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domenica 20 settembre 2015

Restate uniti alla croce di Cristo! - Sant'Agostino -

Come vorrei, o miei fratelli, incidervi nel cuore questa verità!
Se volete vivere un cristianesimo autentico,
aderite profondamente al Cristo in ciò che egli si è fatto per noi,
onde poter giungere a lui in ciò che è e che è sempre stato.
È per questo che ci ha raggiunti,
per farsi uomo per noi fino alla croce.
Si è fatto uomo per noi.

- Sant'Agostino - 
 (Commento al Vangelo di san Giovanni 2, 3)


Sant'Agostino
opera di Botticelli Chiesa di Ognissanti
Firenze – Italy

Tutti sono doni del mio Dio, non io li ho dati a me stesso.
Sono beni, e tutti sono io.
E’ buono chi mi fece, anzi lui stesso è il mio bene,
e io esulto in suo onore per tutti i beni
di cui anche da fanciullo era fatta la mia esistenza.
Il mio peccato era di non cercare in lui, ma nelle sue creature,
ossia in me stesso e negli altri, i diletti, i primati, le verità,
precipitando così nei dolori, nelle umiliazioni, negli errori.
A te grazie, dolcezza mia e onore mio e fiducia mia, 
Dio mio, a te grazie dei tuoi doni.
Tu però conservameli, così conserverai me pure,
e tutto ciò che mi hai donato crescerà e si perfezionerà,
e io medesimo sussisterò con te, poiché tu mi hai dato di sussistere.

- Sant'Agostino -
(Confessioni X, 27, 38)



Né futuro né passato esistono. 
È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. 
Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: 
presente del passato, presente del presente, presente del futuro. 
Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo 
e non le vedo altrove: 
il presente del passato è la memoria, il presente del presente 
la visione, il presente del futuro l'attesa. 

- Agostino d'Ippona - 
Confessioni, 397-400




















Tardi ti ho amato, bellezza
tanto antica e tanto nuova,
tardi ti ho amato!
Tu eri dentro di me e io stavo fuori,
ti cercavo qui,
gettandomi, deforme,
sulle belle forme delle tue creature.
Tu eri con me, ma io non ero con te.
Mi tenevano lontano da te
le creature che, pure,
se non esistessero in te,
non esisterebbero per niente,
Tu mi hai chiamato
e il tuo grido ha vinto la mia sordità;
hai brillato tu
e la tua luce ha vinto la mia cecità;
hai diffuso il tuo profumo:
ti ho respirato, e ora anelo a te;
ti ho gustato e ora ho fame e sete di te;
mi ha toccato e ora ardo
dal desiderio della tua pace .


- Sant'Agostino -

Buona giornata a tutti. :-)


www.leggoerifletto.it


giovedì 2 aprile 2015

Il nostro vanto è nella croce di Gesù - Sant'Agostino -

La passione del Signore nostro Gesù Cristo è pegno sicuro di gloria e insieme ammaestramento di pazienza. 
Che cosa mai non devono attendersi dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli! Infatti il Figlio unigenito di Dio, coeterno al Padre, sembrandogli troppo poco nascere uomo dagli uomini, volle spingersi fino al punto di morire quale uomo e proprio per mano di quegli uomini che aveva creato lui stesso.

Gran cosa è ciò che ci viene promesso dal Signore per il futuro, ma è molto più grande quello che celebriamo ricordando quanto ha già compiuto per noi. Dove erano e che cosa erano gli uomini, quando Cristo morì per i peccatori?

Come si può dubitare che egli darà ai suoi fedeli la sua vita, quando per essi non ha esitato a dare anche la sua morte? Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di un Dio morto per gli uomini? Chi è infatti Cristo, se non quel Verbo "che era in principio e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio"? (Gv 1, 1). Ebbene, questo Verbo di Dio "si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1, 14).  Egli non aveva nulla in se stesso per cui potesse morire per noi, se non avesse preso da noi una carne  mortale. In tal modo egli immortale poté morire, volendo dare la vita per i mortali. Rese partecipi della sua vita quelli di cui aveva condiviso la morte. Noi infatti non avevamo di nostro nulla da cui aver la vita, come lui non aveva nulla da cui ricevere la morte.  Donde lo stupefacente scambio: fece sua la nostra morte e nostra la sua vita. Dunque non vergogna, ma fiducia sconfinata e vanto immenso nella morte di Cristo.

Prese su di sé la morte che trovò in noi e così assicurò quella vita che da noi non può venire. Ciò che noi avevamo meritato per il peccato, lo scontò colui che era senza peccato. E allora non ci darà ora quanto meritiamo per giustizia, lui che è l'artefice della giustificazione? Come non darà il premio ai santi, lui, fedeltà personificata, che senza colpa sopportò la pena dei cattivi? Confessiamo, perciò, o fratelli, senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia; non con rossore, ma con fierezza. L'apostolo Paolo lo comprese bene e lo fece valere come titolo di gloria. Poteva celebrare le più grandi e affascinanti imprese del Cristo.
Poteva gloriarsi richiamando le eccelse prerogative del Cristo, presentandolo quale creatore del mondo in quanto Dio con il Padre, e quale padrone del mondo in quanto uomo simile a noi. Tuttavia non disse altro che questo: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo" (Gal 6, 14).


- Sant'Agostino -



"Guardiamo a Cristo trafitto in Croce! E’ Lui la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che mendica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi. 
L’apostolo Tommaso riconobbe Gesù come “Signore e Dio” quando mise la mano nella ferita del suo costato. Non sorprende che, tra i santi, molti abbiano trovato nel Cuore di Gesù l’espressione più commovente di questo mistero di amore. Si potrebbe addirittura dire che la rivelazione dell’eros di Dio verso l’uomo è, in realtà, l’espressione suprema della sua agape. 
In verità, solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti. Gesù ha detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). 
La risposta che il Signore ardentemente desidera da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lasciamo attrarre da Lui. Accettare il suo amore, però, non basta. Occorre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo agli altri: Cristo “mi attira a sé” per unirsi a me, perché impari ad amare i fratelli con il suo stesso amore."

- papa Benedetto XVI - 
Messaggio per la Quaresima 2007



Dalla Croce Gesù propone in positivo un altro tipo di umanità: è l'umanità di chi vive la beatitudine dei miti e degli operatori di pace, di chi accetta di portare la croce quotidiana dietro al suo Signore.

- Cardinale Carlo Maria Martini - 



Teco vorrei Signore 
oggi portar la Croce;
nella Tua doglia atroce 
io ti vorrei seguir.
Ma sono infermo e lasso
donami, deh, coraggio
acciò nel mesto viaggio
non m'abbia da smarrir...






Buona giornata a tutti. :-)

venerdì 27 marzo 2015

Acqua generosa -

La strana epidemia si abbatté, sulla città, all'improvviso!
Coloro, che ne erano colpiti, diventavano, prima, avidi: poi, prepotenti, e "arraffatori", perfino ladri...
E tremendamente sospettosi, gli uni, degli altri!
Si sentiva solo più parlare di soldi, cambi, tassi di interesse, e azioni, che andavano su, o giù...
Solo un eremita, dalla lunga barba bianca, conosceva il rimedio!
«Conosco la malattia, che ha colpito il vostro villaggio!
È dovuta a un "virus" terribile, perché, chi è colpito, diventa sempre più insensibile: il suo cuore si indurisce, fino a diventare di pietra e, al posto del cervello, si forma un "pallottoliere"...
C'è un solo rimedio: l'acqua della "Montagna Che Canta"!
Dovete trovare un giovane forte, e coraggioso, completamente disinteressato...
Deve affrontare questo impegno, solo per amore della gente!
Perché, l'acqua della generosità, funziona solo, se è veramente voluta, aspettata, accolta...
È logico, no? La medicina farà effetto, solo se ci sarà qualcuno, ad aspettarla!».
Ma, appena gli aspiranti eroi venivano a sapere, che non ci avrebbero guadagnato niente, si ritiravano!
Tutti, meno uno... Si chiamava, Giosuè! Promise la gente :
«Noi, ti aspetteremo! Metteremo una luce, sulla finestra, tutte le notti, così saprai, che ti aspettiamo!»
Giosuè baciò la mamma, e il papà, e abbracciò Mariarosa, la sua fidanzata, che gli sussurrò:
«Anch'io, ti aspetterò!».
Salutò tutti, e partì...
Dopo dieci giorni di marcia, le montagne continuavano ad apparire lontane, come profili di giganti dormienti!
Ma, Giosuè, non si fermava. Pensava agli abitanti della città che, certamente, si ricordavano di lui, e lo aspettavano, ai suoi genitori, e a Mariarosa e, ogni mattina, anche se i piedi gli dolevano, ricominciava la marcia!
Passarono, altri dieci giorni: poi, dieci mesi!
Nella città, le prime notti erano state un vero spettacolo...
Sui davanzali, di quasi tutte le finestre, brillava una luce!
Era il segno, della speranza: aspettavano l'acqua, della generosità, portata da Giosuè...
Ma, con il passare del tempo, molte lampade si spensero!
Alcuni se ne dimenticarono, semplicemente, altri, colpiti dalla malattia, si affrettarono a spegnerle, per risparmiare...
La maggioranza dei cittadini, dopo qualche mese, scuoteva la testa, dicendo:
«Non ce l'ha fatta... Non tornerà, più!».
Ogni notte, c'era qualche luce in meno, alle finestre. Il ritorno, di Giosuè, fu molto più rapido, dell'andata!
Portava, sulle spalle, una "botticella", della preziosa acqua...
Una notte, senza luna, e senza stelle, Giosuè arrivò sulla collina, da cui si vedeva la città! Guardò giù, ansimando, perché aveva fatto, di corsa, gli ultimi metri. Quello, che vide, gli riempì gli occhi di lacrime, e il cuore di amarezza! La città era completamente avvolta, dal buio. Non c'erano luci, sui davanzali, delle finestre!
Nessuno, lo aveva aspettato! E pensò :
«È stato tutto, inutile... Se nessuno mi ha aspettato, l'acqua non farà effetto. Tutta la mia fatica, è stata inutile!».
Si avviò, mestamente... Aveva voglia, di buttar via quell'acqua, che gli era tanto costata! Stava per farlo, quando qualcosa lo fermò... C'era una luce, laggiù! Un lumino, piccolo, tremante, lottava con la notte, in mezzo ai muri neri, delle case, Giosuè rise, di felicità, e partì, di corsa! Bussò...
Si affacciò un volto dolce, e conosciuto!
«Io ti ho sempre aspettato!» disse Mariarosa, semplicemente.

«Quando il Figlio dell'uomo tornerà, sulla terra, troverà ancora la fede?




« II Signore, dicendo: "Passi da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta", dichiara che non è possibile all'uomo salvarsi senza l'amara medicina della morte; senza bere il calice dell'umiliazione e del patimento. 
«Gesù Cristo fu come un medico pietoso, il quale, sebbene sano, appressò per primo le labbra alla medicina amara, affinchè, sul suo esempio, gli infermi non avessero difficoltà di trangugiarla. Non diciamo, dunque: non ho voglia, non ho forza di bere il calice dei patimenti che Dio mi manda; poiché il nostro Salvatore divino fu il primo a berlo sino alla feccia.» 

- Sant'Agostino -





«La preghiera di Gesù nel Getsemani non è una preghiera contraddittoria, dissonante, ma uniforme, armoniosa, coerente. È una preghiera unica, semplice, assoluta, quale conviene ad un Redentore divino, il quale, mentre in sé rappresenta tutti gli uomini peccatori, rammenta che li rappresenta tutti per salvarli, per santificarli per unirli per sempre a Dio » 

- San Beda -


"Non possiamo considerare la Quaresima come un periodo qualsiasi, una ripetizione ciclica dell'anno liturgico. 
È un momento unico; è un aiuto divino che bisogna accogliere. 
Gesù passa accanto a noi e attende da noi — oggi, ora — un rinnovamento profondo."





Protesi alla gioia pasquale,
sulle orme di Cristo Signore
seguiamo l’austero cammino
della santa Quaresima.
La legge e i profeti annunziarono
dei quaranta giorni il mistero;
Gesù consacrò nel deserto
questo tempo di grazia.
Sia parca e frugale la mensa,
sia sobria la lingua ed il cuore;
fratelli, è tempo di ascoltare
la voce dello Spirito.
Forti nella fede vigiliamo
contro le insidie del nemico:
ai servi fedeli è promessa
la corona di gloria.
Sia lode al Padre onnipotente,
al Figlio Gesù redentore,
allo Spirito Santo Amore
nei secoli dei secoli. Amen.



Buona giornata a tutti. :-)





martedì 17 febbraio 2015

Sant'Agostino e l'Angelo -

Agostino era dottissimo: aveva studiato i libri degli uomini più dotti dei tempi antichi. Un giorno mentre stava passeggiando sulla riva del mare, pensava a certi argomenti di cui doveva trattare sui suoi libri.
E, fra l'altro, pensava alla S.S. Trinità; si sforzava di comprendere un poco di questo mistero difficilissimo, per poterne dare delle spiegazioni.
Quand'ecco fu distratto da un graziosissimo bambino che sembrava assai affacendato nell'attingere acqua dal mare con una conchiglia, e nel  versare ripetutamente quell'acqua entro una buca che aveva scavato nella sabbia. 
Il Santo si fermò e domandò al bambino: - Che fai? Perchè ti affanni tanto a versar acqua in questa buca? -
E il bambino rispose: - Voglio svuotare il mare e versarne tutta  l'acqua in questa buca. -
- Impossibile - esclamò Agostino sorridendo, - non vedi quanto è grande il mare? Come potrai tu far entrare quella immensa quantità di acqua in una buca cosi piccola? -
Il Bambino guardò lungamente Agostino, fissandolo con uno sguardo significativo e penetrante, e poi aggiunse: - Io non posso svuotare il mare e farlo entrare in questa buca? E tu vuoi comprendere come è fatto Dio, che è infinitamente più grande del mare?... La tua intelligenza, in confronto alle infinite perfezioni di Dio, è più piccola del fosso, che io ho fatto sulla sabbia. -
   
Detto questo il bambino s'illuminò di una luce celeste... e disparve.
Era un angelo del Paradiso, che Dio aveva mandato al santo, per dargli un insegnamento tanto importante, e cioè che la nostra intelligenza è troppo limitata e non può comprendere la natura di Dio e le sue infinite perfezioni.






Perché chiedere qualcosa a Dio?

Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci.

- Sant' Agostino -
Lettera a Proba, dalla Liturgia delle Ore, vol. IV, p. 363


Cantiamo qui l’Alleluia… qui cantiamo da morituri, lassù da immortali.
Qui nella speranza, lassù nella realtà.
Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria.
Cantiamo da viandanti.
Canta ma cammina.
Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità.

Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità.
Canta e cammina.

- Sant'Agostino - 




Il vero amore è amare e lasciarsi amare. E’ più difficile lasciarsi amare che amare. Per questo è tanto difficile arrivare all’amore perfetto di Dio, perché possiamo amarlo, ma la cosa importante è lasciarsi amare da Lui. Il vero amore è aprirsi a questo amore che ci precede e che ci provoca una sorpresa.

- Papa Francesco - 
18 gennaio 2015 – Incontro coi giovani a Manila




Buona giornata a tutti. :-)




sabato 27 dicembre 2014

La gobba del cammello - Rudyard Kipling -

Narrerò ora, come spuntò la gobba al Cammello.
All’inizio del mondo, quando tutto era ancora nuovo, e gli Animali avevano appena incominciato a lavorare per l’Uomo, viveva, in mezzo al Deserto Ululante, un Cammello, che era proprio un gran fannullone, tanto che mangiava rametti e pruni, tamarischi e altre erbe, che poteva trovare nel deserto senza scomodarsi troppo; e quando Qualcuno gli rivolgeva la parola, rispondeva: – Bah! – solo: – Bah! – e nient’altro.
Perciò, un lunedì mattina, il Cavallo andò da lui, con la sella sulla schiena e il morso in bocca, e disse:
- Cammello, ehi, Cammello, vieni fuori a trottare come tutti noi.
- Bah! – fece il Cammello; e il Cavallo se ne andò e lo riferì all’Uomo.
Poi andò da lui il Cane, con un pezzo di legno in bocca; e disse: – Cammello, ehi, Cammello, vieni a stanare la selvaggina come tutti noi.
- Bah! – fece il Cammello; e il Cane se ne andò e lo riferì all’Uomo.
Poi andò da lui il Bue, con il giogo sul collo, e disse: – Cammello, ehi, Cammello, vieni ad arare come tutti noi.
- Bah! – fece il Cammello, e il Bue se ne andò e lo riferì all’Uomo.
Sul finire del giorno l’Uomo chiamò a raccolta il Cavallo, il Cane e il Bue e tenne loro questo discorsetto:
- O miei Tre, sono molto spiacente per voi (con il mondo ancora tutto nuovo); quel Fannullone nel deserto non vuol proprio lavorare, mentre ormai dovrebbe già essere qui come voi; per cui sono costretto lasciarlo solo, e voi dovrete lavorare il doppio per supplirlo.
Ciò irritò molto i Tre (con il mondo ancora tutto nuovo); ed essi si riunirono al confine del Deserto a congiurare; e venne anche il Cammello, più indolente che mai, ruminando erba, e rise loro in faccia. Poi fece: – Bah! – e se ne andò.
Allora arrivò il Genio che ha in custodia Tutti i Deserti, avvolto in una nube di polvere (i Geni viaggiano sempre in questo modo, perché è Magia), e si fermò a parlare coi Tre.
- Genio di Tutti i Deserti, – disse il Cavallo, – è giusto che qualcuno se ne stia in ozio con il mondo tutto nuovo?
- No di certo, – rispose il Genio.
- Ebbene, – soggiunse il Cavallo, – c’è un animale in mezzo al tuo Deserto Ululante, con lungo collo e lunghe gambe che non ha fatto ancora niente da lunedì mattina. Non vuole trottare.
- Ohibò! – esclamò il Genio; – per tutto l’oro dell’Arabia, ma questo è il mio Cammello! e che scusa trova?
- Dice: “Bah!” – disse il Cane; – e non vuole andare a stanare la selvaggina.
- Dice qualcos’altro?
- Solo: “Bah!” e non vuole arare, – disse il Bue.
- Benissimo, – fece il Genio; – se avete la pazienza di aspettare un minuto lo farò sgobbare io.
Il Genio si avvolse nel suo mantello di polvere, andò nel deserto, e trovò il Cammello più indolente che mai, che rimirava la sua immagine riflessa in una pozza d’acqua.
- Mio lungo e indolente amico, – disse il Genio, – ho sentito sul tuo conto cose che ti fanno poco onore. È vero che non vuoi lavorare?
- Bah! – rispose il Cammello.
Il Genio si sedette, col mento fra le mani, e si accinse ad escogitare qualche grande incantesimo, mentre il Cammello continuava a rimirare la sua immagine riflessa nell’acqua.
- Tu hai costretto i Tre a lavorare il doppio da lunedì mattina, e tutto per colpa della tua insopportabile pigrizia – disse il Genio, e continuò a pensare incantesimi col mento fra le mani.
- Bah! – fece il Cammello.
- Non lo ripeterei più se fossi in te, – disse il Genio; – potresti dirlo una volta di troppo. Fannullone, voglio che tu lavori.
E il Cammello ripeté ancora: – Bah! – ma non aveva ancora finito di dirlo, che vide il suo dorso, del quale era così orgoglioso, gonfiarsi e gonfiarsi finché si formò su di esso una grande, immensa, traballante gob-bah.
- Vedi cosa ti è successo? – disse il Genio; – questa gobba te la sei voluta proprio tu, con la tua pigrizia. Oggi è giovedì, e tu non hai fatto ancora nulla, mentre il lavoro ha avuto inizio lunedì. Ora devi andare a lavorare.
- Come è possibile, – protestò il Cammello, – con questa gobba sulla schiena?
- Anzi, è fatta apposta, – replicò il Genio, – perché hai perso quei tre giorni. Ora potrai lavorare per tre giorni senza mangiare, perché puoi vivere a spese della tua gobbah; e non ti venga in mente di dire che non ho fatto niente per te. Esci dal deserto, vai a raggiungere i Tre, e comportati bene. E sgobba!
E il Cammello andò a raggiungere i Tre, e sgobbò, nonostante la gobbah. E da quel giorno in poi il Cammello ebbe sempre la gobbah (noi, ora, la chiamiamo gobba per non offenderlo); ma non è ancora riuscito a recuperare i tre giorni che ha perso all’inizio del mondo, e non ha ancora imparato a comportarsi come si deve.



- Rudyard Kipling -




Ci sono momenti nella vita che si deve tacere e lasciare che il silenzio parli al cuore, perché ci sono sentimenti che nessuna lingua può esprimere e ci sono emozioni che non si possono tradurre in parole.





...Karl Marx, cito a senso le sue parole, disse una volta: non sei autonomo fintanto che devi te stesso al favore di un altro; e fintanto che non sei autonomo, non sei libero, bensì dipendente. Davvero convincente! Ma se guardiamo meglio, vediamo che tali parole significano che l'amore è mancanza di libertà, perché l'amore include il fatto che io ho bisogno dell'altro e del suo favore. 

Quest'idea della libertà concepisce l'amore come schiavitù e ha come presupposto la distruzione dell'amore. Sotto questo aspetto essa è un attacco alla verità dell'uomo, che vive di amore. Ed è un attacco a Dio, di cui l'uomo è immagine appunto perché ha bisogno di amore. Neppure Dio, infatti, ha voluto essere indipendente dall'amore: il Figlio esiste solo in virtù del Padre, lo Spirito solo in virtù dei due e il Padre solo in rapporto a essi: solo in questa dipendenza dell'uno dagli altri, come unitrino, Egli è Dio. E non può essere diversamente, se Dio è amore...

- Joseph Ratzinger - 
da "La benedizione del Natale" -




Abbiamo un Dio innamorato di noi, che ci accarezza teneramente e ci canta la ninna nanna proprio come fa un papà con il suo bambino. Non solo: lui ci cerca per primo, ci aspetta e ci insegna a essere «piccoli», perché l'amore è più nel dare che nel ricevere ed è più nelle opere che nelle parole.


Papa Francesco, Meditazione mattutina, 27 giugno 2014




Buona giornata a tutti. :-)








venerdì 26 dicembre 2014

Il lupo che divenne uomo - Piero Gribaudi -

C'era una volta, in un bosco, un lupo molto feroce. 
Si nutriva di polli e di conigli e attaccava le greggi e gli armenti del villaggio. Anche i bambini non uscivano più a giocare. 
Il lupo era diventato il terrore di tutti. Si presero provvedimenti: gli animali dovevano vivere dentro recinti e trappole di ogni tipo vennero appostate nei dintorni. 
Il lupo cominciò a sentirsi braccato e vagava per il bosco, sempre più affamato.
Una sera, inaspettatamente, una stupenda luce illuminò il cielo e durò per tutta la notte. Ad un certo momento diversi gruppi di pastori cominciarono ad arrivare da ogni dove. Andavano tutti verso la medesima direzione. Che cosa stava succedendo?
Il lupo decise di seguirli, tenendosi a debita distanza. Li vide entrare in una grotta. Non si capiva che cosa vi trovassero. Quando uscirono, sembravano trasfigurati e anche una giovane donna comparve in mezzo a loro. 
Era un'occasione propizia. Il lupo furtivamente si intrufolò nella grotta.
Su una minuscola stuoia, un bambino molto piccolo stava disteso e giocava con un filo d'erba tra le dita. Il lupo si illuminò. Ecco il cibo sognato da tanto tempo. La mamma era ancora fuori con gli ospiti e non si sarebbe accorta. Avvicinò il muso al bambino. Sarebbe stata questione di un attimo. Ma successe qualcosa d'inaspettato. Il bambino non si spaventò, non pianse. Lo guardò, anzi, negli occhi, gli sorrise e allungando la manina accarezzò quel muso sporco di polvere. E gli disse: "Ti voglio bene".
Nessuno glielo aveva mai detto. La sua pelliccia di lupo si sfilacciò come una vecchia camicia. Dentro comparve un giovane uomo.

Chinato verso il bambino, trasformato, continuava a gridargli "Grazie! Grazie! Grazie!". Poi corse via. Che cos'altro poteva fare questo ex-lupo se non correre in ogni angolo della terra e raccontare a tutti ciò che quel bambino aveva fatto di lui?

- Piero Gribaudi - 
da: Fiabe della Notte Santa




Fratelli carissimi, il Signore nostro Gesù Cristo, creatore eterno di tutte le cose, oggi nascendo da una madre si è fatto nostro salvatore. E’ nato per noi oggi liberamente nel tempo per introdurci nell’eternità del Padre. Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventasse Dio. Perché l’uomo mangiasse il pane degli angeli, il Signore degli angeli si è fatto uomo… L’uomo ha peccato ed è divenuto reo: Dio è nato come uomo perché fosse liberato il reo. L’uomo cadde, ma Dio discese. Cadde l’uomo miseramente, discese Dio misericordiosamente; cadde l’uomo per la superbia, discese Dio con la grazia. 


Sant' Agostino (Discorso 13) 



...Non aveva bisogno di noi.

E anche Gesù non doveva che starsene ben tranquillo, nel ciel, prima di questa parte centrale, assiale, cardiaca della creazione, prima dell’Incarnazione, prima della redenzione.
È venuto, perché il mondo è venuto.
Diversamente, contrariamente, era tanto semplice, e presto fatto.
Era fatto in anticipo, non doveva che non creare il mondo, non rimaneva che non creare l’uomo.
Non c’era più alcuna storia, non c’era più alcun fastidio.
Tutto il mondo restava a casa sua.
Quanto bisogna che io sia grande, amico mio, per aver spostato tanto mondo, disturbato tanto mondo, e così gran mondo.
Un Dio, amico mio, Dio si è disturbato, Dio si è sacrificato per me.
Ecco il Cristianesimo.

- Charles Péguy -
Clio, dialogue de l’histoire et de l’âme charnelle


È nato! Alleluia! 

È nato il sovrano bambino,
è nato! Alleluia, alleluia!
La notte che già fu sì buia
risplende di un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaie
suonate! Squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma come nei libri hanno detto
da quattromill’anni i profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Da quattromill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
È nato, è nato il Signore!
È nato nel nostro paese.
Risplende d’un astro divino
la notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino,
è nato! Alleluia, alleluia!

- Guido Gozzano -






Buona giornata a tutti. :-)