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lunedì 24 luglio 2017

Gesù non è uno dei tanti fondatori di religioni, ma è il Figlio del Dio vivente - papa Benedetto XVI

Ci sono due modi di “vedere” e di “conoscere” Gesù: uno – quello della folla – più superficiale, l’altro – quello dei discepoli – più penetrante e autentico. 
Con la duplice domanda: “Che cosa dice la gente – Che cosa dite voi di me?”, Gesù invita i discepoli a prendere coscienza di questa diversa prospettiva. 
La gente pensa che Gesù sia un profeta. Questo non è falso, ma non basta; è inadeguato. Si tratta, in effetti, di andare in profondità, di riconoscere la singolarità della persona di Gesù di Nazaret, la sua novità. 
Anche oggi è così: molti accostano Gesù, per così dire, dall’esterno. 
Grandi studiosi ne riconoscono la statura spirituale e morale e l’influsso sulla storia dell’umanità, paragonandolo a Buddha, Confucio, Socrate e ad altri sapienti e grandi personaggi della storia. 
Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità. Viene in mente ciò che disse Gesù a Filippo durante l’Ultima Cena: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” (Gv 14,9). 
Spesso Gesù è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione. Come allora, dunque, anche oggi la “gente” ha opinioni diverse su Gesù. 
E come allora, anche a noi, discepoli di oggi, Gesù ripete la sua domanda: “E voi, chi dite che io sia?”. Vogliamo fare nostra la risposta di Pietro. Secondo il Vangelo di Marco Egli disse: “Tu sei il Cristo” (8,29); in Luca l’affermazione è: “Il Cristo di Dio” (9,20); in Matteo suona: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (16,16); infine in Giovanni: “Tu sei il Santo di Dio” (6,69). Sono tutte risposte giuste, valide anche per noi.


- papa Benedetto XVI -
Omelia, Basilica Vaticana, 29 giugno 2007


Credo in Dio e credo nell'uomo, quale immagine di Dio.
Credo negli uomini, nel loro pensiero, nel valore della loro sterminata fatica.
Credo nella vita come dono e come durata, come possibilità illimitata di elevazione, non prestito effimero dominato dalla morte.
Credo nella gioia: la gioia di ogni stagione, di ogni tappa, di ogni aurora, di ogni tramonto, di ogni volto, di ogni raggio di luce che parta dal cervello, dai sensi, dal cuore.
Credo nella famiglia del sangue e nella famiglia prescelta per il mio lavoro.
Credo nel dovere di servire il bene comune perché giustizia, libertà e pace siano a fondamento della vita sociale.
Credo nella possibilità di una grande famiglia umana e nell'unità dei cristiani quale Cristo la volle.
Credo nella gioia dell'amicizia, nella fedeltà e nella parola degli uomini.
Credo in me stesso, nella capacità che Dio mi ha conferito, perché possa sperimentare la più grande fra le gioie, che è quella del donare e del donarsi.
In questa fede voglio vivere, per questa fede voglio lottare e con questa fede voglio addormentarmi in attesa del grande, gioioso risveglio.

(Padre Giulio Bevilacqua)
(1881-1965)



Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 8 giugno 2017

Beati gli operatori di pace - madre Anna Maria Cànopi

L’uomo mite, pacifico, è forte, ma la sua forza è quella dell’amore. 
Il nostro tempo ha bisogno di uomini, di donne che siano presenza di pace, trasparenza del volto e del cuore di Cristo in mezzo ai fratelli. L’uomo sente il bisogno di riconciliarsi con Dio e di instaurare rapporti di amicizia con i suoi simili. Di fronte ai continui fallimenti nel ricercare una pace stabile e duratura, si va approfondendo in lui la certezza che la pace vera può essere solo dono di Dio. Il Signore ha annunziato pace “per chi ritorna a lui con tutto il cuore. La sua salvezza è vicina a chi lo teme e la sua gloria abiterà la nostra terra.
Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno” (Sal.85, 9-11). Tale incontro avverrà nel Dio incarnato, in Gesù, che riporterà l’uomo alla sua piena verità riversando su di lui la divina misericordia e gli darà pace giustificandolo, prendendo su di sé il suo peccato e inchiodandolo alla croce. Dopo di lui non si può più amare la verità e rifiutare la misericordia, cercare la pace e calpestare la giustizia. Con lui la pace non è più soltanto un saluto, un augurio, una speranza, ma un dono, il dono di una Presenza che è Pace. Cristo stesso è la Pace donata all’umanità; egli infatti ha firmato con il suo sangue la nuova ed eterna Alleanza tra Dio e gli uomini.
Dopo la Resurrezione, apparendo ai discepoli radunati nel Cenacolo, Gesù li saluta donando la pace, donandosi come pace: «Shalòm! Pace a voi!». 
Questa pace è un anticipo della beatitudine finale, perché la costruzione della città di Dio inizia fin d’ora. Per cooperare alla costruzione della “città della pace”, occorrono cristiani disposti a essere sempre e ovunque messaggeri di pace, uomini evangelici.
In diversi modi tutti siamo mandati gli uni agli altri quali portatori di pace. Compiremo bene la nostra missione se vivremo autenticamente il Vangelo. 
La causa della pace richiede, infatti, annunciatori disarmati interiormente, quindi poveri, umili, affamati della vera giustizia, fedeli discepoli di Cristo, misericordiosi, puri di cuore, per diffondere intorno a sé benevolenza e serenità. Vivendo tutte le beatitudini, saremo non soltanto portatori di qualcosa, ma diventeremo noi stessi, come Gesù, un sacramento di pace, un dono che crea comunione.
La pace è donata, ma dev’essere anche accolta; lo scambio avviene soltanto se un altro cuore disarmato si apre a riceverla.
Gratuità, carità, sacrificio di sé garantiscono la diffusione della pace. 
Gesù vuole che siamo pieni della grazia della pace. È un servizio di carità.
In questa vita, ora l’uno ora l’altro conosciamo tutti momenti di maggior fatica e facile cedimento: l’importante è sostenersi, perché alla caduta di uno non segua la caduta di altri, ma piuttosto un più grande stimolo di carità. 
San Paolo (Ef 6,13-18) ci istruisce circa il modo di affrontare quotidianamente la lotta al peccato per vivere quali figli della pace.
Alla radice c’è l’umiltà che non ci fa presumere di poterla affrontare da soli, ma ci fa attingere forza dal Signore mediante la preghiera continua, l’ascolto e la pratica della Parola di Dio e l’obbedienza di fede.
“Prendete l’armatura di Dio… State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace. 
Tenete sempre in mano lo scudo della fede, prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito…”.
“O Cristo, Re di giustizia e di pace, rivestici di te: il tuo amore sia la nostra legge, la tua pace sia la nostra gioia, e saremo per tutti i nostri fratelli tribolati sulle vie del mondo, un segno rassicurante della tua presenza; saremo un monte delle Beatitudini dal quale Tu ogni giorno continui a offrire a tutti gli uomini la tua salvezza e la tua pace. Amen”.

- Madre Anna Maria Canopi -
Fonte da:  Beati i poveri…beati… Lectio divina sulle Beatitudini, Paoline, Milano 2004




Nella vita cenobitica gli incarichi ricevuti e i doni che ciascuno possiede sono sempre un bene comune per il servizio della comunità, quindi esigono un atteggiamento di profonda umiltà e di gratuità; non devono mai essere ricercati, ma sempre umilmente accolti nell'obbedienza.

- Madre Anna Maria Cànopi - 


E' veramente povero solo chi è contento di tutto, non pretende attenzioni, gratificazioni, riconoscimenti, perché in tutto cerca e trova il suo Signore, di cui nulla ha di più caro.

- Madre Anna Maria Cànopi -



Buona giornata a tutti. :-)


martedì 18 aprile 2017

La Comunità e l'Eucarestia - Jean Vanier

Un altro nutrimento che crea il legame tra il nutrimento comunitario e quello personale, perché è l'uno e l'altro insieme, è l'Eucaristia.
L'Eucaristia è la celebrazione, la festa comunitaria per eccellenza, perché ci fa rivivere il mistero di Gesù che dà la sua vita per noi. Ci fa rivivere, in modo sacramentale, il suo sacrificio della Croce che ha aperto agli uomini una nuova strada di vita, che ha liberato i cuori dalla paura perché possano amare ed essere di Dio e perché possano vivere la comunità. 
L'Eucaristia è il luogo dell'azione di grazia di tutta la: comunità. 
Per questo, dopo la consacrazione, il sacerdote dice: Quando ci saremo nutriti del suo Corpo e del suo Sangue e colmati di Spirito Santo, accordaci di essere un solo corpo e un solo spirito nel Cristo.

Si raggiunge qui il cuore del mistero della comunità. 
Ma è anche un momento intimo nel quale ognuno di noi è trasformato dall’ incontro personale con Gesù: - Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue. rimane in me ed io in lui - (Gv 6,56)  ..  
Al momento della consacrazione il sacerdote dice le parole di Gesù: «Ecco il mio corpo offerto per voi, mangiatene tutti. - È la parola «offerto per voi- che m'impressiona. 
Solo quando si è mangiato questo corpo ci si può offrire agli altri. 
Solo Dio può inventare una simile realtà. 
Questo sacrificio, che è anche una festa di nozze, ci chiama ad offrire le nostre vite al Padre, a diventare pane per gli altri e a rallegrarci per la festa di nozze dell'Amore. 
Essendo all'Arca, sono molto sensibile alla realtà del corpo. Molti di quelli che abbiamo accolto non possono parlare, ma esprimono tutti il loro amore e le loro paure attraverso il corpo. 
Il corpo è più fondamentale della parola. 
Il Corpo di Cristo è più fondamentale della Sua Parola. 
Molte persone che hanno un handicap non possono capire la Parola, ma possono mangiare il Suo Corpo. E sembra che abbiano una profonda intelligenza di ciò che significa la comunione. Perché vivono della comunione tra le persone, sono eminentemente preparate alla comunione con il Cristo. 
Le comunità prendono sempre più coscienza del posto centrale dell'Eucaristia nella loro vita. Gesù è venuto nel mondo per darci un nuovo pane di vita, un nuovo nutrimento, la Sua Parola e il Suo Corpo; e la Parola è per il Corpo, è per la comunione. Gesù ha detto ai suoi apostoli: “Fate questo in memoria di me.” È per ordine suo che il sacerdote celebra l'Eucaristia che rende Gesù presente in modo sacramentale.
Quando l'Eucaristia viene celebrata in una comunità, tutti i membri sono riuniti nella comunione reciproca e si offrono al Padre, con suo Figlio Gesù, in suo Figlio Gesù e attraverso di lui, perché tutta la comunità diventi il luogo di presenza del Regno sulla terra e fonte di vita nell'amore dello Spirito Santo. La Parola è indispensabile per arrivare a collaborare insieme. 
I simboli e il contatto hanno un'importanza capitale per condurci alla comunione che è l'essenza della comunità. 
La celebrazione del Corpo di Cristo e dell'Eucaristia sono dei simboli e dei segni efficaci per creare la comunione. 


- Jean Vanier -
Fonte: "La comunità luogo del perdono e della Festa", pagg. 223,224



Buona giornata a tutti. :-)








venerdì 14 aprile 2017

E pure il tuo figlio e altre preghiere per il Venerdì Santo - Padre Davide Maria Turoldo

E pure il tuo figlio 
il divino tuo figlio, il figlio 
che ti incarna, l'amato 
unico figlio uguale 
a nessuno, anche lui 
ha gridato 
alto sul mondo: 
“Perché...?”
Era l'urlo degli oceani 
l'urlo dell'animale ferito 
l'urlo del ventre squarciato 
della partoriente 
urlo della stessa morte: 
“perché?”
E tu non puoi rispondere 
non puoi...
Condizionata onnipotenza sei!
Pretendere altro è vano.
T'invocava con tenerissimo nome:
la faccia a terra 
e sassi e terra bagnati 
da gocce di sangue:
le mani stringevano zolle 
di erba e fango:
ripeteva la preghiera del mondo: 
“Padre, abbà, se possibile”...
Solo un ramoscello d'olivo 
dondolava sopra il suo capo 
a un silenzioso vento...
Ma non una spina Tu 
gli levasti dalla corona.
Trafitto anche il pensiero: 
non può, non può lassù 
il pensiero non sanguinare!
Oh, le ferite della mente!
E non una mano 
gli schiodasti dal legno:
che si tergesse 
dagli occhi il sangue
e gli fosse dato 
di vedere 
almeno la Madre
là,
sola...
Perfino potenti 
e maestri di ferocia 
e gente, al vederlo 
si coprivan la faccia.
E lui a fluttuare 
dentro una nuvola:
dentro 
la nuvola del divino 
Nulla!
E dopo 
solo dopo 
Tu e noi 
a ridargli la vita
No, credere a Pasqua non è 
giusta fede: 
troppo bello sei a Pasqua!
Fede vera 
è al venerdì santo 
quando Tu non c'eri 
lassù!
Quando non una eco 
risponde 
al suo alto grido
e a stento il Nulla 
dà forma
alla tua assenza…

 - padre Davide Maria Turoldo -



Siamo qui, o signore Gesù.
Siamo venuti come i colpevoli
ritornano sul luogo del delitto,

siamo venuti come colui che Ti ha seguito,
ma Ti ha anche tradito,

tante volte fedeli e tante volte infedeli,

siamo venuti
per riconoscere il misterioso rapporto

fra i nostri peccati e la Tua Passione:

l'opera nostra e l'opera Tua,

siamo venuti per batterci il petto,
per domandarti perdono,

per implorare la Tua misericordia,

siamo venuti
perchè sappiamo che Tu puoi,

che Tu vuoi perdonarci,

perchè Tu hai espiato per noi.

Tu sei la nostra redenzione
e la nostra speranza.


- Beato Paolo VI, papa  -


Davanti alla Croce 

Noi ti adoriamo, Cristo Gesù.
Ci mettiamo in ginocchio

e non troviamo parole sufficienti

per esprimere quel che proviamo
davanti alla tua morte in croce.
Noi desideriamo, o Cristo,
gridare oggi verso la tua misericordia
più grande di ogni forza e potenza
alla quale possa appoggiarsi l'uomo.
La potenza del tuo amore
si dimostri ancora una volta più grande
del male che ci minaccia.
Si dimostri più grande dei molteplici peccati
che si arrogano in forma sempre più assoluta
la cittadinanza nella vita degli uomini.

- San Giovanni Paolo II, papa - 



Preghiera per il Venerdì Santo 

Dio Redentore, eccoci alle porte della fede,
eccoci alle porte della morte,

eccoci di fronte all’albero della croce.

Solo Maria resta in piedi
nell’ora voluta dal Padre, nell’ora della fede.
Tutto è compiuto,ma, allo sguardo umano,
a sconfitta sembra completa.
Sul ruvido legno della croce, tu fondi la chiesa:
affidi Giovanni come figlio
a tua madre, e tua madre, da questo momento
entra nella casa di Giovanni.
Tutto è compiuto. Tu hai dato la vita,
apri il nostro cuore a questo dono totale.
Sul legno hai elevato tutto a te.
O Signore,
disceso dalla croce raggiungi l’uomo in lacrime,
per dirgli che l’hai amato fino in fondo.

- don Romano Guardini - 



Ci siamo
anche noi
ai piedi
della tua croce.
Siamo venuti
per chiederti
ancora qualcosa:
un ultimo favore,
un aiuto per oggi,
qualche briciola
di benessere
in più.
E tu,
con l’ultimo
sorso di vita,
invece
di assecondare
i nostri
sciocchi
capricci
ci doni
una madre.
La tua.
La nostra.
____________________________
XII stazione. Gesù in croce, la madre e il discepolo (Giovanni 19,26-27)

- Patrizio Righero - 




Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
in cielo, in terra e sottoterra,
perché Gesù si è fatto obbediente
fino alla morte, alla morte di croce:
per questo Gesù Cristo è il Signore,
a gloria di Dio Padre.



Silenzio e digiuno






domenica 9 aprile 2017

Domenica delle Palme - Card. Angelo Scola

Dove erano, quando Gesù agonizzava sulla croce, quelli che lo avevano acclamato come Messia mentre entrava in Gerusalemme? 
Debole è l’uomo (anche il potere del procuratore romano Pilato è profondamente debole e svela una ributtante pavidità). 
Debolissimo è l’uomo, pieno di incoerenza e fragilità, facile al dubbio e ancor più allo scandalo. Potente invece è Cristo Crocifisso nella Sua obbedienza al Padre. Incrollabile è la Sua decisione, senza limiti la Sua fedeltà. 
Per questo, alla fine, contro di Lui il mondo non può nulla. Infatti Gesù non indietreggia ma, come ci ha detto la Prima Lettura, va verso l’estremo sacrificio con sovrana libertà: «… non mi sono tirato indietro. 
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,5-6). 
Non lo piegano l’insolenza dei soldati, la fuga dei discepoli, la perfidia dei sacerdoti, il coalizzarsi complice dei potenti: «In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia» (Lc 23,12).
Nulla dimostra l’onnipotenza di Dio come il forte abbandono di Cristo durante la sua passione. Potente infatti in Gesù è l’amore, cioè il dono totale di Sé dell’Uomo della croce, deriso, umiliato, incoronato di spine, flagellato, messo a morte barbaramente.

- Card. Angelo Scola- 



La Fede e il Signore Crocefisso:

Nel pomeriggio del venerdì santo sulla collina del Cal­vario ci sono tre crocifissi: spettacolo tremendo e crudele agli occhi dei circostanti. Ma agli occhi degli angeli, che vedono al fondo delle cose, è la raffigurazione più elo­quente dell’intero destino umano.
C’è, appeso alla croce, il Figlio di Dio fatto uomo, che porta a compimento la sua missione e viene costituito così principio del rinnovamento del mondo; c’è il malfattore pentito che, con un breve e intenso atto di fede, si assimi­la interiormente a Cristo e raggiunge una salvezza inspe­rata; ma c’è anche il malfattore ribelle che impreca contro Gesù. Siamo tutti rappresentati in questa scena, in ciò che possiamo decidere e in ciò che non possiamo decidere.
Possiamo decidere di credere, vale a dire di affidarci al disegno del Padre che ci vuole «conformi all’immagine del Figlio suo» (cfr. Rm 8,29); e così, nelle nostre immanca­bili sofferenze, diventiamo in Gesù comprincipio della 

re­denzione dell’universo. Ma possiamo anche decidere di non credere, perché siamo liberi di fronte all’atto di fede.
Non siamo invece liberi di schiodarci dalla croce di un’esistenza che non è mai senza pena.
Il Signore ci aiuti a scegliere bene. Allora il nostro ve­nerdì santo sfocerà nella Pasqua di gioia e di gloria. Per­ché questa è la fede: ripercorrere sino in fondo, sino al lie­to fine, la vicenda salvifica del Crocifisso Risorto.




O Cristo, Verbo del Padre,
glorioso re delle vergini,
luce e salvezza del mondo,
in te crediamo.
Cibo e bevanda di vita,
balsamo, veste, dimora,
forza, rifugio, conforto,
in te speriamo.
Illumina col tuo Spirito
l'oscura notte del male,
orienta il nostro cammino
incontro al Padre. Amen.





mercoledì 22 marzo 2017

La viltà dei forti - Gustave Thibon

I deboli pregano, per vivere hanno bisogno di pregare. 
I forti che non pregano li accusano di vigliaccheria. Ma sono più vili coloro a cui Dio ha fatto credito e che approfittano della riserva loro affidata per isolarsi nel loro orgoglio e ingiuriare Dio. 
Chi, avendo ricevuto in anticipo i doni della forza e dell’equilibrio e non avendo bisogno di mendicare ogni giorno il pane dell’anima, abusa, senza vergogna, dei doni offerti senza pentimento, dei doni più nobili, ritorce questi doni contro il donatore e attinge alla sua stessa generosità la vile forza della ingratitudine e dell’oblio. 
L’orgoglio, superficialmente, può anche apparire grandezza e nobiltà; in verità non v’è peggior bassezza dell’orgoglio, perché non v’è peggior ingratitudine. L’uomo più vile è colui che trascura di ringraziare Dio, perché sente che Dio non si pentirà della sua bontà. 
L’anima nobile prega, e più Dio gli ha concesso la sicurezza e l’autonomia terrestre, tanto più la sua nobiltà si fa umile e sottomessa a Dio; meno la necessità la spinge a pregare, e più la sua fedeltà vuol pregare.

- Gustave Thibon - 
da: "Il pane di ogni giorno", Morcelliana, Brescia 1949, p. 52




Gesù rispose loro: " Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato."
"Nel Medioevo, non si conoscevano tutti i recessi della serratura umana e cosmica, ma si possedeva la chiave, che è Dio.
Da Cartesio in poi, è stata esplorata a fondo questa serratura, si è potuto descriverla più o meno dettagliatamente, ma, in questa ricerca, è stata smarrita la chiave!
Il mondo e l'uomo sono diventati serrature senza chiave.
Del resto, il pensiero moderno nel suo insieme non si preoccupa nemmeno più della natura o dell'esistenza di quella chiave.
Il solo problema che si pone davanti a una porta chiusa consiste nell'esaminarla molto seriamente, e non nell'aprirla".

- Gustave Thibon - 



“Questo lago paludoso mi ha detto: l’altitudine e il cielo mi abitano. 
Non scorgi tu in fondo alle mie acque, impresso sul mio limo, il riflesso dei monti e delle stelle? Che bisogno ho di salire?
L’amore mendico e debole, ha bisogno dell’illusione. 

L’amore che dona non teme la verità. Come potrebbe il sole esser deluso dalla miseria dei campi che illumina? Ama dapprima il sole. E potrai amare ogni cosa senza miraggi e senza delusioni.
Non dimenticare che l'uomo è uscito dal nulla e non dimenticare anche che è Dio che ve lo ha tratto. 
La prima di queste due verità ti salverà dall'utopia, la seconda dalla disperazione.”

- Gustave Thibon - 





Buona giornata a tutti. :-)





domenica 19 marzo 2017

San Giuseppe - 19 marzo

"Giuseppe era un artigiano della Galilea. E che cosa può attendersi dalla vita l'abitante di un villaggio sperduto come Nazaret? Lavoro e null'altro che lavoro; tutti i giorni, sempre con lo stesso sforzo. Poi, terminata la giornata, una casa povera e piccola, per ristorare le forze e ricominciare a lavorare il giorno dopo.

Ma, in ebraico, il nome Giuseppe significa "Dio aggiungerà". Dio aggiunge alla vita santa DI COLORO CHE COMPIONO LA SUA VOLONTA' una dimensione insospettata: quella VERAMENTE importante, quella che dà valore a tutte le cose, quella DIVINA. Alla vita umile e santa di Giuseppe, Dio aggiunse la vita della Vergine Maria e quella di Gesù, Nostro Signore. 

Giuseppe poteva far sue le parole di Maria, sua sposa: "... Perché ha guardato la mia piccolezza". 

Giuseppe era infatti un uomo su cui Dio fece affidamento per operare COSE GRANDI. 

Seppe vivere COME VOLEVA IL SIGNORE in tutti i singoli eventi che composero la sua vita. 

Per questo la Sacra Scrittura loda Giuseppe affermando che era giusto. E, nella lingua ebraica, giusto vuoi dire pio, servitore irreprensibile di Dio, esecutore della volontà divina; significa anche buono e caritatevole verso il prossimo. In una parola, il giusto è colui che ama Dio e dimostra questo amore osservando i Comandamenti e orientando la vita intera al servizio degli uomini, propri fratelli".

Dagli scritti di san Josemaria Escrivá de Balaguer



"Era per Gesù che lavorava,
e il pane che il divino fanciullo mangiava
era Egli che l'aveva acquistato
col sudore della sua fronte.

E poi quando rientrava in sulla sera
affaticato e oppresso dal caldo,
Gesù sorrideva al suo arrivo,
e lo accarezzava colle sue piccole mani.

Ben sovente col prezzo di privazioni, che s'imponeva,
Giuseppe riusciva ad ottenere qualche risparmio.
Qual gioia provava allora nel poterlo impiegare
nell'addolcire la condizione del divino Fanciullo!
Ora erano alcuni datteri,
ora alcuni giocattoli adatti alla sua età,
che il pio falegname recava al Salvatore degli uomini.

Oh quanto erano dolci allora le emozioni
nel contemplare il viso raggiante di Gesù!".

- Dagli scritti di san Giovanni Bosco - 


“San Giuseppe è il Padre putativo e Custode di Gesù,
è il primo e il più santo degli artigiani,
è l’amico del Sacro Cuore.
Dopo Maria il più amato
e Colui che più ama”.

- Dagli scritti di san Leonardo Murialdo -


"O San Giuseppe, anche tu hai sperimentato la prova, la fatica, la stanchezza; ma il tuo animo, ricolmo della più profonda pace, esultò per la gioia dell'intimità con il Figlio di Dio a te affidato, e con Maria, sua dolcissima Madre. 
Aiutaci a comprendere che non siamo soli nel nostro lavoro, a saper scoprire Gesù accanto a noi, ad accoglierlo con la grazia e custodirlo con la fedeltà come tu hai fatto. " 

- San Giovanni XXIII, papa -


O San Giuseppe,
padre putativo di Gesù 
e sposo purissimo di Maria,
che a Nazareth hai conosciuto 
la dignità e il peso del lavoro,
accettandolo in ossequio alla volontà del Padre
e per contribuire alla nostra salvezza,
aiutaci a fare del lavoro quotidiano 
un mezzo di elevazione;
insegnaci a fare del luogo di lavoro 
una 'Comunità di persone',
unita dalla solidarietà e dall'amore;
dona a tutti i lavoratori e alle loro famiglie,
la salute, la serenità e la fede;
fà che i disoccupati trovino presto 
una dignitosa occupazione
e che coloro che hanno onorato il lavoro per una vita intera,
possano godere di un lungo e meritato riposo.
Te lo chiediamo per Gesù, nostro Redentore,
e per Maria, Tua castissima Sposa
 e nostra carissima Madre. Amen