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sabato 8 aprile 2023

Il nostro vanto è nella croce di Gesù - Sant'Agostino

La passione del Signore nostro Gesù Cristo è pegno sicuro di gloria e insieme ammaestramento di pazienza. 
Che cosa mai non devono attendersi dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli! Infatti il Figlio unigenito di Dio, coeterno al Padre, sembrandogli troppo poco nascere uomo dagli uomini, volle spingersi fino al punto di morire quale uomo e proprio per mano di quegli uomini che aveva creato lui stesso.

Gran cosa è ciò che ci viene promesso dal Signore per il futuro, ma è molto più grande quello che celebriamo ricordando quanto ha già compiuto per noi. Dove erano e che cosa erano gli uomini, quando Cristo morì per i peccatori?

Come si può dubitare che egli darà ai suoi fedeli la sua vita, quando per essi non ha esitato a dare anche la sua morte? Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di un Dio morto per gli uomini? Chi è infatti Cristo, se non quel Verbo "che era in principio e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio"? (Gv 1, 1). Ebbene, questo Verbo di Dio "si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1, 14).  Egli non aveva nulla in se stesso per cui potesse morire per noi, se non avesse preso da noi una carne  mortale. In tal modo egli immortale poté morire, volendo dare la vita per i mortali. Rese partecipi della sua vita quelli di cui aveva condiviso la morte. Noi infatti non avevamo di nostro nulla da cui aver la vita, come lui non aveva nulla da cui ricevere la morte.  Donde lo stupefacente scambio: fece sua la nostra morte e nostra la sua vita. Dunque non vergogna, ma fiducia sconfinata e vanto immenso nella morte di Cristo.

Prese su di sé la morte che trovò in noi e così assicurò quella vita che da noi non può venire. Ciò che noi avevamo meritato per il peccato, lo scontò colui che era senza peccato. E allora non ci darà ora quanto meritiamo per giustizia, lui che è l'artefice della giustificazione? Come non darà il premio ai santi, lui, fedeltà personificata, che senza colpa sopportò la pena dei cattivi? Confessiamo, perciò, o fratelli, senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia; non con rossore, ma con fierezza. L'apostolo Paolo lo comprese bene e lo fece valere come titolo di gloria. Poteva celebrare le più grandi e affascinanti imprese del Cristo.
Poteva gloriarsi richiamando le eccelse prerogative del Cristo, presentandolo quale creatore del mondo in quanto Dio con il Padre, e quale padrone del mondo in quanto uomo simile a noi. Tuttavia non disse altro che questo: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo" (Gal 6, 14).

- Sant'Agostino -



"Guardiamo a Cristo trafitto in Croce! E’ Lui la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che mendica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi. 
L’apostolo Tommaso riconobbe Gesù come “Signore e Dio” quando mise la mano nella ferita del suo costato. Non sorprende che, tra i santi, molti abbiano trovato nel Cuore di Gesù l’espressione più commovente di questo mistero di amore. Si potrebbe addirittura dire che la rivelazione dell’eros di Dio verso l’uomo è, in realtà, l’espressione suprema della sua agape. 
In verità, solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti. Gesù ha detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). 
La risposta che il Signore ardentemente desidera da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lasciamo attrarre da Lui. Accettare il suo amore, però, non basta. Occorre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo agli altri: Cristo “mi attira a sé” per unirsi a me, perché impari ad amare i fratelli con il suo stesso amore."

- papa Benedetto XVI - 
Messaggio per la Quaresima 2007



Dalla Croce Gesù propone in positivo un altro tipo di umanità: è l'umanità di chi vive la beatitudine dei miti e degli operatori di pace, di chi accetta di portare la croce quotidiana dietro al suo Signore.

- Cardinale Carlo Maria Martini - 



Teco vorrei Signore 
oggi portar la Croce;
nella Tua doglia atroce 
io ti vorrei seguir.
Ma sono infermo e lasso
donami, deh, coraggio
acciò nel mesto viaggio
non m'abbia da smarrir...



Buona giornata a tutti. :-) 

giovedì 6 aprile 2023

Farò la Pasqua da te, Omelia della Messa "In Coena Domini" - Cardinale Carlo Maria Martini

Siamo riuniti in questo Duomo per rivivere ancora una volta con Gesù la sua "ora", l'ora di passare da questo mondo al Padre, per rivivere l'ultima sera trascorsa da Gesù con i suoi, per riascoltare la parola riportata dal testo evangelico e che Gesù ripete a ciascuno di noi in questo momento: "Farò la Pasqua da te", ti voglio a cena con me. 
Ci siamo riuniti per contemplare ancora una volta quel gesto inaudito della lavanda dei piedi, gesto che io stesso ho compiuto per esprimere ai nostri fratelli senza tetto e senza fissa dimora l'amore di Gesù per loro, la tenerezza infinita di Dio, l'affetto della Chiesa, l'attenzione della società.

La liturgia ambrosiana del Giovedì santo richiama diversi eventi della passione di Gesù dall'ultima Cena al rinnegamento di Pietro. Ma in questo Anno santo ci lasciamo muovere dal suggerimento del santo Padre. Egli, nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì santo, che ha voluto firmare dal Cenacolo, scrive: "A duemila anni dalla nascita di Cristo, in questo Anno giubilare, dobbiamo in modo particolare ricordare e meditare la verità di quella che potremmo chiamare la sua nascita eucaristica. Il Cenacolo è appunto il luogo di questa nascita: qui è cominciata per il mondo una presenza nuova di Cristo, una presenza che si produce ininterrottamente, dovunque è celebrata l'Eucaristia e un sacerdote presta a Cristo la sua voce, ripetendo le parole sante dell'istituzione... Ne vogliamo oggi prendere coscienza con il cuore colmo di stupore e di gratitudine, e con tali sentimenti entrare nel Triduo pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo" (13).

Siamo dunque invitati dalle parole del Papa ad approfondire la coscienza di questo dono immenso che è il cuore della vita ecclesiale ed è il cuore del mondo; l'Eucaristia è come il punto da cui tutto si irradia e a cui tutto conduce.

L'ORA DI GESÙ

Vorrei partire dal gesto della lavanda dei piedi, raccontato solo da Giovanni, l'evangelista che parla più ampiamente dell'ultima sera trascorsa da Gesù con i suoi. Egli ci fa comprendere come finalmente sia giunta l'ora tanto attesa da Gesù, ora ardentemente desiderata, accuratamente preparata, spesso annunciata: l'ora di mostrarci il suo amore infinito consegnandosi a chi lo tradisce, l'ora del dono supremo della sua libertà.

L'evangelista infatti sottolinea che "il Padre gli ha dato tutto nelle mani" a indicare che Gesù è pienamente libero di scegliere per amore quello che accadrà, di confermare la scelta fatta dopo il Battesimo nel Giordano: la scelta di rinunciare a un messianismo di potere e di preferire la via della croce. In quella notte in cui si compie tale scelta, Gesù avverte il bisogno di aprirsi, di confidarsi con i suoi, di parlare loro a lungo del Padre, dello Spirito santo, di affidare loro i segreti del suo Cuore.

Ma ecco che prima di iniziare i discorsi di addio, di lasciarci le parole più profonde che siano state pronunciate nella storia dell'umanità, pone in atto il misterioso gesto: si mette in ginocchio e lava i piedi ai suoi. Un gesto che tiene addirittura il posto, nel vangelo di Giovanni, dell'istituzione dell'Eucaristia, perché sta a significare ciò che avviene nell'Eucaristia e ciò che avverrà sul Calvario. Nella lavanda dei piedi ai discepoli, noi contempliamo la manifestazione dell'Amore Trinitario in Gesù che si umilia, si mette a disposizione dell'uomo, di tutti gli uomini, rivelandoci cosi che Dio è "umile" e manifesta la sua onnipotenza e la sua suprema libertà anche nell'apparente debolezza. In Gesù che lava i piedi è simboleggiato il mistero dell'Incarnazione, dell'Eucaristia, della Croce; e ci chiede di imitarlo, ci insegna che attraverso un umile servizio di amore ai fratelli noi possiamo trasformare il mondo e offrirlo al Padre in unione con la sua offerta.

Questo servizio noi l'abbiamo vissuto in maniera particolare poco fa, pensando ai nostri fratelli senza tetto e senza fissa dimora. E' un grave problema che riguarda la società civile, la nostra città, l'area metropolitana, la regione. Le autorità civili, la Chiesa e il volontariato cercano di fare quanto possono, ma il problema rimane grave. Per questo visiterò, subito dopo la Messa, e porterò l'augurio di Pasqua ad alcune istituzioni in cui volontariato e città si sforzano di dare qualche risposta ai bisogni primari di tanti nostri fratelli e sorelle, per invitare ciascuno a un impegno sempre più deciso a favore di questa dolorosa emergenza.

L'EUCARISTIA

Il brano di Matteo e il testo di san Paolo ci riferiscono l'istituzione dell'Eucaristia. Il racconto è molto semplice, quasi scarno, ma il contenuto è straordinario.

Nel corso dell'ultima Cena Gesù prende il pane, rende grazie a Dio, lo spezza e dice: "Questo è il mio corpo". Dopo aver cenato prende anche il calice e dice: "Questo è il mio sangue dell'alleanza". Nelle sue mani il pane e il vino diventano lui stesso. Quando dunque mette un pezzetto di quel pane nelle mani di Pietro, di Giovanni, di Andrea, di Giuda, è come se dicesse: "Sono io, non temere, mi metto nelle tue mani, mi fido di te e mi affido a te, perché tu faccia una cosa sola con me".

E' un mistero incredibile, inaudito, che non finiremo mai di adorare e di contemplare: nell'Eucaristia, tu, Signore Gesù, ti consegni a noi totalmente, indipendentemente dai sentimenti con cui ti accogliamo. Come nel giorno della tua nascita a Betlemme ti sei rimesso completamente nelle mani di Maria, come nel Venerdì santo ti rimetterai nelle mani del Padre tuo, così nell'Ultima Cena, questa sera e ogni volta che riceviamo la comunione eucaristica, tu, Gesù ti abbandoni nelle nostre mani, nelle mie mani.

Per questo il Papa, nella Tertio millennio adveniente scrive: "Il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel seno di Maria venti secoli fa, continua a offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina" (55).

È davvero illimitato il desiderio del tuo cuore, o Signore, di entrare in comunione con noi!

LA BELLEZZA CHE SALVA

E anche se nelle ore dolorose e buie della passione, Gesù sembrerà in balìa degli eventi, in realtà egli regna sugli eventi e regnerà dalla croce. L'Eucaristia, nella quale annunciamo la morte del Signore e proclamiamo la sua risurrezione nell'attesa del suo ritorno, è il luogo in cui la Trinità continua a rivelarsi al mondo come Amore che salva, come Bellezza che salva.

Chiediamo dunque alla Madonna di prepararci ad accogliere Gesù nella comunione eucaristica come lo ha accolto lei, ad accoglierlo offrendogli tutta la nostra vita, tutta la nostra umanità affinché l'Eucaristia ci pervada e ci trasformi in oblazione gradita al Padre.

Chiediamo a Gesù, per intercessione di Maria, di sperimentare che l'Eucaristia è anche un mistero di comunione ecclesiale, di comunione con tutti coloro che condividono lo stesso pane e lo stesso calice. "O Gesù, tu che al termine dell'Ultima Cena, hai rivolto al Padre tuo la grande preghiera per l'unità di tutti i membri del tuo Corpo, aiutaci a comprendere che questa unità nasce dall'Eucaristia e ad essa si alimenta".

Mi piace concludere con alcune parole del Papa nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì santo, là dove dice ai sacerdoti: "Facciamo riscoprire il tesoro dell'Eucaristia alle nostre comunità specialmente nella celebrazione della solenne assemblea domenicale. Cresca, grazie al vostro lavoro apostolico, l'amore a Cristo presente nell'Eucaristia. È un impegno che assume una rilevanza particolare in questo Anno giubilare". Il Papa annuncia poi, in questo contesto, il Congresso Eucaristico internazionale che si terrà a Roma nel prossimo mese di giugno. Congresso che "evidenzierà l'intimo rapporto tra il mistero dell'incarnazione del Verbo e l'Eucaristia, sacramento della reale presenza di Cristo" (15).

"O Maria, Madre dell'Eucaristia, rendici partecipi della tua lode e del tuo canto di grazie per il tesoro stupendo dell'Eucaristia". 

Duomo di Milano, 20 aprile 2000


In ginocchio con fare umile lavasti i piedi dei tuoi apostoli.
Anche quelli di Giuda baciasti con lo stesso amore che mostrasti per Pietro e per tutti quei figli spirituali che sarebbero scappati dopo poche ore lasciandoti solo.
In ginocchio, senza vergogna, con la semplicità di un amore che sa solo donare.
Cenasti con loro, ceni con noi, 
e ancora oggi sappiamo scappare ma non inginocchiarci.
Sappiamo amare chi ci dona ma allontaniamo chi non ricambia.
Solo, in quel giardino.
Solo davanti alla prova.
Solo davanti alla gratuita violenza.
Solo senza un lamento, senza rabbia, 
con dolcezza infinita donasti a chi ti aveva rinnegato 
il mandato di pastore di questo gregge.
Solo sulla croce, un vento leggero, la Trinità é compiuta.


Buon Giovedì del triduo Pasquale.


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giovedì 30 marzo 2023

L' attesa si fa silenzio - cardinale Angelo Comastri

                          

O Gesù, mi fermo pensoso ai piedi della croce: 
anch’io l’ho costruita con i miei peccati!
La tua bontà, che non si difende e si lascia crocifiggere, 
è un mistero che mi supera e mi commuove profondamente.
Signore, Tu sei venuto nel mondo per me, 
per cercarmi, per portarmi l’abbraccio del Padre. 
Tu sei il Volto della bontà e della misericordia: 
per questo vuoi salvarmi! 
Dentro di me ci sono le tenebre: 
vieni con la tua limpida luce.
Dentro di me c’è tanto egoismo: 

vieni con la tua sconfinata carità. 
Dentro di me c’è rancore e malignità: 
vieni con la tua mitezza e la tua umiltà. 
Signore, il peccatore da salvare sono io: 
il figlio prodigo che deve ritornare, sono io!
Signore, concedimi il dono delle lacrime
per ritrovare la libertà e la vita,
la pace con Te e la gioia in Te.
Amen.

- Card. Angelo Comastri -



Io aspetto, aspetto. Aspetto la Tua risposta. [...]

E' come se entrassi in un luogo, in cui si è fermato qualcuno che amo. 
Ma ora è partito e mi ha lasciato un biglietto: Aspettami, arrivo! [...]
Lui non può mai scomparire. Lui arriva. [...]
Nel mezzo di questa desolazione emerge all'improvviso un pensiero: per me si prepara qualcosa di nuovo. [...]

Così dal vuoto si sviluppa un nuovo spazio per l'incontro con Dio. L'abisso della Sua misericordia inghiotte l'abisso della mia debolezza.[...]
Questo non è una consolazione, ma è la salvezza, l'incoraggiamento e l'esortazione: tieni duro, non cedere, aspetta!
L'impotenza mi spoglia del mio egoismo. [...]
L'impotenza non è una passività pura e semplice. Questa è la tragedia dell'uomo generoso che non può fare il bene, nè vincere il male. Ma proprio questa impotenza è stata redenta. [...]
Solo la disperazione estrema può distruggere tutto. [...]
E l'incarnazione di Gesù è il mistero dell'impotenza, l'impotenza dell'amore. [...]
L'attendere è la sola attività necessaria dell'uomo che è impotente. 
L'ultima risposta al mistero dell'impotenza è la fede in Cristo Risorto.

- Josef Zverina -
1913-1990, Attività e impotenza 
"The Invisible World" PPS IV, 13





"L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno."

- Papa Benedetto XVI -
Messaggio per la Quaresima 2008



Più forte della morte è l’amore.
Più forte della morte è la vita
In silenziosa adorazione di questo sconvolgente Mistero....




Chiniamo il capo e aspettiamo in preghiera......  
il Signore non si farà attendere......


Buona giornata a tutti. :-)

domenica 5 marzo 2023

Donna non piangere - don Luigi Giussani

 Quella sera Gesù fu interrotto, fermato nel suo cammino al villaggio cui era destinato, cui si era destinato, perché c’era un pianto altissimo di donna, con un grido di dolore che percuoteva il cuore di tutti i presenti, ma che percuoteva, che ha percosso innanzitutto il cuore di Cristo.
«Donna, non piangere!». Mai vista, mai conosciuta prima.
«Donna, non piangere!». Che sostegno poteva avere quella donna che ascoltava la parola che Gesù diceva a lei?
«Donna, non piangere!»: quando si rientra in casa, quando si va sul tram, quando si sale sul treno, quando si vede la coda delle automobili per le strade, quando si pensa a tutta la farragine di cose che interessano la vita di milioni e milioni di uomini, centinaia di milioni di uomini… 
Come è decisivo lo sguardo che un bambino o un grande «grande» avrebbero portato a quell’uomo, che veniva in capo a un gruppetto di amici e non aveva mai visto quella donna, ma si è fermato quando il suono, il riverbero del pianto è giunto fino a Lui! «Donna, non piangere!», come se nessuno la conoscesse, come se nessuno la riconoscesse più intensamente, più totalmente, più decisivamente di Lui!
«Donna, non piangere!». Quando vediamo – come vi ho detto prima – tutto il movimento del mondo, nel cui fiume, nei cui ruscelli tutti gli uomini si rendono presenti alla vita, rendono presente la vita a sé, l’incognita della fine non è altro che l’incognita del come si è giunti a questa novità, quella novità che fa trovare un uomo, fa incontrare un uomo mai visto che, di fronte al dolore della donna che vede per la prima volta, le dice: «Donna, non piangere!». «Donna, non piangere!».
«Donna, non piangere!»: questo è il cuore con cui noi siamo messi davanti allo sguardo e davanti alla tristezza, davanti al dolore di tutta la gente con cui entriamo in rapporto, per la strada o nel viaggio, nei nostri viaggi.
«Donna, non piangere!». Che cosa inimmaginabile è che Dio – “Dio”, Colui che fa tutto il mondo in questo momento –, vedendo e ascoltando l’uomo, possa dire: «Uomo, non piangere!», «Tu, non piangere!», «Non piangere, perché non è per la morte, ma per la vita che ti ho fatto! Io ti ho messo al mondo e ti ho messo in una compagnia grande di gente!».
Uomo, donna, ragazzo, ragazza, tu, voi, non piangete! 
Non piangete! C’è uno sguardo e un cuore che vi penetra fino nel midollo delle ossa e vi ama fin nel vostro destino, uno sguardo e un cuore che nessuno può fuorviare, nessuno può rendere incapace di dire quel che pensa e quel che sente, nessuno può rendere impotente!
«Gloria Dei vivens homo». La gloria di Dio, la grandezza di Colui che fa le stelle del cielo, che mette nel mare goccia a goccia tutto l’azzurro che lo definisce, è l’uomo che vive.
Non c’è nulla che possa sospendere quell’impeto immediato di amore, di attaccamento, di stima, di speranza. Perché è diventato speranza per ognuno che Lo ha visto, che ha sentito: «Donna, non piangere!», che ha udito Gesù dir così: «Donna, non piangere!».
Non c’è nulla che possa fermare la sicurezza di un destino misterioso e buono!
Noi siamo insieme dicendoci: «Tu, non t’ho mai visto, non so chi sei: non piangere!». Perché il pianto è il tuo destino, sembra essere il tuo destino inevitabile: «Uomo, non piangere!».
«Gloria Dei vivens homo»: la gloria di Dio – quella per cui sorregge il mondo, l’universo – è l’uomo che vive, ogni uomo che vive: l’uomo che vive, la donna che piange, la donna che sorride, il bambino, la donna che muore madre.
«Gloria Dei vivens homo». Noi vogliamo questo e nient’altro che questo, che la gloria di Dio sia palesata a tutto il mondo e tocchi tutti gli ambiti della terra: le foglie, tutte le foglie dei fiori e tutti i cuori degli uomini.
Non ci siamo mai visti, ma questo è ciò che vediamo tra noi, ciò che sentiamo tra noi.
Ciao! 

Luigi Giussani, 2002
Tracce



"La prima conseguenza del metodo da Dio operato per entrare nel mondo è l'esaltazione, il riconoscimento infinitamente esaltante il valore di ogni cosa, di qualunque dimensione sia, anche un pulviscolo. 

Per cui, siccome sul bicchiere lasciato lì in una notte ci stanno centinaia, centinaia, centinaia di pulviscoli, pensate che dignità ha adesso lavarlo e pulirlo: è la dignità dell'istante."

- Luigi Giussani -


«Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi,
il figlio dell’uomo perché te ne curi?». (Sal 8,5).
 
Nessuna domanda mi ha mai colpito, nella vita,
 
così come questa.
 
C’è stato solo un Uomo al mondo
 
che mi poteva rispondere,
 
ponendo una nuova domanda:
 
«Qual vantaggio avrà l’uomo
 
se guadagnerà il mondo intero
 
e poi perderà se stesso? 
O che cosa l’uomo potrà dare
in cambio di sé?» (Mt 16,26).

Nessuna domanda mi sono sentito rivolgere così, 
che mi abbia lasciato il fiato mozzato, 
come questa di Cristo!


Buona giornata a tutti :-)


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venerdì 3 marzo 2023

Digiuno e preghiera

Il digiuno non è sinonimo di dieta, occasione per perdere peso o rivendicazioni politiche. Il rapporto col cibo indica ben altro. 
Quando ci lanciamo sulle pietanze, quando consacriamo al cibo un’attenzione degna di ben altra causa, noi finiamo coll’aprire una finestra sulla nostra esistenza. 
Lo ammettiamo: siamo percorsi da un’ansia nevrotica, da un bisogno preoccupante di divorare, di riempirci, di colmare una fame profonda che nessun nutrimento riesce a calmare.
Ecco il digiuno: un rapporto diverso con il cibo, per avvertire finalmente necessità fondamentali che cerchiamo di coprire, per provare fame e sete di Dio, ma anche per vivere una condivisione più concreta con chi continuiamo a tenere fuori dalla nostra porta. 
È troppo tardi oggi per riappropriarci del digiuno come prassi che ci conduce a una misura alta della vita cristiana? Assolutamente no! Anzi è necessario riproporlo, riscoprire l’anima, l’attualità, la necessità e la fecondità di questa pratica che porta il cristiano sulla strada della conversione e dell’intercessione, della giustizia e della ricerca dell’unità. 
Il digiuno è una dimensione costante della vita cristiana che la Chiesa propone accanto alla preghiera e alla carità, anzi ha senso proprio in funzione della preghiera e della carità. 
Per questo è necessario chiedersi che cosa dice la Chiesa del digiuno. Come lo definisce, come lo pensa, come lo vive? Quali le ragioni e gli scopi di questa pratica? Scopriremo allora che l’originalità cristiana del digiuno sta nel suo essere vissuto come segno di conversione e di ritorno al primato dell’amore di Dio; nel suo essere vissuto in comunione viva con Cristo; nel suo essere animato dalla preghiera e orientato alla crescita della libertà, mediante il dono di sé nell’esercizio concreto della carità fraterna. 
Il digiuno, dunque, è in primo luogo una “terapia” per curare tutto ciò che impedisce di conformare se stessi alla volontà di Dio e ha come sua ultima finalità quella di aiutare ciascuno di noi a fare di sé dono totale a Dio. Da qui la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a non vivere più per se stesso, ma per Colui che lo amò e diede se stesso per lui, e anche a vivere per i fratelli (Paolo VI, Paenitemini, cap. I). 
Astenersi dal cibo consente al cristiano di esercitare e ribadire la sua libertà anche rispetto ai suoi bisogni fisici. 
Privarsi del cibo materiale che nutre il corpo facilita la disposizione interiore ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. 
Con il digiuno e la preghiera permettiamo a lui di venire a saziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e la sete di Dio. «Il digiuno svolge la fondamentale funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di che cosa viviamo, di che cosa ci nutriamo e di ordinare i nostri appetiti intorno a ciò che è veramente centrale. E tuttavia sarebbe profondamente ingannevole pensare che il digiuno – nella varietà di forme e gradi che la tradizione cristiana ha sviluppato: digiuno totale, astinenza dalle carni, assunzione di cibi vegetali o soltanto di pane e acqua – sia sostituibile con qualsiasi altra mortificazione o privazione» (Enzo Bianchi). 
Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. San Giovanni ammonisce: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio?» (1Gv 3,17). 
Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (Benedetto XVI, Deus caritas est, 15). 
Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo. 
Il digiuno rappresenta una pratica ascetica importante, un’arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. 
Il digiuno non è una dieta, non è una moda: la differenza è abissale. 
Privarsi volontariamente del piacere del cibo e di altri beni materiali aiuta il discepolo di Cristo a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d’origine, i cui effetti negativi investono l’intera personalità umana. Con la pratica del digiuno accogliamo l’invito del Maestro a vivere la nostra vita non come calcolo matematico, ma come abbandono provvidenziale a lui, senza alcuna ansia per le cose, ma in tensione verso l’altro e disponibili alle necessità dei poveri. 
Il senso autentico del digiuno ci inserisce in un cammino esodale di rinuncia a tutto ciò che è male e superfluo per immetterci in un percorso di gratuità, dono e condivisione vera. Riproponiamo pertanto il significato del digiuno secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù e secondo l’esperienza della Chiesa. Valorizzando il significato autentico e perenne di quest’antica pratica saremo aiutati a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge, compendio di tutto il Vangelo (Mt 22,34-40). Occorre, per questo, riscoprire l’identità originaria e lo spirito autentico del digiuno alla luce della Parola di Dio e della viva tradizione della Chiesa.  
Preghiera e digiuno non sono un peso o un dovere, ma piuttosto una celebrazione della bontà e della misericordia di Dio verso i suoi figli. Non resta altro che accettare l’invito a meditare sul digiuno, ma soprattutto a farne l’esperienza come atto d’amore nei confronti di Dio.

© Editrice Shalom s.r.l. 
© Libreria Editrice Vaticana (testi Sommi Pontefici) 
© 2008 Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena

 


Buona giornata a tutti :-)


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