Gli indicai una sedia. L'uomo tardò a parlare.
Emanava un senso di malinconia, come me adesso. «Vendo Bibbie, » spiegò. Non
senza pedanteria gli risposi: «In questa casa ci sono varie Bibbie inglesi,
compresa la prima, quella di John Wiclif. Ho anche quella di Cipriano de Valer,
quella di Lutero, che letterariamente è la peggiore, e un esemplare della
vulgata latina. Come vede, non sono esattamente le Bibbie a mancarmi». Dopo un
attimo di silenzio ribatté: «Non vendo solo Bibbie. Posso mostrarle un libro
sacro che forse le interesserà. L'ho acquistato ai confini di Bikaner».
Aprì la valigia e la posò sopra il
tavolo. Era un volume in ottavo, rilegato in tela. Senza dubbio era passato per
molte mani. Lo esaminai; il suo insolito peso mi meravigliò. Sul dorso c'era
scritto Holy Writ, e sotto Bombay. «Sarà del diciannovesimo secolo » osservai. «Non
lo so. Non l'ho mai saputo» rispose. Lo aprii a caso. La scrittura mi era
sconosciuta. Le pagine, che mi sembrarono logore e povere dal punto di vista
tipografico, erano stampate su due colonne alla maniera di una Bibbia. Il testo
era fitto e disposto in versetti. Negli angoli in alto comparivano numeri
arabi. Attrasse la mia attenzione il fatto che la pagina pari portasse
(mettiamo) il numero 40.514 e quella dispari, successiva, il 999. La voltai: il
verso aveva una numerazione a otto cifre. C'era anche una piccola
illustrazione, come si usa nei dizionari: un'ancora disegnata a penna, come dalla
mano goffa di un bambino. Fu allora che lo sconosciuto mi disse: «La guardi
bene. Non la vedrà mai più.»
C'era una minaccia nell'affermazione, ma non nella voce. Guardai bene il punto esatto e chiusi il volume. Poi lo riaprii immediatamente. Cercai invano la figura dell'ancora, pagina dopo pagina. Per nascondere il mio sconcerto, gli chiesi:
«Si tratta di una versione delle Scritture in qualche lingua indostanica , non è vero?»
«No» rispose.
Poi abbassò la voce come per confidarmi un segreto: «L’ho acquistato in un
villaggio della pianura, in cambio di qualche rupia e della Bibbia. Il
proprietario non sapeva leggere. Ho il sospetto che nel Libro dei Libri vedesse
un amuleto. Apparteneva alla casta più bassa; nessuno poteva calpestare la sua
ombra senza contaminarsi.» Mi disse che il suo libro si chiamava il Libro di
Sabbia, perché né il libro né la sabbia hanno principio o fine.
Mi disse di cercare la prima pagina.
Appoggiai la mano sinistra sopra il frontespizio e aprii il volume con il
pollice quasi attaccato all'indice. Fu tutto inutile: tra il frontespizio e la
mano c'erano sempre varie pagine. Era come se spuntassero dal libro. «Adesso
cerchi la fine.» Fu un altro fallimento; riuscii appena a balbettare con una
voce che non era la mia: «Non è possibile.» Sempre sottovoce, il venditore di
Bibbie mi disse: «Non è possibile, ma è. Il numero di pagine di questo libro è
esattamente infinito. Nessuna è la prima, nessuna l'ultima. Non so perché siano
numerate in questo modo arbitrario. Forse per suggerire che i termini di una
serie infinita ammettono qualsiasi numero.»
Poi, come se pensasse a voce alta: «Se
lo spazio è infinito, siamo in qualsiasi punto dello spazio. Se il tempo è
infinito, siamo in qualsiasi punto del tempo.» Le sue considerazioni mi
irritarono. Gli domandai: «Lei è religioso, non è vero?»
«Sì, sono presbiteriano. La mia
coscienza è limpida. Sono sicuro di non avere imbrogliato l'indigeno quando gli
diedi la Parola del Signore in cambio del suo libro diabolico.» Gli assicurai
che non aveva nulla da rimproverarsi e gli chiesi se era di passaggio in città.
Mi rispose che di lì a pochi giorni pensava di ritornare in Patria. Fu allora
che seppi che era scozzese, delle isole Orcadi. Gli dissi che personalmente
amavo molto la Scozia per via di Stevenson e di Hume. «E di Robbie Burns» mi
corresse. Mentre parlavamo io continuavo a esplorare il libro infinito. Con
finta indifferenza gli chiesi: «Ha intenzione di offrire questo bizzarro
esemplare al Museo Britannico?» «No. Lo offro a lei» mi replicò, e fissò una
cifra elevata. Gli risposi, con tutta sincerità, che quella somma era
inaccessibile per me e rimasi a pensare. In pochi minuti il mio piano era
pronto. «Le propongo uno scambio » gli dissi. «Lei ha ottenuto questo volume
per qualche rupia e per le Sacre Scritture; io le offro l'ammontare della mia
liquidazione che ho appena riscosso, e la Bibbia di Wiclif in caratteri gotici.
L'ho ereditata dai miei genitori.» « A black letter Wiclif! » mormorò. Andai
nella mia stanza da letto a prendere il denaro e il libro. Sfogliò le pagine e
studiò la copertina con fervore di bibliofilo. «Affare fatto » mi disse. Mi
meravigliai che non mercanteggiasse. Soltanto in seguito compresi che era
entrato in casa mia deciso a vendere il libro. Mise in tasca le banconote,
senza neppure contarle. Parlammo dell'India, delle Orcadi e degli jarls
norvegesi che le avevano governate. Era già notte quando l'uomo se ne andò. Non
l'ho più rivisto né ho mai saputo il suo nome. Pensai di mettere il Libro di
Sabbia nello spazio vuoto lasciato dal Wiclif, ma alla fine decisi di
nasconderlo dietro alcuni volumi scompagnati delle Mille e Una Notte. Andai a
letto e non dormii. Verso le tre o le quattro del mattino accesi la luce. Andai
a prendere il libro impossibile e iniziai a sfogliarlo. Su una pagina vidi
l'incisione di una maschera. Nell'angolo in alto c'era un numero, non ricordo
quale, elevato alla nona potenza. Non mostrai a nessuno il mio tesoro. Alla
gioia di possederlo si aggiunse il timore che me lo rubassero, e poi il
sospetto che non fosse davvero infinito. Queste due inquietudini aggravarono la
mia ormai antica misantropia. Mi erano rimasti alcuni amici; smisi di vederli.
Prigioniero del libro, quasi non mettevo piede fuori di casa. Esaminai con una
lente il dorso logoro e le copertine, ed esclusi la possibilità di un trucco.
Scoprii che le piccole illustrazioni distavano duemila pagine l'una dall'altra.
Incominciai ad annotarle pian piano in una rubrica, che in poco tempo riempii.
Non si ripetevano mai. Di notte, durante i brevi intervalli che mi concedeva
l'insonnia, sognavo il libro. Verso la fine dell'estate compresi che il libro
era mostruoso. A nulla valse considerare che non meno mostruoso ero io, che lo
percepivo con occhi e lo palpavo con dieci dita provviste di unghie. Sentii che
era un oggetto da incubo, una cosa oscena che infamava e corrompeva la realtà.
Pensai al fuoco, ma ebbi paura che la combustione di un libro infinito fosse
altrettanto infinita e soffocasse il pianeta nel fumo. Ricordai di avere letto
che il luogo migliore per nascondere una foglia è un bosco. Prima di andare in
pensione lavoravo nella Biblioteca Nazionale, che conserva novecentomila libri;
so che a destra dell'atrio una scala curva si immerge nel seminterrato, dove si
trovano i periodici e le carte geografiche. Approfittai di una distrazione
degli impiegati per abbandonare il Libro di Sabbia su uno di quegli umidi
scaffali. Cercai di non far caso né a che altezza né a quale distanza dalla
porta. Mi sento un po' sollevato, ma non voglio nemmeno passare per calle
México.
Da: Il libro di sabbia di Jorge Luis Borges
“La stampa, ora abolita, è stata uno dei peggiori mali dell’uomo, perché tendeva a moltiplicare testi superflui fino alla vertigine.”
- Jorge Luis Borges -
- Jorge Luis Borges -