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venerdì 27 dicembre 2019

Il commiato da "Il Profeta" di Kahlil Gibran

E così si fece sera, e Almitra, l'indovina, disse:
Sia benedetto questo giorno e questo luogo e il tuo spirito che ha parlato. 
E lui rispose: Ero io a parlare? Non sono stato io stesso un uditore? 

Quindi scese i gradini del tempio e tutto il popolo lo seguì. 
Lui raggiunse la sua nave e restò in piedi sul ponte. E ancora rivolto al popolo levò alta la voce e disse: 
"Popolo di Orfalese, il vento mi comanda di lasciarvi. 
Io sono meno impaziente del vento, tuttavia devo andare. Per noi, viandanti eternamente alla ricerca della via più solitaria, non inizia il giorno dove un altro giorno finisce, e nessuna aurora ci trova dove ci ha lasciato al tramonto. Anche quando dorme la terra, noi procediamo nel viaggio. 
Siamo i semi della tenace pianta, ed è nella nostra maturità e pienezza di cuore che veniamo consegnati al vento e dispersi. 
Brevi furono i miei giorni tra voi, e ancor più brevi le parole che ho detto. Ma se la mia voce si affievolirà nel vostro orecchio e il mio amore svanirà nella vostra memoria, allora io tornerò. E con cuore più ricco e labbra più docili allo spirito, parlerò con voi. 
Sì, tornerò con la marea, E se anche la morte mi celasse e mi avvolgesse il silenzio più profondo, ancora cercherò il vostro ascolto. E non cercherò invano. Se ciò che ho detto è verità, questa verità dovrà rivelarsi in una voce più chiara e in parole più somiglianti ai vostri pensieri.
Io vado col vento, popolo di Orfalese, ma non verso il  nulla. E se questo giorno non  è compimento delle vostre attese né del mio amore, sia allora promessa per un altro giorno. 
I bisogni dell'uomo mutano, ma non  il suo amore né il desiderio che sia l'amore a placarli. 
Sappiate dunque che io tornerò dal silenzio più grande. 
La nebbia che all'alba si dissolve e lascia sui campi solo rugiada, si alzerà per raccogliersi in nube e ricadere sotto forma di pioggia. E io fui come nebbia. Nella quiete della notte ho camminato per le vostre strade e il mio spirito è entrato nelle vostre case.
I palpiti del vostro cuore erano nel mio cuore e sul mio volto soffiava il vostro respiro, e vi ho conosciuti tutti. 
Sì, ho conosciuto la vostra gioia e il vostro dolore e, nel sonno, i vostri sogni erano i miei sogni. Tra voi sovente sono stato un lago circondato da montagne. 
In me si sono rispecchiate le vostre vette e i curvi pendii, e anche il lento sfilare delle greggi dei vostri pensieri e passioni. 
E al mio silenzio è giunto come a ruscelli il riso dei vostri bambini e a fiumi l'ardente desiderio dei vostri giovani. 
E raggiunta la mia profondità, ruscelli e fiumi non avevano ancora smesso il canto. Ma qualcosa di più dolce del riso e più grande del desiderio è giunto sino a me. L'infinito in voi.
L'uomo immenso del quale non siete altro che cellule e nervi. Nel cui cantico ogni vostra voce non è che un muto singhiozzo. 
E' nell'uomo immenso che voi siete immensi, ed è nel guardarlo che vi ho guardato e amato. 
Poiché a quali distanze, al di là di questa immensa sfera, può giungere l'amore? 
Quali visioni, quali attese e quali speranze si eleveranno oltre quel volo? Come una quercia gigantesca in piena fioritura è l'uomo immenso in voi. 
La sua forza vi lega alla terra, la sua fragranza vi solleva nell'aria, e nel suo perdurare voi siete immortali. 
Vi è stato detto che voi, simili a una catena, siete deboli quanto il vostro anello più debole. Questa non è che una mezza verità. 
Voi siete anche forti come il vostro anello più forte. 
Misurarvi dalla vostra azione più meschina è come calcolare la potenza dell'oceano dalla fragilità della sua schiuma. 
Giudicarvi dai vostri errori è accusare le stagioni per la loro incostanza. 
Sì, voi siete come l'oceano. E sebbene le navi, pesanti di carichi, attendano la marea sulle vostre rive, voi, come l'oceano, non la potete affrettare.
 E inoltre siete come le stagioni. E benché nel vostro inverno neghiate la vostra primavera, La primavera che è in voi sorride intatta e assopita. 
Non pensiate che io vi parli così affinché vi diciate l'un l'altro: "Ci ha ben lodato. In noi non ha visto che il buono". Io vi ho solo tradotto in parole ciò che voi stesse conoscete in pensiero. E che cos'è la parola se non l'ombra di una conoscenza inespressa? 
I vostri pensieri e le mie parole sono le onde di una memoria sigillata che conserva la traccia del nostro passato, E dei remoti giorni in cui la terra non conosceva noi né sé stessa. E delle notti in cui era preda del caos. 
Uomini savi sono venuti per darvi la loro saggezza. Io sono venuto per attingerla da voi. E ho trovato quanto è più grande della saggezza: la fiamma dello spirito in voi che si alimenta di sé stessa. Mentre voi, noncuranti del suo espandersi, piangete l'inaridire dei giorni. E ho trovato la vita che cerca la vita in corpi che temono la tomba. Qui non ci sono tombe. Queste montagne e queste pianure sono una culla e una pietra per il guado.
Quando passate per il campo dopo aver sepolto i vostri avi, guardatevi intorno e vedrete voi stessi con i vostri figli danzare mano nella mano.
In verità, spesso fate festa senza saperlo. Altri uomini vennero a blandire la vostra fede con dorate promesse e voi a loro rendeste ricchezze e potenza e gloria. 
Io vi ho dato meno di una promessa, eppure siete stati con me più generosi: mi avete dato la più profonda sete di vita futura. 
Certo non vi è dono più grande per un uomo di ciò che muta ogni proposito in labbra ardenti e tutta la vita in una fonte. E in questo sta il mio onore e la mia ricompensa.
Vengo a bere a una fonte e trovo l'acqua viva essa stessa assetata; e mentre io bevo l'acqua mi beve. 
Qualcuno tra voi mi ha stimato superbo e troppo schivo per ricevere doni. In verità sono troppo superbo per accettare compensi, ma non doni. E sebbene abbia mangiato bacche sulle colline quando mi avreste invitato alla vostra mensa e dormito sotto il portico del tempio quando mi avreste dato asilo con gioia.
Non è stata forse la vostra amorevole preoccupazione per i miei giorni e le mie notti a rendere il cibo dolce alla mia bocca e a circondare il mio sonno di visioni ?  
Per tutto questo io vi benedico ancora. Voi date molto e lo ignorate: In verità la bontà che si ammira allo specchio si tramuta in pietra, e una buona azione che si compiace di sé stessa genera una maledizione. 
E alcuni di voi mi hanno giudicato distante ed ebbro della mia solitudine, e hanno detto: 
"Lui tiene consiglio con gli alberi della foresta, ma non con gli uomini. Siede solitario sulle cime dei monti e guarda dall'alto la nostra città". 

E' vero, ho scalato montagne e ho camminato in luoghi remoti. Ma come avrei potuto vedervi se non da una grande altitudine o da una grande distanza? 

In verità, come si può essere vicini se non si conosce la lontananza? E altri tra voi si sono tacitamente rivolti a me pronunziando queste parole: 
"Straniero, straniero, amante di irraggiungibili altezze, perché vivi sulle cime dove le aquile costruiscono il loro nido? Perché cerchi l'impossibile? Quali tempeste vorresti carpire? E quali uccelli chimerici insegui nel cielo? Vieni, e sii uno di noi. Scendi, placa la tua fame col nostro pane e spegni la tua sete col nostro vino".
 Nella solitudine dell'anima questo hanno detto.
Ma se la loro solitudine fosse stata più profonda avrebbero capito che ricercavo soltanto il segreto della vostra gioia e della vostra pena, e che inseguivo soltanto la vostra essenza più vasta che si libra nel cielo. 
Ma il cacciatore è stato anche la preda.
Molte frecce hanno lasciato il mio arco solo per mirare al mio petto. E il volatile è stato anche il rettile; Quando le mie ali si dispiegavano al sole, la loro ombra sulla terra era una tartaruga. 
E io, il credente, sono stato anche lo scettico, poiché sovente ho messo il dito nella mia stessa piaga, per avere di voi la conoscenza e la fede più profonde. Ed è con questa fede e questa conoscenza che io dico, voi non siete rinchiusi nel vostro corpo, né confinati nelle case o nei campi. 
Ciò che voi siete ha la sua dimora tra le montagne ed erra nel vento. E non è qualcosa che striscia al sole per scaldarsi o scava buche nel buio per trovare rifugio. 
Ma qualcosa di libero, uno spirito che avvolge la terra e muove nell'etere. Se queste sono parole vaghe, non cercate di chiarirle. Vago e nebuloso è l'inizio di ogni cosa, ma non la sua fine.
E vorrei che mi ricordaste come un inizio. 
La vita, e tutto ciò che vive, è concepito nella nebbia e non nel cristallo. 
E chissà se il cristallo non è la nebbia che si dilegua? 
Nel ricordarmi, non scordatevi di questo: ciò che in voi sembra più fragile e confuso, è invece più forte e determinato. 
Non è forse il respiro che ha eretto e temprato la vostra struttura? 
E non è forse un sogno che nessuno di voi ricorda di aver sognato, ciò che ha edificato la vostra città e modellato ogni cosa in essa? 
Se solo poteste vedere il flusso di questo respiro, non vorreste vedere nient'altro. 
E se solo poteste udire il sussurro di questo sogno, non vorreste ascoltare suono diverso. Ma voi non vedete né udite, e questo è bene. 
Il velo che offusca i vostri occhi sarà sollevato dalla mano che lo ha tessuto, e la creta che ostruisce le vostre orecchie sarà rimossa dalle dita che l'hanno impastata. E voi vedrete. E voi udirete. Ma non rimpiangerete di aver conosciuto la cecità, né di essere stati sordi. Poiché in quel giorno conoscerete il fine nascosto. E benedirete l'oscurità come avreste benedetto la luce.
Dette queste cose si guardò intorno e vide il timoniere in piedi vicino alla sbarra scrutare ora le vele gonfie ora l'orizzonte.
E disse: "Paziente, troppo paziente è il capitano della mia nave. Il vento soffia e le vele sono inquiete; anche il timone implora la sua rotta; tuttavia il mio capitano ha atteso con calma il mio silenzio. E questi miei marinai, che già udivano il coro del mare aperto, hanno saputo ascoltarmi pazienti. Non aspetteranno più a lungo. Sono pronto. Il fiume ha raggiunto il mare, e ancora una volta la grande madre accoglie il figlio nel suo grembo. Addio, popolo d'Orfalese. Questo giorno è finito. Si chiude su di noi come il giglio acquatico sul suo domani. Serberemo quello che qui ci è stato donato, e se non sarà sufficiente, ci ricongiungeremo per tendere ancora le mani verso colui che dà. Tornerò a voi, non dimenticatemi. 
Sarà tra breve, e il mio anelito raccoglierà polvere e saliva per un altro corpo. Sarà tra breve, un attimo di calma nel vento e un'altra donna mi partorirà. Addio a voi e alla giovinezza trascorsa con voi. Appena ieri ci incontrammo. Voi avete cantato per me nella mia solitudine e io ho costruito una torre nel cielo con i vostri desideri.
Ma ora il nostro sogno è finito, è volato via il sonno e non è più l'alba. 
Il mattino volge al termine, il nostro dormiveglia si è trasformato nella pienezza del giorno, e dobbiamo separarci. 
Se ancora una volta ci incontreremo nel crepuscolo della memoria, parleremo nuovamente insieme, e il canto che voi intonerete sarà allora più profondo. 
E se le nostre mani si toccheranno in un altro sogno, costruiremo un'altra torre nel cielo.
Così dicendo fece un segnale ai marinai e subito essi levarono le ancore e, liberata la nave dagli ormeggi, salparono verso oriente. 
E un grido venne dal popolo come da un solo cuore, salì nel crepuscolo e dal mare fu portato lontano come uno squillo di tromba.

Solo Almitra rimase in silenzio fissando la nave fino a che scomparve nella foschia. 
E quando tutto il popolo si disperse lei restò sola sul molo mentre nel suo cuore riaffioravano le parole: 
"Sarà tra breve, un attimo di calma nel vento, e un'altra donna mi partorirà"  

 Il commiato da : "Il Profeta" di Khalil Gibran




Buona giornata a tutti. :-)


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venerdì 6 dicembre 2019

La bisaccia del cercatore – don Tonino Bello

Se io fossi un contemporaneo di Gesù, se fossi uno degli Undici ai quali Gesù, nel giorno dell'Ascensione, ha detto: "Lo Spirito santo verrà su di voi e riceverete da lui la forza per essermi miei testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea, la Samaria e fino all'estremità della terra" (At 1,8), nell'atto di congedarmi dai fratelli, sapete cosa avrai preso con me?

Innanzitutto il bastone del pellegrino e poi la bisaccia del cercatore e nella bisaccia metterei queste cinque cose: un ciottolo del lago; un ciuffo d'erba del monte; un frustolo di pane, magari di quello avanzato nelle dodici sporte nel giorno del miracolo; una scheggia della croce; un calcinaccio del sepolcro vuoto.

E me ne andrei così per le strade del mondo, col carico di questi simboli intensi, non tanto come souvenir della mia esperienza con Cristo, quanto come segnalatori di un rapporto nuovo da instaurare con tutti gli abitanti, non solo della Giudea e della Samaria, non solo dell'Europa, ma di tutto il mondo: fino agli estremi confini della terra.

Ecco, io prenderei queste cose.

Ma anche il credente che voglia obbedire al comando missionario di Gesù dovrebbe prendere con sé queste stesse cose.



- don Tonino Bello -

Fonte: La bisaccia del cercatore, ediz. La Meridiana



55 ANNI DI SACERDOZIO
8 dicembre 1957 - 2012


Sacerdote per sempre


"Nel Santo Natale di solito si scambia qualche dono con le persone più vicine. 
Talvolta può essere un gesto fatto per convenzione, ma generalmente esprime affetto, è un segno di amore e di stima. 
Nella preghiera sulle offerte della Messa dell’aurora della Solennità di Natale la Chiesa prega così: «Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria». 
Il pensiero della donazione, quindi, è al centro della liturgia e richiama alla nostra coscienza l’originario dono del Natale: in quella notte santa Dio, facendosi carne, ha voluto farsi dono per gli uomini, ha dato se stesso per noi; Dio ha fatto del suo Figlio unico un dono per noi, ha assunto la nostra umanità per donarci la sua divinità. 
Questo è il grande dono. Anche nel nostro donare non è importante che un regalo sia costoso o meno; chi non riesce a donare un po’ di se stesso, dona sempre troppo poco; anzi, a volte si cerca proprio di sostituire il cuore e l’impegno di donazione di sé con il denaro, con cose materiali. 
Il mistero dell’Incarnazione sta ad indicare che Dio non ha fatto così: non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio Unigenito. Troviamo qui il modello del nostro donare, perché le nostre relazioni, specialmente quelle più importanti, siano guidate dalla gratuità dell'amore".

Papa Benedetto XVI

Dall’Udienza Generale
Aula Paolo VI

Mercoledì, 9 gennaio 2013



Chi è realmente impegnato con la vita non cessa mai di camminare.

Il coraggio è anche questo. La consapevolezza che l’insuccesso è dietro l’angolo ma è comunque il frutto di un tentativo.
Che talvolta è meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile che non partire mai...ecco un altro giorno donato a noi spesso “paralizzati” in cammini impeccabili. 
Il coraggio di tentare un cambiamento in quello che non va? 
Mettersi in viaggio comunque? 





Buon giorno e un abbraccio a tutti. :-)

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giovedì 7 febbraio 2019

Il Budda d’oro - Jack Canfield, Mark Victor Hansen

Nell’autunno del 1988 Jack Canfield fu invitato a tenere una conferenza sull’amor proprio e sull’efficienza massima in un convegno ad Hong Kong.

Ciò che lo colpì maggiormente delle cose viste durante questo viaggio fu il tempio di Budda a Bangkok, un tempio molto piccolo che custodisce la statua di un Budda d’oro alto più di tre metri, del peso di oltre due tonnellate e mezza, valutato 196 milioni di dollari!
“Era una visione che incuteva timore: - commenta Canfield - un Budda d’oro massiccio dall’aria gentile ma imponente che ci sorrideva dall’alto“.
Accanto alla statua c’era una bacheca in cui era riportata la sua storia.



Nel 1957 alcuni monaci di un monastero dovevano trasferire un Budda d’argilla dal loro tempio a una nuova sede. Il monastero doveva essere trasferito per far posto alla costruzione di una superstrada attraverso Bangkok. Quando la gru cominciò a sollevare l’idolo gigantesco, il peso era così formidabile che la statua cominciò ad incrinarsi. Per di più cominciò a piovere. Il monaco superiore, preoccupato di non danneggiare il sacro Budda, decise di rimettere a terra la statua e di ricoprirla con un grande telone per proteggerla dalla pioggia.
Più tardi, quella sera, il monaco superiore andò a controllare il Budda. Accese la torcia elettrica sotto il telone per vedere se il Budda era asciutto. Quando la luce raggiunse l’incrinatura, il monaco notò uno strano riflesso. Guardando meglio, si chiese se non potesse esservi qualcosa sotto l’argilla. A mano a mano che venivano via i pezzi d’argilla, il bagliore si faceva più vivido e più esteso. Trascorsero molte ore di lavoro prima che il monaco si trovasse faccia a faccia con lo straordinario Budda in oro massiccio.
Gli storici ritengono che diverse centinaia di anni prima della scoperta del monaco l’esercito birmano stesse per invadere la Thailandia (allora chiamata Siam). I monaci siamesi, rendendosi conto che il loro Paese sarebbe stato ben presto attaccato, coprirono il prezioso Budda d’oro con uno strato esterno d’argilla per impedire che il loro tesoro venisse trafugato dai birmani. Purtroppo, a quanto pare, i birmani massacrarono tutti i monaci siamesi e il loro segreto ben custodito dal Budda d’oro rimase intatto fino a quel giorno fatale del 1957. 

Tornando a casa - scrive Canfield - in aereo cominciai a pensare fra me: 

Tutti siamo come il Budda d’argilla, coperti da una crosta di durezza costituita dalla paura, eppure sotto ciascuno di noi vi è un “Budda d’oro” o un “Cristo d’oro” o “un’essenza d’oro” che è il nostro vero Io.
A un certo punto della nostra vita, fra i due e i nove anni d’età, cominciamo a coprire la nostra “essenza d’oro”, il nostro io naturale. 
Più o meno come il monaco, con martello e scalpello, il nostro compito ora è di scoprire la nostra vera essenza.

- Jach Canfield, Mark Victor Hansen -
Fonte: “Brodo Caldo per l'Anima 1°- Storie che scaldano il cuore e confortano lo spirito”, Jack Canfield, Mark Victor Hansen



La tua mente è come la terra di un orto. Alla terra non importa quali semi pianti, patate o meloni, erbacce o cavoli. La terra (la mente) nutre ciò che pianti.
Pianta semi di prosperità e raccogli prosperità; pianta semi di povertà e mieti povertà.

- David Schwartz -
 La Magia di Pensare al Successo


Ognuno di noi ha nel cuore un sogno da realizzare, un dono da offrire, ma spesso pensiamo che non sia unico o di non essere i migliori del mondo. E allora? Questo rende forse i nostri doni meno validi? Vogliamo usare questo fatto come scusa per non offrire i nostri doni?
Il nostro compito non è controllare i nostri sogni, ma capire quali sono e dare loro vita.

- Lucia Giovannini -
Libera la tua vita, Sperling & Kupfer


Buona giornata a tutti. :-)






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giovedì 1 settembre 2016

Tipo Nove: Il Mediatore - Helen Palmer

I Nove si sono sentiti trascurati nell’infanzia, la loro opinione veniva raramente ascoltata e le necessità degli altri erano anteposte alle loro. 
La difesa dei Nove è consistita nell’addormentarsi distogliendo l’attenzione dai veri desideri e spostandola sulle piccole comodità e i surrogato dell’amore. 
Hanno imparato ad intorpidirsi, a distogliere l’energia dai bisogni, ad autoescludersi.
Più c’è tempo e meno si fa, perché il Nove ha difficoltà a distinguere tra punti essenziali ed aspetti secondari.

I Nove tendono ad accordarsi ai programmi altrui per non perdere il contatto. Dire no è estremamente difficile per il tipo psicologico che assume come suoi i sentimenti degli altri: pensano che dire no ad un altro equivalga a negare qualcosa a se stessi. I Nove possono adeguarsi ad una situazione per molto tempo, senza aver ancora veramente deciso. Può sembrare consenziente e accondiscendente, ma la tranquillità esterna nasconde una tempesta interiore. Provano rabbia per accodarsi agli altri e rabbia per sentirsi trascurati se non si accodano. La decisione è quella di non prendere decisioni.
Paradossalmente il Nove è il punto più testardo dell’enneagramma: se qualcuno vuole spronarli a prendere una decisione o una posizione, puntano i piedi e si bloccano. Prendere una decisione significa tagliare con qualcosa, lasciar andare, cambiare e procedere e tutto questo riaccende la paura della separazione. I Nove trattengono molto e lasciano andare poco preferendo conservare un’abitudine che rischiare un cambiamento improvviso.
Se tendete ad identificarvi con tutti i tipi dell’enneagramma, è probabile che siate un Nove.
Il Nove è preso in una forbice tra il bisogno di approvazione e il bisogno di disobbedienza, è presente il dilemma tra il desiderio di comportarsi correttamente e quello di infrangere le regole.
Ai Nove appartiene il peccato mortale dell’accidia, perché l’abitudinarietà sottrae energia e attenzione ai veri desideri.
I Nove sono efficienti e produttivi all’interno di una struttura che li fa sentire al sicuro.
Se il Nove ha tempo ed energia a disposizione, i veri bisogni cominciano ad affacciarsi. Perciò, per autoescludersi, assume impegni su impegni portandone a termine ben pochi. Le priorità vengono spesso dimenticate a causa dell’incapacità di distinguere tra essenziale e inutile.
I Nove prendono senza lasciar andare, sono tenacemente attaccati al passato e non hanno tempo per il presente. Nella versione evoluta, l’accumulo diventa la capacità di assorbire cumuli di informazioni sulla materia prediletta.
Il Nove occupa la posizione centrale di tre tipi-rabbia (Otto-Nove-Uno): è il punto dell’aggressività passiva, in cui la rabbia è allo stato latente. Tendono a trattenere la rabbia inespressa finché il livello di irritazione li costringe a passare all’azione. Esprimere la rabbia è un grande sollievo, un litigio è l’apice di un lungo periodo di repressione e interiorizzazione.
L’inerzia è una legge della fisica secondo la quale un corpo in stasi tende a rimanere in stasi: arrivato a questo punto ha bisogno di un aiuto esterno e si rianima accodandosi all’entusiasmo altrui.
I Mediatori assumono gli interessi e i bisogni del compagno come se fossero propri rischiando di annullare il proprio punto di vista; il Nove evoluto ha l’effettiva capacità di conoscere l’altro nel profondo, sa ascoltare senza giudicare.
Cercano la persona ideale con cui fondersi completamente; la fine di un rapporto è sempre dolorosa perché c’è il senso di amputare una parte di se stessi. Per questo tendono a prolungare i rapporti anche dopo che il succo è stato spremuto.
E’ tipico dei Mediatori avere più energia per gli altri che per se stessi.


Fattori di crescita: notare quando un’opinione personale non viene espressa, cercare di decidere, accorgersi di diventare cocciuti quando si viene incalzati.

Sintesi del libro "L'enneagramma la geometria dell'anima che vi rivela il vostro carattere" di Helen Palmer,Edizioni Astrolabio




C’è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore. Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta. 
Così come non credo che si viaggi per tornare. 
L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato. 
Da sé stessi non si può fuggire.

- Andrej Tarkovskij -


Nella vita le cose passano sempre, come in un fiume. Anche le più difficili che ti sembra impossibile superare le superi, e in un attimo te le trovi dietro le spalle e devi andare avanti. Ti aspettano cose nuove.

- Niccolò Ammaniti -


Non possiamo cambiare neppure una virgola del nostro passato, né cancellare i danni che ci furono inflitti nell' infanzia. 
Possiamo però cambiare noi stessi,”riparare i guasti”, riacquisire la nostra integrità perduta. 
Possiamo far questo nel momento in cui decidiamo di osservare più da vicino le conoscenze che riguardano gli eventi passati e che sono memorizzate nel nostro corpo, per accostarle alla nostra coscienza. 
Si tratta indubbiamente di una strada impervia, ma è l’unica che ci dia la possibilità di abbandonare infine la prigione invisibile – e tuttavia così crudele – dell’infanzia e di trasformarci, da vittime inconsapevoli del passato, in individui responsabili che conoscono la propria storia e hanno imparato a convivere con essa.

- Alice Miller - 


Buona giornata a tutti. :-)





mercoledì 29 giugno 2016

La vita è come un viaggio in treno…

Qualche tempo fa ho letto un libro, dove la vita veniva paragonata ad un viaggio in treno.
È stata una lettura interessante ed ho fatto tesoro di questa splendida metafora.
La vita è come un viaggio in treno…
Quando nasciamo e saliamo sul treno, incontriamo le prime persone importanti, che pensiamo ci accompagneranno durante tutto il nostro viaggio: i nostri genitori.
Purtroppo la verità è un’altra.
Loro scenderanno prima di noi e ci lasceranno senza il loro amore, il loro affetto, senza la loro amicizia e compagnia.
Ma per fortuna sul treno salgono altre persone che per noi saranno molto importanti.
Sono i nostri fratelli e sorelle, i nostri amici e tutte le persone meravigliose che amiamo.
Qualcuna di queste persone che sale considera il viaggio come una piccola passeggiata.
Altri trovano solo tristezza nel loro viaggio.
Poi ci sono altri ancora sul treno sempre presenti e sempre pronti ad aiutare coloro che ne hanno bisogno.
Qualcuno, quando scende, lascia una nostalgia perenne.
Qualcun altro sale e riscende subito, e lo abbiamo a mala pena notato.
Ci sorprende come alcuni passeggeri, a cui vogliamo più bene, si seggano in un altro vagone e che in questo frangente ci facciano fare il viaggio da soli.
Naturalmente non ci lasciamo frenare da nessuno: ci prendiamo la briga di spingerci alla loro ricerca nel loro vagone.
Purtroppo qualche volta non possiamo accomodarci al loro fianco, perché il posto vicino a loro è già occupato.
Purtroppo, così è il viaggio: pieno di sfide, sogni, fantasie, speranze e addii … ma senza ritorno.
Allora cerchiamo di fare il viaggio nel miglior modo possibile.
Cerchiamo di andare d’accordo con i nostri vicini di viaggio e cerchiamo il meglio in ognuno di loro.
Ricordiamoci, che in ogni fase del tragitto uno dei nostri compagni di viaggio può vacillare e aver bisogno della nostra comprensione.
Anche noi vacilleremo spesso e ci sarà sicuramente qualcuno che ci tenterà di capirci.
Il grande mistero del viaggio è che non sappiamo quando scenderemo definitivamente!
e tantomeno quando i nostri compagni di viaggio lo faranno.
La separazione da tutti gli amici che ho incontrato durante il viaggio sarà dolorosa.
Lasciare i miei cari sarà molto triste.
Ma ho la speranza che prima o poi si arrivi alla stazione centrale ed ho la sensazione che li vedrò arrivare tutti con un bagaglio che quando erano saliti sul treno non avevano ancora
Ciò che mi renderà felice, sarà il pensiero di aver cercato di contribuire ad aumentare e ad arricchire il loro bagaglio.
Cerchiamo di fare un buon viaggio e che alla fine ne sia valsa la pena.
Mettiamocela tutta per lasciare, quando scenderemo, non solo un posto vuoto, che lascia nostalgia, ma soprattutto bei ricordi in coloro che proseguono il viaggio.

anonimo dal web



Quando si parla dell'amore per il passato, bisogna fare attenzione: si tratta dell'amore per la vita; la vita è molto più al passato che al presente. 
Il presente è un momento sempre breve, anche quando la sua pienezza lo fa sembrare eterno.
Quando si ama la vita, si ama il passato perché esso è il presente qual è sopravvissuto nella memoria umana. Il che non vuol dire che il passato sia un’età d’oro: esattamente come il presente, è al tempo stesso atroce, splendido, o brutale, o semplicemente qualunque.


- Marguerite Yourcenar - 
da: "Ad occhi aperti"




Il giorno bello

Il giorno più bello della tua vita è quello in cui decidi che la tua vita è tua.
Nessuna scusa né giustificazioni. Nessuno a cui appoggiarsi, su cui contare o a cui dare la colpa.
Il dono è tuo – è un viaggio incredibile e solo tu sei il responsabile della sua qualità.
Questo è il giorno in cui la tua vita comincia davvero!

Bob Moawad - 




Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 21 aprile 2016

da: "Se il sole muore" (1965) - Oriana Fallaci

"Io mi divertivo ad avere trent’anni, io me li bevevo come un liquore i trent’anni. Sono stupendi i trent’anni ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! 
Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge; perché è finita l’angoscia dell’attesa e non è cominciata la malinconia del declino. 
Perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni! 
Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti; se siamo atei siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna. 
E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perché anche noi siamo adulti. 
Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. 
Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se c’incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. 
Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. 
Siamo un campo di grano maturo a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. 
E’ viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui scenderemo un po’ ansimanti e tuttavia freschi. 
Non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e avanti e meditare sulla nostra fortuna: e allora com’è che in voi non è così? 
Com’è che sembrate i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa v’hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene qui. Svegliatevi dunque, smettetela d’essere così razionali, ubbidienti, rugosi! 
Smettetela di perder capelli, di intristire nella vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. 
Ridete, piangete, sbagliate. 
Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il cronometro. Ve lo dico con umiltà, con affetto, perché vi stimo, perché vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me. Molto: non così poco. 
O è ormai troppo tardi? 
O il sistema vi ha già piegato, inghiottito? Sì, dev’esser così”. 

- Oriana Fallaci - 

da: Se il sole muore (1965), Rizzoli Editore




Nel 1965 Rizzoli pubblica Se il Sole muore: un racconto coinvolgente degli anni vissuti da Oriana nelle basi della Nasa, accanto agli astronauti che divennero suoi amici. 
Un tema mondiale quello della corsa alla Luna, reso ancor più appassionante dal duello serrato tra Usa e Urss per l’egemonia non solo scientifica. 
Oriana vive a lungo, gomito a gomito con gli astronauti e gli scienziati americani impegnati nei progetti “Gemini” e “Apollo”, condividendone le giornate di ricerca, gli esperimenti riusciti e falliti, le speranze e le delusioni. La narrazione prende la forma di un dialogo in parte immaginario con il padre. Con lui, Oriana discute in modo anche polemico domandandosi a prezzo di quale felicità o infelicità l’individuo conquisterà la Luna e gli altri pianeti. «Se il sole muore - le aveva detto Ray Bradbury in un loro incontro - la nostra razza muore col Sole… e muore Omero, e muore Michelangelo, e muore Galileo. Salviamoli dunque, salviamoci». 
Dopo il suo appassionante viaggio, piena di disperato ottimismo, la Fallaci si affida al futuro: «costi quello che costi… noi vivremo lassù». 
Da questa straordinaria esperienza, oltre a Se il Sole muore, ricava una serie di articoli e interviste che diventano storie di copertina «dell’Europeo» come l’intervista a Wernher von Braun, lo scienziato tedesco legato alla costruzione dei missili V2, arruolato nel dopoguerra dagli Usa e un libro indirizzato agli alunni delle scuole medie. Quel giorno sulla Luna, pubblicato da Rizzoli nel 1970, racconta la più grande avventura del secolo: lo sbarco degli astronauti dell’Apollo 11:

Come un bambino curioso la scienza va avanti, scopre cose che non sapevamo, provoca cose che non immaginavamo: ma come un bambino incosciente non si chiede mai se ciò che fa è bene o male. Dove ci porterà questo andare?.


E allora capii che non era indifferenza, la loro, non era freddezza.
Non era neanche pudore: era un accettare la vita.
Perché solo accettando la vita si accetta la morte e la morte bisogna accettarla, comunque essa venga, in qualsiasi momento essa venga, la morte fa parte della vita, la morte é il prezzo con cui si paga la vita, e piangerci sopra è da bimbi.
È da deboli.
È da irrazionali.
È da vecchi.
È da buoni, se preferisci, ma il futuro non ha bisogno di buoni che comprano un albero perché non venga tagliato: « Ricordi la quercia sopra la sorgente, quella grande con le radici scoperte dove ti arrampicavi quando eri bambina».
Il futuro ha bisogno di uomini forti, razionali, giovani, cattivi se preferisci: perché il mondo é pieno di querce e per ogni quercia tagliata ce n’é un’altra che nasce o è già nata o nascerà.
Un albero solo non conta.
Mettiti in testa che un albero solo non conta e comprenderai che la morte non esiste, papa’.

- Oriana Fallaci - 
da: Se il sole muore (1965), Rizzoli Editore





Un uomo, un fratello se n’era andato; altri uomini altri fratelli se ne sarebbero andati, tagliati di colpo come il tronco di un albero su cui si abbatte l’accetta; io stessa me ne sarei andata, chissà dove, chissà quando il colpo di accetta avrebbe tagliato anche me, me che voglio vivere, vivere, vivere : ma il mondo restava una lunga promessa e il cielo donava tante case accese, papà.
E se la Terra muore, e se il Sole muore, noi vivremo lassù.
Costi quel che costi.
Un albero, mille alberi, tutti gli alberi che la vita ci ha dato.


- Oriana Fallaci - 
da: Se il sole muore (1965), Rizzoli Editore



Buona giornata a tutti. :-)