Visualizzazione post con etichetta racconto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta racconto. Mostra tutti i post

mercoledì 3 ottobre 2018

Una nuvoletta in viaggio

In un giorno d'Autunno, il Vento soffiava dispettoso facendo volare le foglie. Una piccola Nuvoletta che stava passeggiando lì vicino, gli disse: "Ciao Vento, posso giocare con te?". 
Il Vento allora chiese: "Cosa potresti fare? Sai soffiare?". 
La nuvoletta ci provò: "...fff... fff... no non sono capace", disse sconsolata. Allora il Vento le rispose: "Tu non sei capace di soffiare come me, vattene via!". 
E la Nuvoletta se ne andò triste.
Più avanti incontrò l'Estate e il Sole splendeva luminoso nel cielo. Allora si avvicinò e disse: "Ciao Sole, posso giocare con te?". Ma il Sole seccato le rispose: "Non vedi che ti sei messa troppo vicina a me? Mi stai oscurando! Vattene via, tu non sei capace di splendere come me e nemmeno di creare calore!". 
E la Nuvoletta se ne andò sempre più triste.
Poco più in là c'era l'Inverno e la neve cadeva leggera, così la Nuvoletta si fermò e chiese: "Ciao Neve, posso giocare con te?". La Neve la squadrò dalla testa ai piedi e sussurrò: "Ma tu sei capace di far nevicare?". La nuvoletta ci provò e si sforzò talmente tanto che da grigia divenne nera, ma di Neve niente. "No, non credo di esserne capace", brontolò la nuvoletta emettendo un tuono. "Shhh!", la zittì la Neve, "allora non puoi aiutarmi. Io cado silenziosa, tu sei troppo rumorosa! Tu non sei capace di cadere leggera e coprire il paesaggio come me, vattene via!". 
E la Nuvoletta se ne andò ancora più triste.
Ormai era sconsolata, quando trovò la Primavera e sentì qualcuno piangere. Si chinò e vide un piccolo Fiorellino che singhiozzava disperato, allora si avvicinò e gli chiese il perché di tanta tristezza. E il Fiorellino rispose: "Ho sete, sto per morire, puoi aiutarmi?". "Non lo so, io non so fare quasi niente.., non so soffiare come il vento, non so splendere come il sole, non so cadere leggera come la neve, e nessuno mi vuole…". 
Così dicendo la Nuvoletta si mise a piangere e le sue lacrime diventarono tante gocce di pioggia, che dissetarono il Fiorellino. 
Da quel giorno la Nuvoletta e il Fiorellino diventarono molto amici e capirono di aver bisogno l'uno dell'altra per essere felici.



Alcuni di noi sono come l'inchiostro,
altri come la carta.
E se non fosse
per il nero di quelli,
qualcuno tra noi sarebbe muto;
e se non fosse per il bianco di questi,
qualcuno tra noi sarebbe cieco.
Se ci fossero due uomini uguali,
il mondo
non sarebbe grande abbastanza
da contenerli.

- Kahlil Gibran - 
 Le parole non dette


Buona giornata a tutti. :-)








martedì 2 ottobre 2018

La colonna del diavolo - Leggenda medievale


Tanto tempo fa, durante un inverno molto freddo, nel quartiere più povero della periferia di Praga viveva un uomo a cui accadde un'incredibile avventura.
Il poveretto si era recato nel bosco per raccogliere della legna, sperando di riuscire almeno a scaldare un po' la casa. Stava proprio attraversando il bosco immerso in questi tristi pensieri quando udì alle sue spalle scricchiolare le foglie sul terreno. Si voltò sospettoso, chiedendosi chi mai poteva avventurarsi nel bosco in quella gelida giornata.
Vide allora che dietro di lui camminava un uomo avvolto in un enorme mantello nero orlato di pelliccia, con il volto seminascosto dal cappuccio e le mani dentro un manicotto.
Quell'alta figura aveva in sé qualcosa di sinistro!
Il poveretto, spaventato, affrettò il passo ma non riuscì a distanziare quell'oscura figura. Tanto valeva, allora, affrontare la situazione rivolgendogli la parola. 
Peggio di così non poteva andare! Si rivolse quindi all'uomo incappucciato chiedendogli cortesemente se avesse smarrito la strada e se poteva in quel caso essergli d'aiuto.
L'altro lo guardò da dentro il suo scuro rifugio e gli rispose con un accento straniero: «No, io non sono uno che si perde facilmente. Ma voi piuttosto, con addosso quella vostra giacchetta, non avete freddo?».
Al pover'uomo non parve vero trovare qualcuno a cui raccontare la propria angoscia e così sfogò tutta la sua amarezza e il suo dolore per quella vita piena di stenti e di sacrifici.
«Vedete, anche ora non posso che raccattare un po' di legna, ma non so come sfamerò i miei figli rientrando a casa.»
Lo straniero pareva interessato alla storia e annuiva di tanto in tanto pronunciando parole di comprensione.
Quando il racconto giunse al termine vi fu un attimo di silenzio, durante il quale il povero si domandò se non fosse stato disdicevole andare a spiattellare tutta la sua miseria ma, come se gli avesse letto nel pensiero, la nera figura gli disse: «Avete fatto bene ad aprire il vostro cuore, penso di poter fare qualcosa per voi!».
«Oh, ve ne sarei immensamente grato» rispose il povero, stupito e speranzoso per l'inaspettata proposta. «Naturalmente si tratta di un momento provvisorio, mi sdebiterò al più presto» si affrettò ad aggiungere.
«Non ce ne sarà bisogno. Io ti posso donare la ricchezza, ma solo se in cambio mi darai quello che tua moglie avrà in mano quando tornerai a casa». E, così dicendo, il misterioso personaggio estrasse dal manicotto una penna insieme a un contratto bell'e pronto.
"Che sarà mai!" pensò il povero. "Non possediamo nulla di prezioso: posso accontentare questa bizzarra richiesta senza perderci granché". 
Prese la penna ma non sapeva dove intingerla. L'altro allora estrasse svelto dal manicotto un coltellino dal manico intarsiato e, con quello, praticò una piccola incisione sul braccio dell'uomo, usando il suo sangue come inchiostro.
Sbrigata quella formalità, fece appena un gesto con il capo, si strinse nel mantello e scomparve tra gli alberi del bosco.
Il nostro uomo non sapeva cosa pensare. 
Aveva sentito narrare di maghi benefici che si aggiravano in quei boschi..., forse ne aveva proprio incontrato uno. Ma quale fu il suo stupore e la sua angoscia quando, entrando in casa, la moglie gli andò incontro tenendo fra le braccia il loro ultimo nato. 
Un terribile presentimento gli attraversò come un fulmine la mente: l'uomo del bosco era forse il diavolo?
Da quel momento effettivamente tutto volse al meglio e la fortuna entrò prepotentemente nella sua casa. 
Pareva che ogni occasione si trasformasse in maggior agiatezza per la sua famiglia. Ma lui non ebbe più pace. Si confidò con un vicino raccontandogli dello strano incontro e del dubbio che lo perseguitava.
L'amico non sapeva che consigliare, pensò e ripensò finché una sera bussò alla sua porta e gli disse: «L'unica cosa che si potrebbe fare è quella di battezzare al più presto tuo figlio con il nome di Pietro. Il grande santo sicuramente lo proteggerà più di quanto ormai possiamo fare noi».
E così fecero, ma questo non bastò per tranquillizzare il povero padre, che si sentiva terribilmente in colpa.
Una notte san Pietro, preso dalla compassione, gli apparve in sogno rassicurandolo sul fatto che si sarebbe curato del piccolo. 
Non fosse mai che il diavolo potesse spuntarla con lui!
Questo segno di benevolenza rassicurò il nostro uomo, ma non del tutto. Figurarsi quindi la sua gioia quando, diventato un ragazzo buono e intelligente, il figlio gli chiese il permesso di studiare in un convento per poter diventare sacerdote.
«Certo il diavolo non si porterà via un prete!» ripeteva fra sé, non vedendo l'ora che il figlio celebrasse la sua prima messa.
Il ragazzo si era dedicato allo studio con sincera devozione e buona volontà, così non tardò a prendere i santi voti e il giorno della sua prima celebrazione eucaristica fu finalmente fissato.
Il padre era al colmo della felicità: ora quel ragazzo apparteneva a Dio e il diavolo non avrebbe mai più osato interferire.
Per tutta la notte non aveva fatto che rigirarsi nel letto in attesa dell'alba, come se già l'apparizione della luce di quel giorno fosse una garanzia di salvezza. 
La mattina prestissimo si alzò e cominciò a prepararsi per la cerimonia quando, all'improvviso, il diavolo comparve per reclamare il suo credito.
Il demonio era coperto dallo stesso mantello e sotto il cappuccio non si poteva scorgere che un bagliore rossastro.
«Allora, dammi ciò che mi spetta!» ordinò perentorio con quel suo particolare accento.
Al pover'uomo parve mancare il cuore, si aggrappò al bordo del letto per non stramazzare sul pavimento e cercò disperatamente le parole adatte per guadagnare del tempo.
In quei pochi istanti di silenzio una gran luce si materializzò nella stanza e da essa prese forma san Pietro.
«Non ti sembra di esagerare?» disse rivolgendosi al diavolo. «Tu pretendi l'anima di un uomo che sta per essere consacrato a Dio. Bada che la Sua collera sarà terribile!».
«Ma che vai farneticando?» rispose svelto il Signore delle Tenebre. «Io sto solo esigendo ciò che mi spetta di diritto. Fra me e quest'uomo c'è stato un regolare contratto di cui io ho pienamente assolto i termini. Forse la correttezza non ha più alcun valore per te, mio caro Pietro?».
San Pietro non si lasciò certo prendere alla sprovvista e, conoscendo quanto il suo antagonista fosse attratto dalle sfide, lanciò il suo guanto: «Beh, facciamo così: se tu riuscirai a volare sino a Roma e a portarmi qui una colonna della cattedrale che porta il mio nome prima che la messa di consacrazione al sacerdozio sia conclusa, allora potrai andartene con l'anima che reclami senza altre questioni».
Il demonio non riusciva a sottrarsi al fascino di una scommessa e, inoltre, san Pietro dava a intendere che non sarebbe mai riuscito in quell'impresa, ma glielo avrebbe fatto vedere lui di cosa era capace! Così subito accettò.
Mentre il diavolo volava alla volta di Roma, il giovane prete iniziava pieno di emozione la celebrazione della sua prima messa. 
Satana non dubitava della sua vittoria; anzi, pensò di prendersi gioco del santo sradicando una colonna della chiesa di Santa Maria in Trastevere spacciandola per una colonna della cattedrale di San Pietro.
Ai santi però non la si fa così facilmente e San Pietro teneva d'occhio il viaggio del maligno, che nel frattempo si trovava già sopra Venezia con il suo pesante carico sulle spalle.
Cosa fare? Con quella velocità sarebbe stato di ritorno a Praga certamente prima della fine della messa. Pietro pensò allora di rivolgersi a san Marco e farsi aiutare da lui.
Le possenti ali del diavolo solcavano il cielo di Venezia come nuvole scure, mentre il sudore che gli scendeva dalla fronte cadeva sulla terra sotto forma di grossi chicchi di grandine.
I veneziani scrutavano pensierosi il cielo prevedendo un'imminente tempesta. Anche il diavolo alzò gli occhi, sentendosi sferzare il corpo da un vento impetuoso e assolutamente imprevisto.
Cosa stava succedendo? Si trovava nel mezzo di un vortice che lo trascinava sempre più in basso. Incredibilmente la sua forza non riusciva a contrastare l'uragano e, prima ancora che si rendesse realmente conto di quanto stava succedendo, la pesante colonna cadde in acqua con un tonfo spaventoso senza dargli il tempo di chiamare rinforzi dagli inferi. 
Il demonio fu preso da una rabbia incredibile, ma non poteva permettersi di perdere tempo. 
Si tuffò nelle acque della laguna e, fra sonore imprecazioni che tutti scambiarono per tuoni, riportò faticosamente la colonna in superficie. Se la caricò nuovamente sulle spalle e riprese il suo volo verso Praga. Sorvolò le Alpi e sentì all'improvviso un gran freddo. Anche se era il diavolo, ripescare quel pesante fardello di pietra gli era costato uno sforzo davvero notevole!
Pensò allora di chiedere rinforzi alle sue schiere infernali, ma non voleva dare spiegazioni su quello strano viaggio. 
Intanto il freddo che lo attanagliava era sempre più pungente. Piccole perle di ghiaccio si formavano sulle grandi ali che diventavano sempre più pesanti. Suo malgrado, dovette fermarsi proprio in vetta a un'alta montagna. 
Posò stanchissimo il suo carico che rischiò di rotolare a valle. E con cura alitò su tutto il proprio corpo una spessa cortina di densi fumi che prontamente l'avvolsero in una calda barriera protettiva.
Intanto, a Praga, il padre del giovane prete assisteva trepidante alla messa aspettando di udire, da un momento all'altro, lo sbattere di potenti ali in arrivo dalla lontana Italia.
Preso dall'ansia, era già uscito dalla chiesa più volte per scrutare il cielo, suscitando un coro di disapprovazioni.
Più lontano, protetto dal suo stesso alito, il diavolo era ripartito di gran carriera e ora veleggiava senza intoppi verso la città, sicuro di arrivare prima della fine di quella dannata messa.
Infatti, ecco la chiesa!
Mancavano solo pochi battiti d'ali e finalmente sarebbe stato là, quando il suo acutissimo udito percepì le parole di chiusura della funzione: «Ite, Missa Est!».
La rabbia lo accecò. Non poteva crederci: san Pietro aveva vinto la sfida per pochi attimi!
In preda all'ira, prese la colonna e la scagliò come una freccia proprio sulla cupola della chiesa. 
La grande volta fu letteralmente sfondata dal diabolico proiettile, che si frantumò con grande fragore in tre grossi massi e la terra tremò percorsa da un brivido. 
Satana questa volta aveva perso grazie alla bontà di san Pietro! 
Ma l'uomo sappia che la tentazione di fare un patto con il diavolo può portare a ben diverse conclusioni...

- Leggenda medievale - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


Buona giornata a tutti. :)





lunedì 1 ottobre 2018

Guarda dove vai! - don Bruno Ferrero

Nei tempi remoti, in Giappone, si usavano lanterne di carta e di bambù con le candele dentro.
Una notte, a un cieco che era andato a trovarlo, un tale offrì una lanterna da portarsi a casa.

«A me non serve una lanterna», disse il cieco. «Buio o luce per me sono la stessa cosa».
«Lo so che per trovare la strada a te non serve una lanterna», rispose l’altro,
«ma se non l’hai, qualcuno può venirti addosso. Perciò devi prenderla».
Il cieco se ne andò con la lanterna, ma non era ancora andato molto lontano quando si sentì urtare con violenza.
«Guarda dove vai!», esclamò il cieco allo sconosciuto. «Non vedi questa lanterna?».
«La tua candela si è spenta, fratello», rispose lo sconosciuto.

Chi non conosce quelle persone arroganti che fendono il mondo in modo presuntuoso, senza accorgersi di essere ciechi che portano in mano una lampada spenta?

Eppure molti di loro si fanno chiamare «maestro» o «dottore» o «onorevole».
(o «signor parroco», o «eccellenza», o «superiore»... ma non era questo il pensiero e non è questo lo stile di Gesù..

- don Bruno Ferrero - 

da: “40 Storie nel deserto”, editrice Elledici



Non mi sento responsabile d'essere migliore degli altri. Ciò che non sopporto è di provare piacere nel dimostrarlo. 

Fabrizio De André -




Profumo, pellicce, biancheria fine, gioielli: lussuosa arroganza di un mondo dove non c'è posto per la morte; ma essa restava in agguato dietro quella facciata, nel segreto grigiastro delle cliniche, degli ospedali, delle camere chiuse. 

Simone de Beauvoir -


Buona giornata a tutti. :-)

martedì 25 settembre 2018

La chiesa nella foresta e altri racconti - Padre Anthony de Mello

C'era una volta una foresta che di giorno si riempiva del canto degli uccelli e di notte di quello degli insetti. 
Gli alberi crescevano rigogliosi, i fiori sbocciavano e creature di ogni genere vagavano libere. E tutti coloro che vi entravano venivano condotti alla Solitudine, la casa di Dio, il quale pone la sua dimora nel silenzio e nella bellezza della natura. 
Ma poi arrivò l'Età dell'Incoscienza, quando fu data alla gente la possibilità di costruire edifici alti centinaia di metri e distruggere nel giro di un mese fiumi, foreste e montagne. 
Furono così costruiti luoghi di culto con il legno degli alberi della foresta e le pietre del sottosuolo. 
Si stagliarono contro il cielo pinnacoli, guglie e minareti, l'aria riecheggiava del suono delle campane, di preghiere, canti ed esortazioni. E di colpo Dio restò senza casa. 
Dio nasconde le cose ponendocele dinanzi agli occhi! 
Ascolta! Senti il canto degli uccelli, lo stormire del vento fra gli alberi, il mugghiare dell'oceano; guarda una pianta, una foglia che cade, un fiore come se fosse la prima volta. Potresti all'improvviso entrare in contatto con la Realtà, con quel Paradiso da cui noi, avendo perso l'innocenza, per la nostra conoscenza siamo esclusi. 
Dice il mistico indiano Saraha: "Gusta il sapore di questo dono che è l'assenza di Conoscenza".

- Padre Anthony de Mello -



Atteggiamento di apertura 

Credetemi, in realtà non ha alcuna importanza che voi siate d'accordo o meno con quel che sto dicendo, perché l'accordo o il disaccordo riguardano le parole, i concetti e le teorie, mentre non hanno niente a che vedere con la verità. 
La verità non è mai espressa in parole. 
La verità si intravvede all'improvviso, e deriva da un certo tipo di atteggiamento.
Dunque, voi potreste essere in disaccordo con me e tuttavia intravvedere la verità. Ci vuole però un atteggiamento di apertura, la volontà di scoprire qualcosa di nuovo. Questa è la cosa importante, mentre non è importante che voi siate o meno d'accordo con me. Dopo tutto, la maggior parte di quel che vi dico è teoria, e nessuna teoria copre la realtà in modo adeguato.

- Padre Anthony de Mello - 
da: "Messaggio per un’aquila che si crede un pollo", pag. 22



La pietra preziosa

Il saggio era giunto in prossimità del villaggio e si stava sistemando sotto un albero per la notte, quando un abitante del villaggio arrivò correndo da lui e disse: «La pietra! La pietra! Dammi la pietra preziosa!».
«Che pietra?», chiese il saggio.
«La notte scorsa il Signore mi è apparso in sogno - disse l’abitante del villaggio -, e mi ha detto che se fossi venuto alla periferia del villaggio al crepuscolo avrei trovato un saggio che mi avrebbe dato una pietra preziosa che mi avrebbe reso ricco per sempre».
Il saggio rovistò nel suo sacco e tirò fuori una pietra. «Probabilmente intendeva questa - disse porgendo la pietra all’uomo - l’ho trovata su un sentiero nella foresta qualche giorno fa. Puoi tenerla senz’altro».
L’uomo osservò meravigliato la pietra.
Era un diamante, probabilmente il diamante più grosso del mondo perché era grande quanto la testa di un uomo. Prese il diamante e se ne andò. Tutta la notte si rigirò nel letto, senza poter dormire.

Il giorno dopo, allo spuntare dell’alba, svegliò il saggio e disse: «Dammi la ricchezza che ti permette di dar via così facilmente questo diamante!».

- Padre Anthony de Mello -
Fonte: Il canto degli uccelli


Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 17 settembre 2018

Il disco si posò - Dino Buzzati


Il disco si posò.
Era sera e la campagna già mezza addormentata, dalle vallette levandosi lanugini di nebbia e il richiamo della rana solitaria che però subito taceva (l'ora che sconfigge anche i cuori di ghiaccio, col cielo limpido, l'inspiegabile serenità del mondo, l'odor di fumo, i pipistrelli e nelle antiche case i passi felpati degli spiriti), quand'ecco il disco volante si posò sul tetto della chiesa parrocchiale, la quale sorge al sommo del paese. 
All'insaputa degli uomini che erano già rientrati nelle case, l'ordigno si calò verticalmente giù dagli spazi, esitò qualche istante, mandando una specie di ronzio, poi toccò il tetto senza strepito, come colomba. 

Era grande, lucido, compatto, simile a una lenticchia mastodontica; e da certi sfiatatoi continuò a uscire zufolando un soffio. Poi tacque e restò fermo, come morto. 
Lassù nella sua camera che dà sul tetto della chiesa, il parroco, don Pietro, stava leggendo, col suo toscano in bocca. All'udire l'insolito ronzio, si alzò dalla poltrona e andò ad affacciarsi al davanzale. Vide allora quel coso straordinario, colore azzurro chiaro, diametro circa dieci metri. Non gli venne paura, né gridò, neppure rimase sbalordito. 
Si è mai meravigliato di qualcosa il fragoroso e imperterrito don Pietro? Rimase là, col toscano, ad osservare. E quando vide aprirsi uno sportello, gli bastò allungare un braccio: là al muro c'era appesa la doppietta. 
Ora sui connotati dei due strani esseri che uscirono dal disco non si ha nessun affidamento. È un tale confusionario, don Pietro. Nei successivi suoi racconti ha continuato a contraddirsi. Di sicuro si sa solo questo: ch'erano smilzi e di statura piccola, un metro un metro e dieci. Però lui dice anche che si allungavano e accorciavano come fossero di elastico. Circa la forma, non si è capito molto: «Sembravano due zampilli di fontana, più grossi in cima e stretti in basso» così don Pietro «sembravano due spiritelli, sembravano due insetti, sembravano scopette, sembravano due grandi fiammiferi.» «E avevano due occhi come noi?» «Certo, uno per parte, però piccoli.» E la bocca? e le braccia? e le gambe? Don pietro non sapeva decidersi: «In certi momenti vedevo due gambette e un secondo dopo non le vedevo più... Insomma, che ne so io? Lasciatemi una buona volta in pace!»
Zitto, il prete li lasciò armeggiare col disco. Parlottavano tra loro a bassa voce, un dialogo che assomigliava a un cigolio. 
Poi si arrampicarono sul tetto, che ha una moderatissima pendenza, e raggiunsero la croce, quella che è in cima alla facciata. Ci girarono intorno, la toccarono, sembrava prendessero misure. Per un pezzo don Pietro lasciò fare, sempre imbracciando la doppietta. 
Ma all'improvviso cambiò idea. «Ehi!» gridò con la sua voce rimbombante. «Giù di là, giovanotti. Chi siete?» I due si voltarono a guardarlo e sembravano poco emozionati. Però scesero subito, avvicinandosi alla finestra del prevosto. Poi il più alto cominciò a parlare. Don Pietro - ce lo ha lui stesso confessato - rimase male: il marziano (perché fin dal primo istante, chissà perché, il prete si era convinto che il disco venisse da Marte; né pensò di chiedere conferma), il marziano parlava una lingua sconosciuta. Ma era poi una vera lingua? 
Dei suoni, erano, per la verità non sgradevoli, tutti attaccati senza mai una pausa. Eppure il parroco capì subito tutto, come se fosse stato il suo dialetto. Trasmissione del pensiero? Oppure una specie di lingua universale automaticamente comprensibile? 
«Calmo, calmo» lo straniero disse «tra poco ce n'andiamo. Sai? Da molto tempo noi vi giriamo intorno, e vi osserviamo, ascoltiamo le vostre radio, abbiamo imparato quasi tutto. Tu parli, per esempio, e io capisco. Solo una cosa non abbiamo decifrato. E proprio per questo siamo scesi. Che cosa sono queste antenne? (e faceva segno alla croce). Ne avete dappertutto, in cima alle torri e ai campanili, in vetta alle montagne, e poi ne tenete degli eserciti qua e là, chiusi da muri come se fossero vivai. Puoi dirmi, uomo, a cosa servono?» «Ma sono croci!» fece don Pietro. E allora si accorse che quei due portavano sulla testa un ciuffo, come una tenue spazzola, alta una ventina di centimetri. No, non erano capelli, piuttosto assomigliavano a sottili steli vegetali, tremuli , estremamente vivi, che continuavano a vibrare. O invece erano dei piccoli raggi, o una corona di emanazioni elettriche? 
«Croci» ripeté, compitando il forestiero. «E a che cosa servono?» 
Don Pietro posò il calcio della doppietta a terra, che gli restasse però sempre a portata di mano. Si drizzò quindi in tutta la statura, cercò di essere solenne: «Servono alle nostre anime» rispose. «Sono il simbolo di Nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, che per noi è morto in croce.» 
Sul capo dei marziani all'improvviso gli evanescenti ciuffi vibrarono. Era un segno di interesse o di emozione? O era quello il loro modo di ridere? «E dove, dove questo sarebbe successo?» chiese sempre il più grandetto, con quel suo squittio che ricordava le trasmissioni Morse; e c'era dentro un vago accento di ironia. «Dio, vuoi dire, sarebbe venuto qui, tra voi?» «Qui, sulla Terra, in Palestina.» 
Il tono incredulo irritò don Pietro. «Sarebbe una storia lunga» disse «una storia forse troppo lunga per dei sapienti come voi.» In capo allo straniero la leggiadra indefinibile corona oscillò due tre volte. Pareva che la muovesse il vento. «Oh, dev'essere una storia magnifica» fece con condiscendenza. «Uomo, vorrei proprio sentirla.» Balenò nel cuore di don Pietro la speranza di convertire l'abitatore di un altro pianeta? Sarebbe stato un fatto storico, lui ne avrebbe avuto gloria eterna. 
«Se non vuol altro» disse, rude. «Ma fatevi vicini, venite pure qui nella mia stanza.» Fu certo una scena straordinaria, nella camera del parroco, lui seduto allo scrittoio alla luce di una vecchia lampada, con la Bibbia tra le mani, e i due marziani in piedi sul letto perché don Pietro li aveva invitati a accomodarsi, che si sedessero sul materasso, e insisteva, ma quelli a sedere non riuscivano, si vede che non ne erano capaci e tanto per non dir di no alla fine vi erano saliti, standovi ritti, il ciuffo più che mai irto e ondeggiante. «Ascoltate, spazzolini!» disse il prete, brusco, aprendo il libro, e lesse: "... l'Eterno Iddio prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino d'Eden... e diede questo comandamento: Mangia pure liberamente del frutto di ogni albero del giardino, ma del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare: perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo sarà la tua morte. Poi l'Eterno Iddio... "» 
Levò gli sguardi dalla pagina e vide che i due ciuffi erano in estrema agitazione. «C'è qualcosa che non va?» Chiese il marziano: «E, dimmi, l'avete mangiato, invece? Non avete saputo resistere? E andata così, vero?» «Già. Ne mangiarono» ammise il pretese la voce gli si riempì di collera. «Avrei voluto veder voi! È forse cresciuto in casa vostra l'albero del bene e del male?» «Certo. È cresciuto anche da noi. Milioni e milioni di anni fa. Adesso è ancora verde...» «E voi?... I frutti, dico, non li avete mai assaggiati?» 
«Mai» disse lo straniero. «La legge lo proibisce.» Don Pietro ansimò, umiliato. Allora quei due erano puri, simili agli angeli del cielo, non conoscevano peccato, non sapevano che cosa fosse cattiveria, odio, menzogna? Si guardò intorno come cercando aiuto, finché scorse nella penombra, sopra il letto, il crocefisso nero. 
Si rianimò: «Sì, per quel frutto ci siamo rovinati... Ma il figlio di Dio» tuonò, e sentiva un groppo in gola «il figlio di Dio si è fatto uomo. Ed è sceso qui tra noi!» 
L'altro stava impassibile. Solo il suo ciuffo dondolava da una parte e dall'altra, simile a una beffarda fiamma. «E' venuto qui in Terra, dici? E voi, che ne avete fatto? Lo avete proclamato vostro re?... Se non sbaglio, tu dicevi ch'era morto in croce... Lo avete ucciso, dunque?» 
Don Pietro lottava fieramente: «Da allora sono passati quasi duemila anni! Proprio per noi è morto, per la nostra vita eterna!» Tacque, non sapeva più che dire. E nell'angolo scuro le misteriose capigliature dei due ardevano, veramente ardevano di una straordinaria luce. Ci fu silenzio e allora di fuori si udì il canto dei grilli. 
«E tutto questo» domandò ancora il marziano con la pazienza di un maestro «tutto questo è poi servito?» Don Pietro non parlò. Si limitò a fare un gesto con la destra, sconsolato, come per dire: che vuoi? Siamo fatti così, peccatori siamo, poveri vermi peccatori che hanno bisogno della pietà di Dio. 
E qui cadde in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani. Quanto tempo passò? Ore, minuti? Don Pietro fu riscosso dalla voce degli ospiti. Alzò gli occhi e li scorse già sul davanzale, in procinto, si sarebbe detto, di partire. Contro il cielo della notte i due ciuffi tremolavano con affascinante grazia. «Uomo» domandò il solito dei due. «Che stai facendo?» «Che sto facendo? Prego!... Voi no? Voi non pregate?» «Pregare, noi? E perché pregare?» «Neanche Dio non lo pregate mai?» «Ma no!» disse la strana creatura e, chissà come, la sua corona vivida cessò all'improvviso di tremare, facendosi floscia e scolorita. «Oh, poveretti» mormorò don Pietro, ma in maniera che i due non lo udissero, come si fa con i malati gravi. 
Si levò in piedi, il sangue riprese a correre con forza su e giù per le sue vene. Si era sentito un bruco, poco fa. E adesso era felice. "Eh, eh" ridacchiava dentro di sé "voi non avete il peccato originale con tutte le sue complicazioni. Galantuomini, sapienti, incensurati. Il demonio non lo avete mai incontrato. Quando però scende la sera, vorrei sapere come vi sentite! Maledettamente soli, presumo, morti di inutilità e di tedio." 
(I due intanto si erano già infilati dentro allo sportello, lo avevano chiuso, e il motore già girava con un sordo e armoniosissimo ronzio. Piano piano, quasi per miracolo, il disco si staccò dal tetto, alzandosi come fosse un palloncino: poi prese a girare su se stesso, partì a velocità incredibile, su, su in direzione dei Gemelli.) 
«Oh» continuava a brontolare il prete «Dio preferisce noi di certo! Meglio dei porci come noi, dopo tutto, avidi, turpi, mentitori, piuttosto che quei primi della classe che mai gli rivolgono la parola. Che soddisfazione può avere Dio da gente simile? E che significa la vita se non c'è il male, e il rimorso, e il pianto?» 
Per la gioia, imbracciò lo schioppo, mirò al disco volante che era ormai un puntolino pallido in mezzo al firmamento, lasciò partire un colpo. 
E dai remoti colli rispose l'ululio dei cani. 

- Dino Buzzati -
da: "La boutique del mistero",Ed. Oscar Mondadori,  pagg. 107-111

Dino Buzzati
16 ottobre 1906 - 28 gennaio 1972






domenica 16 settembre 2018

Il pinguino colorato - don Bruno Ferrero

Quando mise fuori la testa dall'uovo, fu accolto dalla felicità di tutti.
La comunità dei pinguini dell'Isola Azzurra si strinse intorno a Priscilla e Dagoberto, i suoi genitori, che avevano gli occhi luccicanti e non stavano più nel frac per l'orgoglio.
Perché Filippo era davvero un bel neonato di pinguino.
Aprì il becco ed emise un robusto vagito. Tutti i pinguini presenti applaudirono.
"È un ottimo segno!" disse lo zio Fortebecco.
"È impaziente di affrontare la vita".
Filippo, in effetti, partì alla carica della vita con una gran dose di energia.
Appena le sue zampette furono abbastanza robuste, si allontanò dallo sguardo premuroso dei genitori per infilarsi fra i più discoli dei piccoli pinguini della comunità.
Erano tutti più anziani di lui, ma nessuno lo batteva in coraggio e temerarietà.
Fu Filippo il primo piccolo di pinguino che osò scivolare dalla punta del grande iceberg fino al mare, anche se poi non potè sedersi per due settimane a causa del bruciore sotto la coda.
Fu sempre Filippo, il coraggioso piccolo pinguino, che portò via la colazione all'enorme e spaventoso tricheco Baffodiferro.
Nella banda dei "pinguini irsuti", chiamati così perché si rifiutavano sistematicamente di lasciarsi pettinare le piume del capo dalle loro mamme, Filippo divenne l'incontrastato boss.
"Perché sei sempre così agitato, Filippo mio?", gli chiedeva la mamma, un po' in ansia per quel figlio che cresceva così scapestrato.
Con gli amici, Dagoberto era sinceramente preoccupato:
"Quel monello ha bisogno di una bella strigliata!"
Così spesso, alla sera, Dagoberto, Priscilla e Filippo rappresentavano, senza volerlo, la versione pinguinesca del processo di Norimberga.
"E' tutta colpa tua!".
"No, tua!".
"E' colpa di Filippo!".
La mamma piangeva, papà sbatteva la porta e Filippo gridava:
"Non ne posso più!".

I colori della vita

Un giorno il pinguino Filippo se ne stava sdraiato su una roccia a picco sul mare ed osservava annoiato il formicolio dei pinguini della comunità.
Sembravano tutti felici; lui, invece si sentiva pieno di amarezza.
"Che barba! Un posto tutto bianco, grigio e nero. Dove nessuno si fa i fatti suoi... Deve pur esserci un paese colorato. Pieno di gente colorata. Potrei diventare anch'io pieno di colori... Non ne posso più di questa camicia bianca e di questo ridicolo frac!"
E, impulsivo com'era, si lasciò scivolare giù dalla roccia, si tuffò tra le onde e nuotò via dall'Isola Azzurra.
Approdò alla Terraferma.
Gli avevano sempre raccomandato di evitare il litorale. 
I pinguini si tenevano prudentemente alla larga dagli anfratti in ombra degli scogli, dove le onde infrangevano con violenza rabbiosa, e foche, piccoli cetacei e altri predatori si acquattavano per far strage degli imprudenti.
"Adesso sono libero e faccio come mi pare", si disse Filippo.
Si arrampicò a fatica e si incamminò sulla spiaggia.
Un forte sbattere d'ali alle sue spalle lo mise in guardia. Un giovane cormorano aveva deciso di attaccarlo.
Ma Filippo era robusto e dotato di un becco forte e tagliente.
Lottarono per un po', facendo volare piume da tutte le parti.
Filippo ci mise tutta la sua rabbia. Il cormorano cominciò a perdere sangue da una ferita alla gola e si spaventò. Si ritirò dal combattimento e volo via lamentandosi e imprecando.
"Aah!", fece Filippo, gonfiando il petto con soddisfazione.
Alcune gocce di sangue del cormorano erano finite sulle sue piume bianche. Il pinguino guardò le macchie rosse e disse:
"Bene! Comincio ad essere colorato".
Ondeggiando, ma più che mai risoluto a continuare la sua esplorazione, Filippo si inoltrò tra le rocce.
"Ehi, amico!!", Una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Era pronto di nuovo a combattere, ma di fronte si trovò solo un gabbiano giovane e inoffensivo.
"Ti ho visto sistemare il cormorano", disse il gabbiano. "Sei un duro, tu".
"Certo", rispose Filippo.
"Ti invito a pranzo", insinuò furbescamente il gabbiano.
"Che cosa vuoi dire?".
"Andiamo a rubare le uova dai nidi delle rondini di mare, che ne dici? In due non oseranno farci niente".
Fecero una scorpacciata di uova.
Le povere rondini di mare tentarono invano di difendere i loro nidi. I due briganti mulinavano ali e becchi.
Alla fine, Filippo si guardò il petto: era tutto macchiato dal giallo e arancione dei tuorli d'uovo.
"Altri colori!", si disse. "Questa è vita".
Dietro di lui, si sentiva solo il disperato pigolare delle rondini di mare, che piangevano i nidi e le uova distrutti.

Il grande salto

Si installò in una grotta di ghiaccio azzurra, e ne fece il suo covo.
Un gruppetto di gabbiani e perfino un'otaria con un occhio solo lo riconobbero come capo banda.
Le scorribande del gruppetto furono ben presto temute da tutti.
Filippo veniva chiamato semplicemente "Il pinguino colorato". Infatti la sua elegante livrea bianca e nera era sparita sotto i segni delle imprese che aveva affrontato.
Oltre il rosso del sangue e il giallo delle uova rubate, c'erano tracce verdi, azzurre e anche ciuffi di pelo argentato, che gli erano rimasti attaccati dopo un' epica lotta contro un Husky randagio.
Ma che serviva essere diventato davvero il primo pinguino a colori, se non poteva farsi ammirare dai suoi vecchi amici e dalla sua famiglia?
Il pensiero dell'Isola Azzurra prese a torturarlo.
Anche se non voleva ammettere, sentiva un bel po' di nostalgia dell'allegra comunità dei pinguini.
"Avere una vita colorata non è proprio come me la immaginavo", si diceva sempre più spesso.
Quella esistenza di fughe, attacchi, lotte e brigantaggio non gli piaceva più tanto.
Un mattino riprese la via del mare e tornò a casa.
I primi pinguini dell'Isola Azzurra che incontrò erano dei piccoli che giocavano sulle lastre di ghiaccio galleggianti.
Appena lo videro si misero a strillare e scapparono gridando:
"Un mostro! Un mostro!".
Gli adulti fecero largo al suo passaggio, ma non per fargli onore. Lo guardavano tutti con una sorta di ribrezzo.
"Ma perché? Idioti, sono io, non mi riconoscete?", brontolava Filippo.
"Filippo, figliuolo, lo sapevo che saresti tornato". La mamma naturalmente lo riconobbe, ma non osò abbracciarlo.
"Ma in che stato sei...".
"Bentornato, Filippo", gli disse anche il papà. Ma non lo toccò.
Le comari tutt'intorno borbottavano: "Che disgrazia! Poveri genitori...".
Per la prima volta nella sua vita, a Filippo venne voglia di piangere.
Improvvisamente comprese che i suoi colori continuavano a tenerlo lontano; lo rendevano straniero alla comunità dell'Isola Azzurra.
Mentre lui, solo adesso, si accorgeva che soltanto lì poteva essere veramente felice.
Ma come si fa a tornare indietro?
"Papà", chiese.
"Vorrei cancellare questi colori e ricominciare, se è possibile".
Dragoberto esitò, poi guardò Filippo negli occhi e disse:
"C'è un mezzo solo: devi tuffarti dalla Grande Cascata. Laggiù l'acqua è così violenta e rapida che nessun colore può resistere. Ma è tremendamente rischioso. Ci vorrà il tuo coraggio. Te la senti di farlo?".
"Si, papà".
La voce si sparse in un attimo.
Nel giro di pochi minuti c'erano tutti, grandi e piccoli, intorno alla grande cascata.
Non riuscirono a trattenere un "Oh!" sincero quando in alto, dove il fiume precipitava in mare con un fragoroso boato, apparve Filippo. Sembrava così piccolo lassù.
Rimase un attimo fermo a concentrarsi, poi spiccò il salto.
Un salto stupendo, come se improvvisamente gli fossero spuntate le ali.
La corrente lo ghermì come un fuscello e lo scagliò violentemente nel mare ribollente e schiumante.
Il pinguino sparì nel vortice. Tutti trattennero il fiato.
Poi ad un tratto Filippo riemerse.
La forza stessa dell'acqua lo proiettò in alto e tutti videro che le sue piume erano diventate immacolate e che i colori erano scomparsi.
Allora esplosero in un festoso: "Urrà!", che coprì perfino il tuonare dell'acqua.

L'esperienza nascosta nel racconto:

Il pinguino Filippo è annoiato dalla vita di tutti i giorni che è soltanto "bianca, grigia e nera". Sono molti i ragazzi di oggi che considerano noioso ciò che è normale.
La cultura in cui sono immersi è sempre alla ricerca di eccitanti per i sensi, per la mente, per lo spirito.
Questa ricerca travolge limiti e regole. Filippo cerca i colori, li trova diventando ingiusto, ladro, cattivo.
Soltanto quando è davvero diventato colorato si accorge del prezzo da pagare: l'insoddisfazione personale e soprattutto l'allontanamento dalla sua famiglia e dalla comunità. 
È il prezzo del male, del peccato: essere tagliati fuori, perdere l'identità.
Ma nella comunità dell'Isola Azzurra c'è il modo di cancellare tutto, di ricominciare. 
E' quello che succede nella Chiesa: Dio ci dà la possibilità di cancellare tutti i colori sbagliati.
Bisogna solo avere il coraggio di buttarsi nella Grande Cascata dell'Amore infinito di Dio che è il Sacramento della Riconciliazione.



Per il dialogo:

L'educatore deve aiutare i ragazzi a percepire il significato simbolico della storia del pinguino Filippo e a riflettere contemporaneamente sulla realtà che anche loro stanno vivendo. Lo può fare con alcune domande:
- Perché il pinguino Filippo decide di partire dalla sua isola?
- Vi è mai venuta la voglia di "mollare tutto"? Quando? Perché?
- Secondo voi, che cosa sono i colori che Filippo cerca?
- Di che tipo sono i colori che Filippo trova? Vi ricordano qualcosa?
- Ci sono certe cose che i ragazzi di oggi desiderano ma che, secondo voi, sono un male? Ne sapete ricordare qualcuna?
- Perché Filippo non viene riconosciuto e accettato nella sua comunità?
- Nella nostra comunità parrocchiale c'è qualche modo particolare per riconoscere di aver sbagliato e per riaccettare quelli che riconoscono di aver commesso il male?

Per l'attività:

I ragazzi possono fare l'esame di coscienza con un cartellone sul quale si trovano i "colori sbagliati": (il rosso dell'ira, il giallo dell'invidia, il viola delle parolacce, il rosa della pigrizia, ecc...)

Anche la Bibbia racconta...

L'evangelista Giovanni (13, 21-30), racconta il tradimento di Giuda e lo conclude con queste parole: "Egli subito uscì. Ed era notte". Il peccato è uscire dalla luce della comunità degli amici di Gesù ed entrare nella notte.

- don Bruno Ferrero -
da: "Storie belle e buone ", ed. Elledici


Buona giornata a tutti. :-)


PREGHIERA