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giovedì 11 ottobre 2018

Non si guarisce qualcuno, si aiuta qualcuno a guarirsi - Alejandro Jodorowsky

Che caratteristiche deve avere una persona per guarire qualcuno? 
- Javier Esteban - intervistatore


Non si guarisce qualcuno, si aiuta qualcuno a guarirsi. 
Chi vuole guarire un altro è un vanitoso. Neppure l'altro guarisce se stesso. 
E' Dio che lo guarisce. 
Credo che il motore di tutto ciò sia la bontà. 
Quando una persona sviluppa in sé il sentimento della bontà, percepisce i sentimenti dell'altro e fa quello che può per toglierlo dal male. 
Bisogna mettersi nei panni dell'altro e fare il possibile perchè l'altro scopra come curarsi. Per questo è necessario che l'altro aumenti il proprio livello di coscienza e cambi la propria visione delle cose. 
Tutti noi percepiamo la vita da un certo punto di vista, più o meno variabile.
Quando cambiamo punto di vista, anche la nostra vita cambia.


Il terapista, per guarire, deve lasciar da parte la morale? 
- Javier Esteban - intervistatore


Deve essere amorale, ma non immorale. L'immoralità rivela una malattia. 
Essere amorale per il terapista significa non giudicare. 
Come un medico: se un assassino è ferito, il chirurgo lo aiuta e gli sutura la ferita. 
Il terapista deve agire nello stesso modo. Deve lasciare da parte i pregiudizi, e a maggior ragione deve farlo un terapista che si basa sulla psicologia.

- Alejandro Jodorowsky -

da “Lezioni per Mutanti” Interviste con Javier Esteban



Quando, a New York, stavo montando il mio film “La Montagna Sacra”,
ho avuto problemi di tutti i tipi e ogni notte inzuppavo di sudore sei o sette magliette.
Sono andato a trovare un saggio cinese che mi avevano consigliato.
Era poeta, gran maestro di tai-chi e medico.
Non appena mi ha visto, mi ha domandato:
“Qual'è il suo scopo nella vita?”.Sono rimasto frastornato, privo di risposta.
Lui ha continuato: “Se lei non mi dice qual'è il suo scopo nella vita, non posso curarla”.
Allora ho capito che se un' imbarcazione attraversa la vita senza un fine non arriva in nessun porto.
Ciò che fa sì che la vita non ci divori è avere uno scopo.
Quanto più elevato sarà, tanto più lontano ci porterà.
Come mistico ho un unico scopo: conoscere Dio.
Non il Dio di cui si parla dappertutto, ma quella cosa incredibile che muove l'universo.
Non solo: il mio scopo è dissolvermi tranquillamente in lui.
Questo è il mio fine...


- Alejandro Jodorowsky -

da “Lezioni per Mutanti” Interviste con Javier Esteban




In realtà la maggior parte dei problemi che ci tormentano sono quelli che vogliamo avere. 
Siamo vincolati alle nostre difficoltà in quanto sono loro che formano la nostra identità, sono loro che ci permettono di definirci in quanto persone ...con un determinato carattere. 
La gente vuole smettere di soffrire ma non è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare, e desidera continuare a vivere in funzione dei suoi adorati problemi. 

- Alejandro Jodorowsky -


Buona giornata a tutti. :)



venerdì 5 ottobre 2018

Le persone hanno diritto ad avere un mucchio di tenebre dentro di sé, il diritto ad essere diversi - Jean Vanier

Una delle più grandi difficoltà della vita comunitaria è che si obbligano a volte le persone a essere diverse da quello che sono; si appiccica su di loro un ideale al quale devono conformarsi.  
Se non arrivano a identificarsi all’immagine che si fa di loro,  temono di non essere amati o almeno di dare una delusione.
Se ci arrivano, credono di essere perfetti. 
Ora, in una comunità, non si tratta di avere delle persone perfette.
Una comunità è fatta di persone legate le une alle altre, ognuna fatta di quel miscuglio di bene e di male, di tenebre e di luce, di amore e di odio. 
E la comunità non è che la terra in cui ognuno può crescere senza paura verso la liberazione delle forme d’amore che sono nascoste in lui. 
Ma non ci può essere crescita che si riconosce che c’è possibilità di progresso, e dunque che c’è ancora in noi una quantità di cose da purificare, tenebre da trasformare in luce, paure da trasformare in fiducia.

Spesso, nella vita comunitaria, ci si aspetta troppo  dalle persone, e s’impedisce loro di riconoscersi e di accettarsi così come sono.
Le si giudica molto presto, o le si classifica in categorie. 
Esse sono allora obbligare a nascondersi dietro una certa maschera. Ma loro hanno il diritto di essere brutte, e di avere un mucchio di tenebre dentro di sé, e angoli ancora induriti nel loro cuore in cui si nasconde la gelosia e perfino l’odio!
Queste gelosie, queste insicurezze sono naturali; non sono “malattie vergognose”. Esse appartengono alla nostra natura ferita. 
E’ la nostra realtà. 
Bisogna impararle ad accettarle, a vivere con esse senza drammi, e a poco a poco, sapendosi  perdonati, a camminare  verso la liberazione.

Io vedo nelle comunità certe persone vivere una specie di colpevolezza inconscia; hanno l’impressione di non essere quello che dovrebbero essere. Hanno bisogno di essere confermate e incoraggiate alla fiducia. 
Hanno bisogno di sentire che possono condividere anche la loro debolezza senza essere respinte.

- Jean Vanier -
Fonte: La comunità luogo del perdono e della festa



"Sotto un punto di vista generale, per un cattolico tutto è e deve essere cristiano: la vita individuale, la famiglia, l'attività economica, la concezione filosofica, la creazione artistica, l'arte politica, sì da non esservi nessun angolo del proprio essere che non sia impregnato di cristianesimo.
Pertanto, la specifica denominazione di cristiano messa a democratico o afferma una concezione di vita del cristiano o non ha significato. 
Peggio, quel democristiano può degenerare in demicristiano, in quanto una politica sporca infetta la fede e la pratica cristiana del soggetto infedele al suo ideale di vita" 

- Don Luigi Sturzo -



Perdonatevi scambievolmente in modo tale da dimenticare il torto ricevuto.
Il ricordo, infatti, della malizia dell’offesa è complemento di furore, è riserva di peccato, odio della giustizia, freccia arrugginita, veleno dell’anima, dispersione delle virtù, verme della mente, distrazione della preghiera, lacerazione delle suppliche rivolte a Dio, alienazione della carità, chiodo fisso nell’anima, iniquità sempre desta, rimorso continuo, morte quotidiana. Siffatto vizio è su tutti gli altri tenebroso e detestabile.
Allontanate, dunque, l’ira spegnete il ricordo del torto ricevuto poiché se il padre vive genera il figlio; chi invece ha carità rigetta ogni vendetta: in una parola, chi fomenta inimicizie aumenta a se stesso un inutile affanno.

- San Francesco di Paola -



Buona giornata a tutti. :)






martedì 12 giugno 2018

da: "La danza della realtà" - Alejandro Jodorowsky,

Dietro ogni malattia c’è il divieto di fare qualcosa
che desideriamo oppure l’ordine di fare qualcosa
che non desideriamo.
Ogni cura esige la disobbedienza a questo divieto
o a quest’ordine.
E per disobbedire è necessario abbandonare la
paura infantile di non essere amati; vale a dire di
essere abbandonati.
Questa paura provoca una mancanza di coscienza:
non ci si rende conto di quello che si è davvero,
cercando di essere quello che gli altri si aspettano che noi siamo.
Se si persiste in questa attitudine, si trasforma la
propria bellezza interiore in malattia.
La salute si trova solo nell’autentico, non c’è bellezza senza
autenticità, ma per arrivare a quello che siamo
davvero dobbiamo eliminare quello che non siamo.
Essere quello che si è:
questa è la felicità più grande.

- Alejandro Jodorowsky - 




Sintomo è la manifestazione fisica di qualcosa al quale ci opponiamo al nostro interno.
Se rifiutiamo di assumere consapevolmente un principio, questo principio si introduce nel nostro corpo e si manifesta sotto forma di sintomo. 

Quasi sempre ci si richiede di modificare un comportamento per correggere uno squilibrio e questo è buono per la nostra evoluzione perché ci obbliga ad agire. Noi siamo come i pazienti che chiedono al dottore di curare i sintomi, per non essere costretti a confrontarsi con la causa del male. Sarebbe molto meglio che lavorassimo su noi stessi.

- Alejandro Jodorosky - 


Dobbiamo pensare che non siamo una generazione, ma varie generazioni, non siamo individui, siamo umanità... 

Dobbiamo capire che l'altro esiste e che quello che dai lo dai e basta.

- Alejandro Jodorosky - 




Compresi allora i soprusi che la mia famiglia mi aveva fatto subire. 

Vidi con esattezza la struttura dell'inganno. 
Mi attribuivano la colpa di ogni ferita che mi avevano inferto. 
Il boia non smette mai di proclamarsi vittima. 
Grazie a un abile sistema di negazioni, privandomi di ogni genere di informazione – e non sto parlando di informazione orale ma di esperienze per la maggior parte extraverbali – ero stato spogliato di ogni diritto, trattato come un mendicante senza terra al quale veniva offerto con bontà sdegnosa un frammento di vita. 
I miei genitori sapevano che cosa stavano commettendo? Assolutamente no. Senza volerlo, facevano a me quello che era stato fatto a loro. 
E così, reiterando di generazione in generazione i misfatti emozionali, l'albero di famiglia continuava ad accumulare una sofferenza che durava da parecchi secoli.

- Alejandro Jodorosky - 
da: La danza della realtà




martedì 15 maggio 2018

da: "I Promessi Sposi" - La peste - Alessandro Manzoni

Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. 
La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. 
Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. 
Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. 
Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono piú forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de' volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, "no!" disse: "non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete." 
Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: "promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così."
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, piú per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: "addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri." Poi voltatasi di nuovo al monatto, "voi," disse, "passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola."
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina piú piccola, viva, ma coi segni della morte in volto.

- Alessandro Manzoni -
da: “I promessi sposi”

Questo passo di struggente bellezza descrive la peste del 1600. 
Manzoni stesso ha composto nelle bare i suoi figli morti bambini. 
Qualcuno dica ai realisti che il vaiolo non esiste più, non esiste più la peste, abbiamo fermato la poliomielite, messo la museruola all’Aids. 
La mortalità infantile è stata abbattuta, le derrate alimentari moltiplicate. Vale la pena di credere negli uomini.


[Gli unici rimedi alla peste erano] dei salassi e delle evacuazioni, degli elettuari e sciroppi cordiali; e gli ascessi esterni venivano portati a maturazione con fichi e cipolle cotte, tritate e mescolate con lievito e burro; poi venivano incisi e trattati con la cura delle ulcere. 
I carbonchi erano trattati con ventose, scarificati e cauterizzati. 

- Guy de Chauliac -

Arnold Böcklin - Die Pest

Gli antichi hanno battezzato «peste» un cataclisma fisico, politico e mentale che affligge l'insieme di una società. 
Questa malattia mortale inaugura l'Iliade di Omero, riappare nella Tebe di Eschilo, nell'Atene di Tucidide e nell'Italia di Lucrezio. 
Il Rinascimento, con Boccaccio, Margherita di Navarra e infine Shakespeare, la evoca di nuovo come elemento fondatore in cui la letteratura esplora nuovi modi di esistere e di resistere, mentre il vecchio universo crolla senza speranza di ritorno. 

André Glucksmann -



terremoti, le inondazioni, le carestie, le pestilenze sono applicazioni di cieche leggi della natura: cieche, perché la natura materiale non ha intelligenza né libertà. 

- san Papa Giovanni XXIII, papa -


Buona giornata a tutti. :-)

martedì 24 aprile 2018

Io non prego perché Dio intervenga - Padre David Maria Turoldo

Io non prego perché Dio intervenga. 
Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. 
Io prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo. 
Io non prego perché cambi Dio, io prego per caricarmi di Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose. 
Infatti se, diversamente, Dio dovesse intervenire, perché dovrebbe intervenire solo per me, guarire solo me, e non guarire il bambino handicappato, il fratello che magari è in uno stato di sofferenza e di disperazione peggiore del mio? Perché Dio dovrebbe fare queste preferenze? 
Perché dire: Dio mi ha voluto bene, il cancro non ha colpito me ma il mio vicino! E allora: era un Dio che non voleva bene al mio vicino? 
E se Dio intervenisse per tutti e sempre, non sarebbe un por fine al libero gioco delle forze e dell'ordine della creazione? 
Per questo per me Dio non è mai colpevole. Egli non può e non deve intervenire. 
Diversamente, se potendo non intervenisse, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe sofferenze incredibili e inammissibili. 
Ecco perché, come dicevo prima, il dramma della malattia, della sofferenza e della morte è anche il dramma di Dio.

- Padre David Maria Turoldo -
Intervista a Roberto Vinco, Il Gazzettino, 1° novembre 1991



La vita ci è data per cercare Dio, la morte per trovarlo, l'eternità per possederlo.

- Jacques Nouet -
Vita, morte ed eternità 


Io non ho mani

Io non ho mani
che mi accarezzino il volto,
(duro è l'ufficio
di queste parole
che non conoscono amori)
non so le dolcezze
dei vostri abbandoni:
ho dovuto essere
custode
della vostra solitudine:
sono
salvatore
di ore perdute.

- Padre David Maria Turoldo -
1916 - 1992


Buona giornata a tutti. :-)



giovedì 11 gennaio 2018

Le ferite dell'infanzia - Jean Vanier

A volte le ferite dell'infanzia sono talmente profonde ed hanno portato alla creazione di sistemi di difesa talmente potenti, un po' come quell'uomo che vi dicevo prima, quello della prigione, dove c'erano strati e strati di protezione! E' un lungo, lungo, lungo cammino perché possano credere di essere amati. 
Per qualcuna di queste persone è pericoloso essere amati, troppo pericoloso essere amati. Allora ci vogliono degli anni. Bisogna sapere come avvicinarsi, non troppo vicino nè troppo lontano, bisogna, come sempre, essere veri, parlare delle proprie difficoltà .

C'è tutto un modo di avvicinare una persona che è molto ferita ed è evidente che ci sono persone che non saranno mai totalmente guarite, porteranno queste ferite per tutta la loro vita. 

C’è troppa violenza, ci sono troppe ferite dentro di noi ed è evidente che non possiamo essere i salvatori di tutto il mondo. 
E' Gesù che è il salvatore. 
Noi possiamo aiutare alcune persone a far cadere le loro barriere ed entrare in questo mondo di relazione. Per altri non possiamo.
Non molto tempo fa ero in ospedale in Romania, ed ho vissuto un'esperienza molto dolorosa. Era un ospedale con molti bambini handicappati e, come dicevo prima, spesso mi piace prendere un bambino, toccarlo, metterlo contro il mio corpo e vedere il bambino che si trasforma. Poi è doloroso rimetterlo giù e vedere questo velo che cade di nuovo. 
Mi sono avvicinato ad un bambino e, quando l'ho toccato, è stato come se gli avessi dato una scarica elettrica. E' saltato indietro. 
E' la prima volta che mi è successo, e allora, con ancor più delicatezza, ho cercato di toccare questo bambino. E' saltato indietro come se gli avessi dato una seconda scarica elettrica. 
Era un bambino piccolo piccolo, qualche mese soltanto, ed è chiaro che era entrato in un mondo psicotico grave. Quando un bambino fa così e salta indietro perché lo si tocca, è perché la psicosi è già grave; che cosa ci vorrebbe, perché possa ritrovare una relazione più accettabile? 
E' difficile credere che questo sia possibile. Anche se fosse possibile, non ci sarà mai una guarigione.
Vivo con uomini e donne che hanno delle psicosi abbastanza gravi, bambini profondamente autistici, che porteranno questa ferita per tutta la vita. Potranno trovare una certa pace e dobbiamo scoprire come comunicare con loro, nelle psicosi, nelle ferite profonde, non esigere che si crei una comunicazione subito facile. 
Loro devono poter scoprire che li accettiamo così come sono e che comunichiamo con loro, secondo il loro modo e non secondo il nostro. 
Non possiamo credere che tutti quanti guariscano, ma tutti quanti, se sono ben accolti, possono trovare una certa pace. 
Dobbiamo cercare le condizioni e l'ambiente necessario, perché questo avvenga.

- Jean Vanier - 




O Cristo.
Sono entrato nel recinto dell’oscurità,
e le tenebre mi fanno male,
mi feriscono, mi danneggiano.

Sento la Tua mancanza.
So che Tu sei in me.
Ma te ne stai silenzioso,
tranquillo,
aspettando la mia decisione.

Tu sai...
io non posso vivere senza di Te.
La vita, senza di Te,
è vuota, senza senso,
senza colori.
È angoscia.
O Cristo,
non rimanere silenzioso.

Salvami!


- Ignacio Larrañaga -


Buona giornata a tutti. :-)





sabato 12 agosto 2017

Sofferenza che trasfigura (4) - don Marino Gobbin

Ti offro tutto me stesso

A Te apro il mio cuore, o Signore, per offrirti tutto ciò che ho. 
Lo so non è molto, accetta quello che ho: 
Ti offro il mio cuore, affinché lo riempi del Tuo amore; svuotalo, o Signore, da tutto il marciume che c’è, riempilo della Tua grazia, dei Tuoi doni, riempilo della Tua Parola che è vita. Ti offro le mie mani, fa’ che ti possano servire nel prossimo. 
Ti offro le mie gambe, fa’ che ti possano portare in giro per il mondo. 
Ti offro la mia bocca, parla attraverso la mia bocca a tanta gente. 
Ti offro la mia anima purificala, o Signore, rendila pura, rendila bianca e candita come un giglio del prato, prenditi cura della mia anima, o Signore, modellala a Tuo piacimento. 
Ti offro il mio corpo, completa nel mio corpo il Tuo Sacrificio, uniscilo alle Tue sofferenze, inchiodalo sulla Croce, sono certo che mi farai partecipe della Tua gloria. Grazie, Signore.

Nino Baglieri (12.11.82)



Il card. Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, che ebbe occasione di incontrare e conoscere Nino Baglieri ha dichiarato: «Quando lo si incontrava dava la sensazione che fosse abitato dallo Spirito Santo… Celebrava l’anniversario della sua chiamata alla croce come gli altri celebrano l’anniversario del matrimonio o dell’ordinazione religiosa. Nino Baglieri è diventato un apostolo instancabile, una calamita di bontà, che ha attirato tantissimi giovani all’amore di Dio». 
Il grande Manzoni ha dichiarato che il Signore non ci dà sofferenze se non per prepararci godimenti maggiori. 
Talvolta Iddio ci prova con mano che sembra assai pesante. 
Ma il dolore è fecondo. 
Proprio il dolore viene assunto dal Divino Redentore per salvare le anime, per renderle buone e associarle alla sua Croce. 
E Nino questo ha sperimentato e consegnato alla Famiglia Salesiana, ai suoi fratelli secolari e alla Chiesa. 
Questa Croce segna, con sfumature diverse, preghiere e scritti. 
Ma è una croce luminosa, è una trasfigurazione, quasi un anticipo di paradiso dove ha voluto arrivare vestito con la tuta e le scarpe da ginnastica.

- Don Marino Gobbin -



Una vita di dolore e di amore

Quanti anni di sofferenza ha conosciuto il mio cuore! 
Anni di solitudine e di disperazione e con l’odio dentro il mio povero cuore: sono stati lunghi anni di preparazione per assaporare l’amore del Signore. Prima ho gustato il dolore che tormentava giorno e notte il mio cuore, non conoscevo pace, ne gioia, ne amore, e odiavo il mio corpo morto sdraiato sopra un letto, le mie gambe che non servono a niente, le mie mani che non possono toccare niente, la mia vita era una continua disperazione che il Signore ha fermato con il suo amore. 
Adesso la sofferenza non esiste più perché la gioia che dà il Signore è più grande della sofferenza. 
E il mio cuore che prima ha tanto sofferto, adesso esulta di gioia, adesso so perché vivo e sono felice di essere in queste condizioni perché ho trovato l’amore del Signore; ho capito il vero senso della vita, la vera vita: una vita senza il Signore non è vita, ma solo disperazione.

- Nino Baglieri - 
(19.8.1981)



Per Nino allo scadere dei cinque anni dalla morte indicati da Giovanni Paolo II come il tempo di silenzio, preghiera, riflessione e verifica, è iniziata l’indagine perché la Chiesa riconosca nel suo cammino di vita un cammino di santità. Il suo abbarbicarsi alla croce che per lunghi anni ha maledetto, è
diventato successivamente dono e trasfigurazione, grazia per lui e quanti hanno potuto accostarlo sia vivente sia attraverso i suoi scritti. 
Conoscerlo e pregarlo ci aiuterà non solo a superare le nostre personali e attuali sofferenze, ma anche aprire spiragli di luce in un mondo che ricusa e ottenebra la sofferenza perché indegna delle società evolute.

- Don Marino Gobbin -

Buona giornata a tutti. :-)