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venerdì 24 gennaio 2025

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature» Acqua e Vento

VENTO

A volte vorrei essere nella cella di un convento, con la saggezza di secoli sublimata sugli scaffali lungo i muri, e con la vista che spazia su campi di grano - devono proprio essere campi di grano, e devono anche ondeggiare al vento. Lì vorrei sprofondarmi nei secoli, e in me stessa. E alla lunga troverei pace e chiarezza. Ma questo non è poi tanto difficile. È qui, ora, in questo luogo e in questo mondo, che devo trovare chiarezza e pace e equilibrio. Devo buttarmi e ributtarmi nella realtà, devo confrontarmi con tutto ciò che incontro sul mio cammino, devo accogliere e nutrire il mondo esterno col mio mondo interno e viceversa, ma è tutto terribilmente difficile e proprio per questo mi sento così oppressa.

Mi sento d'un tratto colma di uno straordinario entusiasmo, forse anche perché il vento talvolta mi soffia proprio dritto in viso e io mi reggo forte alla mia bicicletta, che sento sotto di me come un cavallo da domare.

Ieri pomeriggio mi sono di nuovo inginocchiata sulla stuoia color oro (che è una copertura simile a un campo di grano), con la testa nascosta nel blu luminoso del plaid sul divano, e ho cercato di rinchiudere nuovamente i miei pensieri e sentimenti, che si agitavano davanti e attorno a me come orde/greggi selvagge, nella gabbia della mia interiorità. A volte le porte si spalancano per il vento - e lei procede ricolma di poesia nella sua meditazione mattutina - e ogni cosa infuria all'esterno, e di volta in volta ci si deve raccogliere di nuovo attorno al proprio centro. Pascolare, come un buon pastore, il gregge indisciplinato dei pensieri, delle sensazioni, delle emozioni, delle impressioni, delle esperienze, delle reazioni: datemi una sola parola che esprima tutto questo. Mi sento proprio come un buon pastore. Sto diventando sempre più tranquilla, e mi ritrovo seduta, sì ancora seduta accanto a questa fidata lampada, sentendomi indicibilmente pacificata e serena. Percorrerò il sentiero di questa giornata con calma, prendendomi una piccola vacanza: gli occhi e la testa sono leggermente tesi e affaticati. Devi anche avere la pazienza di agire un po' di meno. Ferma e costante.

Con la supervisione di Liesl ne farò fare un vestito, aperto da tutti i lati per prendere il sole, il vento e le sue carezze. E poi d'estate, una brughiera e io, in quel vestito zingaresco, con le gambe nude abbronzate e i capelli da zingara al vento, e poi una piccola fattoria con una veranda dal soffitto basso, e il profumo delle mele e una veduta notturna di quella brughiera. Tutto questo verrà.

Non so ancora come farò a dominare tutta questa materia. So soltanto che dovrò fare tutto da sola, e che ho abbastanza forza e pazienza per riuscirci. Devo anche essere fedele, non posso più disperdermi come sabbia al vento. Io mi divido tra gli affetti, le impressioni, le persone e le emozioni che mi toccano: devo rimaner fedele a tutti ma devo anche essere fedele al mio talento. «Vivere” tutto quanto non è più sufficiente, ci vuole qualcosa in più.

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


ACQUA

Signore, dammi meno pensieri e più acqua fredda e ginnastica alla mattina presto.
E d'altra parte, ciò si connette anche, è naturale, con il mio forte desiderio di ascesi, di una vita da clausura con pane nero, acqua pura e frutta.
Una persona può avere fame di vita. Ma con l'ingordigia di vita si perde di vista il proprio vero obiettivo. Bene, qualche profonda verità puoi ancora dirla!
Ora invece mi sono eroicamente buttata sotto un getto d'acqua gelata, cercando di capire: che cosa c'è che non va? Da che dipende? E all'improvviso, mentre mi lavavo, mi ha colta un'immagine, o comunque la si voglia chiamare, e mi sono detta: bene, sei di nuovo “nata dentro” al giorno. Questa volta è stato senza dubbio un parto difficile, passare dal buio grembo sicuro della notte al grigio giorno ostile. Prima l'ho chiamato “il caldo ventre della notte”, ma quest'espressione mi irritava per la troppa fisicità. E ciò mi ha d'un tratto liberata dal mio vago malessere, come alcuni giorni fa l'immagine della domenica che attraversava come una nave il mio anno mi aveva liberata dalla sensazione di essere fatta a pezzi e gettata ai quattro venti.
Alcune cose terra terra. M'accorgo che alzarmi presto mi fa un gran bene. E trovo sempre che l'acqua fredda è una cosa quasi eroica. Sono fondamentalmente una persona molto sana, la cosa principale è l'equilibrio spirituale, il resto funziona allora da sé.
Dobbiamo essere come un fiume e non dividerci in canali per portare acqua ai pascoli.
Ero ferma sul piccolo ponte e ho guardato oltre il canale: mi sono sciolta nel paesaggio e ho offerto tutta la mia tenerezza a quella notte, al cielo con le sue stelle e all'acqua e al ponticello. È stato il momento migliore della mia giornata. Sentivo che quella era l'unica maniera per dare voce e corpo alle tante sensazioni di tenerezza che, nel profondo, si provano per un altro: affidarle alla natura, lasciarle scorrere sotto un cielo, notturno e libero, di primavera e sapere che non c'è altra via d'uscita.
Lui osserva, per dire così, la sua intera vita come da un'alta torre, e quella vita mi viene incontro in semplici parole, come un corso d'acqua.
Si dovrebbe parlare delle questioni più gravi e importanti di questa vita solo quando le parole ci vengono semplici e naturali come l'acqua che sgorga da una sorgente.
E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio.
Dobbiamo di nuovo dimenticare tutte le nostre grandi parole, cominciando con Dio e finendo con Morte, e dobbiamo tornare a essere tanto semplici quanto pura acqua di sorgente. Soprattutto, un po' meno eloquenti.
A volte l'acqua è così limpida che si distingue ogni cosa sul fondo. Potresti dirlo in modo ancor più stomachevole, se la domanda è lecita? Volevo dir questo: era proprio come se la vita mi apparisse altrettanto chiara e trasparente nei suoi mille dettagli, nelle sue svolte e nei suoi movimenti. Come se avessi davanti un oceano e ne potessi distinguere il fondo, guardando attraverso l'acqua trasparente come cristallo. Chissà se riuscirò a scrivere per davvero, una volta o l'altra?
Mi laverò dalla testa ai piedi con acqua fredda e poi me ne starò coricata nel mio letto, starò immobile e non scriverò niente in questo quaderno, cercherò di stare semplicemente distesa e di essere tutta una preghiera. Già altre volte sono stata così male da credere che ci avrei messo delle settimane per venirne fuori - e invece, dopo pochi giorni, era tutto passato.
E ora eccomi coricata in un angolino con febbre e capogiro, e non posso far nulla. Poco fa mi sono svegliata con la gola secca, ho afferrato il mio bicchiere ed ero così riconoscente per quel sorso d'acqua fresca, ho pensato: se solo potessi andare in giro fra quelle migliaia di uomini ammassati laggiù e potessi offrire un sorso d'acqua ad alcuni di loro.

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


Buona giornata a tutti :-)





domenica 24 novembre 2024

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature» Luna e Stelle

 LUNA

Vorrei essere molto semplice come la luna di stasera, per esempio, o una distesa verde. Di sicuro mi prendo ancora troppo sul serio.

Ho di nuovo gironzolato attorno all'IJsclub neanche fossi sbronza e rivolto sciocche osservazioni all'eterna luna. Mica è nata ieri, quella luna.

Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d'argento e d'eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio.

Non è passato neppure un mese, era il 27 agosto a mezzanotte, da quando Joop mi aveva scritto: “Eccomi di nuovo seduto con le gambe che penzolano fuori dalla finestra, ad ascoltare l'immenso silenzio. Il campo di lupini, ora senza i suoi colori esultanti, è immerso nella luce violenta e confortante della luna. Tutto è di una solennità e di una pace che mi rendono muto e serio. Salto giù dalla finestra, faccio pochi passi sulla sabbia soffice e guardo la luna”. E poi finisce quella lettera notturna, scritta con la sua calligrafia compatta e fitta su una brutta carta: “Capisco che si possa dire: qui si può solo fare un gesto: inginocchiarsi. No, non l'ho fatto, non lo trovo necessario, mi sono inginocchiato stando seduto sulla finestra e poi sono andato a dormire”.

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


STELLE

Ieri sera alle undici c'erano tre stelle nella cornice nera della mia finestra. Adesso c'è un sottile quarto di luna. Questa è l'ennesima mattina grigia in cui mi sono ritrovata alla mia pacifica scrivania, accanto al faretto di alluminio acceso. Dovrebbe essere vietato cominciare la giornata con il giornale e la radio. Questa mezz'ora è mia, tutta mia. Ci sono momenti in cui avverto molto intensamente questa sensazione: il momento è mio, tutto mio e il giorno può portare qualsiasi cosa, ma quest'attimo è ormai mia inalienabile proprietà. E poi penso solo a piccolezze; per esempio, alla burrascosa serata musicale da Leonie Wolff. A un tratto ho visto in un angolo, contro lo sfondo rosso scuro della tenda, quei fiori bianchi sul pavimento che se ne stavano lì a vivere quieti la propria vita. O all'unico inerme gesto infantile di Mien Kuyper quando si è fermata ad aspettare nel corridoio, quella sera a casa di Ungár, perché non sapeva se andarsene o rimanere. Quella donna è una martire del talento di Mischa. Certo, si potrebbe pure dire che è solo una vedova isterica dai capelli biondo paglierino con un'idea fissa. Ma quel gesto commovente fa anch'esso parte dell'immagine della persona.

Ieri sera a letto mi sentivo di nuovo come un piccolo vaso stracolmo di pensieri e sentimenti. Uno di questi giorni le cose cominceranno a fermentare in quel vaso. Che cosa non ho detto a quelle tre stelle! E da quale posto del mondo e attraverso quale finestra parlerò di nuovo a quelle stelle, pensando alla sera di ieri?

Stamattina un paio di stelle erano appese al cielo come lucidi frutti ai rami, scuri e spogli, dell'albero fuori dalla mia finestra.

Solo la notte prima le stelle pendevano ancora come luminosi frutti dai suoi rami scuri, e la notte seguente si arrampicavano, incerte, lungo lo spoglio tronco devastato. Già, quelle stelle: per alcune notti, forse un paio, sole e perdute, graffiavano ancora la superficie deserta, ampia del cielo.

Sì, quel Lunedì, quel Lunedì di Pasqua. Liesl e Werner, alle due di notte, come due monelli di strada parigini seduti sul bordo dei loro improvvisati letti da zingari nella sala. E io sul letto di Renate: ho tolto il cartone di oscuramento dalla finestra e improvvisamente sono apparse alcune stelle all'altro capo del letto. Non erano le stesse stelle che vedo davanti alla mia finestra, ma ho avuto comunque un contatto con loro e d'un tratto mi ha invasa la sensazione rassicurante che, in qualunque posto del mondo io mi trovi, mi sarà possibile osservare le stelle e lasciarmi cadere su un letto, o sul pavimento o chissà dove, e sentirmi a casa, dovunque.

Ero ferma sul piccolo ponte e ho guardato oltre il canale: mi sono sciolta nel paesaggio e ho offerto tutta la mia tenerezza a quella notte, al cielo con le sue stelle e all'acqua e al ponticello. È stato il momento migliore della mia giornata. Sentivo che quella era l'unica maniera per dare voce e corpo alle tante sensazioni di tenerezza che, nel profondo, si provano per un altro: affidarle alla natura, lasciarle scorrere sotto un cielo, notturno e libero, di primavera e sapere che non c'è altra via d'uscita. E così sarebbe dovuta terminare la mia giornata, sarei dovuta andare a dormire nel mio lettino da studentessa dietro la luccicante finestra senza tende, e gli alberi sarebbero stati ancora al loro posto.

Venerdì sera, mentre tornavo da casa sua in bicicletta, attraverso la notte primaverile, ho sparso il grande amore e l'immensa tenerezza che provo per lui nella notte, ne ho riversata un po' nelle stelle e ne ho lasciata un po' nei cespugli lungo il canale. E poi: bisogna saper reggere i propri sentimenti forti e sopportarli e farli avanzare. Non si deve sempre desiderare di liberarsene, bisogna saperne portare il peso e non lasciarsene distruggere, anzi, trarne energie e non solo per quell'unico uomo ma anche per molte altre creature di Dio, che pure hanno diritto alla nostra attenzione e al nostro amore.

Mi mancano tutti gli strumenti per completare il mio lavoro di cesello sulle parole, quel lavoro che molto spesso mi impegna la mente, ma nel quale rimango bloccata proprio perché mi mancano le parole. Non posso nominare nulla della terra con il suo nome: nessuna città, nessun fiore, nessun santo, nessun principe, nessuna stella, niente. Ho bisogno del cosmo intero come similitudine per dare un contesto a ciò che sta nascendo dal profondo della mia anima, con tanta potenza e colore. Devo imparare ancora molto: i nomi che le persone attraverso le epoche hanno dato alle loro città, ai loro fiori, alle loro stelle, per poi poterli aggiungere, come altrettanti colori, alla mia povera tavolozza di parole.

Noi in fondo abbiamo solo da esistere, ma con semplicità, con insistenza, come esiste la terra, docile alle stagioni, chiara, scura, nello spazio, non chiedendo di posare se non nella rete degli influssi e di forze in cui le stelle si sentono sicure”.

Quante volte ho pregato, neppure un anno fa: Signore, ti prego, rendimi un po' più semplice. E se quest'anno mi ha portato qualcosa, è stata proprio questa maggiore semplicità interiore. E credo che in futuro riuscirò anche a esprimere le cose difficili di questa vita con parole molto semplici. In futuro.

Dunque, con quell'unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un “avvenire sconosciuto”. Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c'è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo - ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle - non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un “avvenire sconosciuto”?

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


Buona giornata a tutti :-)





giovedì 24 ottobre 2024

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature» Sole e Natura

NATURA

Per un attimo, mentre me ne stavo una mezz'ora al sole sulla nostra terrazzina di pietra, seduta sul bidone dei rifiuti, la testa appoggiata al mastello, con i raggi che cadevano sui rami forti, scuri e ancora senza foglie del castagno, ho sentito nettamente la differenza tra prima e adesso. Ora riesco a esprimere in breve ciò che ho provato, laddove stamattina avevo ancora bisogno di molte parole: quel sole sui rami scuri, gli uccelli cinguettanti e io sul bidone, al sole. Anche in passato restavo spesso a sedere così, ma non mi sono mai sentita come oggi, tranne qualche rara volta. Prima osservavo un albero sotto al sole soltanto con la mente: volevo dire a me stessa il motivo per cui lo trovavo tanto bello, volevo trovare le parole e comprendere come l'insieme funzionasse; desideravo scandagliare con la mente quella profonda sensazione, quell'impulso primordiale, almeno credo. Volevo quindi assoggettare la natura, vale a dire il tutto; volevo contenerlo. E il bello invece è - ed è davvero semplice - che adesso sono io a sentirmi assoggettata al tutto. Mi aggiro di qua e di là, invasa da questa profonda sensazione, ma essa non mi prosciuga più l'anima: al contrario, mi dà forza. Nelle mie vene scorre un sano flusso vitale, tanto che, mentre me ne stavo al sole, ho inconsapevolmente piegato la testa, come se potessi assimilare meglio quel nuovo senso di vitalità. D'un tratto ho compreso come una persona, il volto nascosto dietro le mani giunte, possa crollare violentemente sulle ginocchia e poi aver pace.

Un desiderio di silenzio. Ora il silenzio è tornato da me e io lo porto con me, continuamente. Devo dirlo a Liesl che afferma di sentirsi bene solo nella natura. Bisogna portare la natura dentro di sé, si può viverla in un fiore, in una nuvola, in una sensazione che ti scorre nelle vene. Una persona può racchiudere tutto in se stessa e portarselo dentro. È possibile. Ma non si possono sempre inseguire le cose, e non bisogna neanche esserne dipendenti.

Ero ferma sul piccolo ponte e ho guardato oltre il canale: mi sono sciolta nel paesaggio e ho offerto tutta la mia tenerezza a quella notte, al cielo con le sue stelle e all'acqua e al ponticello. È stato il momento migliore della mia giornata. Sentivo che quella era l'unica maniera per dare voce e corpo alle tante sensazioni di tenerezza che, nel profondo, si provano per un altro: affidarle alla natura, lasciarle scorrere sotto un cielo, notturno e libero, di primavera e sapere che non c'è altra via d'uscita. E così sarebbe dovuta terminare la mia giornata, sarei dovuta andare a dormire nel mio lettino da studentessa dietro la luccicante finestra senza tende, e gli alberi sarebbero stati ancora al loro posto.

La mia rosa tea sta appassendo tra la macchina da scrivere, un fazzoletto e un rocchetto di filo nero. È quasi insostenibilmente bella e tenera. Appassendo gentilmente, e con rassegnazione, si prepara ad abbandonare questa breve, fredda vita. È così tenera e amabile, e ha una tale grazia nella sua lenta morte che potrebbe facilmente spezzarmi il cuore. Ma bisogna lasciar morire in pace anche una rosa tea e non cercare fervidamente e disperatamente di trattenerla. In passato riuscivo a essere inconsolabile e inspiegabilmente triste per un fiore che appassiva. Ma bisogna imparare ad accettare anche l'appassire della natura, senza opporvi resistenza. E sapere che ci sarà sempre una nuova fioritura.

Vorrei scrivere un intero libro su un sassolino di ghiaia e su un paio di violette. Potrei vivere molto a lungo con una singola pietruzza, e avere la sensazione di vivere nella natura potente di Dio. Ho scoperto solo ora che la pietruzza di ghiaia di quel pomeriggio sul tetto, nel sole, proveniva direttamente dai giorni della creazione, e la mia sorpresa per aver scoperto all'improvviso così tanta eternità in una pietruzza non si è ancora sgretolata fino a oggi.

Senza caffè e senza sigarette si può vivere, protestava Liesl, ma senza la natura no, la natura non la si deve poter togliere a nessuno. Io ho detto: Fa' conto che siamo condannati al carcere, magari per qualche anno, e vivi con i due alberi dirimpetto a casa tua come se fossero un bosco. E per essere in carcere, abbiamo ancora una relativa libertà di movimento. 

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


SOLE

Per un attimo, mentre me ne stavo una mezz'ora al sole sulla nostra terrazzina di pietra, seduta sul bidone dei rifiuti, la testa appoggiata al mastello, con i raggi che cadevano sui rami forti, scuri e ancora senza foglie del castagno, ho sentito nettamente la differenza tra prima e adesso. Ora riesco a esprimere in breve ciò che ho provato, laddove stamattina avevo ancora bisogno di molte parole: quel sole sui rami scuri, gli uccelli cinguettanti e io sul bidone, al sole. Anche in passato restavo spesso a sedere così, ma non mi sono mai sentita come oggi, tranne qualche rara volta. Prima osservavo un albero sotto al sole soltanto con la mente: volevo dire a me stessa il motivo per cui lo trovavo tanto bello, volevo trovare le parole e comprendere come l'insieme funzionasse; desideravo scandagliare con la mente quella profonda sensazione, quell'impulso primordiale, almeno credo. Volevo quindi assoggettare la natura, vale a dire il tutto; volevo contenerlo. E il bello invece è - ed è davvero semplice - che adesso sono io a sentirmi assoggettata al tutto. Mi aggiro di qua e di là, invasa da questa profonda sensazione, ma essa non mi prosciuga più l'anima: al contrario, mi dà forza. Nelle mie vene scorre un sano flusso vitale, tanto che, mentre me ne stavo al sole, ho inconsapevolmente piegato la testa, come se potessi assimilare meglio quel nuovo senso di vitalità. D'un tratto ho compreso come una persona, il volto nascosto dietro le mani giunte, possa crollare violentemente sulle ginocchia e poi aver pace.

A Deventer le mie giornate erano come grandi pianure illuminate dal sole, ogni giornata era un tutto ininterrotto, mi sentivo in contatto con Dio e con tutti gli uomini - probabilmente perché non vedevo quasi nessuno. C'erano campi di grano che non dimenticherò mai e dove mi sarei quasi inginocchiata, c'era l'IJssel, con i parasole colorati, il tetto coperto di canne, i pazienti cavalli. E poi il sole, che assorbivo da tutti i pori. Qui, invece, le giornate sono fatte di mille pezzetti, la grande pianura è sparita e così pure Dio, e se andrà avanti di questo passo io rimetterò tutto in questione: e questa non è profonda filosofia, ma un segno che non sto bene. E poi c'è quella strana irrequietezza che non so ancora come sistemare. Ma chissà che essa non possa dare buon frutto nel mio lavoro, quando saprò incanalarla.

Stasera il sole pendeva come una palla infuocata tra i due alberi neri di una nave. Un treno giocattolo scorreva in lontananza lungo il ponte ferroviario. C'era un glorioso cielo ricoperto di nubi. Stavo lì sul ponte ferroviario nel mio impermeabile, a guardare. Era così bello e anche tanto normale e buono.

A volte è tutto così tremendamente difficile. Oh, insomma, il sole splende così glorioso, lasciamoci un po' andare e viviamo semplicemente sotto il sole, dormiamo e dimentichiamo per un momento tutti i doveri e i rapporti e i temi di russo e i dentisti, tu goditi la Duse e il tuo sognare.

Oggi pomeriggio, giacinti e narcisi sotto il sole, Beethoven, gli Spieringen di fronte al bimbo olandese di tre anni che ha già i capelli bianchi sulle tempie, torta fatta in casa venuta da Beetsterzwaag e atmosfera, così tanta buona atmosfera attorno a noi, così tante buone irradiazioni di ognuno di noi verso tutti gli altri: mio Dio, si può davvero essere grati per così tante cose buone...

Per me la realtà più vera è ancora quel sole sui giacinti, il coniglio, il budino di cioccolato e Beethoven, e anche i suoi capelli bianchi sulla tempia e il suo collo giovane. Quando, stando in piedi, ha letto ad alta voce quel salmo prima di cena, alla luce della lampada, senza emozione e quasi oggettivo, una vasta bontà si è stesa sul caro paesaggio del suo viso.

Rilke. Sto leggendo le sue lettere. Ogni giorno trovava nuove parole, buone e affettuose per il mondo della natura e degli uomini. Ogni giorno, per così dire, trovava nuovi vezzeggiativi e gesti amichevoli, per l'aria, la pioggia, il sole, per le “cose”. Eppure non era un uomo avvezzo a lagnarsi con i fiorellini e gli uccellini, ha sempre lavorato e duramente. Perché mai non si dovrebbero trovare ogni giorno nuove parole e vezzeggiativi per le cose quotidiane che ci circondano e per l'aria che respiriamo?

Di questi tempi, bisognerebbe essere grati ogni giorno che splende il sole e non si è imprigionati.

È bellissimo avere alcune ore per se stessi sotto al sole: moltissime preoccupazioni ti abbandonano.

Eccomi sdraiata sul divano, lo strano rottame di una giovane donna isterica, che si sente tanto pesante e tesa nel ventre e così leggera nella testa. Dietro di me, il sole. E il mio piccolo castagno leva al cielo, come in una supplica, tante piccole mani decorative dal vaso di terracotta.

Mi sento tanto sicura di me stessa e per nulla spaventata, in qualche modo trionfante e indistruttibile, piena di tanto amore e fiducia. E se anche il più piccolo vacillamento, la più sottile paura dovessero insinuarsi in te, sarò immediatamente con te e ti sosterrò. Un vecchio vestito, un paio di sandwich, un po' di sole di tanto in tanto, e uno sguardo affettuoso; una mano che c'è ancora e può accarezzare: è tutto quello che serve.

E poi sono rimasta al sole ancora un'ora da sola, e questo mi è bastato come fosse una vacanza molto lunga. Riesco a riposare tra due profondi respiri, lo imparo sempre meglio: un'ora di sole può significare un'intera vacanza estiva.

Già, e dopo il freddo giorno grigio di ieri, questo sole tenero, davvero tenero, è un dono inatteso. Ci si può tuffare in questi giorni come in un tiepido e salutare bagno, e si deve cercare di salvarne qualcosa per i giorni freddi che verranno.

Oh, quegli uccelli e quel sole sul ghiaino del tetto. Ho nell'anima tanta calma e dolcezza, e un senso di appagamento che riposa in Dio. Che forza primordiale vien fuori dall'Antico Testamento e che radice “popolare”, anche. Magnifiche figure, forti e poetiche, vivono in quelle pagine. Un libro davvero avvincente, aspro e tenero, ingenuo e saggio, interessante non solo per ciò che dice, ma anche perché permette di conoscere chi lo dice.

Alla fine di una giornata come questa, Tide avrebbe detto, in un tono quasi oggettivo: Dio grande, Ti ringrazio per quelle buone ciliegie, per il sole e per avermi permesso di passare l'intera giornata con lui.

Ieri il mio cuore era come un uccello preso in trappola, ora è di nuovo libero e vola indisturbato dappertutto. Oggi c'è il sole. Preparo i miei panini e mi metto in cammino.

Quante cose possiedo ancora, Dio mio: e una persona come me vuol essere un giglio del campo? Dunque, con quell'unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un “avvenire sconosciuto”. Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c'è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo - ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle - non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un “avvenire sconosciuto”?

Prendere in mano le cose terrestri giustamente, pieni di cordiale amore. Di meraviglia, come cose nostre, passeggere, uniche: questo è anche, per dirla usualmente, il grande avvertimento sul modo di usare Dio, questo intendeva descrivere san Francesco d'Assisi nel suo Cantico al Sole, che all'ora della morte per lui fu più magnifico della croce, la quale s'ergeva là solo per indicare la direzione del sole”.

Etty Hillesum e i temi del «Cantico delle creature»


Buona giornata a tutti :-)







martedì 19 gennaio 2021

da: "I racconti del maktub" - Paulo Coelho

L'amore perdona 

 All'Ultima Cena, Gesù accusò - con la stessa gravità e le medesime parole - due dei suoi apostoli. Entrambi avevano commesso i crimini predetti da Gesù. Giuda Iscariota nascose i suoi sentimenti e condannò se stesso. 
Pietro anche nascose i suoi sentimenti, dopo aver rinnegato tre volte tutto ciò in cui aveva creduto. Ma nel momento decisivo, Pietro capì il vero significato del messaggio di Gesù. Chiese perdono e andò avanti, umiliato. Avrebbe potuto scegliere il suicidio, invece affrontò gli altri apostoli e dovrebbe aver detto: "D'accordo, raccontate i miei errori fino a che esisterà il genere umano. Ma lasciatemi correggerli". 
Pietro imparò che l'Amore perdona. Giuda non imparò nulla.

- Paulo Coelho -
da "I racconti del maktub"



L'albero carico di frutti

Un maestro stava viaggiando con i suoi discepoli, quando notò che stavano discutendo tra loro su chi fosse il migliore. 
"Ho praticato la meditazione per quindici anni", disse uno. 
"Sono stato caritatevole fin da quando ho lasciato la casa dei miei genitori", disse un altro. 
A mezzogiorno, si fermarono sotto un melo per riposarsi. I rami dell'albero raggiungevano il terreno. "Quando un albero è carico di frutti, i suoi rami si piegano fino a toccare il terreno. Il vero saggio è colui che è umile. Gli stupidi credono sempre di essere migliori degli altri".

- Paulo Coelho -
da "I racconti del maktub"



La strada da prendere

Se sei insoddisfatto di qualcosa - anche di una buona cosa che vorresti fare, ma non sei in grado di farla - smetti ora. Se le cose non stanno andando bene, ci sono solo due spiegazioni: o la tua perseveranza è messa alla prova, o hai bisogno di cambiare direzione. 
Per scoprire quale delle due opzioni è corretta - dal momento che sono opposte l'una all'altra - usa il silenzio e la preghiera. 
Poco a poco, le cose diverranno stranamente chiare, fino a che non avrai sufficiente forza per scegliere. 
Una volta che hai preso la tua decisione, dimentica completamente l'altra possibilità. E vai avanti, perché Dio è il Dio del Valoroso. 
Domingos Sabino dice: "Tutto va sempre per il meglio. Se le cose non stanno andando bene, è perché non hai ancora raggiunto la fine".

- Paulo Coelho -
da "I racconti del maktub"





Buona giornata a tutti :-)

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lunedì 3 agosto 2020

“Il mio amore ha mille anni” Lettera di Etty Hillesum a Julius Spier

«Delle cose ultime, essenziali della vita e del dolore non si può parlare, la voce non ce la fa. Io comprendo tutto di te e tutto ciò che ti riguarda io lo porto con me e ho ringraziato di nuovo Dio per il fatto che nella mia vita esista un uomo come te.
Devi occuparti della tua salute; è il tuo primo sacro dovere se vuoi aiutare Dio. 
Un uomo come te, uno dei pochi ad essere una dimora autentica per un po’ di vita, un po’ di dolore, un po’ di Dio – i più infatti hanno tradito da tempo sia la vita che il dolore e Dio, per essi sono ormai suoni vuoti - ha il sacro dovere di mantenere, nel migliore dei modi possibili, il suo corpo, la sua “dimora terrena” in buono stato, per poter offrire a Dio ospitalità il più a lungo possibile.
Manca ancora molto tempo alla fine. Anch’io mi occuperò di me. 
Ho così tanta forza, che tu puoi prendertela tutta e in me nasceranno nuove energie. Ti ho così infinitamente caro, la tua anima è così infinitamente cara alla mia. La mia anima di quando in quando vorrebbe giacere accanto alla tua, e questo a poco a poco non ha più nulla a che vedere col desiderio che una donna può provare per un uomo.
A volte vorrei poter distendere il mio corpo nudo, così come Dio l’ha creato accanto al tuo corpo nudo, così come Dio ti ha creato, e ho soltanto la sensazione che la mia anima voglia coricarsi accanto alla tua. Se in questo periodo non si scoppia di tristezza, né dall’altro lato per autodifesa ci si indurisce e si diventa cinici o rassegnati, allora si diventa più dolci, più miti, più disperati, più comprensivi, più innamorati.
Io so come tutto questo stia accadendo dentro di te e tu mi hai portata con te sul tuo cammino, ed io vivo insieme con te la stessa strada fino alla fine. 
La mia autenticità e il mio amore hanno mille anni ed ogni giorno invecchiano di mille anni. Quest’epoca, come noi la esperiamo, posso sopportarla, posso anche perdonare Dio per il fatto che vada come deve andare – il fatto è che si ha in sé tanto amore da riuscire a perdonare Dio!!  
E tu devi occuparti della tua salute e riposarti e riposarti, ora io non posso star molto vicina a te – col pensiero però sono sempre vicina a te - ma promettimi che avrai sempre buona cura di te.
Poiché ti sento aprire subito le tue tendine, ora salirai presto da me? 
Oggi a mezzogiorno cercherò di venire ancora, mi farebbe tanto piacere».

(traduzione di Andrea Vitolo. Cit. in “Alfa Zeta”, n.10-11, 1996, p. 43)


"L’unità ci precede: 
non siamo noi a produrla, ci viene data. 
Ma proprio per questo ne siamo responsabili: 
il dono dell’unità
viene consegnato alla nostra libertà."

card. A. Scola 
da: Omelia 4 Novembre 2011



" Questo è ciò che ogni giorno mi insegna daccapo:
che bisogna rimanere aperti,
che non ci si deve chiudere in se stessi
nei momenti più bui, 
né affondare in essi 
pensando che sia un giorno perso, triste. 
Nella mia vita quasi troppo ricca, 
mi rendo conto che ci sono 
centinaia di svolte in una giornata, 
centinaia di sorprese..."

Etty Hillesum
da: Diario


"I nostri giorni d’amore sono pochi:
facciamo almeno che siano divini"

T.S. Eliot 
da: "Lirica"



Buona giornata a tutti. :-)

venerdì 30 novembre 2018

Etty Hillesum e Teresa di Lisieux, due figure femminili in cui s'intrecciano intuizione e contemplazione, fede e grazia, - card. Gianfranco Ravasi

«Bisogna saper accettare le proprie pause»: si noti bene, non "paure", ma per Etty (Ester) Hillesum le "pause", le soste, gli spazi vuoti di silenzio sono la "minore" rispetto alla totalità "maggiore" degli eventi e dei pensieri forti, ed entrambi costituiscono il contrappunto armonico della vita.
La frase citata è l'ultima, scritta in maiuscoletto, dei diari che hanno reso celebre questa giovane donna ebrea, nata nel 1914 e reca la data della «mattina presto» del 13 ottobre 1942... 
Non è possibile rendere ragione dello straordinario arcobaleno tematico e spirituale di queste pagine: chi ne intraprende la lettura non può più lasciarla fino all'approdo finale e non ne può uscire indenne. 
L'unica nota che vogliamo segnalare riguarda proprio l'arco cromatico dei diari, specchio di un'evoluzione esistenziale. Etty, infatti, parte dal gelido violetto degli interessi esterni di una ragazza di Amsterdam, non osservante, desiderosa solo di vivere, amante di Rilke, Dostoevskij e Jung, non priva di relazioni sentimentali.
Ben presto, però, in lei si accende una scintilla che le incendia l'anima e la sua diventa un'ascensione verso il mistero e l'incontro intimo e supremo con Dio e verso l'altro estremo rosso fuoco di quello spettro spirituale.
Le parole talora si fanno incandescenti e rivelano una straordinaria temperie mistica che si alimenta sia a un'intelligenza fremente e altissima sia alla tragedia della distruzione che il nazismo sta operando nei confronti degli Ebrei («la nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte e presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi»). 
Confessa: 
«In fondo, quelle a Dio sono le uniche lettere d'amore che si devono scrivere»
E ancora: 
«Si deve essere capaci di vivere senza libri e senza niente. Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera». 
Era convinta che, «dissodando vaste radure di pace in noi stessi», esse si sarebbero potute estendere fino a pacificare l'intera umanità, perché Dio dev'essere «disseppellito dai cuori devastati dagli uomini», così come egli dev'essere «dissotterrato» dalla nostra anima dove giace «coperto di pietra e di sabbia» (e questa annotazione è stata citata da Benedetto XVI nella sua penultima udienza generale dello scorso febbraio).
Se si imbocca la via della citazione da quei quaderni, non si riesce più a staccarsene. 
È per questo che ci fermiamo qui con un'ultima evocazione che potrebbe essere un suggello ideale: 
«La mia vita è diventata un dialogo ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande dialogo. A volte quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti verso il tuo cielo, il mio volto si inonda di lacrime che sgorgano da un'emozione profonda e da gratitudine.
Anche di sera quando, coricata sul mio letto, mi raccolgo in te, mio Dio, lacrime di gratitudine mi inondano il volto: e questa è la mia preghiera». 
Tutta la famiglia Hillesum fu deportata ad Auschwitz nel settembre 1943; i genitori furono eliminati subito nelle camere a gas, mentre Etty –secondo la Croce Rossa – morì il 30 novembre. 
Aveva 29 anni.

Etty Hillesum, un nuovo senso delle cose
Nell'arcobaleno di Etty di Gianfranco Ravasi
(in “Il Sole 24 Ore” del 19 maggio 2013)



A lei vogliamo accostare un'altra figura femminile mistica di grande fascino: è Teresa di Lisieux, morta a soli 24 anni nel 1897, canonizzata nel 1925 da Pio XI e dichiarata a sorpresa "Dottore della Chiesa" da Giovanni Paolo II nel 1997, cent'anni dopo la sua morte. 
A lei, entrata quindicenne nel Carmelo ove elaborerà quella straordinaria Storia dell'anima dalla redazione travagliata ma folgorante per il suo messaggio, un teologo che è anche un noto giornalista, Gianni Gennari, dedica un poderoso testo, capace di raccogliere quel capolavoro spirituale nei suoi tre manoscritti (A, B,C), ma anche un ritratto incisivo e accurato della santa. Come, infatti, confessa in un "postscriptum personale", egli ha incontrato gli scritti e la personalità di Teresa, uscendo nel 1957 da un lungo stato di coma.
Di là iniziò la ricerca storico-critica e teologica appassionata attorno a questo «piccolo fiore» che aveva scelto la via dell'infanzia evangelica (che non è infantilismo) per ascendere fino ai sentieri d'altura ove si scopre che 
«Dio non ha affatto bisogno delle nostre opere, ma solo del nostro amore». 
Questa «piccola via» conquisterà tanti suoi lettori, a partire da Bernanos che scriveva a un amico: 
«Ho perso l'infanzia e non la potrò riconquistare se non attraverso la santità», per giungere all'ebreo Joseph Roth della Leggenda del santo bevitore, per non parlare poi dei papi, come Gennari attesta in un capitolo specifico. Persino un personaggio piuttosto forte e rude come Pio XI ne rimase coinvolto fino al punto da considerarla «stella del suo pontificato», pur negandole, perché donna, quel titolo di "Dottore" che – come si è detto – un suo successore con convinzione le assegnerà.
Concludiamo questo squarcio di luce che promana da due figure femminili in cui s'intrecciano intuizione e contemplazione, fede e grazia, con un saggio a suo modo sorprendente.



per questo non vediamo più lontano

Tutti i pensieri intelligenti sono già stati pensati; occorre solo tentare di ripensarli. Di solito rispondo con questa frase di Goethe a tutti quelli che mi chiedono di giustificare il mio ricorso alle citazioni dei pensieri altrui e, quindi, anche questo “Breviario”. 
Sto per altro in buona compagnia, se è vero che sant’Agostino ha intarsiato le sue opere con qualcosa come sessantamila citazioni bibliche. C’è, però, una spiegazione più profonda che dirò con un’ulteriore citazione.
Bernardo di Chartres (XII sec.) usava un’immagine divenuta celebre: 
«Siamo nani sulle spalle di giganti». 
Non partiamo mai da zero, nella scienza e nella filosofia, nell’arte e nella religione, ma ci fondiamo su idee grandiose che ripensiamo. Idee e intuizioni di giganti sulle cui spalle guardiamo l’orizzonte infinito dell’essere e dell’esistere. Ed è per questo che vediamo più lontano. 

- cardinale Gianfranco Ravasi - 



Buona giornata a tutti. :-)





sabato 17 febbraio 2018

Il silenzio di Dio - Anthony Bloom

L'incontro fra Dio e noi nell'orazione continua parte sempre dal silenzio. Dobbiamo imparare a distinguere due generi di silenzio: il silenzio di Dio e il nostro silenzio interiore. 
Anzitutto il silenzio di Dio, spesso più difficile da sopportare del suo rifiuto, quel silenzio assente di cui già abbiamo detto. 
In secondo luogo, il silenzio dell'uomo, più fecondo del nostro parlare, in una comunione più stretta con Dio di quella mediata da qualsiasi parola.
Il silenzio di Dio di fronte alla nostra preghiera può durare solo per un attimo, o può sembrare che vada avanti all'infinito. 
Cristo restò in silenzio di fronte alle suppliche della cananea, e questo lo condusse a raccogliere tutta la propria fede, la speranza e l'amore umano per offrirli a Dio, per far sì che egli potesse estendere i confini del suo regno al di là del popolo eletto. 
Il si1enzio di Cristo suscitò quindi la risposta della donna, la fece crescere di qualità.
E Dio può fare lo stesso nei nostri riguardi, con silenzi di maggiore o minore durata, che chiamano a raccolta le nostre forze e la nostra fedeltà e ci conducono a un rapporto più profondo con lui rispetto a quello che si sarebbe potuto realizzare se la via fosse stata facile. 
Ma a volte il silenzio per noi assume il suono tetro dell' irrevocabile.

- Anthony Bloom - 
(1914 – 2003)
Da “La preghiera giorno dopo giorno” , Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 



"Bisogna essere sempre più parchi di parole insignificanti per trovare quelle parole di cui si ha bisogno. 
Il silenzio deve alimentare nuove possibilità di espressione.“

- Etty Hillesum - 



 Il silenzio dell'Uomo 

Il silenzio di Dio e la sua assenza, ma anche il silenzio e l'assenza dell'uomo. Un incontro non acquista spessore e pienezza finché le due parti che convergono non diventano capaci di tacere l'una con l'altra. 
Fino a quando abbiamo bisogno di parole e azioni, di prove tangibili, non abbiamo ancora raggiunto la profondità e la pienezza che cercavamo. 
Non abbiamo fatto esperienza di quel silenzio che avvolge due persone che condividono una certa intimità. Va molto in profondità, assai più di quello che credevamo, il silenzio interiore in cui incontriamo Dio, e con Dio e in Dio il nostro prossimo.
In questo stato di quiete non c'è bisogno di parole per sentirsi vicini al nostro compagno, per comunicare con lui nel nostro essere più profondo, al di là di noi stessi in qualcosa che ci unisce. 
E quando il silenzio si fa sufficientemente profondo, possiamo iniziare a parlare dalle sue profondità, pur con prudenza e cautela per non rovinarlo con il disordine rumoroso che sta nelle nostre parole. 
Allora, il nostro pensiero è contemplazione.
La mente, invece di cercare di distinguere fra forme molteplici, come è abituata a fare, cerca di farne emergere di semplici e radiose dagli abissi del cuore. 
La mente sta compiendo il suo vero lavoro. Serve colui che esprime qualcosa di più grande di lei. Scrutiamo profondità che ci trascendono e cerchiamo di esprimere qualche frammento di quel che abbiamo trovato con timore e rispetto. 
Parole di questo genere, quando non rendono volgare o cerebrale quest'esperienza nel suo insieme, non rompono il silenzio, ma lo esprimono.

- Anthony Bloom - 
(1914 – 2003)
Da “La preghiera giorno dopo giorno” , Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 



Buona giornata a tutti. :-)