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martedì 12 aprile 2022

Acqua generosa

La strana epidemia si abbatté, sulla città, all'improvviso!
Coloro, che ne erano colpiti, diventavano, prima, avidi: poi, prepotenti, e "arraffatori", perfino ladri...
E tremendamente sospettosi, gli uni, degli altri!
Si sentiva solo più parlare di soldi, cambi, tassi di interesse, e azioni, che andavano su, o giù...
Solo un eremita, dalla lunga barba bianca, conosceva il rimedio!
«Conosco la malattia, che ha colpito il vostro villaggio!
È dovuta a un "virus" terribile, perché, chi è colpito, diventa sempre più insensibile: il suo cuore si indurisce, fino a diventare di pietra e, al posto del cervello, si forma un "pallottoliere"...
C'è un solo rimedio: l'acqua della "Montagna Che Canta"!
Dovete trovare un giovane forte, e coraggioso, completamente disinteressato...
Deve affrontare questo impegno, solo per amore della gente!
Perché, l'acqua della generosità, funziona solo, se è veramente voluta, aspettata, accolta...
È logico, no? La medicina farà effetto, solo se ci sarà qualcuno, ad aspettarla!».
Ma, appena gli aspiranti eroi venivano a sapere, che non ci avrebbero guadagnato niente, si ritiravano!
Tutti, meno uno... Si chiamava, Giosuè! Promise la gente :
«Noi, ti aspetteremo! Metteremo una luce, sulla finestra, tutte le notti, così saprai, che ti aspettiamo!»
Giosuè baciò la mamma, e il papà, e abbracciò Mariarosa, la sua fidanzata, che gli sussurrò:
«Anch'io, ti aspetterò!».
Salutò tutti, e partì...
Dopo dieci giorni di marcia, le montagne continuavano ad apparire lontane, come profili di giganti dormienti!
Ma, Giosuè, non si fermava. Pensava agli abitanti della città che, certamente, si ricordavano di lui, e lo aspettavano, ai suoi genitori, e a Mariarosa e, ogni mattina, anche se i piedi gli dolevano, ricominciava la marcia!
Passarono, altri dieci giorni: poi, dieci mesi!
Nella città, le prime notti erano state un vero spettacolo...
Sui davanzali, di quasi tutte le finestre, brillava una luce!
Era il segno, della speranza: aspettavano l'acqua, della generosità, portata da Giosuè...
Ma, con il passare del tempo, molte lampade si spensero!
Alcuni se ne dimenticarono, semplicemente, altri, colpiti dalla malattia, si affrettarono a spegnerle, per risparmiare...
La maggioranza dei cittadini, dopo qualche mese, scuoteva la testa, dicendo:
«Non ce l'ha fatta... Non tornerà, più!».
Ogni notte, c'era qualche luce in meno, alle finestre. Il ritorno, di Giosuè, fu molto più rapido, dell'andata!
Portava, sulle spalle, una "botticella", della preziosa acqua...
Una notte, senza luna, e senza stelle, Giosuè arrivò sulla collina, da cui si vedeva la città! Guardò giù, ansimando, perché aveva fatto, di corsa, gli ultimi metri. Quello, che vide, gli riempì gli occhi di lacrime, e il cuore di amarezza! La città era completamente avvolta, dal buio. Non c'erano luci, sui davanzali, delle finestre!
Nessuno, lo aveva aspettato! E pensò :
«È stato tutto, inutile... Se nessuno mi ha aspettato, l'acqua non farà effetto. Tutta la mia fatica, è stata inutile!».
Si avviò, mestamente... Aveva voglia, di buttar via quell'acqua, che gli era tanto costata! Stava per farlo, quando qualcosa lo fermò... C'era una luce, laggiù! Un lumino, piccolo, tremante, lottava con la notte, in mezzo ai muri neri, delle case, Giosuè rise, di felicità, e partì, di corsa! Bussò...
Si affacciò un volto dolce, e conosciuto!
«Io ti ho sempre aspettato!» disse Mariarosa, semplicemente.

«Quando il Figlio dell'uomo tornerà, sulla terra, troverà ancora la fede?


« II Signore, dicendo: "Passi da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta", dichiara che non è possibile all'uomo salvarsi senza l'amara medicina della morte; senza bere il calice dell'umiliazione e del patimento. 
«Gesù Cristo fu come un medico pietoso, il quale, sebbene sano, appressò per primo le labbra alla medicina amara, affinchè, sul suo esempio, gli infermi non avessero difficoltà di trangugiarla. Non diciamo, dunque: non ho voglia, non ho forza di bere il calice dei patimenti che Dio mi manda; poiché il nostro Salvatore divino fu il primo a berlo sino alla feccia.» 

- Sant'Agostino -


«La preghiera di Gesù nel Getsemani non è una preghiera contraddittoria, dissonante, ma uniforme, armoniosa, coerente. È una preghiera unica, semplice, assoluta, quale conviene ad un Redentore divino, il quale, mentre in sé rappresenta tutti gli uomini peccatori, rammenta che li rappresenta tutti per salvarli, per santificarli per unirli per sempre a Dio » 

- San Beda -


"Non possiamo considerare la Quaresima come un periodo qualsiasi, una ripetizione ciclica dell'anno liturgico. 
È un momento unico; è un aiuto divino che bisogna accogliere. 
Gesù passa accanto a noi e attende da noi — oggi, ora — un rinnovamento profondo."




Protesi alla gioia pasquale,
sulle orme di Cristo Signore
seguiamo l’austero cammino
della santa Quaresima.
La legge e i profeti annunziarono
dei quaranta giorni il mistero;
Gesù consacrò nel deserto
questo tempo di grazia.
Sia parca e frugale la mensa,
sia sobria la lingua ed il cuore;
fratelli, è tempo di ascoltare
la voce dello Spirito.
Forti nella fede vigiliamo
contro le insidie del nemico:
ai servi fedeli è promessa
la corona di gloria.
Sia lode al Padre onnipotente,
al Figlio Gesù redentore,
allo Spirito Santo Amore
nei secoli dei secoli. Amen.



Buona giornata a tutti. :-)

martedì 29 ottobre 2019

Messa e momenti di silenzio - Romano Guardini

Quando la Santa Messa viene celebrata come si deve, tacciono ad intervalli, nel suo sviluppo, sia la voce distinta del sacerdote sia quella dei fedeli. 
Il sacerdote parla a bassa voce o esegue, senza parole, ciò che il servizio divino prescrive; la comunità prende parte con l'intenzione degli occhi e dell'anima.

Che cosa significano questi momenti di silenzio? E che fare allora? Anzi cos'è in fondo, il silenzio?

Anzitutto, una cosa semplicissima: che ci sia proprio silenzio, e che non si parli, e che non sia dato di cogliere nessun rumore, nessun movimento, nessun fruscio di fogli, nessun colpo di tosse. 
Non vogliamo esagerare: gli uomini sono degli esseri viventi e si muovono, e un essere schiavo non sarebbe da preferirsi al disordine. 
Eppure silenzio è per l'appunto silenzio, e solo allora è silenzio quando positivamente lo si vuole.

Dipende dal valore che gli si dà: da qui dipende il godimento o il tedio che ci si prova. 
L'uno dice: "Non posso trattenere la tosse". L'altro: "In ginocchio non ce la faccio". 
Quando però assistono ad un concerto oppure a una conferenza che li affascina, soffocano ogni colpo di tosse, evitano la più lieve mossa, e nella sala regna quel silenzio che è, in fondo, la cosa più bella di tutte: il clima di chi sta in ascolto, dove prende risalto ciò che vi è di bello e di veramente importante... 
Così è: bisogna volere fermamente il silenzio, anche a prezzo di qualche sacrificio: allora lo si ha. 
Lo avete sperimentato una volta in tutto il suo valore? Non saprete più comprendere come se ne possa star senza.»

- Romano Guardini -
da: Il testamento di Gesù


«La bellezza della liturgia esige sempre qualche rinuncia da parte nostra: rinuncia alla banalità, alla fantasia, al capriccio. 
Alla liturgia, inoltre, bisogna dare il tempo e lo spazio di cui ha bisogno. 
Non bisogna avere fretta. 
Più che alla nostra iniziativa bisogna lasciare a Dio la libertà di parlarci e di raggiungerci attraverso la parola, la preghiera, i gesti, la musica, il canto, la luce, l'incenso, i profumi. 
La liturgia, come una composizione musicale, ha bisogno di spazio, di tempo e di silenzio, del distacco da noi stessi, perché le parole, i gesti e i segni possano parlarci di Dio.» 

- Mons. Guido Marini -
da: Liturgia e bellezza


«Il musicista deve essere liturgista, perché come ad un povero a pranzo si dà il cibo buono, e non ghiande, così per la mensa del Signore non si possono presentare quelle musiche orribili che sanno più di schizofonia che di altro. 
La colpa non è del Concilio ma di chi non lo ha capito e che invece presume di averlo capito.» 

- Mons. Giuseppe Liberto -
Direttore emerito del Coro della Cappella Sistina


Buona giornata a tutti. :-)


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mercoledì 31 maggio 2017

A Maria, Madre della Chiesa - don Tonino Bello

A Maria, Madre della Chiesa,
Aiutaci a guardare il mondo con simpatia e con l'audacia della fede.
Vergine santa, che guidata dallo Spirito, "ti mettesti in cammino per raggiungere in fretta una città di Giuda" (Lc 1,39), dove abitava Elisabetta, e divenisti così la prima missionaria del Vangelo, fà che, sospinti dallo stesso Spirito, abbiamo anche noi il coraggio di entrare nella città per portarle annunci di liberazione e di speranza, per condividere con essa la fatica quotidiana, nella ricerca del bene comune.
Donaci oggi il coraggio di non allontanarci, di non imboscarci dai luoghi dove ferve la mischia, di offrire a tutti il nostro servizio disinteressato e guardare con simpatia questo mondo nel quale nulla vi è genuinamente umano che non debba trovare eco nel nostro cuore.
Aiutaci a guardare con simpatia il mondo, e a volergli bene.
Noi sacerdoti troviamo il culmine della nostra presenza presbiteriale nel giovedì santo, quando vien posto nelle nostre mani l'olio dei catecumeni, l'olio degli infermi e il sacro crisma.
Fà che nelle nostre mani l'olio degli infermi significhi scelta preferenziale della città malata, che soffre a causa della debolezza propria o della malvagità altrui.
Fà che l'olio dei catecumeni, l'olio dei forti, l'olio dei lottatori, esprima solidarietà di impegno con chi lotta per il pane, per la casa, per il lavoro.
Solidarietà da tradurre anche con coraggiose scelte di campo, offerta di impegno da non imbalsamare nel chiuso dei nostri sterili sentimenti.
E fà che il sacro crisma indichi a tutti gli umiliati e gli offesi della nostra città, ma anche agli indifferenti, ai distratti, ai peccatori la loro incredibile dignità sacerdotale, profetica e regale.
Come te, Vergine santa, sacerdote, profeta e re, facci entrare nella città.
Amen.

(don Tonino Bello)




Io penso, Giuseppe, che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. Lei ha puntato tutto sull'onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza. La carità ha fatto il resto, in te e in lei.

don Tonino Bello
da: Lettera a San Giuseppe


Invitati alla mensa del Signore

La chiesa disse a Maria:
Vieni, e andremo insieme
a pregare il Figlio del Signore
per i peccati del mondo.
Tu pregalo perché lo hai allattato,
e io lo pregherò perché
ha mescolato il suo sangue alle mie nozze.
Tu pregalo come Madre,
ed io come sposa;
egli ascolterà sua Madre
e risponderà alla sua Sposa.

- Dalla Liturgia Caldea -


 Buona giornata a tutti. :-)






venerdì 12 maggio 2017

La venerazione della Parola – Padre Andrea Gasparino

C’è un’altra affermazione della Chiesa che è molto più impressionante, mi pare, al riguardo dell’importanza della Parola di Dio.
È una delle affermazioni più impressionanti del Concilio sulla Parola di Dio, secondo me. Si trova nel Decreto Dei Verbum al n. 21:
«La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo» (Dei Verbum 21).
La Chiesa sa che nelle cose dello spirito siamo distratti e assenti e allora ha maturato tutta una sua pedagogia per richiamarci alla realtà della Parola di Dio.
La Chiesa anzitutto ci richiama col suo esempio, ha tutto un suo contegno esteriore molto singolare, quando accosta la Parola di Dio. 
Nella liturgia il ministro non legge la Parola da seduto come noi si legge il giornale. 
Vuole che il ministro-lettore si alzi in piedi. 
Non vuole che la Parola sia letta bisbigliando, ma che sia proclamata con solennità come un messaggio, come anticamente faceva l’araldo. 
L’araldo avanzava davanti a tutto il popolo scortato da molto apparato. Squillavano le trombe, poi dall’alto del suo cavallo egli leggeva il proclama del suo Signore…
Al momento più solenne della Parola, al Vangelo quando Cristo stesso parla, la Chiesa comanda a tutto il Popolo di Dio di ascoltare in piedi. 
Nelle Messe solenni il Libro Santo viene portato davanti al popolo con molta solennità. 
Il diacono lo porta ben sollevato in alto, come se portasse un tesoro, lo accompagnano gli altri ministri dell’altare, con ceri e incenso. 
Durante l’incedere solenne della Scrittura il coro deve eseguire il canto gioioso dell’Alleluia, poi, eseguita la lettura, il ministro deve chinarsi a baciare il Libro e farlo baciare dal ministro principale.
Perché tutto questo rituale esteriore intorno alla Parola di Dio? 
È la pedagogia della Chiesa che l’ha pensato, e l’ha pensato tutto questo apparato a motivo proprio del nostro infantilismo, della nostra superficialità. Siamo tanto bambini e siamo tanto distratti: un pò di apparato esteriore ci è utile almeno a capire che siamo davanti a delle cose importanti: Dio ci sta parlando, non posso sottovalutare l’importanza della Parola che Dio mi porge.
Non è un pro-forma tutto questo apparato della Chiesa, è tutta una pedagogia che io devo sforzarmi di cogliere.
La Chiesa in sostanza vuole che io faccia nascere in me un atteggiamento di fondo che mi aiuti a cogliere il dono di Dio, la sua Parola. 
Naturalmente l’atteggiamento esteriore conta poco senza quello interiore, ma la Chiesa mi insegna a non trascurare in me l’atteggiamento esteriore perché è il primo passo verso quello interiore. 
Il mallo non è la noce, ma senza mallo la noce non può esistere: l’esteriore non è l’interiore, ma senza esteriore rischio di perdere l’interiorità.
Non posso ascoltare la Parola di Dio come ascolterei il giornale-radio, come aprirei una rivista a un tavolino del bar, come leggerei un foto-romanzo. 
No, è un altro mondo quello della Parola di Dio. Io devo prepararmi esternamente per maturare ad un determinato atteggiamento interiore.
Davanti alla Parola di Dio la Chiesa ci vuole maturi all’ascolto, coscienti di chi parla, coscienti della nostra dipendenza da lui, direi che la Chiesa ci chiede di aprirci al senso del sacro.
Una volta, in Africa, ho chiesto ad un piccolo arabo: «Che cosa hai imparato oggi alla scuola del Corano?». Lui si illuminò e mi disse la frase del Corano che aveva imparato. Allora gli chiesi: «Scrivi sulla sabbia le parole che hai imparato». Mi guardò quasi terrorizzato e mi disse: «No, la Parola di Dio si scrive nella mente e nel cuore, non si scrive per terra!». Non sapevo che nessun arabo può profanare la Parola scrivendola per terra.
Ecco, il senso del sacro è sovente quello che difetta in me quando all’ Eucaristia la Chiesa mi porge la Parola di Dio. 
Per fedeltà alla Chiesa io devo far nascere in me tutta una problematica nuova nel rispetto della Parola:

• nell’accostarmi alla Parola
• nel riceverla
• nell’accoglierla in me
• nel coltivarla quando l’ho accolta.

Anzitutto il senso del sacro mi obbliga a non profanarne un briciolo di Parola di Dio. Ricevendo l’Eucaristia non lascerei cadere i frammenti eucaristici senza cura, calpestandoli. Nulla deve andar perduto della Parola di Dio, cioè devo acuire in me in modo talmente forte il senso del sacro, vietarmi ogni distrazione e ogni leggerezza. Tutto ciò che posso capire devo afferrarlo, niente deve andare perduto!
Una profanazione grave è l’impreparazione, l’ignoranza. 
Se la Parola di Dio non mi sfiora neppure, sotto c’è con probabilità un problema grave di ignoranza. 
Mi deve far paura l’ignoranza; l’ignoranza è il nemico più micidiale della fede! La Chiesa ha più paura dell’ignoranza che della persecuzione perché fa più strage nelle menti l’ignoranza che non la persecuzione. 
Ormai esistono tanti sussidi per capire la Parola di Dio, per prepararsi alla Parola di Dio. 
Che cosa vi costerebbe la domenica andare a Messa conoscendo già la Parola che vi verrà letta? 
È come offrire al giardiniere un pezzo di terra già ben lavorato, con la terra zappata, sarchiata, concimata… date a un giardiniere un bel pezzo già pronto con una terra buona, nera, piena di humus, poi vedete che miracolo succede in quelle mani esperte, di quel pezzo di giardino già preparato. 
Oggi, un Vangelo costa nulla, costa meno di un pacchetto di sigarette. 
Il libretto che vi riporta la Parola di Dio per un mese intero costa meno di un giornale. Non abbiamo scuse se vogliamo andare a Messa ben preparati all’ascolto della Parola.
Poi ci vuole il senso del sacro nell’applicare la Parola. 
Ogni volta che vado alla liturgia dovrei chiedermi: che cosa avrà da dirmi oggi il Signore? 
Da dire a me, proprio a me… non a mia madre, non a mia sorella, non al prete; a me, proprio a me. 
Perché è quasi come entrare in una grossa farmacia con tutti gli scaffali pieni, con un labirinto di medicamenti: nello scaffale c’è la bottiglietta che fa per me, per la mia bronchite, ma se io lo ignoro, se della mia bronchite non me ne fa niente, se io invece di comprare lo sciroppo per la mia bronchite penso solo ad acquistare il cerotto per il dito di mia madre, allora non c’è alternativa, la mia bronchite me la devo tenere.
Io alla liturgia devo chiedere al medico divino quale medicina ha preparato per me. 
Lui ce l’ha pronta, aspetta solo che io la chieda, ma se io sono entrato da lui solo per curiosare tra gli scaffali, si capisce che non mi dà nulla e quel che è peggio… i miei mali me li debbo tenere perché quello è il suo stile. 
Lui non guarisce chi non vuole guarire, non cura chi non vuoi essere curato.
Poi c’è il dopo… Dopo l’ascolto della Parola ci sono altri problemi importantissimi. 
Se mi son comperato in farmacia il ricostituente lo devo prendere, finché lo tengo nella tasca del cappotto non ci siamo. Lo devo prendere e devo anche rispettare le dosi secondo le istruzioni allegate. 
Ho conosciuto un tizio che è andato all’altro mondo perché ha ingoiato tutto il tubetto degli antibiotici che doveva prendere a scadenza… e conosco tanta gente che, di fronte ad una medicina amara, prende il primo cucchiaio poi la mette là. 
No, la medicina per far bene va presa a dosi giuste, rispettando le prescrizioni mediche adatte. 
Voglio dire: quando nella liturgia ho trovato la Parola che Dio ha preparato per me, la devo tenere preziosa, la devo tirar fuori, la devo scavare, la devo lavorare; devo cioè iniziare tutto un processo di assimilazione.
Mi aiuterebbe molto anche una cosa: cambiarla in preghiera. 
Polarizzare l’attenzione sulla frase che fa per me, poi portarla a casa come un piccolo tesoro di Dio da studiare, da approfondire, da amare.

Una parola di Dio che mi penetra nel sangue può far cambiare rotta alla mia vita.

- Padre Andrea Gasparino -




Buona giornata a tutti. :-)




domenica 18 ottobre 2015

Un telefono azzurro per la Messa (carrellata dei più frequenti abusi liturgici) - Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Ci vorrebbe un telefono azzurro anche per la liturgia. Anzi, soprattutto per la liturgia. Un telefono al quale i cattolici normali possano rivolgersi con fiducia e denunciare gli abusi. "Pronto, Telefono Azzurro per la Santa Messa? Volevo segnalarvi che nella parrocchia XY il prete Taldeitali fa tenere l'omelia alla suora laica che assomiglia a Rosy Bindi". E, dall'altra parte del cavo, solerti operatori impegnati a stilare un cahier de doléance da girare, in forma ufficiale, alla Chiesa Cattolica apostolica di Roma. E poi ci vorrebbe l'altrettanto solerte intervento di Roma. 
Il primo sintomo dell'epidemia di abuso liturgico sta nella rottura definitiva dell'unità della Messa. Chiesa che vai, liturgia che trovi. Il periodo estivo, con le sue escursioni per spiagge, valli, monti, colline e vecchi borghi, è stato l'occasione tragica per riscontrare l'esistenza di una molteplicità di riti, che nessuno è umanamente in grado di catalogare. Per tentare una classificazione di questo scempio da decenni tollerato, quando non incoraggiato, dalle gerarchie, bisogna individuare alcune macro-categorie di orrori.



Le Chiese ridotte a luoghi profani 
II primo abuso, il più diffuso, è consistito e consiste nella inesorabile riduzione delle chiese a luoghi profani. Luoghi nei quali si entra e si esce come da un centro commerciale, senza genuflessione e senza saluto al Santissimo Sacramento, che del resto in moltissime chiese è relegato in posizioni misteriose ed introvabili, quando non addirittura fatto accomodare in locali attigui al tempio. I protagonisti di questa secolarizzazione delle chiese sono gli architetti e chi li ha incaricati, che hanno realizzato mostruosi edifici, i quali nulla hanno di sacro e spiccano anzi per la loro oggettiva bruttezza. 
La conseguenza di questa autentica profanazione è che le chiese sono diventate luoghi importanti solo quando vi si riunisce l'assemblea e inizia quella che menti teologiche raffinate definiscono "l'azione liturgica". Fino a un secondo prima della Messa, la folla discorre amabilmente, si guarda in giro per vedere chi ci sia, controlla già impaziente l'orologio. Gli inginocchiatoi, per una preghiera di preparazione alla Messa, restano desolatamente vuoti, sempre che ancora siano presenti. Del resto, non è raro che lo stesso sacerdote giunga trafelato in sacrestia all'ultimo minuto, indossando in fretta e furia casule di nylon su camicioni dotati di praticissime cerniere lampo. 
Finita la Messa, in chiesa si scatena la bagarre, come all'uscita da San Siro a fine partita: la gente per lo più si da a una fuga precipitosa, altri si salutano calorosamente e ad alta voce si raccontano le ultime novità. Insomma, si "da corpo a una comunità viva". 
Il ringraziamento nel raccoglimento e nel silenzio? Roba preconciliare. 
Nel tabernacolo, Nostro Signore presente nel Santissimo Sacramento, del tutto ignorato, assiste solo e silenzioso alla volgarizzazione della sua casa. 
Nella quale non mancheranno, ovviamente, applausi ai funerali, discorsi dal pulpito di sindaci atei per commemorare il defunto, concerti e conferenze, senza nemmeno preoccuparsi di lasciare vuoto il tabernacolo.



Il sacerdote che celebra a braccio 
È sempre più frequente che il prete scelga di tradurre con le sue parole alcuni pezzi della Messa o anche di sottoporli a una specie di spiegazione alla Piero Angela di "SuperQuark": "Ecco, adesso recitiamo questa preghiera, dalla quale si capisce che Gesù ci ama". Dal che si intuisce come nemmeno l'abolizione della temutissima Messa in latino sia stata sufficiente a spiegare ed a far capire tutto al volgo cattolico. Ci vuole la spiegazione del Mistero, il cartello da museo di scienze naturali per svelare ciò che Dio stesso ha voluto fosse velato ai nostri sensi, come recita la splendida preghiera di Tommaso d'Aquino.



L'andirivieni per le Letture  & le "quote rosa"
Una delle pietre miliari consiste nel protagonismo dei laici. I quali devono conquistare più metri possibili sull'altare, proprio come i giocatori di rugby devono guadagnare campo per avvicinarsi alla meta. 
Il reclutamento di tali laici da liturgia subisce sorti altalenanti: si va dalle parrocchie (poche) nelle quali cattolici adulti sgomitano per avere un ruolo e così "animare la Messa", a parrocchie (quasi tutte) in cui i laici vivono con fastidio o persino terrore il reclutamento frettoloso che precede la Messa (o che avviene a Messa già iniziata). Alcuni agenti del parroco vagano alla ricerca di chi "farà la prima" (lettura) o di chi porterà all'altare le offerte. 
Avendo cura di garantire che il 50% dei lettori siano donne, in omaggio al genio femminile. Che viene parimenti esaltato anche dal numero di chierichette dalle lunghe chiome fluenti che occupano l'altare, a tutto detrimento dei declinanti e ormai rari chierichetti di sesso maschile.



Il Vangelo letto dal popolo e le Messe parzialmente scremate
La logica di occupazione dell'altare da parte dei laici spinge anche a far leggere il Vangelo a laici, suore e catechisti. 
Affidando loro pure il compito di commentare. In alcune chiese si sperimenta da anni una sorta di rito parallelo: l'assemblea in chiesa, i bambini del catechismo in un locale diverso, con letture adattate alle loro povere menti e predica del catechista; cui poi segue ricongiungimento dei due gruppi al momento della consacrazione.



L'Omelia vuota e inascoltabile 

Non si tratta propriamente di abuso liturgico, ma di abuso della pazienza dei fedeli. Sarebbe auspicabile una moratoria dalle prediche di almeno un anno, per verificare se alla fine il silenzio non possa risultare più sano delle ormai trite e ritrite dosi di cattiva teologia tardo novecentesca, cui è drammaticamente aggrappata gran parte del clero attuale.



È la Preghiera dei fedeli o la scaletta del TG?
È uno dei momenti più tragici della Messa domenicale, nel quale spesso i fedeli assistono attoniti al trionfo del politicamente corretto, navigano nel banal grande di un'agenda delle intenzioni che è dettata dal Tg1 della sera, subiscono un diluvio di parole che abbracciano così tante intenzioni da essere riassumibili in un'unica, brevissima preghiera:"Signore, ascolta tutte le preghiere di ciascuno di noi, Amen".



La Consacrazione, questa sconosciuta 
Quello che è, appunto, il Sacrificio e dunque il cuore della Messa scorre via spesso come un breve, rapidissimo momento qualsiasi del rito. Anzi, sotto il profilo quantitativo e perfino rituale, la lettura della "Parola" la predica, perfino la preghiera dei fedeli e l'offertorio, sovrastano in modo impressionante la fase della consacrazione. 

Potremmo dire che la assorbono, a causa di sacerdoti che la celebrano con la lena di un velocista, riducono l'elevazione a un istante infinitesimale, scelgono da sempre la preghiera di consacrazione più rapida e mai quella più simile alla Messa antica; e non si inginocchiano, limitandosi a un deferente inchino orientaleggiante.




Comunione o tavola calda?

La profanazione cui è sottoposto Nostro Signore nelle Sacre Specie è la parte più dolorosa degli abusi liturgici. A cominciare dalla diffusione pressoché plebiscitaria della comunione sulla mano, che venne introdotta dai vescovi italiani come eccezione, sotto forma di indulto, di concessione particolare. 
E che oggi è invece il modo ufficiale di ricevere il Santissimo. 
Con una serie di modalità e di strani contorcimenti dei fedeli che pigliano quanto volevano e poi se ne tornano al posto. 
E' indiscutibile che, con queste modalità, la dispersione delle Sacre Specie e la conseguente profanazione del Corpo e del Sangue di Nostro Signore è certa. Come pure aumentano a dismisura i rischi di asportazione della Comunione. Circostanze, che renderebbero necessario abbandonare subito la distribuzione sulle mani.



Il famigerato "Alleluia delle lampadine"

Tra tutte le orrende e non di rado eretichieggianti composizioni, che allietano la cosiddetta assemblea, questo è l'inno nazionale di tutti gli scempi musicali, che si sono sprigionati dopo l'abbandono del gregoriano. 
Questo canto-ballo rappresenta in modo emblematico la trasformazione della Messa da sacrificio a banchetto allegrone, nel quale tragicamente, come dicono le parole del testo, "la festa siamo noi". E non più Gesù Cristo.

- Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro -  
Fonte: Radici Cristiane, Ottobre 2013 (n.88)

(le foto sono state prese dal web)




Buona giornata a tutti. :-)






venerdì 27 marzo 2015

Acqua generosa -

La strana epidemia si abbatté, sulla città, all'improvviso!
Coloro, che ne erano colpiti, diventavano, prima, avidi: poi, prepotenti, e "arraffatori", perfino ladri...
E tremendamente sospettosi, gli uni, degli altri!
Si sentiva solo più parlare di soldi, cambi, tassi di interesse, e azioni, che andavano su, o giù...
Solo un eremita, dalla lunga barba bianca, conosceva il rimedio!
«Conosco la malattia, che ha colpito il vostro villaggio!
È dovuta a un "virus" terribile, perché, chi è colpito, diventa sempre più insensibile: il suo cuore si indurisce, fino a diventare di pietra e, al posto del cervello, si forma un "pallottoliere"...
C'è un solo rimedio: l'acqua della "Montagna Che Canta"!
Dovete trovare un giovane forte, e coraggioso, completamente disinteressato...
Deve affrontare questo impegno, solo per amore della gente!
Perché, l'acqua della generosità, funziona solo, se è veramente voluta, aspettata, accolta...
È logico, no? La medicina farà effetto, solo se ci sarà qualcuno, ad aspettarla!».
Ma, appena gli aspiranti eroi venivano a sapere, che non ci avrebbero guadagnato niente, si ritiravano!
Tutti, meno uno... Si chiamava, Giosuè! Promise la gente :
«Noi, ti aspetteremo! Metteremo una luce, sulla finestra, tutte le notti, così saprai, che ti aspettiamo!»
Giosuè baciò la mamma, e il papà, e abbracciò Mariarosa, la sua fidanzata, che gli sussurrò:
«Anch'io, ti aspetterò!».
Salutò tutti, e partì...
Dopo dieci giorni di marcia, le montagne continuavano ad apparire lontane, come profili di giganti dormienti!
Ma, Giosuè, non si fermava. Pensava agli abitanti della città che, certamente, si ricordavano di lui, e lo aspettavano, ai suoi genitori, e a Mariarosa e, ogni mattina, anche se i piedi gli dolevano, ricominciava la marcia!
Passarono, altri dieci giorni: poi, dieci mesi!
Nella città, le prime notti erano state un vero spettacolo...
Sui davanzali, di quasi tutte le finestre, brillava una luce!
Era il segno, della speranza: aspettavano l'acqua, della generosità, portata da Giosuè...
Ma, con il passare del tempo, molte lampade si spensero!
Alcuni se ne dimenticarono, semplicemente, altri, colpiti dalla malattia, si affrettarono a spegnerle, per risparmiare...
La maggioranza dei cittadini, dopo qualche mese, scuoteva la testa, dicendo:
«Non ce l'ha fatta... Non tornerà, più!».
Ogni notte, c'era qualche luce in meno, alle finestre. Il ritorno, di Giosuè, fu molto più rapido, dell'andata!
Portava, sulle spalle, una "botticella", della preziosa acqua...
Una notte, senza luna, e senza stelle, Giosuè arrivò sulla collina, da cui si vedeva la città! Guardò giù, ansimando, perché aveva fatto, di corsa, gli ultimi metri. Quello, che vide, gli riempì gli occhi di lacrime, e il cuore di amarezza! La città era completamente avvolta, dal buio. Non c'erano luci, sui davanzali, delle finestre!
Nessuno, lo aveva aspettato! E pensò :
«È stato tutto, inutile... Se nessuno mi ha aspettato, l'acqua non farà effetto. Tutta la mia fatica, è stata inutile!».
Si avviò, mestamente... Aveva voglia, di buttar via quell'acqua, che gli era tanto costata! Stava per farlo, quando qualcosa lo fermò... C'era una luce, laggiù! Un lumino, piccolo, tremante, lottava con la notte, in mezzo ai muri neri, delle case, Giosuè rise, di felicità, e partì, di corsa! Bussò...
Si affacciò un volto dolce, e conosciuto!
«Io ti ho sempre aspettato!» disse Mariarosa, semplicemente.

«Quando il Figlio dell'uomo tornerà, sulla terra, troverà ancora la fede?




« II Signore, dicendo: "Passi da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta", dichiara che non è possibile all'uomo salvarsi senza l'amara medicina della morte; senza bere il calice dell'umiliazione e del patimento. 
«Gesù Cristo fu come un medico pietoso, il quale, sebbene sano, appressò per primo le labbra alla medicina amara, affinchè, sul suo esempio, gli infermi non avessero difficoltà di trangugiarla. Non diciamo, dunque: non ho voglia, non ho forza di bere il calice dei patimenti che Dio mi manda; poiché il nostro Salvatore divino fu il primo a berlo sino alla feccia.» 

- Sant'Agostino -





«La preghiera di Gesù nel Getsemani non è una preghiera contraddittoria, dissonante, ma uniforme, armoniosa, coerente. È una preghiera unica, semplice, assoluta, quale conviene ad un Redentore divino, il quale, mentre in sé rappresenta tutti gli uomini peccatori, rammenta che li rappresenta tutti per salvarli, per santificarli per unirli per sempre a Dio » 

- San Beda -


"Non possiamo considerare la Quaresima come un periodo qualsiasi, una ripetizione ciclica dell'anno liturgico. 
È un momento unico; è un aiuto divino che bisogna accogliere. 
Gesù passa accanto a noi e attende da noi — oggi, ora — un rinnovamento profondo."





Protesi alla gioia pasquale,
sulle orme di Cristo Signore
seguiamo l’austero cammino
della santa Quaresima.
La legge e i profeti annunziarono
dei quaranta giorni il mistero;
Gesù consacrò nel deserto
questo tempo di grazia.
Sia parca e frugale la mensa,
sia sobria la lingua ed il cuore;
fratelli, è tempo di ascoltare
la voce dello Spirito.
Forti nella fede vigiliamo
contro le insidie del nemico:
ai servi fedeli è promessa
la corona di gloria.
Sia lode al Padre onnipotente,
al Figlio Gesù redentore,
allo Spirito Santo Amore
nei secoli dei secoli. Amen.



Buona giornata a tutti. :-)