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venerdì 29 aprile 2022

La Torre pendente - Gianni Rodari

Il professor Grammaticus, una volta andò a Pisa, salì sulla Torre pendente, aspettò che gli passasse il capogiro e cominciò a gridare:

– Cittadini! Pisani! Amici miei!

I Pisani guardarono per aria e si rallegrarono:

– Oh, la Torre s’è messa a parlare e a fare i discorsi.

Poi videro il professore, e lo udirono continuare:

– Sapete perchè la vostra torre pende? Ve lo dirò io. Non date retta a quelli che vi parlano di cedimenti del sottosuolo, e così via. C’è, è vero, nelle fondamenta un piccolo errore, ma è di tutt’altro genere. Gli architetti di una volta non erano assai forti in ortografia. Così è successo loro di costruire una torre che stava in “ecuilibrio”, anziché in “equilibrio”. Mi spiego? In “ecuilibrio” sulla “c” non ci starebbe nemmeno uno stecchino: figuriamoci un campanile. Ecco dunque pronta la soluzione. Iniettiamo nelle fondamenta una piccola dose di “q”, e la torre si raddrizzerà in un attimo.

– Mai sia! – gridarono ad una voce i Pisani. – Torri diritte ce ne sono in ogni angolo del mondo. Quella pendente ce l’abbiamo solo noi, e dovremmo raddrizzarla? Arrestate quel pazzo. Accompagnatelo alla stazione e mettetelo sul primo treno.

Il professor Grammaticus fu preso per le braccia da due guardie, accompagnato alla stazione e messo sul primo treno: un omnibus per Grosseto che si fermava ad ogni passo e impiegò mezza giornata a fare cento chilometri. Così il professore ebbe modo di meditare sull’ingratitudine umana. Egli si sentiva abbattuto come Don Chisciotte dopo la battaglia con i mulini a vento. Ma non si scoraggiò. A Grosseto studiò le coincidenze e tornò a Pisa di nascosto, deciso a fare la sua iniezione di “q” alla Torre Pendente a dispetto dei Pisani.

Per caso, quella sera, c’era la luna. (Anzi, non per caso: c’era perché ci doveva essere). Al chiaro di luna la torre era così bella, pendeva con tanta grazia, che il professore rimase lì estatico a rimirarla e intanto pensava:

– Ah, come sono belle, certe volte, le cose sbagliate!

- Gianni Rodari -
brano tratto da “Il libro degli errori”, 1964

Photo of Jan Drewes, 3 sett. 2007, ore 00:12:40

“In aggiunta a questo declino nel livello medio di intelligenza, che è comunque contestato, vi è anche l'impoverimento della lingua. Numerosi studi mostrano un restringimento del campo lessicale ed un impoverimento della lingua. Non è solo questione di una riduzione del vocabolario usato, ma anche delle sottigliezze del linguaggio che permettono l'elaborazione e la formulazione del pensiero complesso.

La progressiva sparizione dei tempi...porta ad un pensiero nel presente, limitato all'istante, incapace di proiezione nel tempo. La generalizzazione dell'approccio familiare, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono tutti colpi mortali alla sottigliezza dell'espressione.

La storia è ricca di esempi e di molti scritti, da Georges Orwell in 1984 a Ray Bradbury in Fahrenheit 451, che hanno raccontato come le dittature, di ogni schieramento, hanno impedito il pensiero riducendo e distorcendo il numero ed il significato delle parole. Non vi è pensiero critico senza pensiero. E non vi è pensiero senza parole.”

- Christophe Clavé -
 da: Baisse du QI, appauvrissement du langage et ruine de la pensée , Agefi, 2019


Buona giornata a tutti :-)


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lunedì 10 maggio 2021

10 maggio 1933 Quando il nazismo bruciò la cultura europea

Ogni anno, il 10 maggio, ricordo un tragico evento, purtroppo ormai dimenticato dai mezzi di informazione.
La data che voglio rammentare è quella del 10 maggio 1933. 
Quella sera, a Berlino, nella piazza del Teatro dell'Opera, l’Opernplatz, i nazisti organizzarono un gigantesco rogo nel quale bruciarono oltre 25.000 libri. 
Altri roghi simili si svolsero in numerose città tedesche, raccontati in diretta e con giubilo da Radio Germania. 
Il falò di Berlino fu organizzato con estrema attenzione poiché doveva essere un esempio per il Reich. Fu una vera e propria cerimonia ufficiale, quasi una liturgia a futura memoria. Si prestò attenzione, come amava fare il regime nazista, agli aspetti scenografici, alle musiche, ai canti. 
Persino all'illuminazione. 
I libri da bruciare erano accompagnati da una marcia alla quale presero parte i professori in toga, gli studenti, soldati delle SA e delle SS. 
Una lugubre processione, una celebrazione del più becero oscurantismo. 
L’obiettivo del regime era stato raggiunto: ormai divenuta "Judenrein" ("depurata dagli ebrei"), liberata dall’intellettualismo, la Germania hitleriana, dopo quella sera, fu un vero e proprio deserto culturale. 
I pochissimi intellettuali che restarono in Germania (è il caso di Martin Heidegger, uno dei più importanti filosofi del Novecento) dovettero rassegnarsi ad una cieca neutralità, chiudendo occhi e orecchie per non vedere e non sentire quanto accadeva intorno a loro. Ma la gran pare di loro abbandonò il Paese. 
Ebbe inizio, nel 1933, il più massiccio esodo intellettuale che la storia moderna abbia conosciuto: una vera e propria diaspora dell'intelligenza tedesca.
Con i roghi di Berlino e delle altre città, Goebbels, da poco nominato ministro della propaganda, lanciò la sua campagna contro i libri "non tedeschi" e contro la cosiddetta "arte degenerata". 
Si trattava della celebrazione dell’imbarbarimento della vita culturale tedesca dopo l'avvento del regime nazista. L'intento dichiarato di Goebbels era quello di cancellare qualunque testimonianza degli intellettuali che nel XIX e XX secolo avevano dato sviluppo alla moderna cultura europea.
Durante il rogo, Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Reich, tenne un violento discorso contro la cosiddetta “cultura degenerata”, affermando: “L’era dell’esagerato intellettualismo ebraico è giunto alla fine. Il trionfo della rivoluzione tedesca ha chiarito quale sia la strada della Germania e il futuro uomo tedesco non sarà un uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con tale scopo che vogliamo educarvi. 

Vogliamo educare i giovani ad avere il coraggio di guardare direttamente gli occhi impietosi della vita. 
Vogliamo educare i giovani a ripudiare la paura della morte allo scopo di condurli a rispettare la morte. 
Questa è la missione del giovane e pertanto fate bene, in quest’ora solenne, a gettare nelle fiamme la spazzatura intellettuale del passato”.

Nei roghi finirono migliaia di opere letterarie e artistiche di autori che secondo il nazismo avevano "corrotto" e "giudaizzato" una presunta "cultura tedesca" pura: opere di autori lontani nel tempo, come Heinrich Heine e Karl Marx, ma soprattutto dei grandi intellettuali del periodo weimariano: gli scrittori Thomas Mann, Heinrich Mann, Bertolt Brecht, Alfred Döblin, Joseph Roth. I filosofi Ernst Cassirer, Georg Simmel, Theodor W. Adorno, Walter Benjamin, Herbert Marcuse, Max Horkheimer, Ernst Bloch, Ludwig Wittgenstein, Max Scheler, Hannah Arendt, Edith Stein, Edmund Husserl, Max Weber, Erich Fromm, Martin Buber, Karl Löwith. L'architetto Walter Gropius. I pittori Paul Klee, Wassili Kandinsky e Piet Mondrian. Gli scienziati Albert Einstein e Sigmund Freud. I musicisti Arnold Schönberg e Alban Berg. I registi cinematografici Georg Pabst, Fritz Lang e Franz Murnau. E centinaia di altri artisti e pensatori che avevano gettato le basi intellettuali dell'intera cultura del Novecento.

Era la cultura europea tutta che bruciava in quei roghi.
In un’Europa impotente a difendere le sue opere migliori come lo sarebbe stata in seguito nel difendere i suoi cittadini.
Il delirio nazista si estese presto all’accesso all’istruzione, dove vennero ribadite gerarchie razziali, arrivando a negare l’accesso alla scuola per gli ebrei e a proibire la letteratura e ogni rudimento di alfabetizzazione per gli slavi nei territori occupati durante la guerra. 

E’ emblematico l’atteggiamento di uno degli uomini più potenti del Reich nazista, Hermann Göring, che quando sentiva parlare di cultura, “metteva mano alla pistola”.
Fu anche un tentativo di risposta alla frustrazione delle masse, avvilite, nel giro di pochi anni, da due epocali crisi economiche. Folle abbacinate da soluzioni semplici quanto violente. 
Masse che saranno poi complici di un ancor più grande disegno di distruzione e di morte.
Le crisi, infatti, sono da sempre pessimi aruspici: leggono nelle viscere del disagio, profetizzando esclusivismi e demagogiche dittature.
Ogni dittatura ha sempre avuto tra i propri obiettivi abbattere la cultura e la letteratura. Ossia quelle oasi di pensiero dove più forte soffia la brezza della libertà. 
Pensiamo al rogo del 212 a.C., nella Cina di Qin Shi Huangdi, primo imperatore della dinastia Qin. 
Alla distruzione della Biblioteca di Alessandria d’Egitto, la più grande e ricca biblioteca del mondo antico. 
Al rogo di libri e di opere d’arte a Firenze, il 7 febbraio 1497, nel corso del cosiddetto "Falò delle vanità", promosso da Girolamo Savonarola. 
Sino al 1976, quando Luciano Benjamín Menéndez, generale dell'Esercito argentino, ordinò un rogo collettivo di libri, tra i quali si trovavano opere di Marcel Proust, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar, Pablo Neruda, Mario Vargas Llosa, Saint-Exupéry, Eduardo Galeano e molti altri.
Bruciare i libri non è solo un attacco alla cultura, ma anche all’intelligenza, perché è quest’ultima a dar loro vita. Non a caso, cinque anni prima del rogo berlinese, il pubblico ministero Michele Isgrò, a conclusione della sua requisitoria fatta il 4 giugno 1928 chiedendo la condanna di Antonio Gramsci, pronunciò le seguenti parole, alludendo proprio all’intelligenza dello stesso Gramsci: “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”.
I libri sono i silos in cui sono custodite le idee che, come semi, possono germogliare e attecchire nella coscienza e nell’intelligenza degli esseri umani. Dalle idee disseminate nei libri fiorisce il senso critico e lo spirito di libertà, che è l’impulso creatore presente nell’intelligenza dell’umanità. Ecco perché la cultura è sempre considerata pericolosa da parte dei tiranni e dei demagoghi di ogni genere.
Ha scritto Paco Ignacio Taibo II sul rogo del 1933: “A Berlino, nella Opernplatz, non brucia la carta, bruciano le parole. 
Bruciano i libri con le poesie di Bertolt Brecht, ma soprattutto bruciano i versi, le magnifiche parole: 
Non lasciatevi sedurre, non esiste alcun ritorno. 
Il giorno è alle porte, c’è già il vento della notte. 
Non verrà un altro domani. 
Non lasciatevi convincere che la vita è poco… 
Racconto questa storia per ricordare. Per non dimenticare”.

Anch’io non voglio dimenticare e invito tutti voi a fare altrettanto.
Il 10 maggio1933 si realizzò una profezia espressa nel 1817, in occasione di un altro falò di libri, da un altro degli autori bruciati sul rogo, Heinrich Heine: “Là, dove si bruciano i libri, si finisce col bruciare anche gli uomini”.

Difendiamo i libri e la cultura: per tutelare la nostra libertà.

- Stefano Marchesotti - 



«Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini.»

Purtroppo questa riflessione di Heine fu tristemente comprovata nel ventesimo secolo, con l'avvento del regime Nazista.
Il 10 maggio 1933, nella Bebelplatz di Berlino, furono bruciati 25.000 libri. 
Il preludio allo stermino di massa degli ebrei.



Migliaia di libri persi per sempre. Il rogo di libri nella Berlino del 10 maggio 1933 non fu organizzato dal governo di Hitler, bensì dagli studenti tedeschi stessi, infervorati dalla propaganda del nazismo che stigmatizzava gli intellettuali in genere, e in particolar modo quelli ebrei o di sinistra. Gli studenti dell’Università di Berlino passarono settimane a compilare liste di scrittori e libri ‘non tedeschi’, perlustrarono poi biblioteche pubbliche e private alla ricerca dei volumi incriminati.



“L'uomo del futuro non sarà più un uomo fatto di libri, ma un uomo fatto di carattere. È a questo scopo che noi vi vogliamo educare”: non si tratta di un passo del celebre romanzo distopico di Ray Bradbury “Fahrenheit 451”, bensì di una delle frasi più atroci e pericolose pronunciate dall’uomo nel corso della Storia da Joseph Giebbels il 10 maggio 1933




Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 5 agosto 2020

Mai dire mai

Un assistente sociale invitava tutti quelli che si lamentavano dei propri fallimenti a leggere un poster che teneva appeso nel suo ufficio:

- Fallito in commercio nel 1832 e nel 1833.
- Sconfitto per la Camera dei deputati nel 1832.
- Eletto all’assemblea nel 1834.
- Morta la fidanzata nel 1835.
- Esaurimento nervoso nel 1836.
- Sconfitto come presidente della Camera dei deputati nel 1838.
- Sconfitto come membro dell’assemblea elettorale nel 1840.
- Sconfitto per il Congresso nel 1843, nel 1846 e poi ancora nel 1848.
- Sconfitto per il Senato nel 1855.
- Sconfitto come vicepresidente nel 1856.
- Sconfitto per il Senato nel 1858.
- Eletto presidente degli Stati Uniti nel 1860.

- Abramo Lincoln -


Immagine di Tracy Williams – “A Tall Tale”


Ciò che mi pare senza avvenire è la "cultura del niente", della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l'atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità.


- Card. Giacomo Biffi - 



Non esiste di fatto, una cultura senza religione, come se questo le fosse un corpo estraneo innestato in un imprecisato momento del suo sviluppo storico. La religione, al contrario, favorisce il nascere, il crescere e lo sviluppo della cultura e in essa immette i germi fondamentali che le permettono di comprendere e descrivere l'uomo con la sua storia. Imporre una divisione tra religione e cultura è un processo ideologico sterile che non porta lontano e concretamente conduce alla stessa cultura dell'asfissia. L'incontro tra la religione e la cultura, dunque, è una realtà che appartiene alla natura stessa delle cose, perché partecipe dell'essere stesso dell'uomo nel suo auto-comprendersi e progettarsi.

- Cardinale Rino Fisichella - 
fonte: Path, 3, 2004




Buona giornata a tutti :-)



martedì 22 agosto 2017

Multiculturalità? -Card. Joseph Ratzinger

"La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. 
Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. 
Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro.

Di essa fa parte l'andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell'altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi. 

Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso - del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza.

Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l'identità dell'Europa, bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. 
Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. 
Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi”. 

- Card. Joseph Ratzinger - 
dalla Lectio magistralis pronunciata nella Biblioteca del Senato Italiano,13 maggio 2004"



Gli inviati di Dio spesso non vengono accolti bene. 
Questo è il caso del profeta Amos. Pertanto, sia che venga accettato sia che venga respinto, egli continuerà a profetizzare, predicando ciò che Dio dice e non ciò che si uomini vogliono sentirsi dire. 
E questo rimane il mandato della Chiesa: non predica ciò che vogliono sentirsi dire i potenti. Il suo criterio è la verità e la giustizia anche se sta contro gli applausi e contro il potere umano. 

Papa Benedetto XVI - 15 luglio 2012




Opera della ragione ortodossa, cattolica, è raccogliere tutti i frammenti, la loro totalità,  mentre opera dell’intelletto eretico e settario è scegliere i frammenti che piacciono.

- Pavel Florenskij -
      1882-1937


Per aver chiuso gli occhi a grandi verità l’Europa è colpevole; ed è perché è colpevole che soffre. 
Essa tuttavia respinge ancora la luce e misconosce il braccio che la colpisce. Pochissimi uomini di questa generazione materiale sono capaci di conoscere la data, la natura e l’enormità di certi delitti commessi dagli individui, dalle nazioni e dalle sovranità; un numero inferiore è in grado di comprendere il genere di espiazione di cui tali delitti necessitano, e il prodigio che costringe il male a spazzare con le sue stesse mani il terreno che l’eterno architetto ha già misurato con l’occhio per le sue meravigliose costruzioni. 
Gli uomini di questo secolo hanno già deciso. 
Essi hanno giurato a se stessi di guardare sempre a terra. 

- Joseph de Maistre -
        1753-1821




In ogni caso non v’è dubbio che l’idea dell’Anticristo, la quale secondo l’opinione della Bibbia – Antico e Nuovo Testamento – sta ad indicare l’ultimo atto della tragedia storica, non sarà la semplice incredulità, né la negazione del cristianesimo, né il materialismo o qualche cosa del genere, ma sarà l’impostura religiosa, allorché il nome di Cristo sarà sfruttato da tutte le potenze umane che nelle azioni e nello spirito sono estranee e direttamente ostili a Cristo e al suo spirito.

- Vladimir Solov’ev - 
         1853-1900





Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 7 luglio 2016

da: "Non so niente di te" - Paola Mastrocola

Nessun genitore deve volere il meglio per suo figlio. E sai perché? Perché non lo sa. Un genitore non sa cos’è il meglio per suo figlio. Non lo può sapere, come potrebbe? 
E' Dio? Legge nella sfera di cristallo? No, è solo un genitore. E allora dovrebbe starsene a guardare e basta, in silenzio e con grande calma. Un po’ come si sta davanti al mare a guardare il mare. Cosa si fa davanti al mare? Si guarda il mare. Basta. Si accompagnano le onde con lo sguardo. Questo. Una per una. Come faceva il mio amico Malmecca con le foglie: le accompagnava, le prendeva in braccio un attimo prima che cadessero. Le… accompagnava. Hai presente? Le onde che si frangono, le foglie che cadono, la canna da pesca che si piega quando il pesce abbocca… Così. Accompagnare. Anche i figli bisogna accompagnarli. Stare a guardarli, come le onde. […] 
Un figlio che non continua il padre spezza una linea. La rompe. È un elemento di rottura, un figlio così, si può dire? L’ho pensato spesso. Ma adesso non lo penso più. […] 
Dovreste essere curiosi, voi genitori. Molto curiosi dei figli. Dovreste morire dalla curiosità di vedere dove diavolo andrà a finire, quella linea spezzata che è partita da voi, e che si spezzerà ancora decine di volte nei secoli, con i figli dei vostri figli e i figli dei loro figli. Decine di volte! Invece, siete sempre così scontenti… Così incontentabili. Siete così privi di curiosità, voi genitori… Sembra che conosciate già tutto, che sappiate al millesimo che fine farà ogni cosa, ogni figlio… Non vi lasciate sorprendere. Non prevedete neanche la possibilità di una sorpresa. Peccato. Vi private di una grande felicità… “.

- Paola Mastrocola - 

da: "Non so niente di te"



I nostri studenti che "vanno male" (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. 
Guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. 
La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla. Difficile spiegarlo, ma spesso basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo.
Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all'uscita e forse domani bisognerà ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire come professori. 
Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell'indicativo presente della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su quei ragazzini e quelle ragazzine, nel senso botanico, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti. 
Certo, non saremo gli unici a scavare quei cunicoli a non riuscire a colmarli, ma quelle donne e quegli uomini avranno comunque passato uno o più anni della loro giovinezza seduti di fronte a noi. 
E non è poco un anno di scuola andato in malora: è l'eternità in un barattolo.

- Daniel Pennac - 
scrittore



È più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere.

- Alberto Hurtado, gesuita - 






Come sempre nel nostro Paese quando si deve tagliare, si tagliano la cultura e la ricerca, ritenute evidentemente un inutile lusso.

- Margherita Hack, astrofisica - 


Buona giornata a tutti. :-)













giovedì 2 giugno 2016

da: "L'ombra del vento" - Carlos Ruiz Zafón

Mi abbandonai a quell'incantesimo fino a quando la brezza dell'alba lambì i vetri della finestra e i miei occhi affaticati si posarono sull'ultima pagina. Solo allora mi sdraiai sul letto, il libro appoggiato sul petto, e ascoltai i suoni della città addormentata posarsi sui tetti screziati di porpora. 
Il sonno e la stanchezza bussavano alla porta, ma io resistetti. 
Non volevo abbandonare la magia di quella storia né, per il momento, dire addio ai suoi protagonisti. 
Un giorno sentii dire a un cliente della libreria che poche cose impressionano un lettore quanto il primo libro capace di toccargli il cuore. 
L'eco di parole che crediamo dimenticate ci accompagna per tutta la vita ed erige nella nostra memoria un palazzo al quale – non importa quanti altri libri leggeremo, quante cose apprenderemo o dimenticheremo – prima o poi faremo ritorno.

-Carlos Ruiz Zafón
da: "L'ombra del vento", ed. Oscar Mondadori





Mi aggirai in quel labirinto che odorava di carta vecchia, polvere e magia per una mezz'ora.
Lasciai che la mia mano sfiorasse il dorso dei libri disposti in lunghe file.
Vagai lungo gallerie e ballatoi a spirale riempiti da centinaia, migliaia di volumi che davano l'impressione di sapere di me molto più di quanto io sapessi di loro.
Mi balenò in mente il pensiero che dietro ogni copertina si celasse un universo infinito da esplorare e che, fuori di lì, la gente sprecasse il tempo ascoltando partite di calcio e sceneggiati alla radio, paga della sua mediocrità.

-Carlos Ruiz Zafón
da: "L'ombra del vento", ed. Oscar Mondadori




«C'era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità. 
Quand'ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. 
Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand'anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca a Reykjavik, Valladolid, Vancouver.»

- Amos Oz -
da: Una storia di amore e di tenebra, traduzione di E. Loewenthal, Feltrinelli, 2003





Un giorno avrei posseduto tutti i libri del mondo, scaffali e scaffali pieni. 
Avrei vissuto in una torre di libri. 
Avrei letto tutto il giorno mangiando pesche. 
E se qualche giovane cavaliere con l’armatura avesse osato passare sul suo bianco destriero e mi avesse implorato di calargli la treccia, lo avrei bersagliato di noccioli di pesca finché non se ne fosse tornato a casa.


- Jacqueline Kelly -
da: L'evoluzione di Calpurnia



Buona giornata a tutti. :-)







sabato 13 febbraio 2016

Quale scuola? - don Franco Locci

"I ragazzi di oggi sono tutti 'imparati' - mi diceva un papà - mio figlio fa la prima elementare, sono cinque mesi che va a scuola, scrive, ha cinque quaderni e quattro insegnanti e l'altro giorno è venuto a chiedermi un piccolo aiuto perché non ricordava bene la scomposizione dei numeri…".

Ci insegnano tutto, ma un certo giorno ti accorgi che non ci hanno insegnato a vivere. Ci hanno insegnato le scienze e spesso hanno ridotto l'uomo ad una macchina, ci hanno insegnato la matematica, perché nella vita se non sai contare e contare a tuo favore…, ci hanno insegnato a farci largo a spallate pur di essere sempre i primi della classe, pur di far carriera, ci hanno insegnato ad avere molto come se la felicità coincidesse con l'avidità. Ci hanno detto che se vuoi sopravvivere nella giungla devi tirare fuori le unghie ed aggredire prima di essere aggredito. Ci hanno insegnato una libertà che spesso lega le nostre e le altrui mani… ed ecco che alla fine sembra che gli ingredienti della vita siano solo più cupidigia, abuso di potere, desideri abietti, orgoglio, gelosia, violenza… Mi rifiuto. La vita non può essere così, cari maestri, un altro Maestro Gesù, mi ha detto che questi ingredienti servono solo a realizzare la vera miseria dell'uomo. Preferisco credere a quel Maestro che per insegnarmi amore è finito su una croce e non su una cattedra.

- don Franco Locci -



C'era una volta...

un patto tra Scuola e società, in base al quale si volevano le stesse cose e si lavorava nella stessa direzione. 
Ad esempio la Scuola esigeva studio e fatica, e la famiglia era d'accordo. 
C'era una meta condivisa, dietro a tutto ciò: una buona formazione culturale che la Scuola s'impegnava a fornire; di questa formazione culturale faceva parte ad esempio la koiné umanistica, una buona base di conoscenze letterarie e filosofiche, un plafond di letture comuni e consolidate. 
Un tal patto c'era fino a pochi anni fa, adesso è saltato e nessun altro patto, se non confuso, mi sembra di vedere all'orizzonte. 
Adesso la famiglia rema contro, e desidera che i propri figli sorridano e siano lasciati il più possibile in pace, senza traumi, punizioni, prezzi da pagare. Adesso noi insegnanti percepiamo di avere un nemico e questo condiziona e intristisce non poco il nostro lavoro; abbiamo "paura", stiamo molto sul chi va là, pronti a difenderci dagli attacchi del "nemico". 
Che poi, immaginerete, sono i genitori. Quindi, siamo noi stessi. O meglio, la società in generale. 
Purtroppo quando noi genitori chiediamo alla Scuola che sia facile e divertente, che abolisca le difficoltà, la fatica e l'impegno, noi in realtà chiediamo alla scuola di  snaturarsi, e di abdicare anche lei, così come abbiamo abdicato noi. Quindi,  noi insegnanti che cosa mai possiamo fare di fronte alla richiesta di noi genitori?


Non importa che tu sia un insegnante che chiede di fare molti compiti o uno più indulgente, un carismatico alla John Keating (l’insegnante del film L’attimo fuggente) o un esigente alla Jaime Escalante (l’insegnante del film La forza della volontà), in un’aula ci si può prendere cura degli allievi in molti modi. E, fortunatamente, gli studenti non sono schizzinosi quando si tratta di ricevere cure, ma accettano tutto quello che viene loro offerto.
Non hanno veramente bisogno di tutti quegli strumenti tecnologici che vengono pubblicizzati durante i corsi d’aggiornamento professionale. Può darsi che apprezzino le novità ma, quando queste svaniscono, torneranno a chiedersi se tu, il loro insegnante, tieni davvero a loro.
Prendersi cura è un compito impegnativo. M’impone di mettermi nei panni di qualcun altro, di essere comprensiva ed empatica; di vedere l’altro, il mio studente, come vorrei essere vista io.
Gli studenti difficili sono stati i miei più straordinari insegnanti.

Lizanne Foster, insegnante



Buona giornata a tutti. :-)


martedì 5 maggio 2015

Elogio della lettura e della finzione - Mario Vargas Llosa

Ho imparato a leggere a cinque anni, nella classe di fratel Justiniano, nel Colegio de la Salle, a Cochabamba, in Bolivia. 
È la cosa più importante che mi sia successa nella vita. 
Quasi settant’anni dopo ricordo in modo limpido come quella magia, tradurre le parole dei libri in immagini, abbia arricchito la mia esistenza, abbattendo le barriere del tempo e dello spazio e permettendomi di viaggiare con il capitano Nemo a ventimila leghe sotto i mari, combattere fianco a fianco con d’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis contro i complotti che minacciavano la regina ai tempi del subdolo Richelieu, o spingermi nel ventre di Parigi, novello Jean Valjean, con il corpo inerte di Marius sulle spalle. 
La lettura trasformava il sogno in vita e la vita in sogno e poneva alla portata del piccolo uomo che ero l’universo della letteratura. 
Mia madre mi raccontò che le prime cose che io scrissi furono continuazioni delle storie che leggevo, perché mi dispiaceva che finissero, oppure volevo cambiare il finale. E forse è ciò che ho fatto per tutta la vita senza saperlo: prolungare nel tempo, mentre crescevo, maturavo e invecchiavo, le storie che riempirono la mia infanzia di passione e di avventure. 
Mi piacerebbe che mia madre fosse ancora qui, lei che era solita emozionarsi e piangere leggendo le poesie di Amado Nervo e di Pablo Neruda, e pure il nonno Pedro, dal grande naso e la lucida pelata, che lodava i miei versi, e lo zio Lucho, che mi ha fortemente spinto a dedicarmi anima e corpo a scrivere anche se la letteratura, a quel tempo e in quel luogo, dava ben poco ai suoi cultori. Per tutta la vita ho avuto al mio fianco persone simili, che mi hanno voluto bene, che mi hanno spronato e che mi hanno trasmesso la loro fiducia quando io dubitavo. 
Grazie a loro e, senza dubbio, anche alla mia testardaggine e a un poco di fortuna, sono riuscito a dedicare buona parte del mio tempo a questa passione, vizio e meraviglia che è lo scrivere, creare una vita parallela ove rifugiarsi dalle avversità, che fa diventare normale ciò che è straordinario e straordinario ciò che è normale, che dissipa il caos, imbellisce ciò che è brutto, conferisce l’eternità a un istante e trasforma la morte in uno spettacolo passeggero. 
Non era facile scrivere delle storie. 
Trasformandosi in parole, i progetti appassivano sulla carta e le idee e le immagini venivano meno. Come rianimarle? 
Fortunatamente c’erano i maestri, per imparare da loro e per seguire il loro esempio. Flaubert mi ha insegnato che il talento significa disciplina tenace e grande pazienza. Faulkner che è la forma – la scrittura e la struttura – ciò che esalta o impoverisce le trame. Martorell, Cervantes, Dickens, Balzac, Tolstoj, Conrad, Thomas Mann che il ritmo e l’ambizione sono importanti in un romanzo quanto l’abilità stilistica e la strategia narrativa. 
Sartre che le parole sono azioni e che un romanzo, un’opera teatrale, un saggio, legati all’attualità e ai più alti obiettivi, possono cambiare la storia. Camus e Orwell che una letteratura priva di morale è inumana, e Malraux che l’eroismo e l’epica sono presenti nell’attualità così come al tempo degli argonauti, dell’Odissea o dell’Iliade. 
Se in questo discorso citassi tutti gli scrittori cui debbo qualcosa o molto, le loro ombre ci oscurerebbero. Sono infiniti. 
Oltre a rivelarmi i segreti del lavoro dello scrittore, mi hanno permesso di esplorare gli abissi dell’essere umano, ammirarne le imprese e spaventarmi per le loro follie. Furono gli amici più servizievoli, coloro che animarono la mia vocazione, nei cui libri scoprii che, anche nelle situazioni peggiori, ci possono essere delle speranze e che vale la pena vivere, anche solo per il fatto che senza la vita non potremmo leggere e nemmeno inventarci storie. (continua)

Lezione di Mario Vargas Llosa alla consegna del Nobel per la Letteratura, dicembre 2010 




"Un libro che lascia il lettore uguale a com’era prima di leggerlo è un libro fallito."

- E.M. Cioran - 





"Un libro sogna. Il libro è l’unico oggetto inanimato che possa avere sogni."

- Ennio Flaiano - 


"La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare..."

- Arthur Schopenhauer - 



Una volta imparato a leggere sarete per sempre liberi.

- Frederick Douglass - 




Buona giornata di lettura a tutti quanti. :-)