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sabato 14 giugno 2014

La decisione - Tiziano Terzani -

Si trattava di decidere presto cosa fare. Il primo istinto fu quello di un animale ferito: ritirarsi in una tana. D'un tratto mi parve di avere poche forze e di doverle concentrare al massimo.
Decisi di non dire niente a nessuno, tranne ai figli e a quegli amici che avrebbero trovato incomprensibile il mio scomparire dal mondo.
Volevo mettere a fuoco la mia mente, non essere distratto da nulla e da nessuno.
Innanzitutto dovevo scegliere dove curarmi e in particolare come curarmi. Chemioterapia, radioterapia, chirurgia con tutte le loro - si dice - devastanti conseguenze non sono più le sole alternative. Anzi, oggi che tutto è messo in discussione, che tutto quel che è ufficiale è visto con sospetto, che ogni autorità ha perso prestigio e che ognuno si sente in diritto, senza alcun ritegno, di giudicare tutto e tutti, è diventato sempre più di moda dir male della medicina classica e un gran bene di quella « alternativa ».
I nomi, se non altro, suonano più attraenti: ayurveda, pranoterapia, agopuntura, yoga, omeopatia, erbe cinesi, reiki, e - perché no? - i guaritori, filippini o no. 
C'è sempre un sentito dire, una persona di cui qualcuno racconta, una storia che sembra essere fatta apposta per essere creduta e dare speranza in una di queste sempre più numerose « cure ».
Non le presi sul serio neanche per un attimo.
Eppure, molte di queste pratiche vengono dall'Asia, dove ho vissuto per trent'anni; alcune hanno le loro radici in India, dove ora ho casa!
Io stesso in passato non ho avuto problemi a ricorrerci: in Cina misi mio figlio Folco, allora undicenne, nelle mani di un agopunturista che gli curò l'asma, e solo un anno prima di dover decidere cosa fare con me avevo portato Leopold, il mio amico francese, dal medico personale del Dalai Lama all'Istituto Medico­Astrologico (sì, questa è la combinazione) di Dharamsa-la, perché gli sentisse i suoi diciassette polsi e gli prescrivesse delle - pare efficacissime - pillole nere, tipo cacherelli di pecora, per un'epatite.
E poi: sono stato io a dire e a scrivere che l'uomo occidentale, imboccando l'autostrada della scienza, ha troppo facilmente dimenticato i sentieri della sua vecchia saggezza e che ora, conquistando l'Asia col suo modello di modernità, rischia di far scomparire anche là una grande quantità di conoscenza legata alle tradizioni locali!
Non avevo cambiato idea, ma quando si trattò della mia sopravvivenza non ebbi un momento di esitazione: dovevo affidarmi a ciò che mi era più familiare, alla scienza, alla ragione occidentale. Non era solo una questione di tempo, e in questi casi non se ne ha tanto da sprecare, visto che tutte le cosiddette medicine alternative agiscono, quando agiscono, a lungo termine. Era che nel fondo non mi fidavo. E l'aver fiducia nella cura e in chi la somministra è un fattore importantissimo, direi fondamentale, nel processo di guarigione.
La fortuna nella vita aiuta e io ne ho avuta in generale più della normale dose.
Anche questa volta la fortuna fu dalla mia, o almeno io la sentii così; il che è in fondo esattamente la stessa cosa. Fra i colleghi giornalisti, vecchi d'Asia, ce n'era uno, corrispondente del New York Times, due volte premiato col Pulitzer, a cui ero legato da un'amicizia nata da alcune esperienze comuni: tutti e due eravamo stati arrestati ed espulsi dalla Cina; tutti e due, contro ogni logica di carriera, avevamo scelto, dopo sedi molto più «importanti », l'India come paese di cui occuparsi.
Ora ci legava un'altra coincidenza: un paio di anni prima l'amico aveva avuto lo stesso tipo di malanno ed era sopravvissuto. L'andai a trovare a Delhi e gli chiesi consiglio.
Quelli che avevano aggiustato lui, i « fixers » come li chiamava, erano a suo parere i migliori sul mercato. Gli credetti. 
Un paio di telefonate, un fax e nel giro di pochi giorni ero a New York, diciottesimo nella lista di un nuovo trattamento sperimentale, nella punta probabilmente più avanzata della medicina moderna occidentale: il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center o meglio l'MSKCC, come viene suggerito di scrivere sugli assegni, così che sulla presenza in quella istituzione possa essere mantenuta una certa discrezione anche con la propria banca.
(...)
Negli annunci economici del New York Times lessi di un monolocale da affittare su Central Park, lo andai a vedere e lo presi all'istante. 
Quei pochi metri quadrati di moquette grigia, ravvivati immediatamente con un paio di stoffe indonesiane e un piccolo bronzo cinese di Buddha sul davanzale di una grande, bassa finestra, divennero per alcuni mesi la mia tana.
A parte Angela e quelli dell'MSKCC, nessuno sapeva dov'ero. 
Il telefono non squillava mai, nessuno suonava alla porta; la sola via di comunicazione che avevo lasciata aperta col mondo era quella della posta elettronica coi suoi messaggi in bottiglia che approdavano di tanto in tanto sulla spiaggia cibernetica del mio computer, che poteva essere dovunque. 


- Tiziano Terzani -
da: "Un altro giro di giostra" 



Ci sono giorni nella vita in cui non succede niente, giorni che passano senza nulla da ricordare, senza lasciare una traccia, quasi non si fossero vissuti. 
A pensarci bene, i più sono giorni così, e solo quando il numero di quelli che ci restano si fa chiaramente più limitato, capita di chiedersi come sia stato possibile lasciarne passare, distrattamente, tantissimi. 
Ma siamo fatti così: solo dopo si apprezza il prima e solo quando qualcosa è nel passato ci si rende meglio conto di come sarebbe averlo nel presente. 
Ma non c'è più.


- Tiziano Terzani -


Immagine di Lucio Fontana - "Concetto spaziale"

La profezia era la scusa.
La verità è che uno ha una voglia di aggiungere un pizzico di poesia alla propria vita, di guardare al mondo con occhi nuovi, di rileggere i classici, di riscoprire che il sole sorge, che in cielo c'è la luna e che il tempo non è solo quello scandito dagli orologi. 

(Tiziano Terzani – da “Un indovino mi disse”)

Immagine di Claude Monet - "Early Morning"



Questo è un altro aspetto rasserenante della natura: la sua immensa bellezza è lì per tutti. 
Nessuno può pensare di portarsi a casa un'alba o un tramonto.


(T. Terzani)


Quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su.
È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco.
A salire c’è speranza.
Può non essere facile ma è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta.

- Tiziano Terzani - 



Buona giornata a tutti :-)


www.leggoerifletto.it

giovedì 12 giugno 2014

Pregare per le anime del Purgatorio - da "Tornati dall'Aldilà" di Antonio Socci -

«Un caso clamoroso fu quello avvenuto a Montefalco, nell’arcidiocesi di Spoleto. Qui, in un periodo che va dal settembre 1918 al novembre dell’anno successivo, il monastero delle clarisse di San Leonardo fu visitato per ventotto volte da un misterioso straniero.
Successivamente è stato riconosciuto in questo fatto la manifestazione di un’anima purgante.
Costui ogni volta lasciava 10 lire di elemosina, chiedeva preghiere e se ne andava senza farsi vedere e senza rispondere alle domande sulla sua identità rivoltegli dalla badessa suor Maria Teresa di Gesù.
La prima volta l’accaduto parve strano alle suore, ma fu presto dimenticato. Tuttavia, con il passare del tempo e il ripetersi periodico del fatto, le suore cominciarono a interrogarsi con leggera inquietudine, tanto più che spesso la visita si accompagnava ad altre stranezze.
Un giorno, per esempio, la badessa stava riposando quando venne svegliata da una voce fuori dalla sua stanza che l’avvertiva che avevano suonato alle porte del convento, quindi scese e raccolse la solita offerta di 10 lire. Quando poi però chiese alle suore chi di loro l’avesse svegliata, risultò che non era stata nessuna di queste.
Presa da timore crescente, una volta la badessa pensò bene di far ripetere una giaculatoria allo sconosciuto, temendo che si trattasse di una manifestazione diabolica, ma costui la ripeté senza problemi.
Finché, quando il 3 ottobre 1919 lo straniero si presentò nuovamente, la badessa decise di rifiutare recisamente l’ennesima offerta di 10 lire. Fu allora che questo, supplicandola di accettare, rivelò di essere un’anima purgante, che da quarant’anni stava scontando la pena per aver dissipato beni ecclesiastici.
Allora le suore cominciarono a pregare e a dire messe per la sua salvezza, finché nel novembre 1919 avvenne l’ultima manifestazione dell’anima che annunciava loro di essere finalmente in Paradiso e le ringraziava per aver accorciato la sua pena.
La badessa, felice della notizia, gli chiese di pregare per la sua comunità e per i suoi genitori, se erano in Purgatorio.
Al termine di questi fatti l’arcivescovo di Spoleto, monsignor Pacifici, nel luglio 1921 costituì il tribunale per il processo canonico che si tenne dal 27 luglio fino al giorno 8 agosto. Gli atti contenenti la deposizione di dodici testi sono conservati nell’Archivio della Curia Arcivescovile di Spoleto. L’esito del processo è stato positivo, sebbene per ragioni contingenti non sia stata emanata sentenza.
La sacrestia dove l’anima si era manifestata divenne cappella dedicata al suffragio delle anime purganti, in particolare di quelle dei sacerdoti, ed è tuttora luogo di grande devozione».

Antonio Socci
Tornati dall’Aldilà, editore Rizzoli





















Sono io la morte e porto corona,
io Son di tutti voi signora e padrona
e così sono crudele, così forte sono e dura
che non mi fermeranno le tue mura.
Sono io la morte e porto corona,
io son di tutti voi signora e padrona
e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
e dell 'oscura morte al passo andare.
Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo,
posa la falce e danza tondo a tondo:
il giro di una danza e poi un altro ancora
e tu del tempo non sei più signora.

(Angelo Branduardi)


Ogni persona con la quale abbiamo condiviso un tratto significativo della nostra vita, andandosene, porta via anche una parte di noi.
Allo stesso tempo ci accorgiamo che in noi è rimasto qualcosa di lei. 
E ci aiuta a camminare, a crescere, a combattere, a testimoniare. 
Si curva su di noi alle prime luci dell'alba, riemerge nei mille volti di strade affollate, fiammeggia nell'intensa ora del tramonto, riverbera nei sentimenti e nei colori, nei pensieri e nelle decisioni. 
La ritroveremo, un giorno, in un volto di gloria e di luce. 

La ritroveremo nella pienezza di Dio






















Nulla va perduto della nostra vita.
Nessun frammento di bontà e di bellezza.
neppure il più piccolo e insignificante.
Nessuna lacrima e nessun sorriso.
Nessun sacrificio per quanto ignorato...

- Don Michele Dho -


Buona giornata a tutti :-)

lunedì 28 aprile 2014

Il Testamento Spirituale, ossia ricordi lasciati da S.Paolo della Croce ai suoi religiosi prima di morire (29 agosto 1775)


«Appena giunto il sacerdote nella sua stanza con il SS.Viatico, il P.Paolo, che non si poteva quasi muovere dal letto per i suoi mali, al veder presente il suo amoroso Redentore, con gran vivacità e fervore alzò le braccia in segno di devozione ed amore, dicendo con tutto il cuor sulle labbra: 
"Ah Gesù mio caro, io mi protesto che voglio vivere e morire nella Comunione di Santa Chiesa. Detesto ed abomino ogni errore." 
Di poi recitò ad alta voce il simbolo degli Apostoli, accompagnando ogni parola con gran sentimento di cuore; e quindi, perché ne era stato istantaneamente richiesto e perché era attualmente di tutti il Superiore e il Padre, diede, alla presenza di Gesù Sacramentato, gli ultimi e principali ricordi, che nel tempo stesso da due Religiosi, dall'infermo non veduti, erano fedelmente scritti nella contigua cappella»
    
      (Vita del Santo, scritta da S.Vincenzo Maria Strambi, pag. 184).

1° Prima di ogni altra cosa vi raccomando assai la carità fraterna... Ecco, fratelli miei dilettissimi, quello che io desidero con tutto l'affetto del povero mio cuore da voi che vi trovate qui presenti come da tutti gli altri che già portano quest'abito di penitenza e lutto in memoria della Passione e morte di Gesù Cristo nostro amabilissimo Redentore, e da tutti quelli che saranno chiamati da Dio a questa povera Congregazione e piccolo gregge di Gesù Cristo.

2° Raccomando poi a tutti e specialmente a quelli che saranno in ufficio di Superiori, che sempre più fiorisca nella Congregazione lo spirito dell'orazione, lo spirito della solitudine, e lo spirito della povertà; e siate pur sicuri che, se si manterranno queste tre cose, la Congregazione "fulgebit in conspectu Dei et gentium".


3° Raccomando con gran premura un filiale affetto verso la Santa Madre Chiesa, ed una intierissima sommissione al capo di essa, il Sommo Pontefice; per il quale effetto pregheranno giorno e notte, e procureranno di cooperarvi e di aiutare le anime a salvarsi, per quanto potranno, secondo l'Istituto, promuovendo nel cuore di tutti la devozione alla Passione di Gesù Cristo e ai dolori di Maria Santissima.

4° Raccomando a tutti l'osservanza delle Regole e niuno dica: De minimis non curat praetor. Faccia ognuno conto delle cose piccole e amino la Congregazione come madre.

5° (I Superiori) tengano conto del buon grano, e lontana la zizzania.


6° Domando poi perdono, colla faccia nella polvere e con pianto del mio povero cuore, a tutti in Congregazione, sì presenti che assenti, di tutti i mancamenti da me commessi in quest'ufficio, che per fare la volontà di Dio ho esercitato in tanti anni... Sì, mio caro Gesù, io, benché peccatore, spero di venire presto a godervi nel santo Paradiso, darvi, nel punto della mia morte, un santo abbraccio, per stare poi sempre unito con voi in perpetuas aeternitates... E vi raccomando adesso per sempre la povera Congregazione, che è frutto della vostra Croce, Passione e Morte. Vi prego a dare a tutti i Religiosi e benefattori di essa la vostra santa benedizione.

7° E voi, o Vergine Immacolata, Regina dei Martiri, per quei dolori che provaste nella Passione del vostro amabilissimo Figlio, date la vostra materna benedizione a tutti, mentre io li ripongo e lascio sotto il manto della vostra protezione.

Ecco, dunque, Fratelli miei cari, quali sono i ricordi che io vi lascio con tutto il povero mio cuore. Io vi lascio e vi starò attendendo tutti nel santo Paradiso, dove pregherò per la Santa Chiesa, per il Sommo Pontefice, nostro Santo Padre, per la Congregazione e benefattori: e vi lascio tutti, presenti ed assenti, colla mia benedizione:

" +Benedictio Dei Omnipotentis, Patris, et Filii, et Spiritus Sancti, descendat super vos et maneat semper."

(Process. Apost. - Summ. pag. 863 e segg.)




"Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste."

- Mario Palmaro -





























Buona giornata a tutti :-)






martedì 17 dicembre 2013

Tu sei il medico, io il malato - Sant’Agostino -



Me infelice! Signore, abbi pietà di me.
Tu vedi le mie ferite, non le nascondo.
Tu sei il medico, io il malato.
Tu sei misericordioso, io miserabile.
La vita dell’uomo sulla terra è veramente una prova!
Chi potrebbe desiderare pane e affanni?
Tu comandi di sopportarli,
non di amarli…
Nell’avversità aspiro alla gioia;
nella gioia temo l’avversità.
Tra questi due estremi,
esiste forse un punto di equilibrio,
in cui la vita umana non sia una prova?
Signore, tutta la mia speranza
risiede unicamente
nella profondità della tua misericordia!

(Sant’Agostino)
Confessioni, X, 28-29




Quando siamo nella prova guardiamo alla Croce di Cristo: lì troviamo il coraggio per poter continua a camminare....

Papa Benedetto XVI



“La gente è costretta a vivere in luoghi dove non ha più il minimo controllo su quello che mangia e quello che si mette addosso, sullo spazio che occupa. Tutti sono in prestito tutto il tempo, devono comprare quello che gli serve e non gli basta mai, gli sembra di avere sempre bisogno di altro.” 

(Andrea De Carlo, Due di due, 1989) 




E mentre noi cerchiamo sempre altri segni, altri prodigi, non ci accorgiamo che il vero Segno è Lui, Dio fatto carne, è Lui il più grande miracolo dell'universo tutto l'amore di Dio racchiuso in un cuore umano....

Papa Benedetto XVI

Donami la tua presenza

Signore, Padre santo e buono, concedimi:
un'intelligenza che ti conosca,
un cuore che ti senta, 
uno spirito che ti gusti,
una sapienza che ti trovi,
un ardore che ti cerchi,
un'anima che ti comprenda,
occhi del cuore che ti vedano,
una vita che ti sia gradita,
una perseveranza che ti attenda,
una morte santa.
Donami la tua presenza,
la santa resurrezione,
una buona ricompensa:
la vita eterna. Amen.

(Da un libro di preghiere del IX secolo)



Buona giornata a tutti :-)













sabato 2 novembre 2013

Il giorno dei morti ed il silenzio di Dio - Iacono Alfonso Maurizio -

Appartengo alla generazione dei bambini del Sud che ricevevano i doni il giorno dei morti. Babbo Natale era ancora lontano così come il Nord. 
La notte prima dell’arrivo dei morti che portavano i doni, quasi non si dormiva. Eccitazione, ma anche paura. Mia nonna mi raccontava che arrivavano in fila, con un lenzuolo e con una candela. Sotto le coperte, ad ogni minimo rumore, chiudevo gli occhi, curiosi e nello stesso tempo impauriti. Vinto dal sonno, crollavo. 
Al risveglio, erano tutti lì, mio padre, mia madre, i miei nonni, i miei zii. 
Sì, perché non stavo in una famiglia, come si dice oggi, mononucleare. Abitavamo tutti insieme, in una grande casa, nel palazzo dei mutilati (mio nonno era stato ardito nella prima guerra mondiale ed erano stato ferito e reso invalido), davanti a una piazza, il vero luogo della mia vita di bambino, che si affacciava sulla Valle dei Templi e sul mare (ancora oggi, ma qualche palazzo in più e nel mezzo mi fa usare l’imperfetto). Erano tutti lì ad aspettare. Sì perché i regali erano nascosti da qualche parte ed io dovevo scoprirli. E poi la gioia. Ricordo come fosse oggi la volta che trovai la mia adorata bicicletta, una Frejius 18, mentre il mio amico d’infanzia Pino, che stava nella porta accanto (un fratello per me), trovò una Bianchi 18. Le avevano portate i morti. Ci credevo e non ci credevo. Volevo crederci. In fondo poco importava se era vero oppure no. I doni erano veri e la bicicletta pure! In tarda mattinata, al cimitero. Pesante odore di candele, di fiori, di urla e di pianti. Donne vestite di nero gettate sulle tombe. 
Orfanelle in fila per due, con l’aria indifferente, costrette a pregare per dei morti di cui non sapevano nulla. 
Non mi piaceva la spettacolare teatralità della morte socializzata e ammucchiata. Eppure, i doni dei morti convivevano con i pianti dei vivi, così, con naturalezza. La morte fu una misteriosa sparizione quando morì troppo presto la madre di Pino. 
La prima persona morta che vidi fu invece la nonna di un mio vicino di casa. Alla notizia, io e Pino entrammo. Eravamo curiosi. Non ci toccava il dolore dei parenti. Volevamo solamente vedere cosa si provava a vedere un morto vero. Sembrava che dormisse. 
Questa volta a scomparire fu il mistero della morte. E poi, forse come tutti i bambini che stanno per strada, ne vidi altri. Uno per strada, un altro al mare annegato. E poi morì Ignazio. Giocava con noi, ma era malato e deformato dalla malattia. Non so esattamente cosa avesse, ma lo ricordo pieno di ferri, muoversi e camminare con difficoltà. Un giorno ci dissero che era morto. Andammo a casa sua e vedemmo Totuccio piangere senza consolazione. 
Era il suo migliore amico. 
E poi, con il passare degli anni, i morti aumentano. 
I nonni, i genitori, i tuoi maestri, alcuni dei tuoi migliori amici. Non ho subito i traumi di morti violente e ingiuste, così come è capitato ad altri, ma nel tempo, il senso dell’irreversibile si fa sempre più grande e ingombrante. 
E con esso, il rimpianto di non avere detto o fatto cose che non puoi più dire e fare. Per nove anni sono stato preside di facoltà e mi è toccato preparare e fare molti discorsi per il funerale di molti colleghi, amici, maestri. Pronunciarli in pubblico, davanti alla bara, in un’atmosfera irreale, perché la bara dà il senso dell’irrealtà. Il morto è là dentro, ma non lo vedi fisicamente. E’ un assente che è presente con pesantezza. 
Un assurdo, tanto più assurdo se il cadavere che sta dentro è un tuo amico o tuo padre. 

Ho paura della morte? Sì! A volte penso che vorrei arrivarci talmente affaticato da poterla accettare per stanchezza. 

Lucio Magri, che mi ha molto insegnato in politica e nella vita, ha voluto decidere la sua morte. Non voleva perdere il controllo di sé e del suo destino. Non voleva più vivere. Rispetto la sua decisione e la comprendo, ma non credo che farei lo stesso. Non solo perché la vita non appartiene soltanto a me, essendo padre di tre figli, ma anche perché forse con la morte bisognerebbe fare come i siciliani fanno con lo scirocco quando lo scirocco spira da terra ed è caldo, molto caldo. 
Se ti ci metti contro, ti prende l’ansia e forse anche il panico, se ti lasci attraversare da esso, se lo accetti, allora quel caldo che spira e ti avvolge diventa dolce, ti rallenta e ti fa chiudere gli occhi non per paura, ma perché sei dentro e nello stesso tempo quasi ti annulli nell’ondata d’aria calda. Allora forse puoi morire. Lotti contro la morte se accetti di non essere il centro dell’universo, ma per noi occidentali, educati alla cultura dell’onnipotenza è difficile. Non sono credente ma non mi hanno mai consolato quegli artifizi filosofici secondo cui non bisogna avere paura della morte perché dove c’è lei tu non ci se e viceversa. Non ho tutta questa sicurezza materialistica da consolarmi pensando che faccio parte di un mondo più grande e che il mio corpo ritornerà alla natura. 
L’idea di non esistere mi fa rabbia e paura, ma non posso credere in un’altra vita solo perché provo rabbia e paura. Non con la mia testa. E neanche per amore di un dio che non conosco e da cui non sono conosciuto. Detesto l’idea che un dio sia onnipotente. Mi piace di più quel che hanno da dire gli ebrei (e con essi anche alcuni cristiani di oggi): il rapporto con dio è basato sull’incertezza, sull’improvvisazione, sull’incompiutezza. 
Questo è ciò che dice André Neher rivendicando il silenzio di dio dopo Auschwitz, dopo cioè che bambini innocenti sono stati divorati dalla macchina dell’orrore nazista, dopo che il dio degli ebrei restò muto, mentre il suo popolo veniva stritolato nei Lager. Hans Jonas, dopo Auschwitz, rivendica un dio non più onnipotente, ma buono, incapace di fermare il male che non ha voluto, ma capace di soffrire con gli uomini. 
Del resto, la rabbia di Cristo che, in punto di morte, si dispera perché il padre lo ha abbandonato (Marco, 15, 34; Matteo, 27, 46), è l’espressione di un fallimento e di una delusione. E’ in questa condizione umana che vedo il divino. Un divino che non può essere confinato al regno dei credenti, ma richiama la responsabilità tutta umana nei confronti del male che facciamo e che subiamo proprio perché dio, essendosi ritirato, non c’è e non vuole esserci. Posso amare solo un dio che fallisce oppure un dio che sa ritrarsi. Poco mi importa che esista oppure no.

Prof. Alfonso Maurizio Iacono
(Agrigento, 16 settembre 1949) è un filosofo italiano. Ordinario di Storia della Filosofia all'Università di Pisa, nell'anno accademico 2002-2003 è stato Visiting Professor all'Université de Paris 1 (Sorbonne-Panthéon). È attualmente Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Pisa.


Casorati, Il giorno dei morti


Il Credo dell'uomo che soffre

Credo che Cristo ha sofferto per noi lasciandoci l'esempio,
perchè anche noi seguiamo le sue orme.
Credo che Cristo crocifisso,
pazzia per la sapienza di questo mondo,
è la potenza e la sapienza di Dio.
Credo che, accettando con amore la sofferenza,
compio in me la passione di Cristo
per la crescita del suo corpo che è la Chiesa.
Credo che tutto coopera al bene
per coloro che amano Dio.
Credo che la nostra tribolazione momentanea e di breve peso
ci procura uno smisurato dono di gioia.
Credo che chi soffre con Cristo
con lui sarà glorificato.
Credo che chi muore con Cristo
con lui pure risorgerà.
Credo che Dio farà cieli nuovi e terra nuova
in cui asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi:
e allora la morte non ci sarà più,
né lutto, né pianto ci saranno più.
Credo che vedremo Dio faccia a faccia;
che nella mia carne contemplerò il Signore,
mio redentore e mia salvezza".




Con la pietà verso i defunti noi saziamo la fame ed estinguiamo la sete di quelle anime; pagando i loro debiti, noi veniamo come a spogliarci dei nostri tesori spirituali per rivestirne esse; noi le liberiamo da una schiavitù più dura che qualsiasi prigionia; noi diamo ospitalità a quei pellegrinanti nella casa stessa di Dio, il Cielo. Venendo il giorno del Giudizio, si alzerà un coro di voci che giustificherà noi stessi. 

- S. Francesco di Sales -



Se mi chiedessero quale certezza vorrei avere in punto di morte, risponderei che l'unica a rendermi sereno il trapasso sarebbe la certezza di aver distribuito agli uomini la speranza. 

- Balducci don Ernesto -



Filotea per i defunti:
San Tommaso dice che la preghiera per i morti è più accetta di quella per i vivi, perché i Defunti, che hanno grande bisogno, non possono aiutarsi da se stessi, come lo possono i vivi.





Cos'è il morire?
Me ne sto sulla riva del mare, una nave apre le vele alla brezza del mattino e parte per l'oceano.
E' uno spettacolo di rara bellezza e io rimango ad osservarla fino a che svanisce all'orizzonte...
 
e qualcuno accanto a me
 dice: 
"E' andata!".
Andata! Dove? 
E' sparita dalla mia vista: questo è tutto.
Nei suoi alberi, nella carena e nei pennoni essa è ancora grande come quando la vedevo, e come allora è in grado di portare a destinazione il suo carico di esseri viventi.
Che le sue misure si riducano fino a sparire del tutto 
è qualcosa che riguarda me, non lei, e proprio nel momento in cui qualcuno accanto a me dice, "E' andata!" 
ci sono altri che stanno scrutando il suo arrivo, 
e altri voci levano un grido di gioia: 
"Eccola che arriva!".
E questo è il morire.

(Bishop Brent)



Indulgenza plenaria per i defunti

Possiamo acquistare a favore delle anime del Purgatorio l'indulgenza plenaria (una sola volta) dal mezzogiorno del 1° novembre fino a tutto il giorno successivo vistando una chiesa e recitando il Credo e il Padre Nostro. Sono inoltre da adempiere queste tre condizioni:
*confessione sacramentale Questa condizione può essere adempiuta parecchi giorni prima o dopo. Con una confessione si possono acquistare più indulgenze plenarie, purché permanga in noi l'esclusione di qualsiasi affetto al peccato, anche veniale.
*comunione eucaristica
*preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice recitando Padre Nostro e Ave Maria
La stessa facoltà alle medesime condizioni è concessa nei giorni dal 1° all' 8 novembre al fedele che devotamente visita il cimitero e anche soltanto mentalmente prega per i fedeli defunti.



Buona giornata a tutti. :-)