Visualizzazione post con etichetta bontà. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta bontà. Mostra tutti i post

mercoledì 12 agosto 2015

L’inverno della malattia non è l’ultima stagione della vita: c’è la primavera della Resurrezione - Papa Giovanni Paolo II -

…gli anni passano in fretta; il dono della vita, nonostante la fatica e il dolore che la segnano, è troppo bello e prezioso perché ce ne possiamo stancare.
Anziano anch'io, ho sentito il desiderio di mettermi in dialogo con voi.
E lo faccio anzitutto rendendo grazie a Dio per i doni e le opportunità che mi ha elargito con abbondanza sino ad oggi.
Lo Spirito agisce come e dove vuole, servendosi non di rado di vie umane che agli occhi del mondo appaiono di poco conto.
Quanti trovano comprensione e conforto in persone anziane, sole o ammalate, ma capaci di infondere coraggio mediante il consiglio amorevole, la silenziosa preghiera, la testimonianza della sofferenza accolta con paziente abbandono!
Proprio mentre vengono meno le energie e si riducono le capacità operative, questi nostri fratelli e sorelle diventano più preziosi nel disegno misterioso della Provvidenza.
Carissimi anziani, che vi trovate in precarie condizioni per la salute o per altro, vi sono vicino con affetto.
Quando Dio permette la nostra sofferenza a causa della malattia, della solitudine o per altre ragioni connesse con l'età avanzata, ci dà sempre la grazia e la forza perché ci uniamo con più amore al sacrificio del Figlio e partecipiamo con più intensità al suo progetto salvifico.
Siamone persuasi: Egli è Padre, un Padre ricco di amore e di misericordia!
La fede illumina così il mistero della morte e infonde serenità alla vecchiaia, non più considerata e vissuta come attesa passiva di un evento distruttivo, ma come promettente approccio al traguardo della maturità piena.
Sono anni da vivere con un senso di fiducioso abbandono nelle mani di Dio, Padre provvidente e misericordioso; un periodo da utilizzare in modo creativo in vista di un approfondimento della vita spirituale, mediante l'intensificazione della preghiera e l'impegno di dedizione ai fratelli nella carità.
È bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio.
Al tempo stesso, trovo una grande pace nel pensare al momento in cui il Signore mi chiamerà: di vita in vita! Per questo mi sale spesso alle labbra, senza alcuna vena di tristezza, una preghiera che il sacerdote recita dopo la celebrazione eucaristica:
- In hora mortis meae voca me, et iube me venire ad te –
- nell'ora della morte chiamami, e comanda che io venga a te –
E’ la preghiera della speranza cristiana, che nulla toglie alla letizia dell'ora presente, mentre consegna il futuro alla custodia della divina bontà.
- san Giovanni Paolo II, papa - 
dalla "Lettera agli anziani", ottobre 1999

 


 In questa tarda età risorge in me un bisogno provato da bambino. E cerco una mano che stringa la mia, un volto e una voce: sì, ho bisogno di mia madre.
Vergine Maria, madre della mia sera, a te affido i miei ultimi giorni: è una nascita nuova, un figlio ancora da partorire e condurre per mano nell'eternità beata.  

- Dario Rezza -
da: “Riflessi d'autunno”, edizioni Palumbi



... Vengo tra di voi come Vescovo di Roma, ma anche come anziano in visita ai suoi coetanei. Superfluo dire che conosco bene le difficoltà, i problemi e i limiti di questa età, e so che queste difficoltà, per molti, sono aggravate dalla crisi economica. Talvolta, a una certa età, capita di volgersi al passato, rimpiangendo quando si era giovani, si godeva di energie fresche, si facevano progetti per il futuro. Così lo sguardo, a volte, si vela di tristezza, considerando questa fase della vita come il tempo del tramonto. (...)

- Papa Benedetto XVI - 
Dal discorso alla Casa-Famiglia “Viva gli Anziani” della Comunità di Sant’Egidio, Novembre 2012



“Gli anziani apportano la memoria e la saggezza dell’esperienza, che invita a non ripetere stupidamente gli stessi errori del passato. Fa bene agli anziani comunicare saggezza ai giovani, e fa bene ai giovani raccogliere questo patrimonio di esperienza e di saggezza, e portarlo avanti, per il bene delle rispettive famiglie".

- Papa Francesco - 
da "Evangelii Gaudium"


Per gli anziani

O Dio eterno,
che nel passare degli anni rimani sempre lo stesso,
sii vicino a coloro che sono anziani.
Sebbene il loro corpo si indebolisce,
fa' che il loro spirito sia forte,
perché con pazienza possano sopportare le stanchezze
e le afflizioni e, alla fine,
andare incontro alla morte con serenità
in unione con Gesù nostro Signore. Amen.


Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 12 novembre 2014

Pange lingua (in italiano e latino) - San Tommaso d'Aquino

Canta, o mia lingua, 
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
 
frutto benedetto di un grembo generoso,
 
sparse per il riscatto del mondo.
Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
 
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.
Nella notte dell'ultima Cena, 
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
 
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
 
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.
Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
 
e se i sensi vengono meno,
 
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.
Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
 
l'antica legge
ceda alla nuova,
 
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.
Gloria e lode, 
salute, onore,
 
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
 
pari lode sia allo Spirito Santo,
 
che procede da entrambi.
Amen.

S. Tommaso d’Aquino



Pange língua gloriósi
Córporis mystérium, 
Sanguinísque pretiósi, 
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.
Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
 
et in mundo conversátus,
 
sparso verbi sémine,
 
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.
In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
 
observáta lege plene
cibis in legálibus,
 
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus.
Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
 
fitque sanguis Christi merum.
 
Et si sensus déficit,
 
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.
Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
 
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
 
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.
Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
 
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
 
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio.
Amen.

- S. Tommaso d’Aquino - 




Raffigurarsi Dio 


Ognuno si raffigura Dio a seconda di come vede se stesso. 
Se è al grado dei peccatori, vede Dio come giudice. 
Se è salito al secondo grado, quello dei penitenti, Dio si mostra a lui con il perdono. 
Se è al grado dei misericordiosi, scopre l'abbondanza della misericordia di Dio. 
Se ha rivestito dolcezza e mansuetudine, gli apparirà la benevolenza di Dio. 
Se ha acquisito un'intelligenza sapiente, contemplerà la incomprensibile ricchezza della sapienza divina. 
Se ha rinunciato alla collera e al furore, se la pace e la calma regnano in lui in ogni momento, è elevato all'inconfondibile purezza di Dio. 
Se la fede risplende incessantemente nella sua anima, egli guarda in ogni istante l'incomprensibilità delle opere di Dio, e ha la certezza che anche quelle ritenute spiegabili sono al di sopra di qualsiasi spiegazione. 
Se sale poi al livello dell'amore, giunto in cima a ogni grado vede che Dio non è altro che amore.
Tu lo vedrai come egli è, quando sarai divenuto come lui.

(Filosseno di Mabbug, Omelia 6)







"La fede è un dono di Dio" è la formula preferita dalle persone che non hanno fede. Infatti, se la fede è un dono di Dio, è dal Signore che dipende la quantità e la qualità di fede degli uomini. Se uno ha fede, non è lui il responsabile, ma Dio stesso che non gli ha fatto quel dono. Un dono normalmente più compatito che invidiato in chi ce l'ha, giacché molti ritengono che avere fede significhi dover accettare rassegnati i capricci della volontà divina o ei suoi sedicenti portavoce. Per questo si sente frequentemente l'espressione "Beato te che hai (tanta) fede!", che tradotto significa "Io me la cavo meglio senza".

- Alberto Maggi -
frate e biblista
http://www.studibiblici.it/







Buona giornata a tutti :-)






mercoledì 13 agosto 2014

Per la strada vidi una ragazzina e altri racconti - Padre Anthony de Mello -

Per la strada vidi una ragazzina che tremava di freddo, aveva un vestitino leggero e ben poca speranza in un pasto decente.
Mi arrabbiai e dissi a Dio:
"Perché permetti questo?
Perché non fai qualcosa?".
Per un po' Dio non disse niente.
Poi improvvisamente, quella notte rispose.
"Certo che ho fatto qualcosa:
Ho fatto Te".


(Padre Anthony de Mello)




Spiritualità come risveglio – Padre Anthony De Mello

Un tale bussa alla porta di suo figlio: "Paolo", dice, "svegliati!".
Paolo risponde: "Non voglio alzarmi, papà".
Il padre urla: "Alzati, devi andare a scuola".
Paolo dice: "Non voglio andare a scuola".
"E perché no?" chiede il padre.
"Ci sono tre ragioni", risponde Paolo. "Prima di tutto, è una noia; secondo, i ragazzi mi prendono in giro; terzo, io odio la scuola".
E il padre dice: "Bene, adesso ti dirò io tre ragioni per cui devi andare a scuola: primo, perché è tuo dovere; secondo, perché hai quarantacinque anni, e terzo, perché sei il preside".

(Padre Anthony de Mello)





Esperienza di Dio - Padre Anthony De Mello

Un mistico tornò dal deserto. «Dicci», gli chiesero avidamente, «com'è Dio?». Ma come poteva esprimere in parole ciò che aveva sperimentato nel profondo del suo cuore? È possibile esprimere in parole la verità?
Alla fine diede loro una formula - così imprecisa, così inadeguata - nella speranza che alcuni di loro si sentissero tentati, a sperimentare essi stessi ciò che egli aveva sperimentato.
Essi s'impadronirono della formula. Ne fecero un testo sacro. L'imposero a tutti come un articolo di fede. Affrontarono grandi sofferenze per diffonderla in paesi stranieri. E alcuni dettero persino la propria vita per essa.
E il mistico rimase triste. Sarebbe stato meglio se non avesse mai parlato.

(Padre Anthony de Mello)
Fonte: A. De Mello, Il canto degli uccelli: frammenti di saggezza nelle grandi religioni





Buona giornata a tutti. :-)







giovedì 12 aprile 2012

Le antipatie - Jean Vanier -

In una comunità ci sono anche delle "antipatie".

Ci sono sempre delle persone con le quali m'intendo, che mi bloccano, che mi contraddicono e soffocano lo slancio della mia vita e della mia li­bertà.
La loro presenza sembra minacciarmi, e provoca in me del­la aggressività, o una forma di regressione servile.
In loro presen­za sono incapace di esprimermi e di vivere.
Altri fanno nascere in me dei sentimenti d'invidia e di gelosia: sono tutto quello che io vorrei essere, e la loro presenza mi ricorda che io non lo sono.
La loro radiosità e intelligenza mi rimanda alla mia indigenza.
Altri mi chiedono troppo. Non posso rispondere alla loro incessante ri­chiesta affettiva. Sono obbligato a respingerli.

Queste persone so­no mie "nemiche"; mi mettono in pericolo; e anche se non oso ammetterlo, le odio. Certo, quest'odio è solo psicologico, non è ancora morale, cioè voluto. Ma lo stesso avrei preferito che queste persone non esistessero!

E naturale che in una comunità ci siano queste vicinanze di sensibilità come questi blocchi fra sensibilità diverse. Queste co­se vengono dall'immaturità della vita affettiva e da una quantità di elementi della nostra prima infanzia sui quali non abbiamo nessun controllo. Non si tratta di negarli.

Se ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni, si costituiranno certo dei clan all'interno della comunità. Allora non ci sarà più una comunità, ma dei gruppi di persone più o meno chiusi su se stessi e bloccati nei confronti degli altri. Quando si entra in certe comunità, si sentono subito queste tensioni e queste guerre sot­terranee. Le persone non si guardano in faccia. Quando s'incro­ciano nei corridoi, sono come navi nella notte.

Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso coscientemente di spezzare queste barriere e di uscire dal bozzo­lo delle "amicizie" per tendere la mano al "nemico".
Ma è un lungo cammino.
Una comunità non si fa in un giorno.
In realtà, non è mai fatta!
Sta sempre progredendo verso un amore più grande, oppure regredendo.


lunedì 12 marzo 2012

Il diritto di essere se stessi - Jean Vanier -

Una delle più grandi difficoltà della vita comunitaria è che si obbligano a volte le persone a essere diverse da quello che sono; si appiccica su di loro un ideale al quale devono conformarsi.  
Se non arrivano a identificarsi all’immagine che si fa di loro,  temono di non essere amati o almeno di dare una delusione.
Se ci arrivano, credono di essere perfetti.
Ora, in una comunità, non si tratta di avere delle persone perfette. Una comunità è fatta di persone legate le une alle altre, ognuna fatta di quel miscuglio di bene e di male, di tenebre e di luce, di amore e di odio. E la comunità non è che la terra in cui ognuno può crescere senza paura verso la liberazione delle forme d’amore che sono nascoste in lui. Ma non ci può essere crescita che si riconosca che c’è possibilità di progresso, e dunque che c’è ancora in noi una quantità di cose da purificare, tenebre da trasformare in luce, paure da trasformare in fiducia.

Spesso, nella vita comunitaria, ci si aspetta troppo  dalle persone, e s’impedisce loro di riconoscersi e di accettarsi così come sono.
Le si giudica molto presto, o le si classifica in categorie. Esse sono allora obbligate a nascondersi dietro una certa maschera. Ma loro hanno il diritto di essere brutte, e di avere un mucchio di tenebre dentro di sé, e angoli ancora induriti nel loro cuore in cui si nasconde la gelosia e perfino l’odio!
Queste gelosie, queste insicurezze sono naturali; non sono “malattie vergognose”. Esse appartengono alla nostra natura ferita.
E’ la nostra realtà.
Bisogna impararle ad accettarle, a vivere con esse senza drammi, e a poco a poco, sapendosi  perdonati, a camminare  verso la liberazione.

Io vedo nelle comunità certe persone vivere una specie di colpevolezza inconscia; hanno l’impressione di non essere quello che dovrebbero essere. Hanno bisogno di essere confermate e incoraggiate alla fiducia.
Hanno bisogno di sentire che possono condividere anche la loro debolezza senza essere respinte.

(Jean Vanier)

Fonte: La comunità luogo del perdono e della festa

  The Large Bathers. ca. 1906 (Les grandes baigneuses)
  Paul Cézanne
  Philadelphia, Philadelphia Museum of Art, USA


  Buona giornata a tutti. :-)




venerdì 10 febbraio 2012

Le delusioni - Jean Vanier -

Seguendo Gesù, Pietro è stato deluso tre volte.
Immagino che sia stato deluso quando Gesù l'ha chiamato; una parte di lui doveva rimpiangere la sua vita di pescatore e la sua vita familiare. Ma il suo amore per Gesù e la sua speranza gli hanno permesso di superare questa prima delusione.

Poi è stato deluso perché Gesù non era esattamente come lui avrebbe voluto che fosse. Avrebbe preferito un Gesù profetico e messianico, che non gli lavasse i piedi e non parlasse di morire.

Infine, la sua più grande delusione è stata che Gesù accettasse di diventare debole e di morire, e allora l'ha rinnegato.

Sono le tre delusioni della vita comunitaria.
La prima delusione, che è sicuramente la meno difficile, è quando vi si entra. Ci sono sempre in noi delle parti che restano attaccate ai valori che si sono lasciati.

La seconda delusione è quella di scoprire che la comunità non è così perfetta come si era creduto, che ha delle debolezze e dei difetti. L'ideale e le illusioni cadono, si è davanti alla realtà.

La terza delusione è la più dolorosa, quando ci si sente mal compresi e perfino respinti dalla comunità, quando per esempio non si è rieletti responsabili, o non ci vengono date le funzioni che avevamo sperato. E questa terza delusione ne porta un'altra, quando si sentono sorgere in noi la collera e le frustrazioni.

Per arrivare all'integrazione totale in una comunità, occorre saper passare attraverso le diverse delusioni che sono tutte dei nuovi approfondimenti, dei passaggi verso la liberazione interiore.

(Jean Vanier)
Fonte: “La comunità luogo del perdono e della festa” di Jean Vanier, Ed.JakaBook, 1991
  La crocifissione di San Pietro (1600-1601)
  Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571-1610)
  Chiesa Santa Maria del Popolo nella Cappella Cerasi, Roma
  San Pietro si fa crocifiggere a testa in giù per umiltà nei confronti di Cristo. Tutte le figure concorrono a formare una X con le assi della croce e dei corpi degli aguzzini, dunque anche questi ultimi sono accomunati col santo dal senso della fatica.


Buona giornata a tutti. :-)







martedì 10 gennaio 2012

Le chiusure - Jean Vanier -

I due grandi pericoli di una comunità sono gli "amici" e i "ne­mici".
Molto presto la gente che si somiglia si mette insieme; fa molto piacere stare accanto a qualcuno che ci piace, che ha le nostre stesse idee, lo stesso modo di concepire la vita, lo stesso tipo di umorismo.
Ci si nutre l'uno dell'altro; ci si lusinga:
"sei meraviglioso", "anche tu sei meraviglioso", "noi siamo meravi­gliosi perché siamo i furbi, gli intelligenti."
Le amicizie umane possono cadere molto in fretta in un club di mediocri in cui ci si chiude gli uni sugli altri; ci si lusinga a vicenda e ci si fa cre­dere di essere intelligenti.

Allora l' amicizia non è più un inco­raggiamento ad andare oltre, a servire meglio i nostri fratelli e sorelle, a essere più fedeli al dono che ci è stato dato, più atten­ti allo Spirito, e a continuare a camminare attraverso il deserto verso la terra promessa della liberazione.

L'amicizia diventa soffocante e costituisce un ostacolo che impedisce di andare verso gli altri, attenti ai loro bisogni.
Alla lunga, certe amicizie si trasformano in una dipendenza affettiva che è una forma di schiavitù.
  (Jean Vanier)
   Fonte:  “La comunità luogo del perdono e della festa” di Jean Vanier



19 giugno 1997, Papa Giovanni Paolo II, nel corso di una solenne e suggestiva cerimonia in Vaticano, alla quale erano presenti portatori di handicap mentale con i loro assistenti, ha consegnato personalmente a Jean Vanier il Premio Paolo VI 1997, indetto nell'ambito della difesa dei diritti umani e dello sviluppo dei popoli.
Vanier fondatore delle Comunità dell'Arche e il movimento Foi et Lumière: "In una società che emargina i deboli e minaccia la loro vita in nome d'una pretesa libertà, la pedagogia della condivisione della vita delle persone portatrici di handicap mentale, vissuta con estrema semplicità e povertà da Jean Vanier e dagli assistenti delle Comunità dell'Arche, costituisce nel contempo una affermazione ideale ed un concreto riconoscimento del valore unico e irripetibile di ogni persona umana”.



Buona giornata a tutti. :-)




sabato 17 dicembre 2011

Dalla "comunità per me" a "io per la comunità" - Jean Vanier -

Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei mem­bri sta facendo il passaggio da "la comunità per me" a "io per la comunità", cioè quando il cuore di ognuno si sta aprendo ad ogni membro, senza escludere nessuno. 
E il passaggio dall'egoi­smo all'amore, dalla morte alla resurrezione: è la pasqua, il pas­saggio del Signore, ma anche il passaggio da una terra di schia­vitù a una terra promessa, quella della liberazione interiore.

La comunità non è coabitazione, perché questo è una caser­ma o un albergo. Non è una squadra di lavoro e ancor meno un nido di vipere! 
E quel luogo in cui ciascuno, o piuttosto la mag­gioranza (bisogna essere realisti!) sta emergendo dalle tenebre dell'egoismo alla luce dell'amore vero.

L'amore non è né sentimentale né un'emozione passeggera. 
E' una attenzione all'altro che a poco a poco diviene impegno, riconoscimento di un legame, di un'appartenenza vicendevo­le. 
E' ascoltare l'altro mettersi al suo posto, capirlo, interessar­sene. 
E' rispondere alla sua chiamata e ai suoi bisogni più profondi. 
E' compatirlo, soffrire con lui, piangere quando piange, rallegrarsi quando si rallegra. 
Amare vuol dire anche essere felici quando l'altro è lì, tristi quando è assente; è resta­re vicendevolmente uno nell'altro, prendendo rifugio uno nel­l' altro. "L'amore è una potenza unificatrice", dice Dionigi l'Areopagita.

Se l'amore è essere teso verso l'altro, è anche e soprattutto ten­dere entrambi verso le stesse realtà; è sperare e volere le stesse cose; è partecipare della stessa visione, dello stesso ideale.



 - Jean Vanier -
Fonte: “ La comunità luogo del perdono e della festa”



  “La malattia mentale è una grossa domanda per il nostro mondo. Oggi i Paesi vogliono essere forti, i deboli vengono schiacciati. In realtà siamo nati tutti nella debolezza e moriremo nella debolezza. La nostra parte più debole è il cuore: io ho visto la sofferenza di chi non si sente amato". Viviamo in un mondo che, secondo Jean Vanier, ancora fa fatica ad accettare chi è disabile. "Esistono - prosegue - due forme di bisogno nell'essere umano: oltre ai bisogni di base, infatti, è sempre presente in noi il bisogno di sentirci apprezzati e di essere considerati unici. In sostanza, di non essere un numero in un gregge, di essere ascoltati, amati. E' un bisogno che va al di là di qualsiasi capacità o incapacità".


  Jean Vanier nato a Ginevra nel 1928, fondatore di L'Arche (L’Arca) e ispiratore del movimento Foi et Lumiere (Fede e Luce in Italia), che oggi sono centinaia e centinaia in tutti i continenti; è stato membro del Pontificio Consiglio per i Laici.



Buona giornata a tutti. :-)