Sessantacinque anni, un bel salto
nella vita. Tanti ce ne sono voluti a Mariuccia, mia madre, per sentire ben
oltre la superficie delle ferite il potere rigenerante di Cristo. Ne aveva
ottanta, infatti, quando è ritornata a Parenzo, la città dell’Istria che la
vide nascere, crescere, e poi, a sedici anni, andar via con poche cose tra le
mani.
Ci siamo andati insieme, ed è stato
come un pellegrinaggio nella memoria. No, non era la prima volta che ci tornava
dai tempi dell’ “Esodo”. Ci andò con papà quando era ancora Jugoslavia, e fu
difficile. Ci venne altre volte, e fu un dolore acuto e insopportabile dover
oltrepassare due frontiere, quelle della Slovenia e della Croazia. E aveva
giurato di non farlo più, come moltissimi hanno giurato e fedelmente compiuto.
Ma lei non aveva previsto l’imprevisto,
l’amore di Dio che bussa quando meno te lo aspetti, ed è capace di sconvolgere,
in bene, ogni vita. E quella di mia madre, incontrandola, l’aveva sconvolta,
eccome. Ho avuto la grazia di poterlo vedere, e oggi, “Giorno del ricordo”
istituito dal Governo Italiano nel 2004 per commemorare le vittime dei massacri
delle foibe e dell’Esodo giuliano-dalmata, non posso tener ferma la penna. Devo
raccontare quello che ho visto in mia madre; lo devo a lei e ai miei parenti,
lo devo ai tanti che hanno sofferto e non ci sono più e a quelli che ci sono
ancora, ai loro figli e nipoti.
E lo devo a molti altri italiani che,
mi rendo conto scrivendo, non sanno neppure dove o cosa sia l’Istria, e poi le
foibe e l’esodo forzato di 350.000 istriani. Non lo sanno i giovani, come per
tanto tempo non l’hanno voluto sapere troppi anziani.
Ma oggi capisco anche questo. Non è
facile per nessuno affrontare la realtà, specie se è così dura da sconvolgere
le proprie certezze. Quelle dei vincitori e quelle dei vinti, quelle dei
carnefici e quelle delle vittime. Per questo sento di dover scrivere quello che
ho visto in mia madre, nella speranza che sfiori i cuori di tutti, da qualunque
parte siano stati. Anche di quanti non sanno nulla di quello che è accaduto in
Istria dal 25 aprile del 1945.
Mia madre suole dire che per lei e la
sua famiglia la guerra è iniziata proprio il giorno della Liberazione. Guerra
che è durata più di mezzo secolo, e forse per molti dura ancora. In politica
innanzitutto, tra gli storici, e nei cuori. Almeno così è stato in quello di
mia madre. Perché quando vedi ingiustizie brutali piombarti addosso, stroncare
la vita di amici e conoscenti, azzerare d’un colpo speranze e certezze, beh
ditemi in quale cuore non si innescherebbe la guerra.
L’ingiustizia, infatti, è sempre un
detonatore inarrestabile di conflitti. Lo è in famiglia, al lavoro, figuriamoci
tra le Nazioni e i popoli. Eppure non è di questo che devo parlare. Vi sono
libri e studi che raccontano bene come sono andate le cose. E un’altra storia di
dolore non aggiungerebbe nulla, se non qualche fascina al fuoco del
risentimento. E dal risentimento non può sorgere la pace, mai.
Mentre è proprio della pace che devo
parlarvi, quella firmata da mia madre nella Basilica Eufrasiana di Parenzo, la
magnifica cattedrale bizantina patrimonio dell’Unesco che impreziosisce la già
bellissima cittadina. E non è partigianeria eh, andate su Google e fatevi un
viaggetto virtuale, vedrete che meraviglia.
La Pace dunque, con la maiuscola sì,
perché è uno dei nomi propri di Dio fatto carne. E quel giorno mamma ha
finalmente sperimentato la Pace nel suo cuore. In quel momento è stato solo un
vagito, ma ormai era fatta. Mai avrebbe pensato di tornare un giorno insieme a
suo figlio prete nella chiesa dove era stata battezzata e aveva ricevuto Prima
Comunione e Cresima, e dalla quale era stata violentemente strappata. Mai
avrebbe pensato di essere un giorno accanto a lui a celebrare l’amore e la
fedeltà di Dio intorno a quell’altare.
E’ stato come una saetta, un segno di
fuoco nel cuore che ha cominciato a cauterizzare nell’intimo la ferita che sino
ad allora aveva sputato veleno, sporcando pensieri e gesti di quel senso
d’ingiustizia patita che ti porti addosso e non sai come liberartene.
In quella Chiesa aveva passato i
momenti più belli della sua infanzia, quelli più puri e innocenti. A poche
decine di metri aveva studiato e giocato. Se stai attento, dalle sue navate
puoi sentire il rumore del mare e il fischio dei vaporetti, sapori, odori e
suoni della sua infanzia e adolescenza che un giorno, senza un perché, le erano
stati sottratti.
E in quei pochi ma intensi minuti è
stato come se tutto quel passato tornasse in vita, ma non era un peso. Non era
più solo nostalgia. I giorni della sua fanciullezza accompagnati da tutti quelli
che li hanno seguiti si presentavano a lei con un vestito nuovo. Era bella ora
la sua storia; amara come le lacrime che le solcavano il viso, ma non per
questo meno bella. Perché uno dei segreti che Dio svela ai suoi amici è proprio
questo, che il dolore non è nemico della pace e della felicità autentiche.
Anzi, proprio le lacrime sono un segno del paradosso che è una vita toccata da
Cristo. Anche quando sono di commozione gioiosa non perdono il loro sale amaro.
E quelle che le scendevano sul viso
dicevano a mia madre che finalmente la sua storia aveva svestito gli abiti del
risentimento e del rancore per indossare quelli del perdono. E non era stata
lei accidenti, non era nulla di magico o moralistico. Era la Grazia che l’aveva
abbracciata una ventina d’anni prima con l’annuncio del Vangelo e non l’aveva
più lasciata.
E ora, nel cuore della sua storia,
dava alla luce il suo frutto più bello. Mamma stava vivendo la sua Messa più
vera, perché il Mistero celebrato si era fatto carne in lei. E’ solo in Cristo crocifisso,
morto e risorto, infatti, che la storia, qualunque storia, può essere
illuminata e trovare senso.
Quante volte aveva sperimentato il
perdono, non si contavano. Dio l’aveva attesa con pazienza e misericordia, sino
a farsi vicino attraverso la predicazione della Chiesa. Aveva ascoltato le
catechesi del Cammino Neocatecumenale insieme a papà, dopo lunghi anni nei
quali avevano invece avversato e contestato il Cammino. Io c’ero entrato a 15
anni, e per molto tempo le mie attitudini e i miei comportamenti non gli
avevano fatto buona pubblicità, anzi… Ma poi, anche quella volta per pura
grazia, è successo qualcosa tra noi: Dio ci aveva profondamente riconciliati in
un perdono mai sperimentato prima. E tutto è cambiato. La nostra relazione
innanzitutto, autenticamente risuscitata dalle macerie del mio orgoglio.
Il Cammino Neocatecumenale dunque dava
frutti, eccome; e allora, da quel perdono, è iniziato il cammino di mia madre.
Lunghi anni immersi nella Parola di Dio e nei sacramenti, seguendo le orme di Gesù
che la conducevano pian piano dentro i vicoli oscuri della sua storia, quelli
macchiati dal risentimento e dall’ingiustizia patita. Passo dopo passo la luce
della Pasqua rischiarava le tenebre, e quello che agli occhi della carne
bruciati dal rancore sembrava un sepolcro senza speranza cominciava a brillare
come un giardino all’aurora.
Perché la storia visitata da Cristo
risorto è proprio come un deserto trasformato in giardino, e ogni suo frammento
si rivela indispensabile. Non aveva Gesù annunciato più volte ai suoi discepoli
che, per risorgere, sarebbe “dovuto” andare a Gerusalemme e lì essere
crocifisso, morire e scendere nella tomba? Non ha scritto mille volte San Paolo
che l’unico vanto di un cristiano è la Croce? Certo, è proprio così, e così mia
madre ha sperimentato.
Era necessaria quella Croce piantata
nel suo cuore adolescente. Era necessario che scendesse sino in fondo – e che
dolore – per svelare quello che aveva lì, nel cuore. Perché tutti, quando
urtiamo contro l’ingiustizia, abbiamo la stessa identica reazione, ben diversa
da quella dell’Agnello di Dio. E per questo soffriamo e non troviamo pace, non
avendo da offrire al male che altro male. Non scandalizzatevi se potete, anche
se lo so, la Croce è scandalo e stoltezza per tutti, religiosi e atei o
agnostici razionali.
Per questo oggi devo raccontare il
miracolo legato a questo giorno speciale per tutti gli istriani. Devo
annunciare attraverso la storia di mia madre che la Croce è l’unica porta che
si apre sul Cielo, il destino preparato per ogni uomo. Che non è un cumulo di
parole oppiate inventate dai preti per ingannare e sottomettere le masse.
La Croce che si faceva manto di
misericordia e presenza viva di Cristo nel baldacchino della Basilica di
Parenzo abbracciava mia madre mostrandole con dolcezza ogni istante della sua
vita come un frammento degli splendidi mosaici che ne rivestono le pareti.
Eccone uno, c’è dentro la foto di quando era uscita in fretta sotto gli occhi
velenosi dei finanzieri di Tito. Eccone un altro, racconta di quando aveva
dovuto viaggiare sui treni di notte attraverso la sua Italia, la Patria per la
quale aveva lasciato la sua terra; nessuno doveva vederli quegli istriani,
erano di sicuro infettati dal veleno del fascismo se sfuggivano dal paradiso
comunista.
Un altro ancora, ci sono impresse le
impronte digitali che le presero neanche fosse una criminale. E molti altri, sino
a quelli più recenti, che fissano i momenti umilianti di quando, per rinnovare
il passaporto o la carta di identità, per prenotare le analisi o un biglietto
d’aereo, nel dire il proprio luogo di nascita ha dovuto (e deve…) sgolarsi in
inutili spiegazioni. Parenzo non esiste più, ora è Porec, Croazia; ma mia madre
non è nata in Croazia…
E allora? Sarebbero state necessarie
tutte queste umiliazioni? Dai, non scherzare, il “Giorno del ricordo” è stato
istituito proprio per non dimenticare e far conoscere a tutti gli italiani
questa storia di ingiustizie. E così, forse, certi crimini non si ripeteranno.
Forse, appunto… Non basta il ricordo, guarda quello dei lager appena celebrato.
Ti sembra che in Europa siano cambiate le cose? No, per nulla, anzi peggiorate,
perché ora quello che si sperimentava nel segreto dei campi di concentramento
si fa alla luce del sole, benedetto da leggi di Stati che si ritengono
all’avanguardia della civiltà.
No, non basta il ricordo, abbiamo
bisogno invece di imparare a vivere un “memoriale”. E’ questo che ho visto in
mia madre, una “memoria – reale”, i fatti di dolore che si facevano
contemporanei ma trasfigurati nel perdono.
Nella Bibbia ebraica il verbo
“ricordare” descrive innanzitutto il comportamento di Dio. Per un ebreo il “memoriale”
è lasciare che Dio entri di nuovo nella storia attraverso lo stesso modo in cui
si è comportato nel passato. Così il presente si fonde con il passato ed è
accolto nell’eternità di Dio, che significa, essenzialmente, il suo amore.
E il momento più importante della
Storia di Israele – il “memoriale” più prezioso – è la Pasqua che si distende
nell’Esodo sino all’ingresso nella Terra Promessa. Gli ebrei lo celebrano
solennemente in quella che chiamano la “notte delle notti”. In essa tutta la
famiglia riunita in casa torna sulle sponde del Mar Rosso, posa i piedi
all’asciutto mentre lo attraversa, si volta a guardare i carri del faraone
sprofondare nelle acque; ogni ebreo cammina nel deserto, si ferma alle falde
del Sinai, e, finalmente, entra nella Terra che Dio ha preparato per lui.
Ogni padre ha il dovere di raccontare
ogni evento dell’Esodo ai propri figli, perché siano immersi nelle opere di
Dio, sperimentarne la presenza nella loro storia, e crescere nella fede. Ancora
oggi, infatti, durante il Seder pasquale dice ai suoi figli che “Ognuno è
tenuto a vedersi come essendo proprio lui uscito dall’Egitto” (Haggadah).
Ecco, accolta e formata nella Chiesa, quel giorno a Parenzo mia madre ha vissuto, proprio come un ebreo, il suo “memoriale”; diverso certo, perché era quello del compimento della Pasqua Ebraica, ovvero l’Eucarestia. Il Mistero della morte e risurrezione di Cristo si era compiuto in ogni istante della sua vita, sino a quella Messa: Cristo, infatti, era sceso a prenderla nella tomba del dolore e del risentimento, l’aveva perdonata e risuscitata, per accompagnarla sino alla Terra promessa della Pace del cuore, anticipo e primizia del Paradiso.
E’ così, è la realtà, quello che avvelena il cuore non sono gli alimenti che mandiamo giù, ma quello dal cuore esce perché è già lì. Non è la storia che ci uccide, per quanto triste e piena di ingiustizie. E’ il peccato che ha fatto la sua tana dentro di noi che ci fa soffrire, perché frustra il desiderio di bene e di amore che in tutti Dio ha seminato.
Per questo è un’illusione credere che la giustizia umana possa donarci pace. Falso! Checchè raccontino film e libri, politici e filosofi, ogni giustizia umana ha partorito sempre nuove ingiustizie. Con ciò non voglio dire che essa non debba fare il suo corso, e punire i responsabili dei crimini. Ma che essa ha dei limiti, e non può guarire il cuore.
Per questo è necessario il perdono, impossibile agli uomini se prima non l’hanno sperimentato, immeritato, nella propria vita. Il perdono che tagli alla radice il peccato che ci impedisce di perdonare e amare, ed essere finalmente persone libere che vivono e annunciano la Pace.
In quell’Eucarestia mia madre ha visto la sua storia redenta nello stesso perdono che aveva sanato il suo cuore. Solo in questa luce si può comprendere come anche il dolore che l’ha accompagnata per cinque decenni sia stato necessario per curarla nell’incontro decisivo con l’amore di Cristo più forte di ogni ingiustizia.
Era volontà di Dio la guerra, e poi le foibe e quell’ingiustizia macchiata di sangue innocente? Era volontà di Dio che tante famiglie venissero strappate dalla propria terra? No, assolutamente, come non lo fu la disobbedienza di Adamo ed Eva. Eppure, dal giorno in cui Cristo è salito sulla Croce ed è entrato nel sepolcro, Dio ha come allargato le maglie della sua volontà, assorbendo anche gli orrori della storia e le nostre cadute. Cristo infatti è sceso con ogni uomo ucciso barbaramente nelle foibe, per fare di quelle cavità carsiche il suo sepolcro e risuscitare quei morti e per lasciare su quelle rocce il suo sangue perché anche gli assassini avessero speranza. La volontà di Dio, infatti, è una sola: che nessuno vada perduto e tutti gli uomini siano salvati.
E così è stato: da quella messa mia madre è uscita trasformata. E’ accaduto l’impensabile di poter abbracciare in un segno di Pace autentico tanti fratelli croati; di ascoltare le loro storie e i loro dolori, e di sentire dentro nascere amore vero per ognuno. Al punto di ospitarli a Roma, e lasciar loro il suo letto. Sino a pregare ogni giorno per Tito e i suoi partigiani, insieme ovviamente a tutti i suoi fratelli istriani.
Certo ancora molto cammino l’attende. Nessuna beatificazione anticipata, ci mancherebbe. Mia madre è, come tutti, una persona debolissima, e certo non è insensibile alle immagini e ai racconti di quegli anni, anzi. Il dolore è lì, come quello di chiunque abbia perso un figlio o una persona cara, e quella “terra benedetta” come la chiama lei, le è cosa molto, molto cara. Ma Dio è stato fedele con lei, e oggi è Lui che devo celebrare, offrendo una testimonianza che sia un segno di speranza per tanti, per chi ha vissuto la stessa esperienza, per chi ne vive altre simili, e per chi non conosce questa storia italiana.
Una cosa è certa, mia madre mai avrebbe potuto entrare nella Pace della riconciliazione se non avesse percorso con Cristo il suo Esodo dal rancore al perdono, trasfigurando in esso quello che oggi ogni italiano è chiamato a celebrare.
Ecco, accolta e formata nella Chiesa, quel giorno a Parenzo mia madre ha vissuto, proprio come un ebreo, il suo “memoriale”; diverso certo, perché era quello del compimento della Pasqua Ebraica, ovvero l’Eucarestia. Il Mistero della morte e risurrezione di Cristo si era compiuto in ogni istante della sua vita, sino a quella Messa: Cristo, infatti, era sceso a prenderla nella tomba del dolore e del risentimento, l’aveva perdonata e risuscitata, per accompagnarla sino alla Terra promessa della Pace del cuore, anticipo e primizia del Paradiso.
E’ così, è la realtà, quello che avvelena il cuore non sono gli alimenti che mandiamo giù, ma quello dal cuore esce perché è già lì. Non è la storia che ci uccide, per quanto triste e piena di ingiustizie. E’ il peccato che ha fatto la sua tana dentro di noi che ci fa soffrire, perché frustra il desiderio di bene e di amore che in tutti Dio ha seminato.
Per questo è un’illusione credere che la giustizia umana possa donarci pace. Falso! Checchè raccontino film e libri, politici e filosofi, ogni giustizia umana ha partorito sempre nuove ingiustizie. Con ciò non voglio dire che essa non debba fare il suo corso, e punire i responsabili dei crimini. Ma che essa ha dei limiti, e non può guarire il cuore.
Per questo è necessario il perdono, impossibile agli uomini se prima non l’hanno sperimentato, immeritato, nella propria vita. Il perdono che tagli alla radice il peccato che ci impedisce di perdonare e amare, ed essere finalmente persone libere che vivono e annunciano la Pace.
In quell’Eucarestia mia madre ha visto la sua storia redenta nello stesso perdono che aveva sanato il suo cuore. Solo in questa luce si può comprendere come anche il dolore che l’ha accompagnata per cinque decenni sia stato necessario per curarla nell’incontro decisivo con l’amore di Cristo più forte di ogni ingiustizia.
Era volontà di Dio la guerra, e poi le foibe e quell’ingiustizia macchiata di sangue innocente? Era volontà di Dio che tante famiglie venissero strappate dalla propria terra? No, assolutamente, come non lo fu la disobbedienza di Adamo ed Eva. Eppure, dal giorno in cui Cristo è salito sulla Croce ed è entrato nel sepolcro, Dio ha come allargato le maglie della sua volontà, assorbendo anche gli orrori della storia e le nostre cadute. Cristo infatti è sceso con ogni uomo ucciso barbaramente nelle foibe, per fare di quelle cavità carsiche il suo sepolcro e risuscitare quei morti e per lasciare su quelle rocce il suo sangue perché anche gli assassini avessero speranza. La volontà di Dio, infatti, è una sola: che nessuno vada perduto e tutti gli uomini siano salvati.
E così è stato: da quella messa mia madre è uscita trasformata. E’ accaduto l’impensabile di poter abbracciare in un segno di Pace autentico tanti fratelli croati; di ascoltare le loro storie e i loro dolori, e di sentire dentro nascere amore vero per ognuno. Al punto di ospitarli a Roma, e lasciar loro il suo letto. Sino a pregare ogni giorno per Tito e i suoi partigiani, insieme ovviamente a tutti i suoi fratelli istriani.
Certo ancora molto cammino l’attende. Nessuna beatificazione anticipata, ci mancherebbe. Mia madre è, come tutti, una persona debolissima, e certo non è insensibile alle immagini e ai racconti di quegli anni, anzi. Il dolore è lì, come quello di chiunque abbia perso un figlio o una persona cara, e quella “terra benedetta” come la chiama lei, le è cosa molto, molto cara. Ma Dio è stato fedele con lei, e oggi è Lui che devo celebrare, offrendo una testimonianza che sia un segno di speranza per tanti, per chi ha vissuto la stessa esperienza, per chi ne vive altre simili, e per chi non conosce questa storia italiana.
Una cosa è certa, mia madre mai avrebbe potuto entrare nella Pace della riconciliazione se non avesse percorso con Cristo il suo Esodo dal rancore al perdono, trasfigurando in esso quello che oggi ogni italiano è chiamato a celebrare.
- Antonello Iapicca -
Sacerdote missionario cattolico presso la città di Takamatsu
fonte: http://www.ildomaniditalia.eu/lesodo-del-ricordo-verso-il-perdono/
Voglio
gridare!
Voglio
gridare
che la vita è indistruttibile,
nonostante la morte;
che la speranza è la brezza
che spazza la disperazione;
che l'altro è un fratello
prima d'essere un nemico;
che non bisogna mai disperare
di se stessi e del mondo;
che le forze che sono in noi
sono forze che possono sollevarci
e sono inesauribili;
che si deve parlare l'amore,
e non parole di tempesta e caos;
che la vita incomincia oggi
e ogni giorno, e che è Speranza.
Mietek
Grayewski, versi scritti in un campo di concentramento.
Buona giornata a tutti :-)