Il digiuno non è sinonimo di dieta,
occasione per perdere peso o rivendicazioni politiche. Il rapporto col cibo
indica ben altro.
Quando ci lanciamo sulle pietanze, quando consacriamo al cibo
un’attenzione degna di ben altra causa, noi finiamo coll’aprire una finestra
sulla nostra esistenza.
Lo ammettiamo: siamo percorsi da un’ansia nevrotica, da
un bisogno preoccupante di divorare, di riempirci, di colmare una fame profonda
che nessun nutrimento riesce a calmare. Ecco il digiuno: un rapporto diverso
con il cibo, per avvertire finalmente necessità fondamentali che cerchiamo di
coprire, per provare fame e sete di Dio, ma anche per vivere una condivisione
più concreta con chi continuiamo a tenere fuori dalla nostra porta.
È troppo tardi oggi per riappropriarci del digiuno come prassi
che ci conduce a una misura alta della vita cristiana? Assolutamente no! Anzi è
necessario riproporlo, riscoprire l’anima, l’attualità, la necessità e la
fecondità di questa pratica che porta il cristiano sulla strada della conversione
e dell’intercessione, della giustizia e della ricerca dell’unità.
Il digiuno è
una dimensione costante della vita cristiana che la Chiesa propone accanto alla
preghiera e alla carità, anzi ha senso proprio in funzione della preghiera e
della carità.
Per questo è necessario chiedersi che cosa dice la Chiesa del
digiuno. Come lo definisce, come lo pensa, come lo vive? Quali le ragioni e gli
scopi di questa pratica? Scopriremo allora che l’originalità cristiana del
digiuno sta nel suo essere vissuto come segno di conversione e di ritorno al
primato dell’amore di Dio; nel suo essere vissuto in comunione viva con Cristo;
nel suo essere animato dalla preghiera e orientato alla crescita della libertà,
mediante il dono di sé nell’esercizio concreto della carità fraterna.
Il
digiuno, dunque, è in primo luogo una “terapia” per curare tutto ciò che
impedisce di conformare se stessi alla volontà di Dio e ha come sua ultima
finalità quella di aiutare ciascuno di noi a fare di sé dono totale a Dio. Da
qui la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni
cristiano a non vivere più per se stesso, ma per Colui che lo
amò e diede se stesso per lui, e anche a vivere per i fratelli (Paolo VI,
Paenitemini, cap. I).
Astenersi dal cibo consente al cristiano di esercitare e
ribadire la sua libertà anche rispetto ai suoi bisogni fisici.
Privarsi del
cibo materiale che nutre il corpo facilita la disposizione interiore ad
ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza.
Con il digiuno e la
preghiera permettiamo a lui di venire a saziare la fame più profonda che
sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e la sete di Dio. «Il digiuno svolge
la fondamentale funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di che cosa
viviamo, di che cosa ci nutriamo e di ordinare i nostri appetiti intorno a ciò
che è veramente centrale. E tuttavia sarebbe profondamente ingannevole pensare
che il digiuno – nella varietà di forme e gradi che la tradizione cristiana ha
sviluppato: digiuno totale, astinenza dalle carni, assunzione di cibi vegetali
o soltanto di pane e acqua – sia sostituibile con qualsiasi altra
mortificazione o privazione» (Enzo Bianchi).
Al tempo stesso, il digiuno ci
aiuta a prendere coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli.
San Giovanni ammonisce: «Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo
fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore
di Dio?» (1Gv 3,17).
Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Samaritano, che si china e va in soccorso del
fratello sofferente (Benedetto XVI, Deus caritas est, 15).
Scegliendo
liberamente di privarci di qualcosa per aiutare gli altri, mostriamo
concretamente che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo.
Il digiuno
rappresenta una pratica ascetica importante, un’arma spirituale per lottare
contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi.
Il digiuno non è
una dieta, non è una moda: la differenza è abissale.
Privarsi volontariamente
del piacere del cibo e di altri beni materiali aiuta il discepolo di Cristo a
controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d’origine, i cui
effetti negativi investono l’intera personalità umana. Con la pratica del
digiuno accogliamo l’invito del Maestro a vivere la nostra vita non come
calcolo matematico, ma come abbandono provvidenziale a lui, senza alcuna ansia
per le cose, ma in tensione verso l’altro e disponibili alle necessità dei
poveri.
Il senso autentico del digiuno ci inserisce in un cammino esodale di
rinuncia a tutto ciò che è male e superfluo per immetterci in un percorso di
gratuità, dono e condivisione vera. Riproponiamo pertanto il significato del
digiuno secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù e secondo l’esperienza della
Chiesa. Valorizzando il significato autentico e perenne di quest’antica pratica saremo aiutati a mortificare il nostro egoismo e ad
aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento
della nuova Legge, compendio di tutto il Vangelo (Mt 22,34-40). Occorre, per
questo, riscoprire l’identità originaria e lo spirito autentico del digiuno
alla luce della Parola di Dio e della viva tradizione della Chiesa.
Preghiera e digiuno non sono un
peso o un dovere, ma piuttosto una celebrazione della bontà e della
misericordia di Dio verso i suoi figli. Non resta altro che accettare l’invito
a meditare sul digiuno, ma soprattutto a farne l’esperienza come atto d’amore
nei confronti di Dio.
© Editrice Shalom s.r.l.
© Libreria Editrice Vaticana (testi Sommi
Pontefici)
© 2008 Fondazione di Religione Santi Francesco
d’Assisi e Caterina da Siena
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