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martedì 5 dicembre 2017

Dalla «Lettera» di Alice Alington a Margaret Roper (figlia di Tommaso Moro), sul colloquio avuto in carcere con il padre

Mia cara Margherita, io so che la mia cattiveria, meriterei di essere abbandonato da Dio, tuttavia non posso che confidare nella sua misericordiosa bontà, poiché la sua grazia mi ha fortificato sino ad ora e ha dato tanta serenità e gioia al mio cuore, da rendermi del tutto disposto a perdere i beni, la patria e persino la vita, piuttosto che giurare contro la mia coscienza. 
Egli ha reso il re favorevole verso di me, tanto che finora si è limitato a togliermi solo la libertà. Dirò di più. 
La grazia di Dio mi ha fatto cosi gran bene e dato tale forza spirituale, da farmi considerare la carcerazione come principale dei benefici elargitimi. 
Non posso, perciò dubitare della grazia di Dio. Se egli lo vorrà, potrà mantenere benevolo il re nei miei riguardi, al fine che non mi faccia alcun male. Ma se decide ch'io soffra per i miei peccati, la sua grazia mi darà certo la forza di accettare tutto pazientemente, e forse anche gioiosamente. 
La sua infinita bontà, per i meriti della sua amarissima passione, farà sì che le mie sofferenze servano a liberarmi dalle pene del purgatorio e anzi a ottenermi la ricompensa desiderata in cielo.

Dubitare di lui, mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto debole. E quand'anche io dovessi sentire paura al punto da esser sopraffatto, allora mi ricorderei di san Pietro, che per la sua poca fede cominciò ad affondare nel lago al primo colpo di vento, e farei come fece lui, invocherei cioè Cristo e lo pregherei di aiutarmi. 

Senza dubbio allora egli mi porgerebbe la sua santa mano per impedirmi di annegare nel mare tempestoso. Se poi egli dovesse permettere che imiti ancora in peggio san Pietro, nel cedere, giurare e spergiurare (me ne scampi e liberi nostro Signore per la sua amorosissima passione, e piuttosto mi faccia perdere, che vincere a prezzo di tanta bassezza), anche in questo caso non cesserei di confidare nella sua bontà, sicuro che egli porrebbe su di me il suo pietosissimo occhio, come fece con san Pietro, e mi aiuterebbe a rialzarmi e confessare nuovamente la verità, che sento nella mia coscienza. 
Mi farebbe sentire qui in terra la vergogna e il dolore per il mio peccato.

A ogni modo, mia Margherita, io so bene che senza mia colpa egli non permetterà mai che io perisca. 

Per questo mi rimetto interamente in lui pieno della più forte fiducia. Ma facendo anche l'ipotesi della mia perdizione per i miei peccati, anche allora io servirei a lode della giustizia divina.

Ho però ferma fiducia, Margherita, e nutro certa speranza che la tenerissima pietà di Dio salverà la mia povera anima e mi concederà di lodare la sua misericordia. Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per alcunché mi possa accadere in questo mondo. 

Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio.

Da: «Lettere», Alberto Castelli - a cura di Francesco Rognoni, Ed. Vita e Pensiero. 






Mi sembra significativo che Newman, nella gerarchia delle virtù sottolinei il primato della verità sulla bontà o, per esprimerci più chiaramente: egli mette in risalto il primato della verità sul consenso, sulla capacità di accomodazione di gruppo.
Direi quindi: quando parliamo di un uomo di coscienza, intendiamo qualcuno dotato di tali disposizioni interiori. 
Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante. 
In questo Newman si ricollega all’altro grande testimone britannico della coscienza: Tommaso Moro, per il quale la coscienza non fu in alcun modo espressione di una sua testardaggine soggettiva o di eroismo caparbio.
Egli stesso si pose nel numero di quei martiri angosciati, che solo dopo esitazioni e molte domande hanno costretto se stessi ad obbedire alla coscienza: ad obbedire a quella verità, che deve stare più in alto di qualsiasi istanza sociale e di qualsiasi forma di gusto personale. 
Si evidenziano così due criteri per discernere la presenza di un’autentica voce della coscienza: essa non coincide con i propri desideri e coi propri gusti; essa non si identifica con ciò che è socialmente più vantaggioso, col consenso di gruppo o con le esigenze del potere politico o sociale.


- card. Joseph Ratzinger -
da: "La Chiesa una comunità sempre in cammino", pp.123


Buona giornata a tutti. :-)








sabato 11 novembre 2017

San Martino 11 novembre 2017

Eravamo in cammino con lui, mentre visitava le parrocchie. 
Per la strada sopraggiungeva una carrozza del fisco carica di soldati. Ma appena le mule videro Martino ricoperto di un’ispida veste e di un mantello nero, spaventate si spostarono un po’ dall’altra parte. 
Quindi ingarbugliarono le funi in cui stavano imbrigliate. Adirati per questo torto, i soldati saltarono a terra e cominciarono a picchiare Martino con flagelli e bastoni, mentre quello, senza far parola e con incredibile sopportazione, presentava il dorso a quelli che lo battevano e faceva così montare il furore in quei miserabili, che ancor più si adiravano per il fatto che lui, quasi non le sentisse, disprezzava le percosse ricevute. 
Dopo aver così sfogato la loro rabbia, comandarono alle mule di riprendere il viaggio. Tutte queste però si bloccarono e rimasero inchiodate a terra come statue di bronzo e, per quanto i guidatori alzassero la voce, per quanto risuonassero le sferze, non si muovevano per nulla. 
Quei miseri uomini non sapevano più che cosa fare, e non potevano più fare a meno di riconoscere che erano trattenuti da una potenza divina, per quanto lo riconoscessero nelle loro coscienze abbrutite. 
Cominciarono a chiedersi chi fosse quel tale che poco prima avevano malmenato in quel luogo quando, indagando un po’, vengono a sapere dai viandanti di aver percosso tanto crudelmente proprio Martino. E allora divenne per tutti lampante la situazione e non potevano più ignorare di essere bloccati per l’ingiuria arrecata a quell’uomo. 
Pertanto ci vengono dietro di corsa, consci dell’errore e della colpa, piangendo con il capo e il volto cosparsi di polvere, si gettano ai piedi di Martino, invocando il suo perdono e supplicandolo che li lasciasse ripartire. 
Il santo concesse loro con clemenza il perdono e permise agli stessi di partire, dopo che gli animali tornarono a muoversi. 

(Sulpicio Severo, Vita di san Martino)


Dalla cappa di San Martino ai cappellani, il passo è breve.   
Che fine ha fatto la cappa di San Martino?

Mantello, in latino, si dice cappa. Ma trattandosi del mantello corto dei militari si parlava, al diminutivo, di cappella (cappa corta).
Questa cappella venne conservata come insigne reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi.
I Franchi la portavano come stendardo in guerra, davanti alle truppe, fidando nella protezione del santo patrono.
Da Carlomagno la cappa di san Martino venne inviata all'oratorio palatino di Aquisgrana, che da allora si chiamerà, in francese Aix-la-chapelle (Aachen, in tedesco). Infatti, il termine latino, dal significare la reliquia del mantello di san Martino, passò per estensione ad indicare l'oratorio che la conteneva; le persone incaricate di conservare tale insigne reliquia vennero chiamate: "cappellani"!
E fu così la chiesetta del palazzo reale di Carlomagno divenne una "cappella" in senso moderno.

Il nome, in seguito, identificherà per ulteriore estensione tutte le chiesette e saranno chiamati cappellani tutti i sacerdoti ad esse preposti, anche se non avevano più nulla a che fare con il prodigioso indumento del santo vescovo di Tours.
Dalla cappa di Martino prende nome, perfino, la dinastia reale francese dei "Capetingi".
Una vera e propria devota fissazione!
Pezzetti del mantello di san Martino erano nel medioevo reliquie ambitissime (e parecchio diffuse), vere e proprie narrazioni reificate dell'esempio di carità del primo santo non martire dell'Occidente cristiano.




Una lettura teologica e sociale del gesto di amore disinteressato di san Martino, l'ha data papa Benedetto XVI nel messaggio dell'Angelus dell'11 novembre 2007, dove, tra l'altro, diceva:

“Cari fratelli e sorelle, il gesto caritatevole di san Martino si iscrive nella stessa logica che spinse Gesù a moltiplicare i pani per le folle affamate, ma soprattutto a lasciare se stesso in cibo all’umanità nell’Eucaristia, Segno supremo dell’amore di Dio, Sacramentum caritatis. E’ la logica della condivisione, con cui si esprime in modo autentico l’amore per il prossimo. Ci aiuti san Martino a comprendere che soltanto attraverso un comune impegno di condivisione, è possibile rispondere alla grande sfida del nostro tempo: quella cioè di costruire un mondo di pace e di giustizia, in cui ogni uomo possa vivere con dignità. Questo può avvenire se prevale un modello mondiale di autentica solidarietà, in grado di assicurare a tutti gli abitanti del pianeta il cibo, l’acqua, le cure mediche necessarie, ma anche il lavoro e le risorse energetiche, come pure i beni culturali, il sapere scientifico e tecnologico.”
Testo preso da: Cantuale Antonianum


Buona giornata a tutti. :-)





martedì 31 ottobre 2017

da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo" - Pietro Gastaldi

Appena il Cottolengo vedeva un fabbricato che poteva essere utile ai suoi poverelli, aspettava il giorno in cui il Signore gli dicesse: Mettiti all’opera, che quel fabbricato è tuo.

Già da qualche tempo aveva messo l’occhio sopra l’osteria del Brentatore. 
Ora nel 1835, ormai cessato a Torino il morbo del colera, rimaneva nel lazzaretto di San Luigi una donna convalescente che ne era stata infetta. Invitato il Cottolengo dell’amministrazione dell’ospedale di San Luigi a ricoverare nella Piccola Casa questa inferma, perché abbandonata, la ritirò senza la precauzione della disinfezione, la quale fino ad allora era stata scrupolosamente osservata.
Due giorni dopo quell’accettazione, il dottore Lorenzo Granetti, alle ore otto di sera, ebbe a constatare alcuni casi di colera nell’infermeria dove era stata ricoverata la donna; anche due Vincenzine, scelte a servire i colerosi della città, avevano propagato il morbo in un’altra infermeria.
Il Granetti, per la cui oculatezza e vigilanza la pia Opera era stata fino ad allora immune da quella peste, veduti quei colerosi, perse ogni pazienza; e corso difilato dal servo di Dio, lo trovò seduto sopra una vecchia poltrona che dormiva. 
«Bel guadagno che facciamo! Tante cautele e tante cure, per avere poi il colera in casa! Perché non mi ha detto nulla di quella donna? Perché non fu sottoposta a disinfezione? Ora il morbo l’abbiamo in casa; ed in questa notte stessa io temo che molti dei nostri infermi ne saranno intaccati. 
Non abbiamo stanze libere, non un lazzaretto per separarli, non un locale di osservazione e di quarantena, e che faremo noi con questo fardello sul dorso?» Ma quanto il Granetti si riscaldava, altrettanto era calmo il Cottolengo, il quale, come si trattasse della cosa più indifferente di questo mondo, rispose al medico: «Oh ciocot! Per questo lei s’inquieta tanto? Si vede proprio che non ha fede; adesso vada a consolare ed assistere i suoi malati, e lasci fare alla Divina Provvidenza, la quale provvederà».
Uscito il medico brontolando, perché non credeva possibile in poco tempo trovare un ospedale conveniente ai colerosi, il Santo in poche ore ne formò uno bellissimo che fece stupire tutti. 
Così come si trovava, se ne andò all’Osteria del Brentatore, persuaso fosse questo il momento fissato dalla Divina Provvidenza per consegnargliela; perciò, tratto in disparte il padrone dell’osteria, il quale si chiamava Giovanni Rivara, scherzando secondo il suo solito, disse: «Vorresti riempire una fiaschetta, che berremo insieme? - «Ma sì, disse l’oste, per avere in casa mia il padre Cottolengo anche due fiaschetti, ed anche tre». 
- «Che buone novelle, mi dai; come va questo tuo spaccio di vino», chiese il canonico.
- Peggio che mai, - rispose l’oste; sembra che la voglia di bere sia scomparsa dal mondo, come vorrei che scomparisse il colera: e sì che il vino mio è magnifico; e se la cosa continua così sarò costretto a bermelo tutto da solo. 
- Ma senti, gli disse il Cottolengo, poiché non hai troppo il vento alla vela, se tu vendessi la casa a qualcuno, non sarebbe per te un bene? 
- Altro che un bene, rispose l’oste, sarebbe quello che desidero; ma il difficile sta nel trovare questo benedetto qualcuno; tanto più che vorrei vendere ogni attrezzo e sedie, e tavole, e panche, e botti, e damigiane, e persino le bottiglie. 
- Anche le bottiglie? soggiunse il sant’uomo; evviva noi, tanto meglio, che prenderemo qualche sbornia di più; ma dimmi, vuoi vendere anche la tua famiglia? 
- Oh la famiglia non ancora, riprese il Rivara. 
- Bene, disse il servo di Dio, compro ogni cosa come tu dici, ma voglio che tu ceda la casa in questo momento stesso. 
Il venditore non se lo fece dire due volte; ritiratosi con la famiglia in alcune stanze superiori, lasciò sul momento libero un piano e mezzo dell’Osteria. Verso la mezzanotte il Cottolengo venne a dire al Granetti che se voleva trasportare i suoi colerosi, aveva fatto preparare una casa a seicento metri dall’istituto. Il medico stupito, non capacitandosi di come avesse fatto nello spazio di tre sole ore a trovare un lazzaretto, diede ordine per il trasporto degli infermi, e si avviò alla casa indicata. 
Là trovò parecchie stanze col fuoco acceso, in ogni stanza un letto, e ad ogni letto una suora per l’assistenza del malato. A mezzanotte tutto era finito e tranquillo.
Trasportati gli infermi, l’epidemia cessò. Questa è quella che il servo di Dio chiamò: Casa della Speranza. 

- Pietro Gastaldi - 
da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo"




Correva in quei tempi una voce molto accreditata nella Piccola Casa; ed era che la vincenzina suor Francesca, anima semplicissima e tutta di Dio, nel partirsi ogni sera dal suo impiego per andare a riposare, passando vicino alla cappella in cui si conservava il Santissimo Sacramento, infallibilmente vi entrava per fare ossequio al suo Signore; ma dopo una breve preghiera, prendendo congedo, con tutta la tenerezza del cuore lo salutava con queste semplici parole: «Dunque, buona sera, Gesù.» 
Ed a Gesù piaceva questo saluto; tanto che una volta in cui la suora l’aveva salutato a quel modo, dal santo suo tabernacolo si compiacque di risponderle a viva e chiara voce: «Ed anche a te buona notte, figlia mia». 


- Pietro Gastaldi - 
da: "Vita di san Giuseppe Cottolengo"




Se gli altri filano lungo, voi tagliate corto 

- San Giuseppe Cottolengo -



Buona giornata a tutti. :-)




domenica 15 ottobre 2017

da: "Libro della vita" - Santa Teresa d'Avila (15 ottobre)


Alcune esclamazioni tratte dal suo“Libro della vita”:

Dal Capitolo 6
Teresa è debitrice al Signore per averle dato di accettare la le sue grandi sofferenze.


Che è ciò, Signor mio? Dobbiamo vivere una vita così piena di pericoli? 
Mentre scrivo questo, mi sembra che con il vostro aiuto e per vostra misericordia potrei dire, anche se non con la stessa perfezione, ciò che ha detto san Paolo: Non sono più io che vivo, ma voi, mio Creatore, che vivete in me. 
Da alcuni anni, voi mi reggete con la vostra mano.
Mi guidate nei desideri e propositi, che mi avete fatto attuare e dar prova in molte circostanze in questi anni tanto da concedermi di non far nulla contro la vostra volontà, neppure la minima cosa. 
Certo, credo di arrecare ugualmente molte offese a Vostra Maestà senza rendermene conto. 
Credo anche, però, di essere risolutamente decisa a non trascurare nulla di quanto mi si presenti di fare per amor vostro, e in alcune circostanze voi mi avete apertamente aiutato a riuscirvi. 
Non amo il mondo né cosa alcuna che gli appartenga, né credo che mi allieti nulla che non venga da voi e il resto mi appare, anzi, come una pesante croce. 
È vero che mi posso ingannare, e forse non ho i sentimenti che ho detto; ma voi certo vedete, mio Signore, che a me non sembra di mentire e temo che non abbiate di nuovo ad abbandonarmi, perché ormai so fin dove arrivino la mia debole forza e la mia scarsa virtù se voi non continuate sempre a darmela aiutandomi a non lasciarvi. 
Piaccia a Vostra Maestà di non abbandonarmi neanche adesso in cui mi sembra rispondere al vero quanto ho detto di me. 
Non so come si desideri vivere, essendo tutto così incerto. 
Mi pareva ormai impossibile abbandonarvi interamente, mio Signore; ma, poiché tante volte vi ho abbandonato, non posso cessar di temere, ben sapendo che non appena vi allontanavate un poco da me, stramazzavo a terra. 
Siate benedetto per sempre, anche se io vi abbandonavo, voi non mi lasciaste mai così totalmente che io non tornassi a rialzarmi, con l’aiuto della vostra mano. 
E spesso, Signore, io non la volevo, né volevo capire che molte volte voi mi chiamavate di nuovo.




Dal Capitolo 8
Teresa, chiede al Signore la grazia di non lasciare l'orazione pur sentendosene indegna.

Oh, bontà infinita del mio Dio, mi sembra di vedere chi siete voi e vedo anche quanto misera cosa sia io! 
Oh, delizia degli angeli, vedendo questa enorme differenza, vorrei consumarmi tutta d’amore per voi. 
Com’è vero: voi sopportate chi ha difficoltà di stare con voi. 
Oh, con quanta pazienza, vi comportate da buon amico, Signor mio e come cominciate subito a favorirlo aspettando che si conformi alla vostra condizione!
Voi tenete conto, mio Signore, di tutti i momenti che dedica ad amarvi, e per un attimo di pentimento dimenticate quanto vi abbia offeso! 
So questo chiaramente per esperienza personale, e non capisco, o mio Creatore, perché tutti non cerchino di giungere a voi per mezzo di questa particolare amicizia. 
I cattivi, che non sono della vostra condizione, dovrebbero avvicinarvi per diventare buoni, acconsentendo che stiate con loro, benché essi stiano con voi turbati da mille sollecitudini e pensieri mondani, come facevo io. 
Per la violenza che essi devono farsi a voler rimanere in così incomparabile compagnia, voi costringete, Signore, i demoni a non assalirli. Anzi fate loro diminuire di giorno in giorno le forze contro di essi, a cui, invece, le date perché vincano. 
No, vita di tutte le vite, voi non uccidete nessuno di quelli che confidano in voi e vi vogliono per amico, anzi sostenete la vita del corpo con maggior salute, dandola all’anima.




Dal Capitolo 14
Teresa ringrazia il Signore per una sua straordinaria presenza, oltre a quella che contempla nell'Eucarestia.

Oh, mio Signore e mio bene! Io non posso dire questo senza lacrime e grande gioia della mia anima, se penso che voi vogliate, Signore, starvene così con noi, quando dobbiamo credere in modo certo, che già siete presente nel santissimo Sacramento! 
Se non è per colpa nostra, possiamo godere di voi come voi di noi, poiché avete detto che la vostra delizia è stare con i figli degli uomini. 
Oh, Signor mio! cosa è mai questo? Ogni volta che ascolto queste parole ne provo gran conforto. 
È possibile, Signore, che ci sia un’anima la quale, giunta a ricevere da voi simili grazie e doni, e a capire che voi godete di essa, torni ad offendervi, dopo tanti favori e così grandi prove del vostro amore? 
Sì, c’è sicuramente, e sono io. 
Piaccia alla vostra bontà, Signore, che sia io sola l’ingrata, quella che ha commesso così grande iniquità, che si è resa colpevole di così smisurata ingratitudine.
Anche da lei, però, la vostra infinita bontà ha già ricavato qualche bene: quanto maggiore è il male, tanto più risplende il bene delle vostre misericordie. E con quanta ragione io le posso cantare per sempre!
Vi supplico, mio Dio, di concedermi che ciò avvenga e che io possa cantarle in eterno, visto che vi siete compiaciuto di elargirmele così straordinariamente grandi da farmi spesso trasecolare. 
Mi effondo nelle vostre lodi. Poiché sola e senza di voi io non potrei far altro che strappare di nuovo i fiori del mio giardino, in modo che questa mia terra miserabile si ridurrebbe allo stato di un letamaio come prima.
Non permettetelo, Signore, né vogliate che si perda un’anima che a prezzo di tante sofferenze avete redento e che tante volte siete tornato a riscattare strappandola alle fauci dello spaventoso dragone.




Dal Capitolo 19
Teresa deplora lo stato di peccato dopo avere ricevuto tante grazie e esalta la misericordia del Signore.


Oh, Gesù mio! Che spettacolo vedere come a un’anima caduta in peccato, dopo aver tanto pregato, voi, per vostra misericordia, tornate a dar la mano sollevandola! 
Come si rende essa conto allora delle infinite vostre grandezze e misericordie e della propria miseria!
È questo il momento in cui, riconoscendo la vostra magnanimità, si sente davvero annientare; 
E' il momento in cui non osa alzare gli occhi o li alza solo per vedere ciò che vi deve; 
E' il momento in cui si fa devota della Regina del cielo perché vi plachi; 
E' il momento in cui invoca i santi che caddero dopo essere stati da voi chiamati, perché l’aiutino; 
E' il momento in cui le sembra troppo quel che le date, perché sa di non meritare neanche la terra che calpesta; 
E' il momento di accostarsi ai sacramenti, per la fede viva che la anima nel vedere la virtù che avete in essi riposta, 
E' il momento di profondere lodi perché avete lasciato per le nostre piaghe medicina e unguento tali che non le rimarginano solo superficialmente, ma le fanno sparire del tutto. 
Questo la riempie di stupore, e chi, Signore dell’anima mia, non ha da stupirsi di una misericordia così grande e di così accresciuto favore a compenso di un tradimento così ripugnante ed esecrabile? 
Sono perversa se, scrivendo queste cose, non mi si spezza il cuore.





Dal Capitolo 25
Esclamazioni di Teresa dopo aver sentito dal Signore: «Non aver paura, figlia mia, sono io e non ti abbandonerò, non temere».

Oh, mio Signore, quale vero amico voi siete, e quanto potente, poiché potete ciò che volete, e non smettete mai di amare chi vi ama! 
Vi lodino tutte le creature, Signore dell’universo! 
Oh, poter gridare al mondo intero quanto voi siete fedele ai vostri amici! 
Tutte le cose mancano, ma voi, Signore di tutte, non mancate mai! 
È poco ciò che lasciate patire a chi vi ama. Oh, mio Signore, con quanta delicata cura, con quanta dolcezza li sapete trattare! 
Oh, felice chi non ha mai esitato ad amare altri che voi! 
Sembra, o Signore, che voi mettiate rigorosamente alla prova chi vi ama, affinché nell’eccesso del patimento si intenda l’eccesso ancor più grande del vostro amore. 
Oh, Dio mio, potessi avere ingegno, dottrina, e disporre di parole nuove per esaltare le vostre opere come lo sente l’anima mia! Mi manca tutto, mio Signore, ma se voi non mi lasciate senza la vostra protezione, io non mancherò a voi. 
Si levino pure contro di me tutti i dotti, mi perseguitino tutte le creature, mi tormentino tutti i demoni, ma non mancatemi voi, Signore, perché ho già fatto esperienza del guadagno che si ricava dal confidare solo in voi.
Oh, Dio mio, come si rafforza la fede e cresce l’amore!
Dal CAPITOLO 35
Teresa ringrazia il Signore perché la sta conducendo per la strada dell'umiltà.
Oh, mio Signore, come è evidente la vostra potenza! 
Non c’è bisogno di cercare ragioni per indurci a fare quello che volete!
Al di sopra di ogni umana ragione, voi rendete ogni cosa possibile in modo così chiaro che fate ben vedere come non occorra altro, per trovare tutto facile, se non amarvi sinceramente e abbandonare davvero tutto per voi. 
Cade qui a proposito dire che fingete di renderci gravosa la legge.
Io non la vedo tale, Signore, né vedo come sia stretto il sentiero che conduce a voi. 
Non è un sentiero, ma una strada maestra, una strada su cui, chi l’intraprenda, va innanzi con maggiore sicurezza. 
Sono molto lontani le gole e i dirupi ove poter cadere, cioè le occasioni di offendervi. …
Chi vi ama veramente, o mio Bene, cammina con sicurezza per un’ampia strada maestra; lungi sta il burrone.
Al minimo inciampo voi, Signore, gli date la mano. 
A perderlo non basta né una caduta né molte, se ama voi e non le cose del mondo, perché cammina nella valle dell’umiltà.





Dal Capitolo 37 
Maestà e grandezza nell'Eucarestia.


Oh, Re della gloria e Signore di tutti i re, il vostro regno non è difeso da fragili barriere, perché è eterno, e per voi non c’è bisogno di intermediari! 
Basta guardarvi per vedere, dalla maestà che mostrate, che voi solo meritate il nome di Signore e non avete bisogno di scorta né di guardie perché vi riconoscano Re.
Oh, Signor mio, oh, mio Re! Se qui si potesse descrivere la Vostra Maestà! 
È impossibile riconoscere che siete la stessa Maestà, la cui contemplazione fa restare sbigottiti.
Stupisce, Signor mio, insieme con essa, vedere la vostra umiltà e l’amore che dimostrate a una creatura come me. 
Passato quel primo senso di timore e di sbigottimento che nasce dalla vista della Maestà Vostra, si può trattare con voi e parlarvi liberamente di ogni cosa.
Resta solo un più grande timore, quello di offendervi, ma non per paura del castigo, mio Signore, perché questo non ha alcuna importanza in confronto al timore di perdervi.
Oh, Signor mio, se voi non velaste nel santissimo Sacramento la vostra grandezza, chi oserebbe venire a voi tante volte per unire con la vostra immensa Maestà un’anima così piena di sozzure e di miserie? 
Siate benedetto, Signore! Vi lodino gli angeli e tutte le creature per aver commisurato tutto alla nostra debolezza, in modo che, godendo di così sovrane grazie, non ci atterrisca la vostra gran potenza, tanto da non farci osare di goderne, deboli e misere creature come siamo.





Oh, ricchezza dei poveri, come mirabilmente sapete sostentare le anime a cui, senza che vedano d’un colpo così grandi ricchezze, le andate mostrando a poco a poco! Io, nel contemplare una così grande maestà celata in così piccola cosa come è un’ostia, non posso fare a meno di ammirare la vostra grande sapienza.




Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 11 ottobre 2017

san Giovanni XXIII, papa - memoria liturgica 11 ottobre

La sera dell’ 11 ottobre 1962 c’era una gran folla riunita in piazza san Pietro per la fiaccolata serale di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. 
La folla chiamava a gran voce il Santo Padre che si affacciò e pronunciò “a braccio” quello che è passato alla storia come uno dei più grandi discorsi di papa Roncalli e della storia della Chiesa:  “Il discorso della luna”



«Cari figliuoli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero; qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata, stasera – osservatela in alto! – a guardare a questo spettacolo.
Noi chiudiamo una grande giornata di pace; di pace: « Gloria a Dio, e pace agli uomini di buona volontà ». Ripetiamo spesso questo augurio e quando possiamo dire che veramente il raggio, la dolcezza della pace del Signore ci unisce e ci prende, noi diciamo: “Ecco qui un saggio di quello che dovrebbe essere la vita, sempre, di tutti i secoli, e della vita che ci attende per l’eternità”.
Dite un poco: se domandassi, potessi domandare a ciascuno: “Voi da che parte venite?”, i figli di Roma che sono qui specialmente rappresentanti [risponderebbero]: “Noi siamo i vostri figliuoli più vicini, Voi siete il Vescovo di Roma”. Ma voi, figliuoli di Roma, voi sentite di rappresentare veramente la Roma caput mundi, così come nella Provvidenza è stata chiamata ad essere: per la diffusione della verità e della pace cristiana.
In queste parole c'è la risposta al vostro omaggio. La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di Nostro Signore, ma tutt’insieme: paternità e fraternità e grazia di Dio, tutto, tutto!
Continuiamo, dunque, a volerci bene, a volerci bene così, a volerci bene così, guardandoci così nell’incontro, cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte quello - se c’è – qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà.
Niente: Fratres sumus! La luce che splende sopra di noi, che è nei nostri cuori, che è nelle nostre coscienze, è luce di Cristo, il quale veramente vuol dominare, con la grazia sua, tutte le anime.
Stamattina è stato uno spettacolo che neppure la Basilica di San Pietro, che ha quattro secoli di storia, non ha mai potuto contemplare.
Apparteniamo quindi ad un'epoca, nella quale siamo sensibili alle voci dall'alto: e vogliamo essere fedeli e stare secondo l'indirizzo che il Cristo benedetto ci ha fatto.
Finisco, dandovi la benedizione. Accanto a me amo invitare la Madonna santa e benedetta, di cui oggi ricordiamo il grande mistero.
Ho sentito qualcuno di voi che ha ricordato Efeso e le lampade accese intorno alla basilica di là, che io ho veduto con i miei occhi, non a quei tempi, si capisce, ma recentemente, e che ricorda la proclamazione del dogma della divina maternità di Maria.
Ebbene, invocando lei, alzando tutti insieme lo sguardo verso Gesù benedetto, il figliol suo, ripensando a quello che è con voi, a quello che è nelle vostre famiglie, di gioia, di pace e anche, un poco, di tribolazione e di tristezza, la grande benedizione accoglietela di buon animo.
Questa sera lo spettacolo offertomi è tale da restare ancora nella mia memoria, come resterà nella vostra. 
Facciamo onore alla impressione di questa sera. Che siano sempre i nostri sentimenti come ora li esprimiamo davanti al cielo e davanti alla terra: fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei fratelli; e poi, tutti insieme, aiutati così nella santa pace del Signore, alle opere del bene !
Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza.

E poi, tutti insieme ci animiamo cantando, sospirando, piangendo, ma sempre sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuare e riprendere il nostro cammino. »

- San Giovanni XXIII, papa -
(Sera dell’11 ottobre 1962, al termine della giornata di apertura del Concilio Vaticano II)



Preghiera del Papa Giovanni XXIII

“Questa è la preghiera che io recito d’abitudine durante la Messa ma che tutti voi, se lo desiderate, potete adottare. E il mio augurio è che dia a voi gli stessi benefici che sempre ha procurato, da quando la recito, a me”.

Padre celeste. Padre di misericordia, accogli la preghiera del tuo servo:

1)  in soddisfazione e remissione di tutti i miei peccati;

2)  a salute e forza della mia anima, della mia casa e di quelli ai quali mi legano le obbligazioni del mio servizio;

3)  in soddisfazione e remissione dei peccati dei governanti, dei prelati, delle anime consacrate e di tutti, affinché ti degni di concedere a tutti la grazia dello Spirito Santo;

4)  per tutti i peccatori del mondo, perché tu li converta e li riconduca sulla strada della salvezza;

5)  a conforto dei tribolati, affinché tu dia ad essi il sostegno e la vera pazienza;

6)  a refrigerio e liberazione delle anime del purgatorio, principalmente di quelle che hanno diritto alla mia preghiera;

e infine a illuminazione di tutte le genti che non hanno ricevuto la luce del Vangelo e dei nostri fratelli separati, perché tutti conoscano e amino Te, Padre Onnipotente, che col Figlio e lo Spirito Santo sei benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.

- san Giovanni XXIII, papa - 



Papa Giovanni XXIII (Sotto il Monte 25 novembre 1881-Città del Vaticano 3 giugno 1963). Fu eletto papa il 28 ottobre 1958, in meno di cinque anni di pontificato riuscì ad avviare il rinnovato impulso evangelizzatore della Chiesa Universale. 
E’ ricordato con l’appellativo di “Papa buono”. 
Indisse il Consiglio Vaticano II e riuscì a programmarlo e ad organizzarlo in pochi mesi, Il 4 ottobre 1962, ad una settimana dall’inizio del Consiglio si recò in pellegrinaggio a Loreto ed Assisi, per affidare le sorti del Concilio alla Madonna e a San Francesco.
Ancor prima dell’apertura del Concilio Vaticano II il Santo Padre manifestò la malattia, un tumore allo stomaco, che lo portò alla nascita in cielo il 3 giugno 1963. Pur visibilmente provato dalla malattia, Papa Giovanni firmò l'11 aprile 1963 l'enciclica Pacem in terris e, un mese più tardi, l'11 maggio 1963 ricevette dal Presidente della Repubblica italiana Antonio Segni il premio Balzan per il suo impegno in favore della pace. Fu il suo ultimo impegno pubblico.
Durante il Concilio Vaticano II molti vescovi avrebbero voluto proclamare Giovanni XXIII santo per acclamazione. Ma Paolo VI preferì percorrere la strada istituzionale, e aprì nel 1965 la causa di beatificazione.  
Nel 1966 al termine del processo canonico  vennero raccolte più di 300 testimonianze nel corso di diciotto processi informativi.
Papa Giovanni XXIII fu dichiarato beato da papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000.
Il miracolo richiesto per la beatificazione di Giovanni XXIII fu la guarigione improvvisa, avvenuta a Napoli il 25 maggio 1966, di suor Caterina Capitani, delle Figlie della Carità, affetta da una gastrite ulcerosa emorragica gravissima che l'aveva ridotta in fin di vita. 
La guarigione fu dichiarata scientificamente inspiegabile dalla Consulta Medica della Congregazione per le Cause dei Santi; i Consultori teologi e i Padri, Cardinali e Vescovi della Congregazione hanno riconosciuto gli estremi del miracolo di III grado, e Giovanni Paolo II lo approvò come tale con decreto del 27 gennaio 2000.
La canonizzazione avvenne la domenica 27 aprile 2014, in piazza San Pietro, insieme a quella di Giovanni Paolo II, ad opera di papa Francesco, alla presenza di un milione di fedeli.



Buona giornata a tutti. :-)







sabato 30 settembre 2017

Hai dimenticato una cosa! Vita di san Girolamo (30 settembre 2017)

Ben prima di diventare un sapiente e stimato esegeta, brillante consigliere di nobildonne dell'alta società romana, Girolamo aveva tentato un periodo di vita da eremita in una grotta del deserto di Giuda.
Con la presunzione tipica dell'età, il giovane Girolamo si era dedicato con ardore alle molteplici forme di ascesi allora in uso tra i monaci. Ma i risultati si facevano attendere: il tempo gli avrebbe fatto presto capire che la sua vera vocazione era altrove nella Chiesa e che il suo soggiorno tra i monaci della Palestina ne costituiva solo il preludio.
Tuttavia Girolamo doveva ancora imparare molte cose e intanto, da giovane novizio si trovava immerso nella disperazione: nonostante i suoi sforzi generosi, non riceveva alcuna risposta dal cielo.
Andava alla deriva, senza timone, in mezzo alle tempeste interiori, al punto che le vecchie tentazioni, già così familiari, non tardarono a rialzare la cresta. Girolamo era scoraggiato: cosa aveva fatto di male? Dov'era la causa di questo cortocircuito tra Dio e lui?
Come ristabilire il contatto con la grazia? Mentre Girolamo si arrovellava il cervello, notò all'improvviso un crocifisso che era comparso tra i rami secchi di un albero. Girolamo si gettò a terra e si percosse il petto con gesto solenne e vigoroso. E' in questa posizione umile e supplicante che lo raffigura la maggior parte dei pittori.
Subito Gesù rompe il silenzio e si rivolge a Girolamo dall'alto della croce: «Girolamo - gli dice - cos'hai da darmi? Cosa riceverò da te?». 
Girolamo non esita un attimo. Certo che aveva un sacco di cose da offrire a Gesù: «Naturalmente, Signore: i miei digiuni, la fame, la sete. Mangio solo al tramonto del sole!»
Di nuovo Gesù risponde: «Ottimo Girolamo, ti ringrazio. Lo so, hai fatto del tuo meglio. Ma hai ancora altro da darmi?» 
Girolamo ripensa a cosa potrebbe ancora offrire a Gesù. Ecco allora le veglie, la lunga recita dei salmi, lo studio assiduo giorno e notte della Bibbia, il celibato nel quale si impegnava con più o meno successo, la mancanza di comodità, la povertà, gli imprevisti che si sforzava di accogliere senza brontolare e infine il caldo di giorno e il freddo di notte
Ad ogni offerta, Gesù si complimenta e lo ringrazia.
Lo sapeva da tempo: Girolamo ci tiene così tanto a fare del suo meglio! 
Ma ad ogni offerta, Gesù, con un sorriso astuto sulle labbra, lo incalza ancora e gli chiede: «Girolamo, hai qualcos'altro da darmi?»
Alla fine, dopo che Girolamo ha enumerato tutte le cose buone che ricorda e siccome Gesù gli pone per l'ennesima volta la stessa domanda, un po' scoraggiato e non sapendo più a che santo votarsi, finisce per balbettare: «Signore, ti ho dato già tutto, non mi resta davvero più niente!».
Allora un grande silenzio piomba nella grotta e fino alle estremità del deserto di Giuda; Gesù replica un'ultima volta: «Eppure Girolamo hai dimenticato una cosa: dammi anche i tuoi peccati affinché possa perdonarteli...».



 Per quanto tu scenda in basso non sarai mai più umile di Cristo. 

San Girolamo -



Oggi, la bibbia è il libro più letto e tradotto al mondo e la si può trovare nelle lingue più diverse.

Ma è stato percorso un lungo cammino per renderla accessibile a tutte le lingue. È in questo scenario che entra la figura di San Girolamo. Dottore nell’interpretazione delle Sacre Scritture, filosofo, teologo, e storico, curò la prima traduzione dei testi originali in ebraico e greco verso il latino, la lingua parlata dal popolo a quell’epoca. Per questo, la sua traduzione fu chiamata vulgata, ovvero, popolare.

- Padre Eugenio Alliata -  ofm
Dir. Museo Studium Biblicum Franciscanum


”San Girolamo chiamava questa operazione ‘il ritorno alla verità ebraica’, che era la verità del testi originali ”. 

La conoscenza che Girolamo aveva della parola di Dio e la chiarezza delle sue idee giunsero all’allora papa Damaso, che gli affidò la missione di tradurre in latino i quattro vangeli nella forma più fedele possibile agli originali. A Roma, Girolamo completò la traduzione dei vangeli e anche una versione dei salmi, tradotta dal testo greco.
- Padre Eugenio Alliata -  ofm
Dir. Museo Studium Biblicum Franciscanum



Una volta partito da Roma, Girolamo venne in Terra Santa, conobbe i luoghi santi per comprendere meglio le sacre scritture e decise di stabilirsi a Betlemme. Fu in questa grotta, che si trova nella Basilica della Natività, accanto al luogo ove nacque Gesù, che egli si dedicò a lavori di traduzione.

“San Girolamo visse a Betlemme per 40 anni e in questo periodo scrisse qui numerosi commentari sulla Bibbia. Sono molto famose anche le sue lettere, e qui completò la traduzione dalla lingua ebraica di tutto l’antico testamento”

La grotta è molto visitata da pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo e che rimangono incantati dinanzi alla storia di questo luogo.

- Padre Eugenio Alliata -  ofm
Dir. Museo Studium Biblicum Franciscanum

San Gerolamo scrivente - Caravaggio (Michelangelo Merisi)
Galleria Borhese, Roma (Italy)


Buona giornata a tutti. :-)