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mercoledì 31 luglio 2019

Dialogo in guardaroba - Bombeck Erma

Ieri ho attaccato in guardaroba il seguente cartello:

Tutti i capi di vestiario abbandonati in questo posto per più di novanta giorni verranno rimossi a spese del proprietario e venduti all'asta.

«Che cos'è questa storia?» mi ha chiesto il più piccolo dei miei figli.

«Significa che in fondo al tuo mucchio di vestiti ci sono ancora i pannolini, e hai tredici anni. Significa che non ne posso più di vederti vestire tutte le mattine sopra il tostapane. Significa che i tuoi vestiti hanno un posto e io voglio vederceli.»

«Avevo proprio intenzione di parlarti di questa storia», ha detto lui. «Si può sapere perché hai messo i miei blue jeans in lavatrice?»
«Perché erano in mezzo alla stanza, sul pavimento.»
«Erano accovacciati?»
«Accovacciati?»
«Sì, come se avessi appena sfilato le gambe dai buchi.» 
Annuii. «Cosa c'entra questo?»
«Quando sono così accovacciati significa che non sono sporchi.»
«E come faccio a sapere quando lo sono?»
«Quelli sporchi li butto sotto il letto con un calcio.»
«E perché non li metti sul letto?»
«Perché non voglio mescolarli ai vestiti puliti.»
«Invece di dormirci, con i vestiti puliti, perché non li metti in un cassetto?»
«Perché nei cassetti ci tengo la biancheria sporca che ho intenzione di indossare ancora.»
Respirai profondamente. «E perché mai dovresti indossare della biancheria sporca?» «Perché porta fortuna.» «A chi?» chiesi seccamente.
«Suppongo che vorresti che mettessi la biancheria nella cesta della biancheria?» mi chiese.
«Devo ammettere di averci pensato.»
«I miei vestiti si sciuperebbero a contatto con tutti quegli asciugamani bagnati.» «Veramente gli asciugamani bagnati dovrebbero stare sul portasciugamani.» «E che cosa dovrei fare di tutti i tuoi collant e golfini?»
«METTERLI IN GUARDAROBA», urlai.
«Questo significa che non posso più vestirmi sopra il tostapane?» mi chiese.
Gli piazzai con fermezza una mano sul sedere. «No, significa che la biancheria sporca ha smesso di portarti fortuna.»

- Erma Bombeck -
Fonte: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me capitano solo i noccioli?” di Erma Bombeck







"Non ho mai capito come può un bambino baciare un cane sulle labbra, prendere una gomma già masticata dal portacenere, appoggiare la bocca a una pompa da giardino tutta sporca di fango... e poi rifiutare di bere dallo stesso bicchiere del fratello!"

(da "Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?" di Erma Bombeck)





«Per quanto ricordi, la nostra casa ha sempre ospitato un quarto bambino… Non-lo-so. Tutti lo vedono tranne me. 
Io so soltanto una cosa, che è odioso. “Chi ha lasciato aperta la porta d’ingresso?”. “Non-lo-so”. “Chi ha lasciato il sapone a mollo nell’acqua?”. “Non-lo-so”. [...] 
Sinceramente, Non-lo-so mi farà diventare matta. 
Ha perso due ombrelli, quattro paia di stivali e una bicicletta. [...]. 
Stamattina a colazione ho detto a mio marito: “Chi vuole il fegato per cena?”. Lui ha alzato gli occhi e ha detto: “Per-me-è-lo-stesso”. 
Questo può significare soltanto una cosa. Non-lo-so ha un fratello».

- Erma Bombeck -




Buongiorno a tutti:-).. anzi a tutte! :-)))


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martedì 30 luglio 2019

Il bicchiere – Paulo Coelho

Il vino rendeva le cose più facili per lui. E per me.  
– Perché ti sei interrotto all’improvviso? Perché non vuoi parlare di Dio, della Vergine, del mondo spirituale?
– Voglio parlare di un altro tipo di amore – insistette lui. – Quello che  provano un uomo e una donna, e in cui pure si manifestano i miracoli.
Presi le sue mani. Poteva anche conoscere i grandi misteri della Dea – ma di amore ne sapeva quanto me. Anche se aveva viaggiato tanto.
E io avrei dovuto pagare un prezzo: l’iniziativa. Perché la donna paga il prezzo più alto: la resa.
Restammo lì tenendoci per mano a lungo. 
Leggevo nei suoi occhi le paure ancestrali che il vero amore suscita come prove da vincere. 
Vi lessi il ricordo del rifiuto della sera precedente, il lungo tempo che avevamo trascorso separati, gli anni nel monastero alla ricerca di un mondo dove queste cose non accadevano.
Leggevo nei suoi occhi le migliaia di volte in cui si era prefigurato questo momento, gli scenari che aveva creato intorno a noi, la pettinatura che avrei potuto avere in quel momento e il colore dei miei vestiti. Io avrei voluto dirgli che “sì”, sarebbe stato il benvenuto, che il mio cuore aveva vinto la battaglia. Avrei voluto dirgli quanto lo amavo, quanto lo desideravo in quel momento.
Ma rimasi in silenzio. Assistetti, come se fosse un sogno, alla sua lotta interiore. Vidi che aveva davanti a sé il mio “no”, la paura di perdermi, le dure parole che aveva udito in momenti simili – perché ci passiamo tutti, e accumuliamo cicatrici.
I suoi occhi cominciarono a brillare. Sapevo che stava superando tutte quelle barriere.
Allora liberai una delle mie mani, presi un bicchiere e lo spostai sul bordo del tavolo.
– Cadrà – disse lui.
– Proprio così. Voglio che tu lo faccia cadere.
– Rompere un bicchiere?
Sì, rompere un bicchiere. Un gesto apparentemente semplice, ma che implicava certi terrori che non riusciremo mai a comprendere bene. Cosa c’è di sbagliato nel rompere un bicchiere di poco valore – quando a tutti è capitato di farlo nella vita?
– Rompere un bicchiere? – ripetè lui. – Perché?
– Potrei darti varie spiegazioni – risposi. - Ma, in realtà, è solo per romperlo.
– Per te?
– Ovviamente no.
Guardava il bicchiere di vetro sul bordo del tavolo – preoccupato che cadesse.
"È un rito di passaggio, come dici anche tu”, mi venne voglia di dirgli. 
“ È ciò che è proibito. I bicchieri non si rompono di proposito. 
Quando entriamo in un ristorante, o anche quando siamo a casa, stiamo attenti a che i bicchieri non finiscano sul bordo del tavolo. Il nostro universo esige da noi che si faccia attenzione a che i bicchieri non cadano a terra.
Eppure - continuai a pensare - se involontariamente li rompiamo, ci accorgiamo che non era poi così tanto grave. 
Il cameriere dice “non ha importanza”, e a me non è mai capitato di vedere che un bicchiere rotto venisse incluso nel conto di un ristorante. 
Rompere bicchieri fa parte della vita, e non causiamo alcun danno a noi, al ristorante, o al prossimo.
Diedi uno spinta al tavolo. Il bicchiere ondeggiò, ma non cadde.
– Attenzione! – esclamò lui, istintivamente.
– Rompi il bicchiere – insistetti.
Rompi questo bicchiere, pensavo fra me e me, perché è un gesto simbolico. Cerca di capire che io, dentro di me, ho rotto cose ben più importanti di un bicchiere, e ne sono felice. 
Pensa alla tua lotta interiore e rompi questo bicchiere.
Perché i nostri genitori ci hanno insegnato a fare attenzione con i bicchieri, e con i corpi. 
Ci hanno insegnato che le passioni dell’infanzia sono impossibili, che non si devono allontanare gli uomini dal sacerdozio, che gli uomini non fanno miracoli, e che nessuno parte per un viaggio senza conoscere la meta.
Rompi questo bicchiere, ti prego – e liberaci da tutti questi maledetti concetti, da questa mania che tutto si deve spiegare e che si deve fare solo quello che gli altri approvano.
– Rompi questo bicchiere – lo pregai ancora una volta.
Fissò i suoi occhi nei miei. Poi, lentamente, fece scivolare la mano sul ripiano del tavolo, fino a sfiorare il bicchiere. Con un movimento rapido, lo fece cadere a terra.
Il rumore del vetro che andava in frantumi attirò l’attenzione di tutti. 
Invece di dissimulare il gesto con una richiesta di scuse, lui mi guardava sorridendo – e io ricambiavo il suo sorriso.
– Non ha importanza – esclamò il giovane che serviva ai tavoli.

Ma lui non mi udì. Si era alzato, mi aveva afferrata per i capelli e mi stava baciando.

Afferrai anch’io i suoi capelli, lo abbracciai con tutta la forza, morsi le sue labbra, sentii la sua lingua muoversi nella mia bocca. 

Era un bacio che avevo atteso a lungo – che era nato presso i fiumi della nostra infanzia, quando ancora non comprendevamo il significato dell’amore. 
Un bacio che era rimasto in sospeso quando eravamo cresciuti, che aveva viaggiato nel mondo attraverso il ricordo di una medaglia, che era rimasto nascosto dietro pile di libri di studio per un concorso pubblico. 
Un bacio che si era smarrito tante volte e che ora era stato ritrovato. 
In quel minuto di bacio c’erano anni di ricerche, di delusioni, di sogni impossibili. 

Lo baciai con forza. Le poche persone presenti nel bar devono averci guardato, e forse pensavano di assistere a un semplice bacio. 
Non sapevano che in quel minuto di bacio c’era la somma della mia vita, della vita di lui, della vita di chiunque speri, sogni e ricerchi il proprio cammino sotto il sole.
Nel minuto di quel bacio c’erano tutti i momenti di gioia che ho vissuto.

- Paulo Coelho -
Fonte: "Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto", di Paulo Coelho


Buona giornata a tutti. :-)







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domenica 28 luglio 2019

L'incidente - don Bruno Ferrero

Una giovane donna tornava a casa dal lavoro in automobile. 
Guidava con molta attenzione perché l'auto che stava usando era nuova fiammante, ritirata il giorno prima dal concessionario e comprata con i risparmi soprattutto del marito che aveva fatto parecchie rinunce per poter acquistare quel modello.
Ad un incrocio particolarmente affollato, la donna ebbe un attimo di indecisione e con il parafango andò ad urtare il paraurti di un'altra macchina.
La giovane donna scoppiò in lacrime. Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito? 

Il conducente dell'altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente e i dati del libretto.
La donna cercò i documenti in una grande busta di plastica marrone. Cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile vi erano queste parole: "In caso di incidente..., ricorda, tesoro, io amo te, non la macchina!".





Lo dovremmo ricordare tutti, sempre. 
Le persone contano, non le cose. 
Quanto facciamo per le cose, le macchine, le case, l'organizzazione, l'efficienza materiale! 
Se dedicassimo lo stesso tempo e la stessa attenzione alle persone, il mondo sarebbe diverso. 
Dovremmo ritrovare il tempo per ascoltare, guardarsi negli occhi, piangere insieme, incoraggiarsi, ridere, passeggiare...
Ed è solo questo che porteremo con noi davanti a Dio. Noi e la nostra capacità d'amare. Non le cose, neanche i vestiti, neanche questo corpo...





Un papà e il suo bambino camminavano sotto i portici di una via cittadina su cui si affacciavano negozi e grandi magazzini. 
Il papà portava una borsa di plastica piena di pacchetti e sbuffò, rivolto al bambino. 
"Ti ho preso la tuta rossa, ti ho preso il robot trasformabile ti ho preso la bustina dei calciatori... Che cosa devo ancora prenderti?".

- don Bruno Ferrero - 
da: "A volte basta un raggio di sole" , Editore Elledici


La più grande scoperta della mia generazione è che l’uomo può cambiare la propria vita semplicemente cambiando il proprio atteggiamento mentale. 

- William James - 



Buona giornata a tutti. :-)






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lunedì 15 luglio 2019

Un uomo, il suo fiume, il suo ponte - Paulo Coelho


Un uomo, dopo molti anni di lavoro e di meditazioni sul miglior modo per attraversare il fiume davanti alla sua casa, costruì una passerella. 
Si racconta però che gli abitanti del villaggio raramente osavano passarvi sopra, a causa della sua precarietà.
Un bel giorno, da quelle parti comparve un ingegnere che, con l'aiuto della gente del posto, costruì un ponte, la qual cosa mandò su tutte le furie il costruttore della passerella. 
Questi, infatti, da quel momento incominciò a dire a quanti avevano la pazienza di ascoltarlo che l'ingegnere aveva mancato di rispetto nei confronti del suo lavoro.
"Ma la passerella è ancora lì - rispondevano gli abitanti del villaggio - ed è un monumento ai suoi anni di fatica e di meditazione".
"Nessuno però la usa" ribatteva l'uomo, stizzito.
"Lei signore, è un cittadino rispettabile e noi siamo fieri di lei. Tuttavia, se la gente trova il ponte più bello e utile della sua passerella, che cosa ci possiamo fare?".
"Il ponte attraversa il mio fiume!".
"Ma signore, con tutto il rispetto che abbiamo per il suo lavoro, vorremmo dirle che il fiume non le appartiene. 
Può essere attraversato a piedi, in barca, a nuoto o in qualsiasi altro modo: se le persone preferiscono attraversarlo utilizzando il ponte, perché non rispettare la loro scelta? 
Infine, come possiamo aver fiducia di una persona che, invece di cercare di migliorare la sua passerella, passa tutto il tempo a criticare il ponte?". 

- Paulo Coelho - 


Tutti hanno in sé capacità meravigliose per costruire la pace.
Ciascuno deve trovare in sé la sorgente dell'amore, il che significa trovare il positivo negli altri, rispettarli per quello che sono.



- Louis-Marie Parent - 



Buona giornata a tutti. :-)










lunedì 8 luglio 2019

Il travestimento di Maria

Immergiamoci ora nell'affascinante atmosfera del medioevo, con le sue ombre cupe e le sue luci smaglianti, così come ce lo tramandano l'arte e la storia in un susseguirsi di figure ferocemente in armi, di santi forti e determinati e di persone semplici strette a una fede ancora pervasa dall'incanto del miracolo.

In quei tempi viveva un potente cavaliere di nome Guglielmo che aveva ereditato dalla sua famiglia un castello con vasti territori e molte ricchezze, accumulate in anni di battaglie e soprusi.
Il nostro cavaliere era ben lungi da qualsiasi riflessione che non riguardasse lo stretto piacere che ogni giorno poteva procurargli e la sua mente non prevedeva alcun concetto di trascendenza.
Forse proprio per questo quelli erano chiamati tempi bui? Chissà! Certo la coscienza faticava a far capolino fra quelle genti, ma anche allora era prevista una strada affinché ciò avvenisse.
Torniamo dunque a Guglielmo e alla sua vita. Il potere di cui aveva disposto sin da giovane lo aveva abituato a trattare chiunque gli fosse sottoposto nel peggiore dei modi, incurante di quanto male potesse infliggere a un altro essere umano.
I servi del castello e i contadini che lavoravano per lui ne avevano un vero terrore, anzi ne parlottavano fra loro come del diavolo in persona! E non era poco, pensando in quale grande considerazione fosse tenuto allora il Principe delle Tenebre, concretamente presente a ogni angolo di strada.
Volendo sposarsi, Guglielmo scelse la figlia di un facoltoso commerciante che, forse non a caso, era tanto dolce e delicata quanto lui era villano e prepotente.
A volte i nomi sembrano rispecchiare l'indole di chi li possiede. Questa giovane donna si chiamava Margherita e come questo fiore così comune anche lei possedeva la rara qualità di saper semplicemente donare allegria senza pretendere nulla per sé.
La vita con il marito doveva essere tutt'altro che felice, ma di questo la nostra storia non parla. Forse per l'abitudine di quei tempi di considerare l'essere femminile privo di ogni esigenza personale, l'importanza di Margherita non fu quanto soffrì ma quanto seppe comprendere la propria sofferenza.
Nel castello di Guglielmo la vita trascorreva fra ricche feste, battute di caccia e sanguinosi tornei in cui ogni cavaliere giocava la propria vita in cambio dell'orgoglio per la vittoria conquistata. Intanto, senza che il proprietario se ne rendesse conto, le pur cospicue ricchezze se ne andavano allegramente al vento, così come gli anni dello sprovveduto Guglielmo.
Molte stagioni avevano fruttato solo miseri raccolti e i contadini, ben lungi dal preoccuparsi per quell'odiato padrone, avevano cercato in ogni modo di sopravvivere sottraendogli quanto più avevano potuto. D'altro canto neppure lui si prendeva la briga di amministrare il suo patrimonio, occupato solo a goderne i frutti sempre più esigui.
Margherita vedeva e taceva: non avrebbe mai osato, e neppure potuto, sollevare con il marito un'obiezione sul suo comportamento. Lasciava che le cose andassero come dovevano andare, ma pregava in cuor suo che la saggezza divina prima o poi intervenisse, risvegliando il marito da quella rovinosa incoscienza.
Guglielmo non le permetteva di frequentare la chiesa, ma l'istruzione ricevuta nella casa del padre era stata un buon seme che aveva sviluppato salde radici nella sua anima.
Tanto il marito era rozzo e primitivo quanto lei sensibile e tesa verso il misterioso mondo di ciò che non ha forma. Chiusa nelle sue stanze, cercava di immaginare Dio, Gesù e, soprattutto, Maria così vicina in quanto donna. Con gli occhi del ricordo andava scrutando ogni rappresentazione che la sua fanciullezza le riportava alla mente: un quadro, un racconto, una statuetta... ma qualunque simbolo concreto di tanta impenetrabile grandezza le sembrava inadeguato per ciò che lei provava dentro di sé.
Spesso, quando Guglielmo la sorprendeva a fantasticare, rideva sguaiatamente di lei, considerandola poco più che una sciocca e stupida femmina.
Ma il tempo delle risate stava per lui finendo e quello che era cominciato come un lento declino prese presto forma di un vero e proprio precipizio.
I contadini avevano in gran parte abbandonato le sue terre, che si erano a mano a mano sempre più inaridite, i servi sprecavano quanto doveva essere invece risparmiato e il patrimonio, lasciato in balia di avidi e disonesti notabili, sparì senza che nessuno sapesse dove.
II ricco e potente Guglielmo si ritrovò così nella più miserevole delle condizioni e, avendo passato la sua vita a disprezzare gli altri, ritrovò coagulato intorno a sé tutto quanto quel vile sentimento.
Sì abbatté allora su di lui la più cupa delle disperazioni, ma ciò non bastò ancora a farlo riflettere. Il solo essere che gli rimase vicino fu proprio quella moglie tante volte derisa e umiliata, che forse ai suoi occhi non era comunque molto di più che un cane fedele.
Eppure Margherita non si lasciò mai sopraffare dal desiderio di vendicarsi di quell'uomo, né dall'astio nei suoi confronti, anzi lo seppe aiutare con ogni fibra del suo essere donandogli i rari momenti di serenità di cui lui mai aveva goduto nella sua vita.
Questo però non bastò affatto a cambiarne l'indole brutale, che egli sfogava in attimi di rabbia violenta contro una sorte che, ai suoi occhi, era stata quanto mai ingiusta.
Una sera accadde che Guglielmo, non trovando pace all'interno delle mura del castello, uscì in aperta campagna quando improvvisamente la luna, che fino a poco prima brillava alta nel cielo, si oscurò e anche i lupi, che avevano riempito l'aria dei loro famelici lamenti, d'un tratto si zittirono.
A Guglielmo ciò parve strano e istintivamente si mise a scrutare l'orizzonte. Gli parve allora di intravedere, in fondo alla strada, l'ombra scura di un uomo a cavallo. Chi mai poteva essere? Lo pervase un senso gelido di paura pensando a quanti si sarebbero volentieri vendicati dei suoi soprusi, ora che la rovina si era abbattuta su di lui.
Il misterioso personaggio si avvicinava lentamente e, Guglielmo ne era più che sicuro, stava cercando proprio lui. Impossibile ormai fuggire, e comunque come evitare a piedi di essere raggiunto da un uomo a cavallo? Così rimase lì immobile, incapace persino di pensare.
Cavallo e cavaliere sembravano fusi in un'unica forma di metallo nero, che pareva aver risucchiato in sé ogni altro colore. Quando raggiunsero l'uomo immobile sulla strada, si fermarono e il cavaliere gli rivolse la parola.
«Io so chi sei» gli disse cupo: «ti conosco da tanto tempo, ma non avere paura di me: che tu muoia oggi o fra cento anni, per me non fa nessuna differenza. Conosco le tue angosce e so della perdita di ogni tuo bene, quindi ti offro il mio aiuto».
Guglielmo si fece più attento. «Dimmi!» gli rispose ancora titubante.
«Posso svelarti un segreto che ti farà riacquistare tutto ciò che hai perso, ma non è di te che a me interessa; io sono qui per tua moglie». Con queste parole il misterioso personaggio lasciò in sospeso la sua proposta, aspettando che l'altro si riavesse dalla sorpresa.
Nella testa di Guglielmo i pensieri si accavallavano freneticamente, non dandosi reciprocamente neppure il tempo di esprimersi in qualcosa di compiuto. "Mi può aiutare?... Un segreto?... Non gli interessa di me ma di Margherita?... Sarò ancora ricco?...".
«Sta bene attento» proseguì l'altro: «prima di svelarti il modo in cui potrai nuovamente arricchirti, da te voglio in cambio una promessa. Fra sette anni da oggi porterai qui tua moglie e la consegnerai a me. Questo è il tempo stabilito, dopodichè dovrà appartenermi. Sei d'accordo?».
Sebbene esigua, anche Guglielmo aveva una sua coscienza che, nell'udire quelle parole, sobbalzò cercando di far emergere la sua debole voce: "Ma perché vuole proprio lei che non ha mai fatto del male a nessuno!" gli sussurrava. "E che vuol farne quando l'avrà per sé? Ricorda quanto bene hai ricevuto da questa donna e come tu la stai ripagando".
Come se leggesse nel profondo dell'animo di Guglielmo, il cavaliere sovrastò la vocina che subito tacque, tuonando indispettito: «Ebbene? Non ho tempo da perdere con te! Dimmi sì o no e il tuo futuro sarà segnato dalla ricchezza o dalla miseria».
L'uomo si scosse come uscendo da un sogno. Ma era forse impazzito? Stava pensando all'eventualità di rifiutare una simile offerta? Sette anni sono lunghi da passare e poi che gli importava, non sarebbe stato lui eventualmente a pagare il debito!
Si affrettò quindi a rispondere: «Sono d'accordo, se è questo che vuoi fra sette anni sarò qui con mia moglie, ma ora voglio sapere che segreto hai da svelarmi».
Così Guglielmo apprese che, ben nascosto nelle segrete del castello, si trovava un grande tesoro di cui nessuno era a conoscenza.
«Rammenta il nostro appuntamento, altrimenti avrai di che pentirti!» e senza aggiungere altro cavallo e cavaliere scomparvero nel buio della notte.
Tornato di corsa al castello, Guglielmo si precipitò lungo le ripide scale che portavano alle segrete. La torcia gli tremava nelle mani dall'ansia di raggiungere il punto indicato e spesso incespicava sugli umidi gradini sconnessi che sembravano portare direttamente giù all'Inferno.
Finalmente si trovò di fronte alla piccola porta nascosta da un'ampia colonna e tutto gli si presentò davanti agli occhi come il nero cavaliere gli aveva descritto. La bassa stanza polverosa, la cassa di legno e... meraviglia! Un insperato cumulo di monete d'oro luccicava davanti a lui.
Da quel momento la vita di Guglielmo ricominciò come se nulla fosse successo, anzi era ancora meglio di prima perché pareva che più lui attingeva dal forziere più quello si riempiva.
Margherita non riusciva a spiegarsi quell'improvviso cambiamento, ma sapeva in cuor suo che non poteva che essere un frutto del male. Notava però a volte dei piccoli cambiamenti nei comportamenti del marito, una fuggevole carezza o un inconsueto sorriso, così poco consoni alla sua natura da sembrare fuggevoli lampi di luce nella notte.
Con il passare del tempo i suoi sentimenti nei confronti di Guglielmo erano cambiati e il comportamento del marito non era più per lei fonte di dolore ma solo di grande pietà. Come avrebbe potuto trovare la serenità e la pace nella vita che conduceva? Povero Guglielmo, così lontano da Dio e dai valori che veramente contano!
Margherita chiedeva spesso consiglio alla Madre celeste, pregandola di aiutarla a fare tutto ciò che era possibile per accendere anche solo una fiammella di fede in quel cuore duro e apparentemente impenetrabile.
Va da sé che sette anni passarono in un soffio e l'ora di ripagare il debito si avvicinava sempre più. Poco prima dello scadere del tempo concordato per il fatidico appuntamento, Guglielmo fece un sogno terribile in cui si vedeva ghermito da un enorme artiglio nero che lo trascinava fino al punto in cui aveva fatto il misterioso incontro. Comprese allora che il momento era giunto, ma mai avrebbe pensato di provare nel cuore un tale peso pensando a ciò che sarebbe stato di Margherita.
Il giorno fissato fu il peggiore della sua vita. Non riusciva a trovare le parole adatte per invitare la moglie a fare una passeggiata con lui nei campi e fu proprio l'ignara donna a dargliene l'occasione, facendogli notare come quella sera fosse particolarmente tiepida e bella.
Uscirono quindi insieme e si incamminarono lungo la polverosa strada che portava al paese, lui cupo e taciturno, lei sorridente e contenta di godere quell'inaspettata occasione.
Poco fuori le mura del castello, lungo la strada che stavano percorrendo, vi era una chiesetta dedicata alla Vergine in cui tante volte anche Margherita si era recata di nascosto per confidare a Maria le sue pene e i suoi dubbi. Chissà se quella sera le avrebbe permesso di sostarvi un attimo?
Guglielmo acconsentì ma, non volendo a sua volta entrare, si fermò poco distante sedendo sotto un'annosa quercia.
Margherita entrò e subito sentì il caldo abbraccio di quelle mura, si inginocchiò e pregò così intensamente come mai le era capitato finché uno strano torpore si impadronì di lei facendola addormentare profondamente.
Fu allora che Maria scese dall'altare prendendo le sembianze di Margherita; poi, come se nulla fosse capitato, uscì in fretta al suo posto e riprese il cammino a fianco di Guglielmo. Lui la guardò sorpreso: prima non gli era parso di percepire quell'intenso profumo di rose né mai si era accorto di amarla così intensamente. Ma ormai era troppo tardi.
Il cavaliere era già in attesa, poco più avanti di loro, sul suo cavallo nero dai muscoli tesi e lucenti.
Mentre Guglielmo rifletteva velocemente sulla possibilità di combatterlo, per tentare almeno di difendere la moglie, si avvicinarono di qualche passo ancora ma, improvvisamente, il cavallo si impennò alzando le lunghe zampe come per difendersi da qualcosa.
Pur sotto le sembianze dell'altra, Maria era stata riconosciuta.
In quello stesso istante la nera figura lanciò un urlo terrificante mentre si inabissava nel terreno tra rosse lingue di fuoco.
Guglielmo cadde a terra sommerso da un nauseante odore di zolfo che gli toglieva il respiro. La sua mente non aveva neppure avuto il tempo di rendersi conto di quanto era realmente accaduto e, come sempre quando la mente si ferma, la verità comparve abbacinante come un fulmine.
Solo allora la consapevolezza di aver incontrato il Diavolo si fece strada dentro di lui con un effetto dirompente. Ma allora chi era la donna che lo aveva accompagnato e con la sua sola presenza aveva scacciato il potente Padrone del Male?
Si voltò verso quella che aveva creduto essere Margherita e vide uno sfolgorio di luci... o forse un intrecciarsi di suoni melodiosi... o forse un rincorrersi di emozioni mai provate...
Guglielmo non trovò mai parole umane per spiegare ciò che gli accadde, eppure era accaduto. Sentì istintivamente dentro di sé l'orrore per ciò che la sua vita era stata sino ad allora, non riuscendo a rendersi conto di come non si fosse mai accorto di quale meraviglia potesse albergare nel cuore umano... ormai il velo era caduto per sempre!
«Va' ora da colei che ti ha salvato con il suo amore» gli sussurrò Maria svanendo nell'aria della sera.
L'uomo s'incamminò pensoso verso la chiesa e là trovò la moglie, che ne usciva stropicciandosi gli occhi ancora pieni di sonno.
«Scusa» gli disse intimorita «devo essermi addormentata. Sei in collera? Hai un viso così strano! Ti senti bene?».
«Sto benissimo, Margherita» rispose lui. «Vieni, andiamo a casa: torneremo domani a salutare la tua amica che abita qui». E così dicendo le cinse le spalle con il braccio annusando quel dolce profumo di rose che aleggiava fra i suoi capelli.

- Leggenda medievale - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 

Chiostro Abbazia di Vezzolano (Prov. di Asti, Italy)

Nell'affresco tre morti si alzano dalle tombe (sulla destra), mostrando a Carlo Magno e ad altri due cavalieri i loro terribili scheletri sommariamente coperti di pelle ingiallita. 
Il terrore dei tre cavalieri si trasmette anche agli animali. 
I cavalli s'impennano e recalcitrano, i cani abbaiano, mentre i falconi fuggono dal pugno dei cacciatori.
Il terzo di questi, quello di spalle, guarda in alto proprio per cercare il falcone sfuggito; quello che sta in mezzo si nasconde inorridito il volto tra le palme delle mani e l'altro fa l'atto di turarsi il naso con il pollice e con l'indice. 
San Macario, al centro della scena, con la lunga barba che lo contraddistingue, regge in mano una scritta che ammonisce i ricchi signori sulla caducità della grandezza terrena e li invita a fare penitenza. 

Da un sepolcro scoperchiato si alzano i tre scheletri, un personaggio inorridito (la tradizione vuole sia Carlo Magno) sta davanti ad altri due cavalieri impauriti, mentre un monaco lo invita a chiedere aiuto alla Madonna.
Si tratta di una raffigurazione tradizionale del contrasto dei tre vivi e dei tre morti, ovvero del medioevale trionfo della morte.



Buona giornata a tutti. :-)