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martedì 31 gennaio 2023

Le mele del Principe - don Bruno Ferrero

Era il 27 aprile 1865. L’Oratorio di don Bosco era in festa. Era venuto in visita il principe Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, figlio del Re. Un giovane recitò il “benvenuto” che cominciava così: Caro e diletto Principe, schiatta di santi eroi, quale pensier benefico ti mena qui fra noi?

Tutti i giovani erano schierati nello spiazzo accanto alla Basilica che stava sorgendo. Il Principe volle passarli in rivista: per due volte egli passò lentamente in mezzo a quelle schiere plaudenti, e si fermò innanzi alla banda musicale, compiacendosi nel vedere fra i suonatori alcuni giovani usciti dall’Oratorio, con la divisa del suo stesso reggimento. Il principe, commosso per le cordiali accoglienze ricevute dagli alunni dell’Oratorio, offrì una bella somma per concorrere all’innalzamento della grande chiesa, dimostrando così la sua devozione alla Madonna. Nello stesso tempo avendo conosciuto come gli alunni di don Bosco si esercitassero con piacere in giuochi di ginnastica, dispose che fosse loro recata in dono parte degli attrezzi della propria palestra.

Don Bosco lo contraccambiò di cuore con un dono singolare. Vicino al luogo della nuova chiesa, in un angolo del cortile, era cresciuto un alberello di mele, carico di fiori in primavera. Don Bosco avvertì i giovani che non toccassero quell’albero e lasciassero maturare quelle mele, perché le voleva mandare al principe Amedeo.

I giovani correvano, saltavano e nessuno toccò quell’albero, sicché le mele vennero a perfetta maturità e di una grossezza mirabile. Un giorno una mela cadde a terra. Un giovane prese una foglia, vi mise sopra il frutto, ed accompagnato da tutti gli altri, lo portò a don Bosco in refettorio. Don Bosco fece allora raccogliere le altre mele e le mandò al Principe. Il giovane Duca ringraziò don Bosco del regalo inviandogli un’altra offerta, perché comperasse altra frutta per i suoi giovani, in compenso delle saporitissime mele che essi gli avevano mandato.

Per tal modo nel corso del 1865 l’edifizio fu condotto fino al tetto e coperto; e ne fu compiuta anche la volta, ad eccezione del tratto che doveva essere occupato dalla periferia della cupola.

Mentre si andavano compiendo tali costruzioni accadde un fatto, che fece meravigliare gli operai.

Un povero rivenditore di frutta era venuto ne’ primi giorni d’estate per vendere i suoi prodotti al mercato. Avendo saputo che la chiesa di Maria Ausiliatrice si stava costruendo con il privato concorso dei fedeli, volle anch’egli prendervi parte. Con generoso sacrificio per un povero uomo chiamò il direttore dei lavori e gli consegnò tutta la sua frutta, perché la dividesse fra i muratori. Volendo poi compiere, secondo la sua espressione, l’opera incominciata, si fece aiutare a mettere sulle spalle una grossa pietra e s’incamminò su pei ponti. Tremava tutto il buon vecchio sotto il grave peso, ma salì fino alla cima. Giunto lassù depose il sasso, e tutto allegro esclamò: «Ora muoio contento, poiché spero di potere, in qualche modo, partecipare a tutto il bene che si farà in questa chiesa!»  

Da: https://bollettinosalesiano.it/rubriche/le-mele-del-principe/

Il Bollettino Salesiano al tempo di Don Bosco

Il Bollettino Salesiano è una creazione originale di Don Bosco che lo ha fondato nell’agosto del 1877. Lui stesso ha preparato il primo numero. E anche quando lo ha affidato ad altri, lo ha sempre seguito personalmente quanto a impostazione e contenuti. Dopo tanti anni, conserva una stupefacente vitalità. Il merito è tutto del suo inventore, che aveva una visione del futuro strabiliante e acuta. Don Bosco fu un comunicatore nato. Di razza, incontenibile. Nella comunicazione modificava se stesso, diventato più moderno delle sue idee, inventava pedagogie. Mostrava d’aver capito bene la civiltà industriale, di cui per principio era nemico. E come tutti i grandi comunicatori, attraeva e faceva paura. Per studiare il rapporto tra Don Bosco e i mass media bisogna partire da qui: l’ecclesiastico apparentemente moderato, e poi il saltimbanco e il prestigiatore, il prete che organizza i giovani facendoli «schiamazzare a piacimento», che fonda scuole e pubblicazioni, organizza spettacoli. E infine il suo capolavoro di comunicazione: la reinvenzione, a misura della città industriale, dell’Oratorio. Che è un sistema integrato di scuola e lavoro, tempo libero e religione: «Una macchina perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, al teatro alla stampa, è gestito in proprio su basi minime, e riutilizzato e discusso quando la comunicazione arriva da fuori» (Umberto Eco). La parola bollettino, secondo il dizionario, significa «pubblicazione ufficiale di comunicazioni a carattere pubblico». Aveva un’origine nobile. Deriva da “bolla” Impronta del sigillo con cui si contrassegnavano le pubbliche scritture e i documenti solenni. Le bolle papali, per intenderci. Ed è usato ancora oggi per fini molto pratici: Bollettino medico, Bollettino di guerra. Si addice ad uno stile pratico, senza fronzoli, manageriale. Per questo piacque a Don Bosco.

- Don Bruno Ferrero -


Buona giornata a tutti :-)


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mercoledì 26 maggio 2021

Sogni di don Bosco . Il serpente e il Rosario


Siamo nell'anno 1862, la sera del 20 agosto.
Il cuore dell'apostolo dei giovani è sempre alla ri­cerca di nuovi mezzi di salvezza dell'incauta gioventú. Gli adolescenti non hanno un carattere ancora for­mato: la volontà è fiacca, la pietà è poca. Son troppo dissipati. 

E d'altra parte le passioni si svegliano. Che cosa fare perché superino la crisi della crescenza?




Parte prima - Efficacia dell'Ave Maria

Voglio contarvi un mio sogno fatto poche notti or sono. 

(Deve essere la notte che precedeva la festa della Assunzione di Maria SS.)

Sognai di trovarmi con tutti i giovani a Castelnuovo d'Asti a casa di mio fratello. Mentre tutti facevano ricreazione, viene a me uno ch'io non sapeva chi fosse, e mi invita ad andare con lui. Lo seguii e menommi in un prato attiguo al cortile e là mi indicò fra l'erba un serpentaccio lungo sette od otto metri e di una gros­sezza straordinaria. 

Inorridii a tal vista e voleva fug­girmene: - No, no, mi disse quel tale; non fugga; venga qui e veda.
- E come, risposi, vuoi che io osi avvicinarmi a quella bestiaccia? Non sai che è capace di avventarmisi addosso e divorarmi in un istante?
- Non abbia paura, non le recherà alcun male; ven­ga con me.
- Ahi! Non son così pazzo da andarmi a gettare in tal pericolo.
- Allora, continuò quello sconosciuto, si fermi qui! - E poi andò a prendere una corda e con questa in mano ritornò presso di me e disse:
- Prenda questa corda per un capo e lo tenga ben stretto fra le mani; io prenderò l'altro capo e andrò alla parte opposta e così sospenderemo la corda sul serpente.
- E poi?
- E poi gliela lasceremo cadere attraverso la schiena.
- Ah! No per carità! Perchè, guai se noi faremo questo. Il serpe salterà su indispettito e ci farà a pezzi.
- No, no; lasci fare a me.
- Là, là! Io non voglio prendermi questa soddisfazione che può costarmi la vita. - E già me ne voleva fuggire. 

Ma quel tale insistette di nuovo, mi assicurò che non avevo di che temere, che il serpe non mi avrebbe fatto male alcuno e tanto disse che io rimasi e 
accon­sentii a far il suo volere. Egli intanto passò dall'altra parte del mostro, alzò la corda e poi con questa diede una sferzata sulla schiena del serpe. 
Il serpente fa un salto volgendo la testa indietro per mordere ciò che l'aveva percosso, ma invece di mordere la corda, resta da essa allacciato come in cappio corsoio. Allora mi gridò quell'uomo: - Tenga stretto, tenga stretto e non lasci sfuggire la corda: - E corse ad un pero che era là vicino, e legò a quello il capo di corda che aveva tra le mani: corse quindi da me, mi tolse il mio capo di corda e andò a legarlo all'inferriata di una finestra della casa. Frattanto il serpente si dimenava, si dibat­teva furiosamente e dava giù tali colpi in terra colla testa e colle immani sue spire, che laceravansi le sue carni e ne faceva saltare i pezzi a grande distanza. Così continuò finchè ebbe vita; e morto che fu, più non rimase di lui che il solo scheletro spolpato.

Morto il serpente, quel medesimo uomo slegò la cor­da dall'albero e dalla finestra, la trasse a sè, la raccolse, ne formò come un gomitolo e poi mi disse: - Stia attento neh! - Così mise la corda in una cassetta che chiuse e poi dopo qualche istante aprì. I giovani erano accorsi attorno a me. Gettammo l'occhio dentro alla cassetta e fummo tutti stupiti. Quella corda si era disposta in modo che formava le parole «AVE MARIA!» - Ma come va! ho detto. Tu hai messa quella corda nella cassetta così alla rinfusa ed ora è così ordinata.
- Ecco, disse colui; il serpente figura il demonio, e la corda l'AVE MARIA o piuttosto il Rosario che è una continuazione di AVE MARIA, colla quale e colle quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell'inferno. – Fin qui, concluse D. Bosco, è la prima parte del sogno. Ve n'è un'altra parte, la quale sarà ancor più curiosa ed interessante per tutti. 

Ma l'ora è già tarda e perciò differiremo a contarla domani a sera. Frattanto teniamo in considerazione ciò che disse quel mio amico riguardo all'AVE MARIA ed al Rosario. Recitiamola divotamente ad ogni assalto di tentazioni, sicuri di uscirne sempre vittoriosi. Buona notte!

«Il domani 22 Agosto, lo pregammo più volte a volerci raccontare se non in pubblico, almeno in pri­vato quella parte di sogno che aveva taciuta. Non vo­leva accondiscendere. Dopo però molte suppliche si piegò e disse che alla sera avrebbe ancor parlato del sogno. Così fece».





Parte seconda - Carni immonde del serpente

Dette le orazioni, incominciò: - Dietro molte vostre istanze racconterò la seconda parte del sogno. Se non tutta, almeno vi dirò quel tanto che potrò raccontarvi. Ma prima debbo premettere una condizione, cioè che nessuno scriva o dica fuori di casa quello che io rac­conterò. Parlatene tra di voi, ridetene, fatene tutto quel che volete, ma fra di voi soli.
Mentre adunque io e quel personaggio parlavamo della corda, del serpente e dei loro significati, mi volgo indietro e vedo giovani che raccoglievano di quei pezzi di carne di serpente e mangiavano.
Io allora gridai subito: - Ma che cosa fate? Pazzi che siete! Non sapete che quella carne è velenosa e vi farà molto male?
- No, no, mi rispondevano i giovani: è tanto buona!
Ma intanto, mangiato che avevano, cadevano in ter­ra, gonfiavano e restavano duri come pietra. Io non sapeva darmi pace, perchè non ostante quello spettacolo altri e altri giovani continuavano a mangiare. 

Io gridava all'uno, gridava all'altro; dava schiaffi a questo, pugni a quello, cercando di impedire che mangiassero: ma inu­tilmente. 
Qui uno cadeva, là un altro si metteva a mangiare. 
Allora chiamai i chierici in aiuto e dissi loro che si mettessero in mezzo ai giovani e si adoperassero in ogni modo perchè più nessuno mangiasse di quella carne. Il mio ordine non ottenne l'effetto desiderato, che anzi alcuni degli stessi chierici si misero a mangiare le carni del serpe e caddero egualmente che gli altri. Io era fuori di me stesso, allorchè vidi tutto intorno a me un gran numero di giovani distesi per terra in quello stato miserando.
Mi rivolsi allora a quello sconosciuto e gli dissi: - Ma che cosa vuol dire ciò? Questi giovani conoscono che quella carne reca loro la morte, tuttavia la vogliono mangiare! E perchè? - Egli rispose:
- Sai bene: che «ANIMALIS HOMO NON PER­CIPIT EA QUAE DEI SUNT ».
- Ma e ora non c'è più rimedio per riaver di nuovo questi giovani?
- Sì che c'è!
- Quale sarebbe !
- Non vi è altro che l'incudine ed il martello.
- L'incudine? il martello? e che cosa fare di tali cose?
- Bisogna sottoporre i giovani alle azioni di que­sti strumenti.
- Come? Debbo forse io metterli su di un incudine e poi batterli con un martello?
Allora l'altro spiegando il suo pensiero, disse: - Ecco; il martello significa la confessione; l'incudine la S. Cumunione: bisogna fare uso di questi due mezzi. –
Mi misi all'opera e trovai giovevolissimo questo rime­dio, ma non per tutti. Moltissimi ritornavano in vita e guarivano, ma per alcuni il rimedio fu inutile. Questi sono coloro che non facevano buone confessioni. (M. B. VII p. 238)



...Giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi rac­comando tre cose: accostatevi spesso al sacramento della confessione, frequente la santa comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità. VI,145.
...Dio vi dà tempo e comodità di studiare e praticare la re­ligione. Sappiatene approfittare. XIV,86. (Don Bosco)






Preghiere di protezione

"Onnipotente Verbo di Dio Padre, Cristo Gesù, Signore di tutto il creato,
a te che desti ai tuoi apostoli il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni, e il comando veramente mirabile, di cacciare i demoni;
a te che facesti precipitare Satana dal cielo come una folgore, con la forza del tuo braccio, io rivolgo umilmente la mia supplica: 
dà a me, indegnissimo tuo servo innanzi tutto il perdono dei miei peccati, 
e poi una fede robusta e il potere di attaccare nel tuo nome 
e sostenuto dalla tua potenza, questo crudele demone, 
che turba il tuo servo (………nome).
Te lo chiedo per te stesso, Signore Gesù Cristo, che deve venire a giudicare i vivi e i morti e questo secolo nel fuoco. Amen.

(dal Rituale Romano)"



"Invoco su di me e sui presenti il Sangue dell'Agnello di Dio 
che toglie i peccati del mondo, 
perché ci purifichi da ogni peccato 
e ci protegga contro ogni influsso del Maligno 
e contro ogni sua ritorsione su persone, animali e cose. Amen."


Buona giornata a tutti. :-)

venerdì 31 gennaio 2020

Pensare come don Bosco 2012 - don Bruno Ferrero

In capo alla strada c’era la forca. La sinistra sagoma di quella forca che il reale governo teneva sempre pronta a esemplare punizione dei malfattori e a inutile monito degli aspiranti tali dominava i viottoli che scendevano ad un sito brutto e malfamato. 
Quel sito aveva nome Valdocco, secondo un'etimologia che storici e studiosi non hanno mai potuto decisamente decifrare: da “valle degli uccisi” a “valle delle oche”, c’è poco da scegliere. 
Laggiù, un prete aveva messo su una baracca miserevole per raccogliere i ragazzi che la città maltrattava. 
Un prete che aveva niente. Neanche un vestito decente. Ma aveva il capitale più prezioso che un uomo può avere. Aveva un sogno. 
“Una volta, venuto a visitarlo in Valdocco un ricchissimo negoziante senza fede e unicamente per curiosità, lo vidi poi uscire tutto confuso, e lo sentii esclamare per tre o quattro volte: «Che uomo, che uomo è questo!» 
Vi invito ad un breve viaggio per esplorare meglio quest’uomo. 
Spiritualità salesiana significa vedere la vita come don Bosco. 
Non come una immaginetta, un’icona, un personaggio del passato. Significa chiedersi: Come sarebbe il mondo senza don Bosco? E anche: Che cosa farebbe don Bosco? Che cosa direbbe a noi, oggi? È chiaramente impossibile condensarlo in così breve spazio. 
Provo tuttavia con sette principi, che sono solo un piccolo e umile tentativo di sfiorarlo. Eccoli: 

1. Realizza il tuo sogno.  
2. Ama la vita e segui il tuo cuore. 
3. Il cielo non è lontano.
4. Guarda oltre l'orizzonte.
5. Sii forte, solido e affidabile. 
6. Riconciliati con la morte.
7. La vita è come il gioco dei puntini e il finale è una sorpresa dell'altro mondo.

1. REALIZZA IL TUO SOGNO 
All’inizio, c’è una domanda molto semplice: «Vuoi una vita qualunque o vuoi cambiare il mondo?» Ogni mattina guardati allo specchio e chiediti: 
«Se oggi fosse il mio ultimo giorno di vita, farei quello che sto per fare oggi?» 
Se la risposta è no per troppi giorni di fila, è ora di cambiare qualcosa. 
C’è una cometa per ciascuno. Basta cercarla. Si può ancora parlare di mete e di ideali, oggi? Il maestro insegnava che non si può vivere senza un ideale, una meta, un’utopia. Per spiegare la necessità dell’utopia indicò ad un giovane intrepido la linea - azzurrina 2012 – Giornate di Spiritualità dell’orizzonte. 
«È là che devi arrivare: quella è la tua meta!» Il giovane partì a grandi falcate. Raggiunse le prime colline, ma la linea azzurrina si era spostata su una catena di montagne. Il giovane riprese il cammino, ma la linea azzurrina era dietro le montagne, al termine di un’ampia pianura. Deluso, tornò dal maestro. «Faccio dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai lo raggiungerò». «Sì, è così!» «Allora, a che cosa serve l’utopia?» «Serve a questo: a camminare». 
Quando smette di correre il fiume diventa una palude. Anche l’uomo. 
Don Bosco non ha smesso di camminare. 
Oggi lo fa con i nostri piedi. Scoprire il proprio sogno significa in fondo rispondere alla domanda: «Allora, che cosa è veramente importante per te?» E' una delle prime cose che Don Bosco ha fatto. Aveva una convinzione riguardo ai giovani: «Questa porzione la più delicata e la più preziosa della umana società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa... perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, lo sono piuttosto per inconsideratezza, che non per malizia consumata. Questi giovani hanno veramente bisogno di una mano benefica, che prenda cura di loro, li coltivi, li guidi...» 
Nel 1882 in una conferenza ai Cooperatori a Genova: «Col ritirare, istruire, educare i giovanetti pericolanti si fa un bene a tutta la società civile. Se la gioventù è bene educata avremo col tempo una generazione migliore; se no, fra poco sarà composta di uomini sfrenati ai vizi, al furto, all’ubbriachezza, al mal fare. 
Questi giovanetti nella persona dei loro superiori si presentano a voi col cappello in mano; e voi con un sussidio potete provvedere loro il pane, e insegnare a vivere laboriosi e onesti, procurare loro un avvenire fortunato». 
È come dire: solo l’educazione può cambiare il mondo. 
«Invece se fossero abbandonati a se stessi, un giorno forse si presenterebbero a voi, domandandovi il danaro col coltello alla gola». 
A lui è successo, una sera, mentre camminava verso Castelnuovo. Sta tornando attraverso un boschetto, quando una voce dura gli intima: «O la borsa o la vita». 
Don Bosco è spaventato. Risponde: «Sono don Bosco, denari non ne ho». Guarda quell'uomo che è sbucato tra le piante brandendo un falcetto, e con voce diversa continua: «Cortese, sei tu che vuoi togliermi la vita?» 
Ha scoperto in quel volto coperto dalla barba un giovanotto che gli era diventato amico nelle prigioni di Torino. Anche il giovanotto lo riconosce, e vorrebbe sprofondare. 
«Don Bosco, perdonatemi. Sono un disgraziato». 
Gli racconta a pezzi e bocconi una storia amara e solita. Dimesso dalla prigione, a casa sua non l'hanno più voluto. «Anche mia madre mi voltò le spalle. Mi disse che ero il disonore della famiglia». Lavoro, nemmeno parlarne. Appena sapevano che era stato in prigione, gli chiudevano la porta in faccia. Prima di arrivare ai Becchi, don Bosco l'ha confessato, e gli ha detto: «Adesso vieni con me». 
Lo presenta ai suoi familiari: «Ho trovato questo bravo amico. Stasera cenerà con noi». 
Chi ha un sogno è sempre rispettoso. Sa che ciascuno racchiude un sogno, sa che i giovani sono un fascio di sogni che il mondo degli adulti si diverte a calpestare. 
Come dice Yeats: 
«Povero io sono e solo i miei sogni posseggo. Cammina in punta di piedi perché cammini sui miei sogni»

Avere un sogno significa percepire la vita come missione, come magnifico compito da portare a termine. Chi sente che il suo sogno viene dall’alto si sente in missione per conto di Dio, uno strumento nelle sue mani. 
Prova la gioia più grande di un essere umano: il mio sogno e quello di Dio coincidono. Per questo gode il piacere e la semplice bellezza del fare, e affronta la fatica che ci vuole, senza farsi illusioni. Non si sente per niente speciale. «Tante volte, don Bosco diceva, e io lo sentii più volte, che se il Signore avesse trovato uno strumento più disadattato di lui per le sue opere, l’avrebbe certamente scelto al suo posto. “È certo, aggiungeva, che si sarebbe trovato meglio servito che da me”» afferma don Rua. 
Chi ha un sogno non butta via niente. Fin da piccolo, don Bosco è una “spugna”che assorbe e impara da tutti: il latino dal vecchio parroco, i giochi di prestigio dai giocolieri delle fiere, ripete pronomi e verbi mentre zappa, impara la musica, a cucire e confezionare giubbotti, pantaloni e panciotti da Giovanni Roberto, la santità da Comollo, impara a confezionare dolci e liquori: «A metà anno non solo preparavo caffè e cioccolato, ma conoscevo le regole e i segreti per fabbricare gelati, rinfreschi, liquori, torte. Il padrone, poiché il suo locale ne ricavava notevoli vantaggi, mi concesse la pensione gratuita. Poi mi fece un’offerta concreta perché lasciassi gli studi e mi dedicassi completamente al suo caffè. Ma io volevo continuare a studiare, ad ogni costo». 
Chi ha un sogno grande non lo può tenere per sé. Se ci credi veramente, raccontalo! 
Don Bosco è il più grande narratore di sogni della storia dopo il buon Giuseppe della Bibbia. Comunica le sue idee con tale forza da convincere ragazzi e investitori a sostenere la sua visione e accompagnarlo nel viaggio. Una canzone di Jacques Brel dice: 
Vi auguro sogni a non finire la voglia furiosa di realizzarne qualcuno vi auguro di amare ciò che si deve amare e di dimenticare ciò che si deve dimenticare vi auguro passioni vi auguro silenzi vi auguro il canto degli uccelli al risveglio e risate di bambini vi auguro di resistere all’affondamento, all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca. Vi auguro soprattutto di essere voi stessi. 



2. AMA LA VITA E SEGUI IL TUO CUORE 
Dov’è nato don Bosco? La sua casa natia non c’è. Per me è nato in un prato. Il ragazzino dei Becchi faceva le capriole su di un prato. Su quel prato nacque il primo oratorio. È la sua prima grande intuizione: uno spazio libero, senza confini tranne il cielo. Uno spazio per la vita. Un cortile, uno spazio in cui i ragazzi possano giocare, divertirsi, incontrarsi, lasciar esplodere le energie. Perché i bambini in cortile urlano? È il rumore della vita. 
Il gioco non è passatempo e l’oratorio non è un ritrovo per buontemponi perché il gioco è il lavoro più serio dei bambini e dei ragazzi. 
Occorrono spazi e fonti di energia per caricare le batterie dell’entusiasmo. Questo aspetto della pedagogia salesiana è geniale e vitale. 
Basta con i "bambini d'appartamento", oggi i bambini sono tenuti in spazi chiusi. In solitudine a parlare e giocare con delle macchine. Un grande e indimenticabile salesiano, Don Luigi Cocco, con semplicità lo esprimeva così: "I ragazzi sono come i passerotti, in gabbia muoiono". 
Ma soprattutto il cortile è un luogo di profondo piacere. A troppi la parola “piacere” fa paura. 
Il primo piacere è stare insieme. Il piacere di vivere insieme «Una gioia condivisa è doppia». La parola d’ordine dell’educatore «Io sto bene con voi». Una presenza che è intensità di vita. E’ possibile? 
Racconta don Ceria, che un alto prelato dopo una visita a Valdocco dichiarò: «Voi avete una gran fortuna in casa vostra, che nessun altro ha in Torino e che neppure hanno altre comunità religiose. Avete una camera, nella quale chiunque entri pieno di afflizione, se ne esce raggiante di gioia». 
Don Lemoyne annotò a matita: «E mille di noi han fatto la prova». 
Secondo don Bosco la ricetta della santità è semplice: 
«Se vuoi farti buono, pratica tre sole cose e tutto andrà bene: allegria, studio, pietà». 
La prima società fondata da Don Bosco è stata la Società dell’allegria. Facevamo bene a mantenere quel nome: sarebbe un brand strepitoso. La triade è cortile, scuola, chiesa: il sistema preventivo di pietra. E qui entra anche la scuola con una portata quanto mai rivoluzionaria oggi: si impara solo per la via del piacere e formare una testa ben fatta è l’impegno decisivo. E poi il piacere di celebrare (A Messa si va per dovere o per piacere?). Uno spazio per gli altri nella propria vita. La vita di don Bosco è un inno all’amicizia. Scoppiavano addirittura dei duelli tra i suoi ragazzi: Un lustrascarpe vedendolo: «Oh don Bosco, esclamò, venga qui da me: voglio lustrarle le scarpe». «Ti ringrazio, mio caro, ma ora non ho tempo». «Le pulisco in un momento, sa!» «Un'altra volta; ho premura». «Ma io gliele lustro e lei non mi darà niente. È solamente per avere il piacere e l'onore di farle questo, servizio». A questo punto un spazzacamino bruscamente l'interruppe. «Lascia un po' andare la gente per la sua strada». «Oh bella! parlo con chi voglio». «Ma non vedi che ha premura?» «Che cosa c'entri tu? io conosco don Bosco, sai?» «Ed io pure lo conosco». «Ma io sono suo amico». «Ed io pure». «Ma io gli voglio più bene di te». «No; sono io che gli voglio più bene». «Sono io!» «Sono io!» «Vuoi tacere sì o no?» «No, no! Io voglio parlare». «Guarda che ti pesto il grugno» «Tu? Fa la prova». «Sei una bestia». «Lo sei tu!». Ed uno si slanciò sull'altro, e incominciarono una tempesta, di pugni e calci. Si presero per i capelli, si gettarono per terra, si rovesciò la cassetta del lustrascarpe, e spazzole e lucido andarono qua e là. 
Don Bosco si mise in mezzo: «Pace, pace, amici miei, non fate così!» A stento furono divisi, ma si guardavano sempre inviperiti uno contro dell'altro: «Ti dico e lo sostengo che gli voglio più bene io! Io sono andato a confessarmi». «Io pure». «A me ha dato una medaglia». «A me un libretto!» «Dica Lei, Don Bosco, non è vero che vuol più bene a me?» «No, ti dico!….. A me!» «Ma dica Lei, a chi vuol più bene fra noi due?» 
«Ebbene, esclamò Don Bosco: sentite! Voi mi proponete una questione molto difficile. Vedete voi la mia mano? e loro mostrava la destra; vedete voi il mio dito pollice e l'indice? A quale dei due credete voi che io voglia più bene? Lascerei tagliarmi più uno che l'altro?» «Vuol bene a tutti due!» « Così io voglio bene a voi due; siete come due dita della mia stessa mano. 
Nello stesso modo amo tutti gli altri miei giovani... E quindi non voglio che vi battiate; venite con me: non facciamo scene. Sono figure poco belle, queste: venite». E s'incamminò tenendosi vicini i due contendenti. Intorno a lui camminavano gli altri spazzacamini e lustrascarpe, e dietro una piccola folla che si era radunata a quel battibuglio. Così si andò chiacchierando fino alla basilica dei SS. Maurizio e Lazzaro ove si divisero, e i giovani andarono a sedersi al sole sulla gradinata di quel tempio. Lo spazzacamino fu poi ricoverato all'Oratorio, e riuscì un giovane buonissimo e delle più belle speranze. Era della valle d'Aosta. Venne la madre a visitarlo, sentito che il figlio era stato messo a studiare non le parve conveniente, che proseguisse. «Uno spazzacamino prete? Esclamava. No, non va!» (MB III, 171-172) Non aveva paura di dire «Ti voglio bene». 
Nell'estate del 1847, don Bosco trovò un ragazzino che piangeva vicino alla barbieria dove faceva il garzone di bottega. «Cosa ti è capitato?» «È morta mia mamma, e il padrone mi ha licenziato. Mio fratello più grande è soldato. E adesso dove vado?» 
«Vieni con me. Io sono un povero prete. Ma anche quando avrò soltanto più un pezzo di pane lo farò a metà con te». (È la frase che tanti ragazzi si sentirono dire da don Bosco, e che conservarono nel cuore come un tesoro: don Bosco sarebbe sempre stato la loro sicurezza). 
«Talora accadeva questo fenomeno, che un giovane udita la parola di Don Bosco, non gli si staccava più dal fianco, assorto quasi in un’idea luminosa... Altri vegliavano di sera alla sua porta, picchiando leggermente ogni tanto, finché non venisse loro aperto, perché non volevano andare a dormire col peccato nell’anima». 
Testimonianza di Giuseppe Brosio grande aiutante di Don Bosco dei primi tempi: «Un giorno due signori veramente ben vestiti, che avevano l’accento francese, mi fermarono e dopo cordiale discorso, mi offersero una grossa somma di denaro, parmi fossero da cinquecento a seicento lire, con promessa che mi avrebbero impiegato in un posto da signore, se però io avessi abbandonato l’Oratorio e condotto via i compagni. A questa offerta con quattro parole risposi: “Don Bosco è mio padre, non lo abbandonerò mai e non lo tradirò per tutto l’oro del mondo”». 
Chi ama sarà riamato. 
“Un eminente Rettore di un grande istituto portoghese era venuto a Torino per chiedere consiglio a Don Bosco” ricorda Don Ricaldone. “Giunto infatti alla sua presenza, espose al santo educatore i suoi quesiti circa il modo di educare gli alunni del suo Istituto. Don Bosco lo ascoltò con grande attenzione, senza interromperlo mai. Al termine del suo dire, il Padre Gesuita sintetizzò in una sola domanda ciò che desiderava sapere: «In che modo riuscirò a educar bene i giovani del mio collegio?» E tacque. Don Bosco, al Padre che si aspettava forse un lungo discorso, rispose quest’unica parola: «Amandoli!»”. Ascoltare è “fare spazio” agli altri in particolare ai piccoli, ai giovani. Don Bosco si sentiva mandato ai giovani poveri. Chi sono i veramente poveri? Quelli che nessuno ascolta. Don Bosco leggeva nel cuore dei ragazzi, ascoltava anche le parole non dette, ascoltava i sentimenti: «Caro Michele, io avrei bisogno che mi facessi un piacere». «Dite pure» rispose arditamente. «Avrei bisogno che mi dicessi perché da alcuni giorni sei così malinconico». «Sì è vero... Ma io sono disperato, e non so come fare». E scoppiò a piangere. Lo lasciai sfogare. Un mese prima della morte, all'imbrunire di una giornata passata in un penoso dormiveglia, Don Bosco fece chiamare Don Rua e Monsignor Cagliero, due dei figli più cari, e raccogliendo le poche forze che aveva disse per loro e per tutti i Salesiani: "Vogliatevi tutti bene come fratelli; amatevi, aiutatevi e sopportatevi a vicenda come fratelli..." Più tardi, con un filo di voce, aggiunse ancora: "Promettetemi di amarvi con fratelli". «Quand'è che ti accorgi che la tua famiglia va bene?» chiesero a una bambina. «Quando vedo la mamma e il papà che si danno i bacetti». Sul letto di morte disse al segretario: «Quando non potrò più parlare e qualcuno verrà per chiedere la benedizione, tu alzerai la mia mano, formerai con essa il segno della croce e pronuncerai la formula. Io metterò l’intenzione». L’ultimo gesto: Don Rua sollevò il suo braccio e l’ultimo gesto di Don Bosco fu una benedizione su tutti i suoi figli. 



3. IL CIELO NON È LONTANO 
Nel sogno di don Bosco Gesù e Maria lo prendono per mano. Non lascerà mai quella mano. Così lo straordinario fiorirà nell’ordinario, perché questa è la vera fede. Potremmo dire “Dove c’è Don Bosco c’è Maria”. Una presenza concreta. Voglio dirvi solo che la Madonna vi vuole molto, molto bene. E, sapete, essa si trova qui in mezzo a voi! Allora Don Bonetti, vedendolo commosso, lo interruppe, e prese a dire, unicamente per distrarlo: - Sì, così, così! Don Bosco vuol dire che la Madonna è vostra madre e che essa vi guarda e protegge. - No, no, ripigliò il Santo, voglio dire che la Madonna è proprio qui, in questa casa e che è contenta di voi e che, se continuate con lo spirito di ora, che è quello desiderato dalla Madonna... Il buon Padre s'inteneriva più di prima e Don Bonetti a prendere un'altra volta la parola:- Sì, così, così! Don Bosco vuol dirvi che, se sarete sempre buone, la Madonna sarà contenta di voi. - Ma no, ma no, si sforzava di spiegare Don Bosco, cercando di dominare la propria commozione. Voglio dire che la Madonna è veramente qui, qui in mezzo di voi! La Madonna passeggia in questa casa e la copre con il suo manto. (Memorie Biografiche XVII, 557). Non diceva quasi mai: “Farò questo o quello, ma la Madonna farà questo e quest’altro”. La Madonna vuole una grande chiesa? Se la farà. E il cielo arrivava anche con opportuni colpi di fulmine. Sorgeva colà presso una casetta, con una misera tettoia ed un cortile. Domandato di chi fossero, seppe che ne era proprietaria una certa signora Vaglienti. Egli pertanto andò a trovarla, ed espostole lo scopo di sua visita, la pregò che volesse affittargli quel locale. La buona signora si mostrò disposta al contratto, ma non potevasi accordare sull'annuo prezzo della pigione. Dopo un lungo disputare si correva ormai pericolo di rompere le trattative, quando un caso singolare venne a togliere ogni difficoltà. 
Il cielo era rannuvolato. In quell'istante si fa sentire un colpo di fulmine così gagliardo da mettere in grande turbamento la pia signora, la quale voltasi a Don Bosco gli disse: - Iddio mi salvi dal fulmine, e io le concedo la casa per la somma che lei mi esibisce. «Io la ringrazio, rispose DonBosco, e prego il Signore che la benedica ora e per sempre». Dopo alcuni momenti cessa il rumoreggiare del tuono, si estinguono i lampi, e il contratto viene stipulato a lire 450. In tal guisa anche il fulmine mostravasi propizio a Don Bosco, facendogli da mediatore benevolo. (Memorie Biografiche III, 268 – 269) 
Incantevole, tra i tanti episodi, quello di Montemagno d’ Asti, dove don Bosco ebbe la sorpresa del predicatore. Invitato dalla nobile casa De Maistre, il Santo si era recato, con Don Cagliero e Don Rua, a predicare un triduo per la festa dell'Assunzione di Maria SS. a Montemagno, dove, da tre mesi, un cielo dì bronzo negava la pioggia alle arse campagne e invano s'erano fatte private e pubbliche preghiere per ottenerla. La prima sera che salì in pulpito egli fece questa promessa: «Se voi verrete alle prediche in questi tre giorni, se vi riconcilierete con Dio per mezzo di una buona confessione, se vi preparerete tutti in modo che il giorno della festa vi sia proprio una Comunione generale, io vi prometto, a nome della Madonna, che una pioggia abbondante verrà a rinfrescare le vostre campagne». Disceso in sagrestia, la gente lo guardava meravigliata e commossa, e il parroco Don Clivio gli disse: «Ma bravo, ma bene; ci vuole il suo coraggio!» «Qual coraggio?» «Il coraggio d'annunziare al pubblico che la pioggia cadrà infallantemente il giorno della festa!» «Ho detto questo?» «Certamente. Ha detto proprio queste parole: "In nome di Maria SS. vi prometto che, se tutti farete una buona confessione, avrete la pioggia!"». «Ma no; avrà frainteso...: io non mi ricordo d'aver detto questo». «Interroghi uno a uno gli uditori, e vedrà che tutti hanno inteso quello che ho inteso io». Infatti, era vero; e il popolo ne fu talmente convinto che s'accinse risolutamente ad aggiustare le partite della propria coscienza. Non bastavano i confessori ai penitenti. Dalle prime ore del mattino fino a notte avanzata i confessionali erano assediati, e Don Rua, e più Don Cagliero, ricordavano ancora dopo tanti anni la stanchezza di que' giorni. Durante il triduo, il cielo continuò ad essere di fuoco. Don Bosco continuava a predicare, e nell'andare o nel tornar dalla chiesa i popolani lo interrogavano: «E la pioggia?» E Don Bosco: «Togliete il peccato». 
Il giorno dell'Assunta vi fu una Comunione così numerosa, quale non s'era vista da tempo; ma anche quel mattino il cielo era serenissimo. Don Bosco fu a pranzo dal Marchese Fassati, e, prima che i convitati avessero finito, si levò e si ritirò in camera. Era in apprensione perché le sue parole avevan fatto troppo rumore. Le campane suonano i vespri e in chiesa incomincia il canto dei salmi. Appoggiato alla finestra, Don Bosco pareva interrogasse il cielo, che sembrava inesorabile. Faceva un caldo soffocante. Che dire dal pulpito, se la Madonna non avesse fatto la grazia? «Intanto» narrava Luigi Porta, poi salesiano e sacerdote «io andava alla chiesa col Marchese, e si parlava appunto della pioggia promessa; il sudore gocciolava dalle nostre fronti, benché dal palazzo alla chiesa non vi fossero che dieci minuti di strada. Come fummo giunti in sagrestia, sul finir del vespro ecco giungere Don Bosco. Il Marchese gli disse: «Questa volta, sig. Don Bosco, fa fiasco. Ha promesso la pioggia, ma tutt'altro che pioggia»! Allora Don Bosco chiamò il sagrestano, e: «Giovanni, gli disse; andate dietro al castello del Barone Garofoli, ad osservare come si metta il tempo, e se vi sia qualche indizio di pioggia» Il sagrestano va, ritorna e riferisce a Don Bosco: «È limpido come uno specchio; appena una piccola nuvoletta, quasi come l'orma di una scarpa, verso Biella». « Bene; gli rispose Don Bosco; datemi la stola». Alcuni che erano in sagrestia gli si fecero intorno e lo interrogarono: «E se la pioggia non cade?» «È segno che non la meritiamo», rispose Don Bosco.
Finito il Magnificat, Don Bosco salì lentamente il pulpito, dicendo in cuor suo alla Madonna: «Non è il mio onore, che in questo momento si trova in pericolo, bensì il vostro. Che cosa diranno gli schernitori del vostro nome, se vedranno deluse le speranze di questi cristiani, che hanno fatto del loro meglio per piacere a voi?» Una moltitudine enorme, che occupa ogni angolo della chiesa, tiene gli occhi fissi su lui. Detta l'Ave, sembra che la luce del sole si sia leggermente oscurata. Incomincia l'esordio, e, dopo pochi periodi, s'ode, prolungato, il rumore del tuono. Un mormorio di gioia corre per la chiesa. 
Il Santo si ferma un istante, ed ecco una pioggia, dirotta e continua, batte sulle vetrate. La parola che uscì dal cuore di Don Bosco, mentre la pioggia diluviava, fu un inno di ringraziamento a Maria e di conforto e di lode ai suoi divoti. Piangeva lui e con lui piangevano gli uditori. Dopo la benedizione, la gente si fermò ad aspettare sotto l'atrio e in chiesa, perchè la pioggia continuava dirotta. E nessuno aveva portato l’ombrello! Senza tanti fronzoli, senza mistiche e cervellotiche evoluzioni, nella semplicità del quotidiano don Bosco viveva in compagnia di Dio. 
Di qui nasce l’ottimismo radicale: Margherita entrò per prima nella nuova casa: tre stanzette nude e squallide, con due letti, due sedie e qualche casseruola. Sorrise, e disse al figlio: “Ai Becchi, ogni giorno dovevo darmi da fare per mettere in ordine, pulire i mobili, lavare le pentole. Ora potrò riposare molto di più” Ripresero fiato poi si misero tranquilli a lavorare. Mentre Margherita preparava un po’ di cena, don Bosco appese alla parete un crocifisso e un quadretto della Madonna, poi preparò i letti per la notte. E insieme Madre e Figlio si misero a cantare. La canzone diceva: Guai al mondo - se ci sente forestieri - senza niente... "Primo: niente ti turbi". Così Don Bosco comincia i "Ricordi confidenziali" ai direttori. In questo primo "ricordo", Don Bosco propone come esempio se stesso: la sua è stata una vita sorretta da un incrollabile ottimismo radicato nella virtù cristiana della speranza. Tutte le testimonianze concordano su un aspetto tipico della personalità di Don Bosco: irradiava serenità e sicurezza nei suoi collaboratori e nei ragazzi. Del resto il Sistema Preventivo può sprigionare tutta la sua efficacia solo in un clima di fondamentale ottimismo. “Don Bosco avrà in questi giorni qualche grave fastidio, giacché è più gioviale del solito; ed infatti qualche giorno dopo venivamo a scoprire che realmente la cosa si era verificata” Quando era attaccato pesantemente Giornali satirici, es La Rana, “Aiutate questo serpentaccio sempre avido di carne fresca” Non voleva ritorsioni o vendette Fermamente diceva: «Eh, là, pazienza! Anche questo passerà!» Anche perché i fulmini sono capricciosi… In quella notte stessa si sollevò un gran temporale, e un fulmine scoppiò, con formidabile fragore, sopra l'estremità del corpo di fabbrica dove era la cameretta di don Bosco, il quale si salvò miracolosamente con tutti i suoi giovani che riposavano nel dormitorio del piano superiore. 
Il fulmine era penetrato nel camino che scendeva nella camera di don Bosco; rompeva il muro, gettava a terra uno scaffale di libri, rovesciando il tavolo. Il letto di ferro veniva sollevato dal suolo e trasportato, in mezzo a luce abbagliante, verso il lato opposto, e il povero don Bosco gettato violentemente sul pavimento. Nel dormitorio sovrastante degli artigiani non fu minore il danno e spavento, ma tutti furono salvi. 
Il 19 maggio, in ringraziamento, si cantava un solenne Te Deum nella chiesetta di San Francesco di Sales. Dopo il pericolo corso, molti consigliarono a don Bosco dì mettere un parafulmine sulla casa. « Sì, rispose egli, vi collocheremo la statua della Madonna! ». La statua di Maria è ancora là e non mi consta che siano caduti altri fulmini a far danni. E l’eleganza di Dio? Gli manda un angelo in carne, ossa e molto pelo: il Grigio. Partì, dunque, il 31 gennaio, alla volta di Sampierdarena, Alassio, S. Remo, Vallecrosia e Ventimiglia. Di ritorno a Vallecrosia, mentre era già notte e le vie erano piene di pozzanghere, gli apparve ancora una volta il Grigio, che lo precedette lentamente, scegliendo i punti migliori della via. Egli lo seguì e giunse felicemente a casa, dove il misterioso difensore scomparve. Fu l'ultima volta che lo vide, ed eran passati più di trent'anni dalle sue prime comparse.



4. GUARDA OLTRE L’ORIZZONTE 
Il camminatore sul filo guarda sempre avanti. Guardate oltre l’orizzonte. Aveva una capacità di visione quasi spaventosa. Quando si crede in qualcosa la forza di questa visione può letteralmente spazzar via qualsiasi obiezione o problema, che molto semplicemente cessano di esistere. Se la passione è il carburante che garantisce agli innovatori l’energia per inseguire i loro sogni, la visione fornisce la direzione che ispira gli evangelisti a unirsi a loro nel corso del viaggio. «Celando tuttavia le mie pene, mi mostrava con tutti di buon umore e tutti li rallegrava raccontando mille maraviglie intorno al futuro Oratorio, che per allora esisteva soltanto nella mente mia e nei decreti del Signore». (MO, 150). I fratelli Filippi mi licenziavano dal locale a me pigionato. «I suoi ragazzi, mi dicevano, calpestando ripetutamente il nostro prato faranno perdere fino la radice dell'erba. Noi siamo contenti di condonarle la pigione scaduta purché entro a quindici giorni ci dia libero il nostro prato. Maggior dilazione non le possiamo concedere». 
Sparsa la voce di tante difficoltà parecchi amici mi andavano dicendo di abbandonare l'inutile impresa, così detta da loro. Altri poi vedendomi sopra pensiero e sempre circondato da ragazzi cominciavano a dire che io era venuto pazzo. 
Un giorno il Teologo Borrelli in presenza del sacerdote Pacchiotti Sebastiano e di altri prese a dirmi così: «Per non esporci a perdere tutto è meglio salvare qualche cosa. Lasciamo in libertà tutti gli attuali giovanetti, riteniamone soltanto una ventina dei più piccoli. Mentre continueremo ad istruire costoro nel Catechismo, Dio ci aprirà la via e l'opportunità di fare di più». 
Loro risposi: «Non occorre aspettare altra opportunità, il sito è preparato, vi è un cortile spazioso, una casa con molti fanciulli, porticato, Chiesa, preti, chierici, tutto ai nostri cenni». «Ma dove sono queste cose?» interruppe il Teologo Borrelli. «Io non so dire dove siano, ma esistono certamente e sono per noi». Allora il Teologo Borrelli dando in copioso pianto, povero Don Bosco, esclamò, gli è dato la volta al cervello. Il termine biblico profeta significa colui che guarda lontano, ovvero colui che sa intravedere gli scenari futuri, che sa prevedere i cambiamenti e indicare la strada per un domani migliore. Il profeta guarda lontano in modo alternativo, con uno stile diverso che sa spronare la comunità. Don Bosco era semplicemente un profeta. Avere la visione significa possedere le doti più importanti soprattutto oggi: la fantasia e la creatività! Il professor Umberto Eco ha scritto «La verità è che è mancato al Pci il suo progetto don Bosco, e cioè qualcuno o un gruppo con la stessa immaginazione sociologica, lo stesso senso dei tempi, la stessa inventività organizzativa». Pensate a com’è nata la prima legatoria salesiana. Don Bosco intanto mentre sperava di avere in tempo non lontano una tipografia a sua disposizione, nei primi mesi dell'anno apriva, scherzando, come era solito a fare, in molte sue imprese, un terzo laboratorio nell'Ospizio: Legatoria di libri. Ma fra i giovani che aveva nella casa non ve n'era alcuno che s'intendesse di questo mestiere: pagare un capo d'arte esterno non era ancora il tempo. 
Tuttavia un giorno, avendo intorno a sé i suoi alunni, depose sopra un tavolino i fogli stampati dì un libro che aveva per titolo: Gli Angeli Custodi, e chiamato un giovane gli disse: «Tu farai il legatore!» « Io legatore? Ma come farò se non so nulla di questo mestiere?» «Vieni qua! Vedi questi fogli? siediti al tavolino bisogna incominciare dal piegarli». 
Don Bosco pure si assise, e fra lui ed il giovane piegarono tutti quei fogli. Il libro era formato ma bisognava cucirlo. 
Qui venne in suo aiuto mamma Margherita e fra tre riuscirono a cucirlo. Subito con farina si fece un po' di pasta ed al libro si attaccò anche la copertina. Quindi si trattò di eguagliare i fogli, ossia raffilarli. Come fare? Tutti gli altri giovanetti circondavano il tavolino, come testimoni di quella inaugurazione. Ciascuno dava il suo, parere per rendere eguali quei quinterni. Chi proponeva il coltello, chi le forbici. In casa all'uopo non vi era ancora nulla, assolutamente nulla. La necessità rese Don Bosco industrioso. Va in cucina, prende con sussiego la mezzaluna d'acciaio che serviva a tagliuzzare le cipolle, gli agli, le erbette, e con questo strumento si pone a tagliare le carte. 
I giovani intanto si rompevano lo stomaco dal ridere. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in visita in Brasile il 19 e il 20 marzo dell’anno scorso per ampliare e ottimizzare le relazioni politiche e commerciali tra i due paesi, durante il discorso agli impresari ha ricordato il sogno di Don Bosco sulla città di Brasilia. «Brasilia è una città giovane, con solo 51 anni, ma che ha avuto inizio da oltre un secolo; nell’anno 1883 Don Bosco ebbe la visione che un giorno la capitale di una grande nazione sarebbe stata costruita tra i paralleli 15 e 20, che sarebbe stata il modello del futuro e che avrebbe garantito opportunità per ogni cittadino brasiliano». 
L’oggetto più commovente delle camerette di don Bosco a Valdocco è un piccolo mappamondo scuro e piuttosto approssimativo. 

5. SII FORTE SOLIDO E AFFIDABILE 
Quello di don Bosco è lo strano caso di un sognatore con i piedi per terra. «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare (se lo sentite in piemontese, significa “arare”). Renditi umile, forte, robusto…» Questo il consiglio di Maria a Giovannino nel sogno dei nove anni. Giovanni lo prenderà molto sul serio e queste tre qualità diventeranno le dimensioni fondamentali della sua persona. Un nonno teneva per mano il nipotino e indicava i poderosi alberi del viale. Raccontava che niente è più bello di un albero. «Guarda, guarda gli alberi come lavorano!». «Ma che cosa fanno, nonno?» «Tengono la terra attaccata al cielo! Ed è una cosa molto difficile. Osserva questo tronco rugoso. È come una grossa corda. Ci sono anche dei nodi. Alle due estremità i fili della corda si dividono e si allargano per attaccare terra e cielo. Li chiamiamo rami in alto e radici in basso. Sono la stessa cosa. Le radici si aprono la strada nel terreno e allo stesso modo i rami si aprono una strada nel cielo. In entrambi i casi è un duro lavoro!». «Ma, nonno, è più difficile penetrare nel terreno che nel cielo!». «Eh no, bimbo mio. Se fosse così, i rami sarebbero bei dritti. Guarda invece come sono contorti e deformati allo sforzo. Cercano e faticano. Fanno tentativi tormentosi più delle radici». «Ma chi è che fa fare loro tutta questa faticaccia?». «E’ il vento. Il vento vorrebbe separare il cielo dalla terra. Ma gli alberi tengono duro. Per ora stanno vincendo loro». Don Bosco è stato un tronco poderoso ben radicato nel terreno per tenere il cielo attaccato alla terra. E per questo ha consumato la sua vita. Da lui allora possiamo imparare il significato della virtù dell’umiltà. Le radici nella terra sono l’umiltà. La parola richiama il latino humus, terra. Anche se l’icona più affascinante di don Bosco lo rappresenta in equilibrio su una corda tesa tra terra e cielo. Si trova subito in sintonia con Maria Mazzarello: viene dalla terra anche lei. Sanno voltare il fieno, mungere le mucche e zappare. Si capiscono al volo: poche parole, poche lettere. I contadini si guardano in faccia e basta. Don Bosco non perse mai di vista la meta della sua esistenza. Badò sempre all’essenziale. Se hai un sogno grande, non lasciarti scoraggiare dagli incapaci, impara a dire «no». Il camminatore sul filo ha bisogno di due qualità essenziali: equilibrio e autocontrollo. Queste chiese con forza ai suoi ragazzi. Oggi sono fuori moda, ma è quanto di più moderno si può fare in campo pedagogico. Lui le chiamava temperanza. Una virtù che praticò in tutta l'estensione della parola (vestire, mangiare, dormire, abitare e viaggiare) e in maniera eroica. Vestiva, ad esempio, con abiti puliti ma rattoppati. Il suo abito talare era di panno grossolano, gli serviva per le quattro stagioni e ne disponeva di uno solo, come testimoniò Angelo Amadei: «La Signorina Mazzi della Roche, nipote di Mons. Gastaldi, mi diceva che nel 1858, prima che partisse per Roma, il Venerabile fu a visitare la sua mamma. La sua veste era pulita ma rattoppata. La Signorina Mazzi gli disse: “ Don Bosco con questa veste andrà a Roma?”. “ Sicuro”, rispose il Venerabile “ è la veste più bella che abbiamo in casa, e non è mia, me l'ha imprestata Don Alasonatti”» (PV, 912). 
«Nel 1858 {Don Bosco aveva 43 anni), trovandomi io a Roma in compagnia di un avvocato di Torino, vedemmo Don Bosco per una via. Lasciai all'istante l'avvocato e andai a salutarlo. Al ritorno, l'avvocato mi domandò chi era quel sacerdote. Risposi: «Don Bosco!». L'avvocato rimase sorpreso: «Don Bosco? Quel Don Bosco che raccoglie centinaia di giovanetti? Io l'ho incontrato per le vie di Torino, e mi chiedevo chi fosse quel semplicione di un prete, tanto dimesso era il suo vestito e il suo portamento!». Non ha paura di chiedere. Per andare in seminario fa la prima questua della sua vita, la prima di una lunga serie. «Restava a provvederlo degli abiti chiericali che la povera Margherita non avrebbe potuto comprargli. Don Cinzano ne parlò ad alcuni parrocchiani, e questi accettarono premurosamente di concorrere all'opera buona. Il signor Sartoris lo provvide della talare, il Cav. Pescarmona del cappello, Don Cinzano stesso gli diede il proprio mantello, altri gli comprò il colletto e la berretta, altri le calze, e una buona donna raccolse i denari necessari per fornirlo, a quanto pare, di un paio di scarpe. È questo il modo che avrebbe tenuto anche in seguito la Divina Provvidenza per venire in soccorso al nostro Giovanni; servirsi cioè dell'aiuto di molti generosi per sostenere il suo fedel Servo e le opere cui egli avrebbe dato mano». Quante volte il Santo fu udito ripetere: «Io ebbi sempre bisogno di tutti». Non si vergognò mai di chiedere l’elemosina. Quanto coraggio ci vuole per questo? Solo chi è umile può essere gentile perché riesce a godere della presenza degli altri. L’umiltà è la porta dell’amore verso i più piccoli, gli indifesi, i feriti dalla vita. Gesù spiega concretamente ai suoi il senso dell’umiltà con la “lavanda dei piedi”. Anche don Bosco: «Egli si dava in casa a più altre occupazioni. Non potendosi fidare di prendere gente di servizio, con sua madre faceva ogni lavoro domestico. Mentre Margherita si occupava della cucina, presiedeva al bucato, adattava e cuciva la biancheria e accomodava gli abiti logori, egli attendeva a tutte le più minute faccenduole. 


Don Bosco in questi primi anni, facendo vita comune coi giovani, allorché non si muoveva di casa era pronto ad ogni servigio. Al mattino insisteva perché i giovani si lavassero le mani e la faccia; ed egli a' pettinare i più piccoli, a tagliare loro i capelli, a pulirne i vestiti, assettarne i letti scomposti, scopare le stanze e la chiesuola. Sua madre accendeva il fuoco ed egli andava ad attingere l'acqua, stacciava la farina di meliga o sceverava la mondiglia dal riso. Talora sgranava i fagiuoli e sbucciava pomi di terra. Egli ancora preparava sovente la mensa per i suoi pensionarii e rigovernava le stoviglie ed anche le pentole di rame che in certi giorni facevasi imprestare da qualche benevolo vicino. Secondo il bisogno fabbricava o riattava qualche panca perché i giovani potessero sedersi; e spaccava legna. Per risparmiare spese di sartoria tagliava e cuciva i calzoni, le mutande, i giubbetti e coll'aiuto della madre in due ore un vestito era fatto». È la lavanda dei piedi in salsa salesiana. 
Il miglior titolo per una vita di don Bosco credo sia Giovannino Semprinpiedi. Nel novembre 1845 don Bosco prese in affitto dall'anziano sacerdote Giambattista Moretta tre stanze, pagando quindici lire mensili. Ma nel marzo 1846 il vecchio prete, per le solite lamentele degli altri inquilini, non rinnovò l'affitto, avvisandolo di sloggiare immediatamente. L'Oratorio si trasferì allora provvisoriamente nel prato attiguo, affittato dai fratelli Filippi. Come reagisce? «Io mi trovai là a cielo scoperto, in mezzo ad un prato, cinto da grama siepe, che lasciava libero adito a chiunque volesse entrare. 
I giovanetti erano da tre a quattrocento, i quali trovavano il loro paradiso terrestre in quell'Oratorio, la cui volta, le cui pareti erano la medesima volta del cielo [...]. Ne' giorni festivi, di buon mattino, io mi trovava nel prato, dove già parecchi attendevano [...]. Ad un certo punto della mattinata si dava un suono di tromba, che radunava tutti i giovanetti; altro suono di tromba indicava il silenzio, che mi dava campo a parlare e segnare dove andavamo ad ascoltare la santa messa e fare la comunione. Talvolta, come si disse, andavamo alla Madonna di Campagna, alla chiesa della Consolata, a Stupinigi...» (MO, 154-155). La resilienza non è una condizione ma un processo: la si conquista lottando. Non è difficile considerare tutta la vita di don Bosco una lotta. 
Don Bosco non aveva paura di niente. Monsignor Cagliero ricorda: «Non ricordo di averlo visto un solo momento, nei 35 anni in cui stetti al suo fianco, scoraggiato, infastidito o inquieto per i debiti dei quali era sovente carico. Sovente diceva: «La Provvidenza è grande, e come pensa agli uccelli dell'aria, così penserà ai miei giovanetti». Al signor Magra, panettiere, doveva 12 mila lire per provvista di pane nell'anno 1860-61. Magra si rifiutò di fornirgli altro pane. Don Bosco gli fece dire, come sempre, che non dubitasse: la Divina Provvidenza non aveva mai fatto banca rotta. Continuasse a provvedere il pane, e il Signore avrebbe pensato a mandargli il denaro. Magra mandò il pane, ma venne per riscuotere il suo avere. Don Bosco si trovava in sacrestia, e tardava a uscire aspettando che il Signore l'aiutasse, mentre il signor Magra passeggiava fuori attendendo. Un signore entra in sacrestia e da a Don Bosco una piccola elemosina. Don Bosco allora esce, trova il signor Magra e gli dice: «Ecco, la Provvidenza vi manda un acconto. Presto vi farà avere il saldo». Così diceva ai provveditori del ferro, del legname, del cuoio per i laboratori...». Nel 1849, anno difficile per il Piemonte e per don Bosco, egli si faceva accompagnare, quando usciva, da Giuseppe Brosio, il "bersagliere", che nelle sue rievocazioni (ASC, 123, Brosio) ricordò che, quando don Bosco percorreva l'attuale corso Regina Margherita, spesso veniva ingiuriato con insulti o canzonacce indecenti da parte di giovani sbandati. 
L'esuberante Brosio, proprio per i suoi particolari trascorsi militari, avrebbe volentieri dato a quei giovinastri una buona lezione "manuale", ma don Bosco lo fermava regolarmente, anzi un giorno che riuscì ad avvicinarsi a questi "amici" (come li chiamava) regalò loro alcuni frutti, comperati da una venditrice che aveva il banco nella zona. Quando la mamma di Don Bosco si lagnava con lui, e con ragione, perché la siepe e la verdura del suo orto veniva guastata. Don Bosco, con il solito sorriso sulle labbra, le rispose: Cosa veule feje? a són giov! [Che cosa volete farci? Sono giovani!]. Due frasi “terribili”: «L’Oratorio di San Francesco di Sales nacque dalle bastonate, crebbe sotto le bastonate, e in mezzo alle bastonate continua la sua vita». «Tutte le volte che ci frappongono imbarazzi — egli affermava — io rispondo sempre coll'apertura di una casa» (MB, XIV, 229). Il coraggio è soprattutto la virtù del guerriero che osa rischiare di venire ferito in combattimento. Il coraggio ci rende decisi: bisogna rischiare. I forti conquistano il Regno di Dio, dice Gesù: il Risorto si fa riconoscere mostrando le ferite. Un uomo morì e arrivò alle porte del cielo. L'angelo addetto all'accoglienza gli chiese: «Mostrami le tue ferite». Sorpreso, l’uomo replicò: «Ferite? Non ne ho». E l'angelo gli disse: «Non hai mai pensato che ci fosse qualcosa per cui valesse la pena di combattere?». Quante ferite aveva don Bosco? Il canonico Ballesio testimonia: «Fu attestato dai medici che ebbero ad assisterlo nelle infermità degli ultimi suoi anni, che le fatiche sopportate, le violenze fatte a se stesso dal Servo di Dio, dovettero essere tali che ne rimase addirittura consumata la fortissima sua fibra e costituzione. Fu dai medesimi dichiarato che il Servo di Dio aveva un corpo cosi affranto e logoro, da rendere inesplicabile alla scienza come egli potesse vivere e tirare innanzi nelle sue occupazioni. Al vederlo seduto, tanto faceva la sua figura, l'energia dell'anima si rispecchiava nella sua faccia, nello sguardo vivo e benigno e nella parola che sempre coloriva il suo pensiero. Ma al vederlo camminare, per noi specialmente, memori di altri tempi, era una pena, uno strazio al cuore. 
Negli ultimi anni camminava chino e colle braccia stese in alto, che generalmente erano sostenute dai pietosi suoi figli. E ciò per avere il necessario respiro. 
Ebbene, con tanti acciacchi il Servo di Dio stava su, si tratteneva coi suoi figliuoli, si informava dai suoi collaboratori dell'andamento delle cose, e dava consigli e gli ordini del governo e delle molteplici sue Case sparse nei due mondi ». Al processo, il celebre professor Combal: « Se ne raccontino pure cose meravigliose di D.Bosco : per me il più grande miracolo si è che egli viva ancora, mentre è così distrutto». Quando guardate quell’urna: pensate questo. Ma la ferita più cocente: è quando scrive nel verbale di due dei suoi che “Sono andati a vivere per conto loro”. A testa alta con tutti. Anche con la potente Marchesa Barolo. Una volta andò ella stessa a visitare l'umile tettoia-cappella, inaugurata presso la casa Pinardi; ed ignorando la celeste missione affidata al Santo, al rimirare quella povera stamberga, le parve ancor più inesplicabile che si potessero rifiutare le sue generose offerte per crearsi uno stato così miserabile. 
Avvisato della sua presenza, Don Bosco le andò incontro, e la Marchesa, non appena gli fu vicina, gli disse: «Ed ora lei che cosa potrà far qui, se non le porgo aiuto? Non ha un soldo, lo so! E con tutto ciò non vuole arrendersi alle mie proposte? Peggio per Lei! Pensi prima di decidere: si tratta del suo avvenire!» Un'altra volta recatosi il Santo presso di lei per parlarle, ella, non appena lo vide comparire sulla soglia, quasi trionfalmente gli chiese: «Si trova nella miseria, non è vero?» «Oh no! rispose Don Bosco con affabilità ma con contegno grave e riserbato; non son venuto a parlarle di danaro; conosco le sue intenzioni e non voglio disturbarla, tanto più che non ho bisogno di niente... e, se mi permette una parola che aggiungo senza intenzione di offenderla... non ho bisogno neppure di lei, signora Marchesa!» «Sì, eh? replicò essa; ecco il superbo!» E il Santo, con la sua mirabile calma incisiva: «No, non cerco il suo danaro: e so dirle che, mentre ella mi conosce stretto dalla necessità e non si muove a soccorrermi,io sono di ben altro animo verso di lei. So dirle, facendo una supposizione inammissibile, che se la signora Marchesa cadesse nella miseria ed abbisognasse di me, io mi caverei il mantello dalle spalle e il pane di bocca per soccorrerla». Il coraggio di proporre esperienze straordinarie, delle mission impossible ai suoi giovani. La lealtà: è una merce rara, oggi. Significa fedeltà, onestà, sincerità e affidabilità, è l’ingrediente indispensabile di ogni amicizia e di ogni relazione umana. Non ha mai abbandonato nessuno. Don Michele Rua: «Fu ammirabile anche la bontà del venerabile verso il fratello Antonio, egli ben conosceva quanto lo avesse contrariato nelle sue aspirazioni alla carriera ecclesiastica, pure lo ebbe sempre amato, e, morto lui, ne ritirò i figli di lui nell'Oratorio, facendo imparare al più vecchio il mestiere di falegname, e conservando verso di loro in ogni tempo paterno affetto; il più giovane ritornò presto alla campagna, ma non cessò di godere degli aiuti dello zio nei casi di strettezze. Io li conobbi entrambi all'Oratorio» (PV, 597). 
26 dicembre. Don Bosco è gravissimo. Viene a trovarlo Carlo Tomatis, allievo dell’ oratorio dei primi tempi. S’ inginocchiò ai piedi del letto, riusciva a dire solo «Oh Don Bosco Oh Don Bosco!» Quando uscì dalla sua stanza Don Bosco fece un cenno a Don Rua che si curvò su di lui: «Sai che si trova in difficoltà - gli mormora - Paga loro il viaggio a mio nome». E se la società è “liquida” ed infida, come oggi si dice, don Bosco allestisce una zattera: «Quando tutti furono sulla barca — continua Don Bosco — presi il comando di capitano e dissi ai giovani: — Maria è la Stella del mare. Essa non abbandona chi in Lei confida: mettiamoci tutti sotto il suo manto; Ella ci scamperà dai pericoli e ci guiderà a porto tranquillo». 



6. RICONCILIATI CON LA MORTE 
Don Bosco aveva inventato uno strano esercizio per i suoi ragazzi: l’esercizio della buona morte. 
Un esercizio formidabile! Significa avere chiaro il senso del limite e la fondamentale responsabilità della vita. Abbiamo una meta, un appuntamento con qualcuno che ci chiederà: che ne hai fatto di tutto quello che ti ho dato? Sia benedetto chi lo dice ai ragazzi. Quale fu la parola più pronunciata da Don Bosco? Scrisse Don Alberto Caviglia: «A svolgere le pagine che riportano parole e discorsi di Don Bosco, si trova che quella del Paradiso fu la parola ch’egli ripeteva in ogni circostanza come argomento animatore supremo di ogni attività nel bene e di ogni sopportazione delle avversità». 
«Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto!» ripeteva Don Bosco in mezzo alle difficoltà. Anche nelle moderne scuole per manager si insegna che una visione positiva del futuro si trasforma in forza di vita. A Marsiglia, in casa di un’insigne benefattrice, presa una viola del pensiero e rivolto alla signora: «Ecco, disse. Le do un pensiero, il pensiero dell’eternità». 
«Con o senza fiori, non dimenticava mai di lasciare pensieri somiglianti, chiunque fosse chi si avvicinava» (Don Ceria). Non è solo la forza di vivere, è un certo modo di vivere, è il piacere di vivere e vivere nella luce della risurrezione. Possiamo affrontare con successo la nostra vita quotidiana solo se sappiamo che non è tutto, che la nostra casa è in cielo, che noi ci innalziamo con il nostro cuore nella vastità e nella libertà di Dio. La risurrezione spezza i limiti della nostra quotidianità e fa sì che la luce dell'eternità penetri nella notte nella quale tutto sembra inutile. Quando, anziano e cadente, attraversava il cortile a passettini di formica, quelli che lo incrociavano gli rivolgevano il solito saluto distratto: «Dove andiamo, Don Bosco?» «In Paradiso». Anche humor viene da humus. L’umiltà permette di accettare le imperfezioni dell’esistenza e regala all’esistenza una serenità di base. Don Bosco era sempre di buonumore. Il suo ultimo scritto? Qualcosa di terribilmente carismatico? Una poesia per le sue gambe: Gambe, mie povre gambe che sie drite, che sie strambe seve sempre l’me confort fin a tant che sia mort. 

7. LA VITA È COME IL GIOCO DEI PUNTINI E IL FINALE È UNA SORPRESA DELL’ALTRO MONDO 
Quell’ultima bellissima intervista (una delle prime, credo, interviste ad un santo). Il giornalista descrive le fondazioni, i paesi del mondo raggiunti, i numeri vertiginosi e fa la classica domanda: «Ma come ha fatto?» Don Bosco risponde (sorridendo): «Un po’ per volta». 
C’era una volta un uomo che allevava pesci. Aveva un grande stagno dove guizzavano pesci di tutte le specie. Una notte l'uomo venne svegliato da un rumore che proveniva dallo stagno. Si alzò ma era buio pesto, era mezzo addormentato e non si orientava bene. Pensò di dirigersi verso il laghetto ma inciampò, si rialzò, cadde in una fossa, si rialzò di nuovo. Ad un tratto si accorse che stava andando nella direzione sbagliata, così tornò indietro e si mise di nuovo in marcia verso il rumore dell'acqua. Non vedeva niente, però, e anche questa volta inciampò, cadde, si rialzò, cadde in un fosso, si rialzò di nuovo. Piombò a faccia in giù nella fanghiglia. Si rimise in piedi, tornò indietro. Andò avanti così finché finalmente arrivò allo stagno. Scoprì che l'acqua stava uscendo da un buco nell'argine del laghetto e, insieme all'acqua, anche i pesci! Così si mise a riparare la falla, e solo a opera ultimata tornò a casa e si mise a letto. La mattina dopo l'uomo, alzandosi, guardò dalla finestra e scorse per terra, tracciata dai suoi passi, la sagoma perfetta di una cicogna. «Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò o altri vedranno una cicogna?» Saremo in due a vedere il disegno finale della vita: io e Dio. Dio in fondo lo aveva progettato e se io mi lascio condurre per mano da Lui, alla fine lo vedrò anch’io. Pensa alla soddisfazione di Dio se fosse proprio quello che aveva in mente lui! 
Tre cose: l'uomo mentre stava correndo su e giù, inciampando, cadendo, cambiando direzione, non aveva alcuna idea che alla fine la sua fatica avrebbe prodotto il disegno di una cicogna. 
In secondo luogo, nonostante gli ostacoli che andava incontrando, l’uomo rimase fermo al suo proposito, «tenne duro fino in fondo». 
In terzo luogo, soltanto quando il percorso fu ultimato, ossia solo il giorno dopo quando l'uomo alzatosi si affacciò alla finestra, gli fu dato di vedere il risultato del suo lavoro che andava ben oltre la riparazione dello stagno. 
È la spiritualità del Magnificat. Io non vivo come un semplice numero: Dio ha fatto grandi cose per me. Don Bosco scrive il suo personale Magnificat, la sera della prima Messa: «La sera di quel giorno tornai alla mia casa. 
Quando fui vicino ai luoghi dove avevo vissuto da ragazzo, e rividi il posto dove avevo avuto il sogno dei nove anni, non potei frenare la commozione. Dissi: “Quanto sono meravigliose le strade della Provvidenza! Dio ha veramente sollevato da terra un povero fanciullo, per collocarlo tra i suoi prediletti”». 
Il pianto di don Bosco nelle sue ultime Messe: aveva visto il disegno. 
«A suo tempo tutto comprenderai». 
Nella lunga agonia invocava spesso: «Madre! Madre!». 
Due volte. Se guardate bene la fotografia di don Bosco morto, sembra veramente avvolto dalle braccia di Qualcuno. Le due madri sono venute a prenderlo. 
Alla fine vorrei dire solo questo: «Ce l’hai fatta, Giovanni. Hai cambiato il mondo. E, ciò che più conta, hai cambiato me».



Pensare come don Bosco 2012 – Giornate di Spiritualità don Bruno Ferrero, sdb Direttore, Bollettino Salesiano 


Buona giornata a tutti. :-)