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giovedì 31 agosto 2023

Io, Welby e la morte – Card. Carlo Maria Martini

Con la festa dell'Epifania 2007 sono entrato nel ventisettesimo anno di episcopato e sto per entrare, a Dio piacendo, anche nell'ottantesimo anno di età. Pur essendo vissuto in un periodo storico tanto travagliato (si pensi alla Seconda guerra mondiale, al Concilio e postconcilio, al terrorismo eccetera), non posso non guardare con gratitudine a tutti questi anni e a quanti mi hanno aiutato a viverli con sufficiente serenità e fiducia. Tra di essi debbo annoverare anche i medici e gli infermieri di cui, soprattutto a partire da un certo tempo, ho avuto bisogno per reggere alla fatica quotidiana e per prevenire malanni debilitanti. Di questi medici e infermieri ho sempre apprezzato la dedizione, la competenza e lo spirito di sacrificio. Mi rendo conto però, con qualche vergogna e imbarazzo, che non a tutti è stata concessa la stessa prontezza e completezza nelle cure. 
Mentre si parla giustamente di evitare ogni forma di "accanimento terapeutico", mi pare che in Italia siamo ancora non di rado al contrario, cioè a una sorta di "negligenza terapeutica " e di "troppo lunga attesa terapeutica". 

Si tratta in particolare di quei casi in cui le persone devono attendere troppo a lungo prima di avere un esame che pure sarebbe necessario o abbastanza urgente, oppure di altri casi in cui le persone non vengono accolte negli ospedali per mancanza di posto o vengono comunque trascurate. 
È un aspetto specifico di quella che viene talvolta definita come "malasanità" e che segnala una discriminazione nell'accesso ai servizi sanitari che per legge devono essere a disposizione di tutti allo stesso modo.
Poiché, come ho detto sopra, infermieri e medici fanno spesso il loro dovere con grande dedizione e cortesia, si tratta perciò probabilmente di problemi di struttura e di sistemi organizzativi. 
Sarebbe quindi importante trovare assetti anche istituzionali, svincolati dalle sole dinamiche del mercato, che spingono la sanità a privilegiare gli interventi medici più remunerativi e non quelli più necessari per i pazienti, che consentano di accelerare le azioni terapeutiche come pure l'esecuzione degli esami necessari.
Tutto questo ci aiuta a orientarci rispetto a recenti casi di cronaca che hanno attirato la nostra attenzione sulla crescente difficoltà che accompagna le decisioni da prendere al termine di una malattia grave. 
Il recente caso di P.G. Welby, che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio, costituite negli ultimi nove anni da una tracheotomia e da un ventilatore automatico, senza alcuna possibilità di miglioramento, ha avuto una particolare risonanza. 
Questo in particolare per l'evidente intenzione di alcune parti politiche di esercitare una pressione in vista di una legge a favore dell'eutanasia. Ma situazioni simili saranno sempre più frequenti e la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione anche pastorale.

La crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili. 

Senz'altro il progresso medico è assai positivo. 
Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona.
È di grandissima importanza in questo contesto distinguere tra eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico, due termini spesso confusi

La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda consiste nella «rinuncia ... all'utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo» (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). 

Evitando l'accanimento terapeutico «non si vuole ... procurare la morte: si accetta di non poterla impedire» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n.2.278) assumendo così i limiti propri della condizione umana mortale.

Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. 
In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate.

Del resto questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue decisioni, secondo una concezione   del principio di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta. 
Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina. Forse sarebbe più corretto parlare   non di «sospensione dei trattamenti» (e ancor meno di «staccare la spina»), ma di limitazione dei trattamenti. 
Risulterebbe così più chiaro che l'assistenza deve continuare, commisurandosi alle effettive esigenze della persona, assicurando per esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche. 
Proprio in questa linea si muove la medicina palliativa, che riveste quindi una grande importanza.
Dal punto di vista giuridico, rimane aperta l'esigenza di elaborare una normativa che, da una parte, consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato) delle cure — in quanto ritenute sproporzionate dal paziente — , dall'altra protegga il medico da eventuali accuse (come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio), senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell'eutanasia. 
Un'impresa difficile, ma non impossibile: mi dicono che ad esempio la recente legge francese in questa materia sembri aver trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di realizzare un sufficiente consenso in una società pluralista.
L'insistenza sull'accanimento da evitare e su temi affini (che hanno un alto impatto emotivo anche perché riguardano la grande questione di come vivere in modo umano la morte) non deve però lasciare nell'ombra il primo problema che ho voluto sottolineare, anche in riferimento alla mia personale esperienza. 

È soltanto guardando più in alto e più oltre che è possibile valutare l'insieme della nostra esistenza e di giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni, bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna.

- Cardinale Carlo Maria Martini                                                                                                 
 21 gennaio 2007 


E’ sacrosanto e pienamente cattolico e legittimo il rifiuto del vecchio cardinale morente di non sottoporsi a interventi da lui ritenuti, nella sua condizione, inutili e invasivi. 

“Nell’immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita poiché vi è grande differenza etica tra ‘procurare la morte e ‘permettere la morte’: il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa”: è scritto nel documento della Pontificia accademia per la vita sul “Rispetto della dignità del morente” (2000) ed è la migliore descrizione della scelta del cardinale Martini.



"Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle uscite di sicurezza. Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio."

- Card. Carlo Maria Martini -

Buona giornata a tutti :-)


 

lunedì 12 giugno 2023

La morte del pessimismo - leggenda araba

C'era una volta un vecchio, così vecchio che non ricordava neppure di essere stato giovane. E forse non lo era mai stato.
In tutto il tempo che era stato in vita, ancora non aveva imparato a vivere.
E, non avendo imparato a vivere, non riusciva neppure a morire.

Non aveva speranze né turbamenti; non sapeva né piangere né sorridere.
Nulla esisteva al mondo che potesse addolorarlo e stupirlo. Trascorreva i suoi giorni inoperosi sulla soglia della sua capanna, guardando con occhi indifferenti il cielo, quello zaffiro immenso che Allah pulisce ogni giorno con la soffice bambagia delle nuvole.
A volte qualcuno si fermava ad interrogarlo. Così carico d'anni qual era, la gente lo credeva molto saggio e cercava di trarre qualche consiglio dalla sua secolare esperienza.

«Che cosa dobbiamo fare per conquistare la gioia?» gli chiedevano i giovani. «La gioia è un'invenzione degli stolti», rispondeva lui.

Passavano uomini dall'animo nobile, apostoli bramosi di rendersi utili: «In che modo possiamo sacrificarci, per giovare ai nostri fratelli?» gli domandavano. «Chi si sacrifica per l'umanità è un pazzo», rispondeva il vecchio con un ghigno sinistro.

«Come possiamo indirizzare i nostri figli sulla via del bene?», domandavano i padri e le madri. «I figli sono serpi», rispondeva il vecchio. «Da essi non ci si può aspettare che morsi velenosi».

Anche gli artisti e i poeti, nella loro ingenuità, si recavano talvolta a consultare quell'uomo. «Insegnaci ad esprimere quell'anelito che abbiamo nel cuore!», gli dicevano. «Fareste meglio a tacere», sogghignava il vegliardo.

Le convinzioni malvagie di colui che non sapeva né vivere né morire, poco a poco si diffondevano nel mondo.
L'Amore, la Bontà, la Poesia, investiti dal ventaccio del Pessimismo (poiché tale era il nome del Vecchio), si appannavano e inaridivano.
L'esistenza umana veniva sommersa in una gara di stagnante malinconia.

Alla fine Allah si rese conto dello sfacelo che il Pessimismo operava nel mondo, e decise di porvi riparo. «Poveretto», pensò, «scommetto che nessuno gli ha mai dato un bacio». Chiamò un bambino e gli disse: «Va' a dare un bacio a quel povero vecchio».

Subito il bambino obbedì: mise le braccia intorno al collo del vecchio e gli scoccò un bacio sulla faccia rugosa.
Il vegliardo fu molto stupito - lui che non si stupiva di niente. Difatti, nessuno mai gli aveva dato un bacio. E così il Pessimismo aperse gli occhi alla vita, e morì sorridendo al bambino che lo aveva baciato.

Leggenda araba



Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto,  ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,  ma di come danzare nella pioggia!

Kahlil Gibran -



Tu ti credi già al limite delle possibilità ed ecco che nuove forze accorrono.
È proprio questa la vita.

- Franz Kafka -

Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 22 febbraio 2023

Ma quando da morte – Padre David Maria Turoldo

 Ma quando da morte passerò alla vita, 
sento già che dovrò darti ragione, Signore,
e come un punto sarà nella memoria
questo mare di giorni.
Allora avrò capito come belli
erano i salmi della sera;
e quanta rugiada spargevi
con delicate mani, la notte, nei prati,
non visto. Mi ricorderò del lichene
che un giorno avevi fatto nascere
sul muro diroccato del Convento,
e sarà come un albero immenso
a coprire le macerie. Allora
riudirò la dolcezza degli squilli mattutini
per cui tanta malinconia sentii
ad ogni incontro con la luce;
allora saprò la pazienza
con cui m'attendevi, a quanto
mi preparavi, con amore, alle nozze.

- Padre David Maria Turoldo -

Fonte: I Salmi




Soltanto nell’amore e nella morte non si può fingere. 
Chi nell’amore cerca di fingere, può illudersi di amare, ma non ama. 
Chi sta morendo non finge più, perché “ciò che diranno gli altri” ormai non lo interessa; egli cessa di pensare “per gli altri” e riflette unicamente “per sé”. L’amore e la morte hanno dunque, davvero, qualcosa in comune, come ritennero molti poeti. Hanno in comune quello stato d’animo di “ebbrezza” per cui l’individuo rinuncia totalmente a voler “apparire ciò che non è”, e quindi comprende l’inutilità di persistere nella finzione e nella vanità di ogni giudizio che non sia fondato sulla pura realtà.

- Ludovico Geymonat -
da “I sentimenti”



Non so dove vanno le persone quando cessano di esistere, ma so dove restano.

- Margaret Mazzantini -


Preghiera per la sera

Grande è il nostro Dio e grande è la sua potenza 
e la sua sapienza infinita.
 

Lodatelo cieli, sole, luna e pianeti,
 
con la lingua che vi è data per lodare il vostro creatore,

È anche tu, anima mia, canta l'onore del Signore ! 
Da lui, in lui e per lui sono tutte le cose: 
A lui lode, onore e gloria di eternità in eternità ! 

Ti rendo grazie, Creatore e signore, 
di avermi dato la gioia di contemplare la tua creazione, 
di ammirare l'opera delle tue mani. 

Cercherò di annunziare agli uomini 
lo splendore delle tue opere 
nella misura in cui il mio spirito finito 
può cogliere l'infinito.


Buona giornata a tutti :-)


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lunedì 20 febbraio 2023

Mare nostro - Erri De Luca

 Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell'isola e del mondo,
sia benedetto il tuo sale,
sia benedetto il tuo fondale.
Accogli le gremite imbarcazioni 
senza una strada sopra le tue onde,
i pescatori usciti nella notte,
le loro reti tra le tue creature,
che tornano al mattino con la pesca
dei naufraghi salvati.
Mare nostro che non sei nei cieli,
all'alba sei colore di frumento,
al tramonto dell'uva di vendemmia,
ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste.
Tu sei più giusto della terraferma,
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le vite cadute
come foglie sul viale,
fai da autunno per loro,
da carezza, da abbraccio e bacio in fronte
di madre e padre prima di partire.

- Erri De Luca -



Va’ ad Ahmedabad

Va’ lungo le strade di Baroda,
va’ ad Ahmedabad,
va’ a respirare la polvere
finché non soffochi e stai male
di una febbre che nessun dottore ha mai sentito.
Non me lo chiedere
perché non ti dirò niente
sulla fame e sul dolore.
(…)
E il dolore è
quando cammino per Ahmedabad
perché questo è il luogo
che ho sempre amato
questo è il luogo
che ho sempre odiato
perché questo è il luogo
dove non mi sento mai a casa
questo è il luogo
dove mi sento sempre a casa.
Il dolore è
quando torno ad Ahmedabad
dopo dieci anni
e capisco per la prima volta
che non sceglierei mai
di viverci. Il dolore è
vivere in America
e non essere capaci
di scrivere neanche una cosa
sull’America. (…)
- Sujata Bhatt –

poetessa indiana, 1988
Traduzione di Andrea Sirotti



Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell'acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

 -Mahmoud Darwish -

Kazahri al-Lawzi aw Ab'ad 
(come il fiore di mandorlo o più lontano)



Straniero e fratello

Signore
dammi l'amore per il mio tempo,
per la mia terra,
per la mia gente.
Senza l'amore, la cittadinanza è solo diritti e doveri,
la città solo un posto dove vivere,
le istituzioni solo un'autorità,
la politica solo potere e compromesso,
la nazionalità solo una distinzione tra
chi è dentro e chi è fuori,
il vicino una potenziale minaccia,
il più debole solo zavorra,
il lavoro solo soldi.
Aiutami a comprendere che davanti a Te
nessuno è senza permesso di soggiorno.
Tu, che riveli l'uomo all'uomo,
trasforma lo straniero in fratello,
i confini in porte,
le frontiere in abbraccio.




Buona giornata a tutti. :-)



giovedì 21 aprile 2022

Tornati dall'Aldilà, In bilico tra la vita e la morte: il racconto di chi ha visto - Antonio Socci

La storia da cui prende le mosse questo libro, è una vicenda che comincia a dipanarsi dal 12 di settembre del 2009, quando la mia figlia primogenita, Caterina - che aveva ventiquattro anni, e che era laureanda in Architettura a Firenze, aveva la tesi di laurea dieci giorni dopo, il 24 di settembre, quindi aveva lavorato per tutta l’estate alla tesi - era a Firenze, viveva in un appartamento di studentesse di Comunione e Liberazione. La sera alle otto stavano decidendo se andare in pizzeria o farsi un piatto di spaghetti; e fece appena in tempo a dire “mi sento male” e crollò per terra. Le ragazze che erano lì si resero subito conto che non era uno svenimento, perché non aveva più respiro subito; quindi chiamarono immediatamente il 118, che arrivò anche molto tempestivamente. Però si trattava di un arresto cardiaco, e di un arresto cardiaco del tipo più brutto. E infatti, nonostante le ripetute defibrillazioni, la cosa andò male e lei morì. La dico proprio così perché è accaduto esattamente così. Quando abbiamo ricevuto la telefonata a casa – noi abitiamo a Siena – dall’altro capo del filo c’era il medico del 118 che ha usato un eufemismo, diciamo: cioè ci ha detto: “Guardi, sua figlia ha da più di un’ ora il cuore fermo”. Però era un eufemismo per dire che “sua figlia è morta”. Fra l’altro io, siccome mi era capitato pochi mesi prima, nel febbraio di quell’anno, di interessarmi, per motivi professionali diciamo, della vicenda di Eluana Englaro, mi era capitato, come capita a noi giornalisti per trattare un argomento, di acquisire un po’ le notizie fondamentali. Quindi sapevo benissimo che il cuore fermo da più di un’ora significa morte, proprio morte clinica, morte totale, morte irreversibile. Oltretutto, appunto, dopo ripetute defibrillazioni. Fra l’altro il 118 in toscana - non so se si sono protocolli regionali – però in Toscana il 118 aveva l’obbligo di non proseguire la rianimazione oltre quarantacinque minuti, perché era già un tempo abnorme. Voi potete immaginare la reazione la reazione mia, di mia moglie e degli altri figli a questa telefonata. Ecco, credo che se mi avessero piantato una spada nel petto, credo che avrei sentito meno male; sinceramente l’avrei preferito. Anche perché Caterina fra l’altro è sempre stata una ragazza molto sana, non si ammalava mai nemmeno da bambino; poi nel pieno della giovinezza, bella, florida. L’ultima cosa che mi sarei aspettata al mondo era questa. La prima reazione che io ho avuto - oltre a un urlo immediato - la prima cosa, credo veramente per grazia, che mi è venuta in mente… in una frazione di secondo ho realizzato che non c’era niente da fare; questo era quello che mi stavano comunicando i medici, fra l’altro. In una frazione di secondo a me è venuto in testa: “Dio può tutto”. Quindi è iniziato questo viaggio, questa corsa verso Firenze con mia moglie, fra lacrime e rosari e richieste di aiuto da parte di tutti gli amici che abbiamo in cielo; da don Giussani al mio amico Andrea Siani, a Enzo Piccinini. Tutti gli amici che sono in cielo li abbiamo scomodati urlando. Quando siamo arrivati a Firenze Certosa, alle porte di Firenze, ci è arrivata la telefonata che il cuore di Caterina, incredibilmente, aveva ripreso a battere. Quindi ci siamo dirottati verso Careggi, dove l’abbiamo vista sopra questa barella, bellissima come era, però come la “Bella Addormentata” ovviamente in coma. Fra l’altro quello che ho scoperto poi dopo, parlando con i ragazzi - perché nel frattempo la casa di Caterina si era riempita dei suoi compagni di studi, ragazzi del Movimento che si erano precipitati lì e che pregavano per lei fuori dalla stanza. Quello che ho poi saputo dal medico del 118, che ho rintracciato appunto per scrivere questo libro, la scena che mi ha descritto è un po’ questa: quando loro ormai avevano gettato la spugna, perché l’elettrocardiogramma di Caterina era proprio piatto da più di un’ora – voi sapete che dopo dieci secondi di arresto cardiaco l’elettroencefalogramma diventa piatto, dopo 5-6 minuti i danni cominciano a essere molto pesanti, dopo venti minuti siamo a danni gravissimi e che diventano irreversibili, quindi immaginate un’ora e un quarto, un’ora e venti cosa vuol dire. Dunque, la scena che mi ha descritto il medico del 118 è questa: a un certo punto è arrivato don Andra Bellandi che è il sacerdote che segue gli universitari di Comunione e Liberazione a Firenze, è entrato nella camera dove erano loro con il defibrillatore; lui si è inginocchiato cominciando a dire il rosario; i medici gli hanno detto: “Guardi reverendo che non c'è niente da fare, è inutile”. E don Andrea gli ha detto: “Voi fate il vostro mestiere, io faccio il mio”. E questo medico, che fra l’altro è un agnostico, mi ha descritto la scena così, mi ha detto: “Guardi, la scena è abbastanza impressionante, perché questo prete ha cominciato a recitare il Rosario, e alla terza Ave Maria il cuore di Caterina, che era fermo da un’ora, ha fatto un botto e ha cominciato un battito regolare, pressione sanguigna normale. Noi siamo rimasti tutti basiti, ci siamo guardati. Quello che fin allora era stato impossibile, di colpo è diventato possibile”. Evidentemente per lui era uno spettacolo molto inconsueto, perché non era possibile dopo così tanto tempo che il cuore ricominciasse, e non con battiti flebili, ma di botto, subito così. Quindi l’hanno portata all’ospedale a Careggi, di corsa, in codice rosso, e ovviamente i medici subito ci hanno detto che ci dimenticassimo che si sarebbe mai risvegliata dal coma, perché i danni erano tali che le speranze... Non so come avessero fatto le nostre coronarie a reggere in questi anni, perché i medici ci hanno sempre prospettato il peggio, quindi prima, inizialmente, ci hanno detto che le possibilità di risvegliarsi dal coma erano praticamente nulle. Poi ci sono stati vari problemi, perché lei ha avuto la circolazione extracorporea, che è una cosa estremamente traumatica, a cui pochissimi sopravvivono, perché quando poi è debolissimo il cuore… A Careggi in quell’anno sono state fatte trenta circolazioni extracorporee e ne sono sopravvissuti due, Caterina e un’altra persona. Poi ha avuto una rottura dell’arteria, per cui l’abbiamo ripresa per i capelli… ma insomma, non vi sto a dire tutte queste cose qua. Fatto sta che Caterina dopo quattro mesi invece si è svegliata dal coma. Si è svegliata il giorno dopo che gli era stata portata la sciarpa da Lourdes, bagnata nell’acqua di Lourdes, e lei si è svegliata con una bella risata, mentre sua mamma gli leggeva “Il giovane Holden”. Una risata contagiosa che è durata mezz’ora, che ha contagiato un po’ tutto il reparto dell’ospedale di Bologna dove eravamo. 

dall'incontro di sabato 31 maggio 2014, Sala civica di Merano, Associazione Culturale Giorgio La Pira


«Un caso clamoroso fu quello avvenuto a Montefalco, nell’arcidiocesi di Spoleto. Qui, in un periodo che va dal settembre 1918 al novembre dell’anno successivo, il monastero delle clarisse di San Leonardo fu visitato per ventotto volte da un misterioso straniero.
Successivamente è stato riconosciuto in questo fatto la manifestazione di un’anima purgante.
Costui ogni volta lasciava 10 lire di elemosina, chiedeva preghiere e se ne andava senza farsi vedere e senza rispondere alle domande sulla sua identità rivoltegli dalla badessa suor Maria Teresa di Gesù.
La prima volta l’accaduto parve strano alle suore, ma fu presto dimenticato. Tuttavia, con il passare del tempo e il ripetersi periodico del fatto, le suore cominciarono a interrogarsi con leggera inquietudine, tanto più che spesso la visita si accompagnava ad altre stranezze.
Un giorno, per esempio, la badessa stava riposando quando venne svegliata da una voce fuori dalla sua stanza che l’avvertiva che avevano suonato alle porte del convento, quindi scese e raccolse la solita offerta di 10 lire. Quando poi però chiese alle suore chi di loro l’avesse svegliata, risultò che non era stata nessuna di queste.
Presa da timore crescente, una volta la badessa pensò bene di far ripetere una giaculatoria allo sconosciuto, temendo che si trattasse di una manifestazione diabolica, ma costui la ripeté senza problemi.
Finché, quando il 3 ottobre 1919 lo straniero si presentò nuovamente, la badessa decise di rifiutare recisamente l’ennesima offerta di 10 lire. Fu allora che questo, supplicandola di accettare, rivelò di essere un’anima purgante, che da quarant’anni stava scontando la pena per aver dissipato beni ecclesiastici.
Allora le suore cominciarono a pregare e a dire messe per la sua salvezza, finché nel novembre 1919 avvenne l’ultima manifestazione dell’anima che annunciava loro di essere finalmente in Paradiso e le ringraziava per aver accorciato la sua pena.
La badessa, felice della notizia, gli chiese di pregare per la sua comunità e per i suoi genitori, se erano in Purgatorio.
Al termine di questi fatti l’arcivescovo di Spoleto, monsignor Pacifici, nel luglio 1921 costituì il tribunale per il processo canonico che si tenne dal 27 luglio fino al giorno 8 agosto. Gli atti contenenti la deposizione di dodici testi sono conservati nell’Archivio della Curia Arcivescovile di Spoleto. L’esito del processo è stato positivo, sebbene per ragioni contingenti non sia stata emanata sentenza.
La sacrestia dove l’anima si era manifestata divenne cappella dedicata al suffragio delle anime purganti, in particolare di quelle dei sacerdoti, ed è tuttora luogo di grande devozione».

Antonio Socci
da: Tornati dall’Aldilà, editore Rizzoli




















Sono io la morte e porto corona,
io Son di tutti voi signora e padrona
e così sono crudele, così forte sono e dura
che non mi fermeranno le tue mura.
Sono io la morte e porto corona,
io son di tutti voi signora e padrona
e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare
e dell 'oscura morte al passo andare.
Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo,
posa la falce e danza tondo a tondo:
il giro di una danza e poi un altro ancora
e tu del tempo non sei più signora.

 - Angelo Branduardi -


Buona giornata a tutti :-)


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Nulla va perduto della nostra vita.
Nessun frammento di bontà e di bellezza.
neppure il più piccolo e insignificante.
Nessuna lacrima e nessun sorriso.
Nessun sacrificio per quanto ignorato...

- Don Michele Dho -


Buona giornata a tutti :-) 

domenica 17 aprile 2022

Il Risorto nella nostra storia - Monaci Benedettini Silvestrini


Quando senti i terremoti violenti scuotere la terra, quando in preda allo spavento vedi lo tsunami dare morte alle persone inermi e travolgere tutto nella distruzione, quando vedi il fuoco bruciare la tua casa, quando vedi infuriare i venti e scatenarsi la tempesta che schianta la foresta dì a te stesso: "Credo che la terra tornerà nella sua immobilità, le acque si calmeranno, la foresta si rifarà e io ricostruirò la mia casa e soprattutto la vita continuerà a vivere perché Cristo è risorto ed è lui l'autore dell'immortalità, lui l'autore della vita".

Quando vedi con terrore che una fonte di energia inventata dagli uomini, diventa contagio, terrore e morte per gli uomini dì a te stesso: "Da quella fonte Cristo era stato escluso e l'umana intelligenza inventa, ma non salva e talvolta diventa il suo sepolcro".

Quando il peccato ti stringe alla gola e ti senti soffocato e finito, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e io risorgerò dal mio peccato, per questo si è immolato sulla croce, per questo io spero il suo perdono".

Quando la vecchiaia o la malattia tenterà di amareggiare la tua esistenza, dì a te stesso: "Cristo è risorto dai morti e ha fatto cieli nuovi e terra nuova. È lui la mia eterna giovinezza, lui può fare nuova la mia anima".

Quando vedrai tuo figlio fuggire da casa in cerca di avventura e ti sentirai sconfitto nel tuo sogno di padre o di madre, dì a te stesso: "Mio figlio non sfuggirà a Dio e tornerà perché Dio lo ama, perché lo attende da sempre nella tua casa per abbracciarlo e fare festa con te e con lui per il suo ritorno".

Quando vedrai spegnersi la carità attorno a te e vedrai gli uomini come impazziti nel loro peccato e ubriacati dai loro tradimenti, dì a te stesso: "Toccheranno il fondo, ma torneranno indietro perché lontano da Dio non si può vivere e la nostalgia del Padre celeste è irrefrenabile per tutti i figli di Dio".

Quando il mondo ti apparirà come sconfitta di Dio e sentirai la nausea del disordine, della violenza, della litigiosità continua, del terrore, della guerra dominare sulle piazze e la terra ti sembrerà il caos, dì a te stesso: "Gesù è morto e risorto proprio per salvare e, se la imploriamo, la sua salvezza è già presente tra di noi".

Quando tuo padre o tua madre, tuo figlio o tua figlia, la tua sposa, il tuo amico più caro, ti saranno dinanzi sul letto di morte e tu li fisserai nell'angoscia mortale del distacco, dì a te stesso e a loro: "Ci rivedremo nel Regno eterno, ora io intraprendo la via del Risorto, coraggio!".

Questo significa credere nella Resurrezione. Questo significa superare la tentazione, assai frequente ai nostri giorni, di fissare lo sguardo sulla superficie torbida degli eventi e magari incolpare il buon Dio dei terremoti, degli tsunami, dei lutti, delle violenze e di tutto il male che ci circonda, ci umilia e ci affligge, ignari e impenitenti dei nostri peccati.

Significa invece accorgersi con motivata preoccupazione che noi uomini abbiamo abbassato con la colpevole dimenticanza dell'Eterno, con le nostre frivole umane stupidità le dighe e le barriere e ci siamo privati delle corazze personali che formano gli argini e le difese dal male, da quel terribile male che si oppone a Dio e a noi e vorrebbe tutto e tutti chiudere per sempre in un sepolcro di morte e di definitiva distruzione, quelli argini e quelle divine difese, che invece ci difendono, ci aprono alla luce del bene, ci rischiarano la notte dei tempi e ci orientano verso la Luce di quel radioso mattino che illumina tutti i nostri giorni e sempre ci indirizza verso la vita vera, verso la definitiva risurrezione.

Ecco il grande, immenso dono del Cristo risorto, ecco la pasqua di quest'anno e la pasqua di ogni giorno, quella che potremmo chiamare l'albore e la speranza della Vita, la nostra fede. i doni del Risorto, quelli che noi monaci imploriamo e auguriamo con gioia a tutti e a ciascuno di voi.

I Monaci Benedettini Silvestrini del Monastero san Vincenzo Bassano Romano

(da Auguri pasquali 2011)




Questo è quel chicco di grano che una terra vergine e non arata ha prodotto. Per l'immensa moltiplicazione di questo chicco sono stati riempiti tutti i granai della Chiesa. Da questo chicco di grano si impasta quel pane, del quale il Signore stesso dice: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.

- San Bruno di Segni - 

Cari amici,

il desiderio di essere felice, prima o poi, si affaccia sulla vita di ciascuno. Da quel momento la vita è diversa. E uno capisce che è una cosa seria. «La vita è mia, irriducibilmente mia», diceva don Giussani. 

Niente è così serio come la vita. Perché è in gioco la felicità. Cioè la ragione del vivere. 
E allora la vita diventa drammatica. 
Perché? 
Perché non si può vivere più come se un desiderio così struggente non si fosse reso presente. Per il fatto stesso di avvertirlo, io sono già diverso.
Dal momento in cui l’ho presentito, ho smesso di essere un bambino. 
Inizia così l’avventura del vivere. E la lotta.
È la lotta tra il prendere sul serio questo desiderio e il fare finta di non averlo avvertito.
Ma c’è un inconveniente: occorre volersi veramente bene per ingaggiare questa lotta a cui tutto il mio essere, tutta la mia umanità, mi spinge senza sosta.
La vita è, alla fin fine, un problema di affezione. Di affezione a sé. 
Proprio per ridestare questa affezione, «Uno morì per tutti». E risorgendo ha vinto. Come documentano le facce di Pietro e Giovanni nella corsa verso il sepolcro la mattina della resurrezione.
Chi non desidera una affezione così?

Buona Pasqua, amici.

Saluto a conclusione del Triduo pasquale di GS 
- Julián Carrón -
Rimini, 19 aprile 2014

















L'uomo ha bisogno di guardare, di fermarsi in contemplazione, che diviene contatto, per percepire i misteri di Dio. Egli deve salire la "scala" del corpo, per scoprire in essa quella "via" che la fede lo invita a percorrere...
Noi tutti siamo Tommaso, l'incredulo; ma tutti possiamo come lui toccare il cuore aperto di Gesù, e in questo toccare, contemplare il "Logos" in persona; e così, mani e sguardo protesi verso questo cuore, prorompere in quella confessione: "Mio Signore e mio Dio"...

- Card.Joseph Ratzinger -

da" Schauen auf den Durchbohrten"



Gesù ha vinto la morte. Lui è il risorto!

Buona Pasqua a tutti :-)