversa su altri. 
Riempine dunque il fondo della tua anima, perché il tuo terreno sia innaffiato e irrigato da proprie sorgenti. Si riempie chi legge molto e penetra il senso di ciò che legge; e chi si è riempito può irrigare altri. La Scrittura dice: «Se le nubi sono piene di acqua, la rovesciano sopra la terra» (Qo 11, 3). 
I tuoi sermoni siano fluenti, puri, cristallini, si che il tuo insegnamento morale suoni dolce alle orecchie della gente e la grazia delle tue parole conquisti gli ascoltatori perché ti seguano docilmente dove tu li conduci. 
Il tuo dire sia pieno di sapienza. Anche Salomone afferma: Le labbra del sapiente sono le armi della Sapienza, e altrove: Le tue labbra siano ben aderenti all'idea: vale a dire, l'esposizione dei tuoi discorsi sia lucida, splenda chiaro il senso senza bisogno di spiegazioni aggiunte; il tuo discorso si sappia sostenere e difendere da se stesso e non esca da te parola vana o priva di senso. 

(Lett. 2, 1-2. 4-5; PL 16, 847-881)



"Sebbene tu saresti dovuto andarvi al mattino, tuttavia, anche se vi andrai più tardi, anche se vi andrai all'ora sesta, tu potrai trovarvi Gesù stanco del viaggio. Si è stancato, ma per te, perché ti ha cercato a lungo. È stata la tua incredulità, durata così a lungo, a stancarlo. Tuttavia egli non si offende: basta che tu venga. Ti chiede da bere, ma è pronto a darti da bere. E non beve l'acqua di un ruscello che scorre via, ma la tua salvezza. Beve il tuo buon sentimento, beve il calice, cioè la passione redentrice delle tue colpe, perché tu, abbeverato dal suo sacro sangue, possa spegnere la sete di questo mondo."

(Sant'Ambrogio, Lo Spirito Santo, I, 155)





Oggi, nel giorno della sua ordinazione a vescovo, la chiesa celebra la memoria di Sant'Ambrogio. Attraverso la descrizione della sua predicazione da parte di un Sant'Agostino non ancora convertito, risplende l'invito rivolto a ciascuno di noi di farci portatori di Verità. Solo se il nostro parlare viene da Dio possiamo essere piacevoli oratori e seminare nell'altro la Verità ricevuta...
"Dunque, non mi interessava apprendere ciò che Ambrogio insegnava, ma il piacere di ascoltare come lo diceva. Ero sfiduciato; l'uomo non avrebbe mai potuto trovare la strada per giungere a te. Mi era rimasto solo il gusto di ascoltarlo. Ma insieme alle parole che ascoltavo con piacere, scendevano nel mio animo quegli argomenti verso i quali mi mostravo distratto. Non potevo evitarlo. E mentre aprivo il cuore alla sua predicazione feconda, vi entrava pure la verità che insegnava, sia pure per gradi, a goccia a goccia"




Septimo Idus Decembris. Luna quintodecima. Sancti Ambrosii, episcopi, confessoris et Ecclesiae doctoris, qui pridie Nonas Aprilis obdormiuit in Domino, sed hac die potissimum colitur, qua Mediolanensem Ecclesiam gubernandam suscepit.






"Non mi glorierò perché sono giusto, ma mi glorierò perché sono redento.
Mi glorierò non perché sono vuoto di peccati, ma perché i peccati mi sono rimessi. L’innocenza mi aveva reso arrogante, la colpa mi ha reso umile".


S. Ambrogio


Buona giornata a tutti :-)







sabato 15 marzo 2014

Dalla testa ai piedi - don Tonino Bello -


Carissimi,

cenere in testa e acqua sui piedi. 
Tra questi due riti, si snoda la strada della quaresima. Una strada, apparentemente, poco meno di due metri. Ma, in verità, molto più lunga e faticosa.

Perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri.

A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno da mercoledì delle ceneri al giovedì santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala. Pentimento e servizio.

Sono le due grandi prediche che la chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole.

Non c’è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. 
Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.

È difficile, per esempio, sottrarsi all’urto di quella cenere. Benchè leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”. 
Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d’ulivo benedetti nell’ultima domenica delle palme. Se no, le allusioni all’impegno per la pace, all’accoglienza del Cristo, al  riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione.

Quello “shampoo alla cenere”, comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato.

Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino.

È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l’abbiamo “udita con gli occhi”, pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente.

Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. 
Ricca di tenerezze, benchè articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il lavarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio.

Una predica strana. Perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.

Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno, o simbolo per chi veglia nell’attesa di Cristo? “Una tantum” per la sera dei paradossi, o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane?

Potenza evocatrice dei segni!

Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua. La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnere l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare sui piedi degli altri.

Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.

Cenere e acqua.

Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi.



(don Tonino Bello)




Chi vuol diventare cristiano deve continuamente "cambiare opinione". 
La nostra inclinazione naturale ci porta a voler affermare noi stessi, a rendere pan per focaccia, a porci sempre in mezzo. Chi vuol trovare Dio, deve continuamente convertirsi interiormente, andare contro corrente. E questo vale per l'intero modo di concepire la vita. Ogni giorno ci imbattiamo nel mondo del visibile: esso ci invade, dai manifesti, dalla radio,, nel traffico, in tutte le circostanze della vita quotidiana, con una potenza tale che siamo tentati di pensare che non ci sia altro che questo.
Ma, in realtà, , l'invisibile è più grande e vale più di tutto il visibile. Una sola anima - ci dice una meravigliosa espressione di Pascal - vale più di tutto l'universo visibile. Ma, per sperimentare nella vita questa verità, è necessario convertirsi, capovolgersi per così dire interiormente, superare l'illusione del visibile e farsi sensibili, attenti e delicati nei confronti dell'invisibile; considerarlo più importante di tutto ciò che ci assale così prepotentemente tutti i giorni......cambiate modo di pensare, affinché la presenza di Dio nel mondo resti visibile al vostro sguardo; cambiate modo di pensare, affinché Dio divenga presente in voi e, per mezzo di voi, nel mondo......


Joseph Ratzinger - Dogma e predicazione -


Se la Fede ci fa essere credenti 
è la speranza ci fa credibili 
è solo la carità 
che ci fa essere creduti 


- don Tonino Bello -















"Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! 
Tutto ciò è presente nella sua passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli trafigge il cuore. 
Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo dell’animo, il grido: Kyrie, eleison – Signore, salvaci (cfr. Mt 8, 25)."


- Meditazioni del card. Joseph Ratzinger, via Crucis 2005 - 


Preghiera della sera

Santa Maria, Vergine della notte,
noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
irrompe la prova,
sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l'ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell'ora del nostro calvario,
Tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di Madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia
nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla,
perché vi poggino il capo.
Preserva da ogni male i nostri cari
che faticano in terre lontane e conforta,
col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi
la canzone del Magnificat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte
a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità
ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
Vergine dell'Avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l'aurora.
Amen

(don Tonino Bello)

Buona giornata a tutti :-)







lunedì 18 novembre 2013

Essere lievito - San Giovanni Crisostomo



C’è nulla di peggio di un cristiano che non si cura della salvezza degli altri? Non puoi qui tirar fuori la povertà; infatti quella donnetta che mise le due monetine ti accuserà (Mc 12,48). 
Anche Pietro diceva al paralitico: Non ho né argento né oro (At 3,6). 
Così Paolo era talmente povero da patire spesso la fame e mancare del cibo necessario. 
Non puoi mettere avanti la tua umile condizione; gli apostoli infatti erano umili e di basse origini. 
Non puoi addurre il pretesto dell’ignoranza; anche loro erano illetterati. Fossi schiavo o fuggiasco, puoi sempre fare ciò che dipende da te. 
Così era la situazione di Onesimo di cui Paolo fa l’elogio (Fil; Col 4,9). 
Non puoi obiettare che sei debole; così era anche Timoteo. 
Chiunque può essere utile al prossimo, se vuole compiere la sua parte.
Non vedete gli alberi delle foreste, come sono rigogliosi, come sono belli, sviluppati, snelli e alti? Ma se avessimo un orto vorremmo avere melograni e olivi fecondi piuttosto che quelli sterili... Così sono coloro che vedono soltanto i propri interessi...
Se il lievito mescolato alla farina non porterà tutto a fermentazione, è davvero lievito? 

E che dire di un profumo che non investa quanti si accostano? Lo si chiamerà ancora profumo? 
E non dire che è impossibile influenzare gli altri al bene, perché, se sei cristiano, è impossibile che qualcosa non si trasmetta; fa parte della natura stessa del cristiano... 
Dire che un cristiano non può essere utile al prossimo è come negare al sole la possibilità di illuminare e riscaldare.


(San Giovanni Crisostomo)
sacerdote ad Antiochia poi vescovo di Costantinopoli, dottore della Chiesa, ca 345-407
Omelie sugli Atti degli Apostoli, 20






Alberi inutili

"Quest'albero non dà frutti...Taglialo dunque! Perché sfruttare il 
 terreno?”. Ma quello rispose: “Padrone, lascialo ancora quest'anno, 
 finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime...tra un anno.."


E' brutto accorgersi, che non ci sono frutti.
Nel rapporto con gli altri.
Che non ti capiscono nel modo che vorresti.
Nella propria vita,
Quando e come te li aspetti.

E subito, potente, una sola tentazione.
Tagliare tutto e con tutti.
Superba disperazione del "tutto o nulla".
Subito.
E invece Tu sei un Dio lento.
"all'ira e ricco di amore".
Lontano da gesti eclatanti,
ci chiedi solo di continuare.

A "zappettare e a concimare."
A curare quello che ci umilia vedere.
La nostra povertà.
A maneggiare concime.
A sperare che dia frutti tra un anno.
Tempo di attesa,
che riteniamo "troppo "umiliante.
Perchè "troppo" orgogliosi. E impazienti. 




"Il concime bisogna farlo riposare, seccare, deve decomporsi lentamente.
Con il tempo diventa malleabile, inodore, leggero, fecondo. E' allora che dà i fiori più belli e la crescita migliore.Dio si serve del nostro passato come concime per la nostra vita. Per farci crescere.
Ma se tieni la testa nel tuo passato ancora caldo, quello ti soffoca.
Bisogna lasciarlo riposare. Dentro di noi, col tempo e con la grazia, senza accorgercene, ciò che non va si decompone.
Dobbiamo amare ciò di cui proviamo vergogna e che ci sembra ignobile. Quel concime diventerà fonte di fecondità. ” .



Tim Guénard




"Spesso diciamo che non siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in pubblico secondo quanto diciamo ... fingiamo di fuggire e di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler essere gli ultimi, seduti proprio all’ultimo angolino della tavola, ma soltanto per passare con grande onore a capotavola.
L’uomo sinceramente umile sarebbe più contento se fosse un altro, anzichè lui stesso, a dire di lui che è un miserabile, un nulla, un buono a nulla; o, perlomeno, se sa che si dice, non si oppone, ma approva di cuore. 
Perché, se è vero che ne è convinto, è naturale che ne sia contento di vedere condivisa la sua opinione."

- San Francesco di Sales - 



Buona giornata a tutti :-)