«Abbà Eulogio diceva al suo discepolo:
Figlio, poco alla volta, esercitati a restringere il tuo ventre, grazie al
digiuno.
Infatti, come un otre disteso diventa più sottile, così ugualmente il
ventre quando riceve molto cibo. Ma se ne riceve poco, si riduce ed esige
sempre poco».
Questa parabola dei Padri del deserto egiziano illustra in modo
pittoresco la genesi ascetica del digiuno.
Da questa radice universale si è
ramificata una prassi religiosa che ha i suoi vertici nel Kippur ebraico, la
grande giornata penitenziale, totale astensione alimentare, sessuale e
lavorativa, nel Ramadan islamico, uno dei "cinque pilastri" della
fede musulmana, e soprattutto nell'ininterrotta tradizione cristiana.
La
secolarizzazione moderna ha ridotto questo atto spirituale prima ancora che
corporale alla dieta o alla platealità di certi digiuni politici più
spettacolari che genuini o, peggio ancora, al dramma dell'anoressia.
In realtà
tutte le grandi religioni sono fermamente convinte che digiunare è un atto di
sua natura simbolico, nel senso più genuino del termine.
Pensiamo solo alla
lapidaria e incisiva dichiarazione di Isaia: «È questo il digiuno che il
Signore vuole: sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo,
rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con
l'affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi
nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne» (58, 6-7).
Oppure
si pensi all'ironia di Gesù nei confronti di un'astinenza meramente ritualistica
che ti fa «assumere un'aria malinconica, sfigurare la faccia» a cui egli oppone
paradossalmente «il profumarsi la testa e il lavarsi il viso» (Matteo 6,
16-17) perché il digiuno non sia farsa ma decisione intima che esprime
autodisciplina, liberazione dal consumismo, dall'egoismo, dalla logica del
possesso, dalle false necessità, ma anche purificazione dello spirito,
controllo di sé, dominio dei sensi.
Gli stessi Padri del deserto non
esitavano a dichiarare che «è meglio bere vino con umiltà che bere acqua con
orgoglio».
Lo stesso islam con la voce di uno dei suoi grandi maestri mistici,
al-Ghazali (1058-1111), ammoniva che il vero digiuno è astenersi dai peccati
della lingua e degli altri membri, anzi è liberarsi da «tutto ciò che non
è Dio».
Persino la tradizione indù con Gandhi - che aveva dimostrato anche
l'efficacia "politica" del digiuno - si muoveva in questa linea: «Il
digiuno non ha senso se non educa alla sobrietà e se non è accompagnato da un
costante desiderio di autodisciplina. Colui che ha soggiogato i sensi è il
primo e più importante tra gli uomini. Tutte le virtù risiedono in lui».
È,
in questa luce, che il digiuno per la pace voluto da Giovanni Paolo II assume
un segno universale esteriore perché l'umanità ne riscopra il valore esistenziale
ultimo di purificazione da quel male estremo che è l'odio, la violenza, la
guerra e ritrovi la purezza della fraternità solidale, della condivisione e
dell'amore. Un'arma non offensiva che si erge contro le armi degli eserciti con
una sua potenza trascendente, personale e sociale.
- cardinale Gianfranco Ravasi -
Nel Salmo 50 (51), che è una supplica
penitenziale, noi troviamo il senso di Dio e il senso del peccato, l’orrore per
il male commesso e la speranza del perdono di Dio, la miseria umana e la
misericordia divina.
La supplica penitenziale è espressione
di un cammino penitenziale: la penitenza scaturisce dal pentimento, è legata
alla "conversione", produce una progressiva purificazione del cuore,
è funzionale alla carità: «Beato colui che digiuna per nutrire il povero»
(Origene).
La vita cristiana è una penitenza
permanente perché è una conversione continua e perché Cristo ha detto a chi
vuol seguirlo di «prendere ogni giorno la propria croce».
Il valore della
penitenza è di estrema attualità: la pratica della penitenza oggi promuove una
cultura alternativa all’edonismo imperante; costituisce un rimedio all’attuale
fragilità della persona che non è stata educata al sacrificio; educa alla
tolleranza, alla capacità di «portare gli uni i pesi degli altri»; riforma la
società dell’opulenza educando alla sobrietà, all’apertura ai bisogni
dell’altro, al "digiuno" del cibo sovrabbondante, delle parole
inutili, degli spettacoli fatui, delle spese superflue.
Di questa penitenza
abbiamo bisogno.
- Mons. Giuseppe Greco -
Buona giornata a tutti. :-)
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