venerdì 10 marzo 2023

Da: Il libro di sabbia di Jorge Luis Borges

 La linea è costituita da un numero infinito di punti; il piano, da un numero infinito di linee; il volume, da un numero infinito di piani; l'ipervolume, da un numero infinito di ipervolumi... No, decisamente non è questo, more geometrico, il modo migliore di iniziare il mio racconto. È diventata ormai una convenzione affermare che ogni racconto fantastico è veridico; il mio, tuttavia, è veridico.

Vivo solo, a un quarto piano di calle Belgrano. Qualche mese fa, verso sera, sentii bussare alla porta. Aprii ed entrò uno sconosciuto. Era un uomo alto, dai lineamenti indistinti. Forse era la mia miopia a vederli così. Tutto il suo aspetto lasciava trasparire una dignitosa povertà. Era vestito di grigio e aveva in mano una valigia grigia. Intuii subito che era straniero. All'inizio mi parve vecchio, poi mi resi conto che ero stato tratto in inganno dai suoi radi capelli biondi, quasi bianchi, come quelli degli scandinavi. Nel corso della nostra conversazione, che non sarebbe durata neppure un'ora, seppi che veniva dalle Orcadi.

Gli indicai una sedia. L'uomo tardò a parlare. Emanava un senso di malinconia, come me adesso. «Vendo Bibbie, » spiegò. Non senza pedanteria gli risposi: «In questa casa ci sono varie Bibbie inglesi, compresa la prima, quella di John Wiclif. Ho anche quella di Cipriano de Valer, quella di Lutero, che letterariamente è la peggiore, e un esemplare della vulgata latina. Come vede, non sono esattamente le Bibbie a mancarmi». Dopo un attimo di silenzio ribatté: «Non vendo solo Bibbie. Posso mostrarle un libro sacro che forse le interesserà. L'ho acquistato ai confini di Bikaner».

Aprì la valigia e la posò sopra il tavolo. Era un volume in ottavo, rilegato in tela. Senza dubbio era passato per molte mani. Lo esaminai; il suo insolito peso mi meravigliò. Sul dorso c'era scritto Holy Writ, e sotto Bombay. «Sarà del diciannovesimo secolo » osservai. «Non lo so. Non l'ho mai saputo» rispose. Lo aprii a caso. La scrittura mi era sconosciuta. Le pagine, che mi sembrarono logore e povere dal punto di vista tipografico, erano stampate su due colonne alla maniera di una Bibbia. Il testo era fitto e disposto in versetti. Negli angoli in alto comparivano numeri arabi. Attrasse la mia attenzione il fatto che la pagina pari portasse (mettiamo) il numero 40.514 e quella dispari, successiva, il 999. La voltai: il verso aveva una numerazione a otto cifre. C'era anche una piccola illustrazione, come si usa nei dizionari: un'ancora disegnata a penna, come dalla mano goffa di un bambino. Fu allora che lo sconosciuto mi disse: «La guardi bene. Non la vedrà mai più.»

C'era una minaccia nell'affermazione, ma non nella voce. Guardai bene il punto esatto e chiusi il volume. Poi lo riaprii immediatamente. Cercai invano la figura dell'ancora, pagina dopo pagina. Per nascondere il mio sconcerto, gli chiesi: 

«Si tratta di una versione delle Scritture in qualche lingua indostanica , non è vero?» 

«No» rispose. Poi abbassò la voce come per confidarmi un segreto: «L’ho acquistato in un villaggio della pianura, in cambio di qualche rupia e della Bibbia. Il proprietario non sapeva leggere. Ho il sospetto che nel Libro dei Libri vedesse un amuleto. Apparteneva alla casta più bassa; nessuno poteva calpestare la sua ombra senza contaminarsi.» Mi disse che il suo libro si chiamava il Libro di Sabbia, perché né il libro né la sabbia hanno principio o fine.

Mi disse di cercare la prima pagina. Appoggiai la mano sinistra sopra il frontespizio e aprii il volume con il pollice quasi attaccato all'indice. Fu tutto inutile: tra il frontespizio e la mano c'erano sempre varie pagine. Era come se spuntassero dal libro. «Adesso cerchi la fine.» Fu un altro fallimento; riuscii appena a balbettare con una voce che non era la mia: «Non è possibile.» Sempre sottovoce, il venditore di Bibbie mi disse: «Non è possibile, ma è. Il numero di pagine di questo libro è esattamente infinito. Nessuna è la prima, nessuna l'ultima. Non so perché siano numerate in questo modo arbitrario. Forse per suggerire che i termini di una serie infinita ammettono qualsiasi numero.»

Poi, come se pensasse a voce alta: «Se lo spazio è infinito, siamo in qualsiasi punto dello spazio. Se il tempo è infinito, siamo in qualsiasi punto del tempo.» Le sue considerazioni mi irritarono. Gli domandai: «Lei è religioso, non è vero?»

«Sì, sono presbiteriano. La mia coscienza è limpida. Sono sicuro di non avere imbrogliato l'indigeno quando gli diedi la Parola del Signore in cambio del suo libro diabolico.» Gli assicurai che non aveva nulla da rimproverarsi e gli chiesi se era di passaggio in città. Mi rispose che di lì a pochi giorni pensava di ritornare in Patria. Fu allora che seppi che era scozzese, delle isole Orcadi. Gli dissi che personalmente amavo molto la Scozia per via di Stevenson e di Hume. «E di Robbie Burns» mi corresse. Mentre parlavamo io continuavo a esplorare il libro infinito. Con finta indifferenza gli chiesi: «Ha intenzione di offrire questo bizzarro esemplare al Museo Britannico?» «No. Lo offro a lei» mi replicò, e fissò una cifra elevata. Gli risposi, con tutta sincerità, che quella somma era inaccessibile per me e rimasi a pensare. In pochi minuti il mio piano era pronto. «Le propongo uno scambio » gli dissi. «Lei ha ottenuto questo volume per qualche rupia e per le Sacre Scritture; io le offro l'ammontare della mia liquidazione che ho appena riscosso, e la Bibbia di Wiclif in caratteri gotici. L'ho ereditata dai miei genitori.» « A black letter Wiclif! » mormorò. Andai nella mia stanza da letto a prendere il denaro e il libro. Sfogliò le pagine e studiò la copertina con fervore di bibliofilo. «Affare fatto » mi disse. Mi meravigliai che non mercanteggiasse. Soltanto in seguito compresi che era entrato in casa mia deciso a vendere il libro. Mise in tasca le banconote, senza neppure contarle. Parlammo dell'India, delle Orcadi e degli jarls norvegesi che le avevano governate. Era già notte quando l'uomo se ne andò. Non l'ho più rivisto né ho mai saputo il suo nome. Pensai di mettere il Libro di Sabbia nello spazio vuoto lasciato dal Wiclif, ma alla fine decisi di nasconderlo dietro alcuni volumi scompagnati delle Mille e Una Notte. Andai a letto e non dormii. Verso le tre o le quattro del mattino accesi la luce. Andai a prendere il libro impossibile e iniziai a sfogliarlo. Su una pagina vidi l'incisione di una maschera. Nell'angolo in alto c'era un numero, non ricordo quale, elevato alla nona potenza. Non mostrai a nessuno il mio tesoro. Alla gioia di possederlo si aggiunse il timore che me lo rubassero, e poi il sospetto che non fosse davvero infinito. Queste due inquietudini aggravarono la mia ormai antica misantropia. Mi erano rimasti alcuni amici; smisi di vederli. Prigioniero del libro, quasi non mettevo piede fuori di casa. Esaminai con una lente il dorso logoro e le copertine, ed esclusi la possibilità di un trucco. Scoprii che le piccole illustrazioni distavano duemila pagine l'una dall'altra. Incominciai ad annotarle pian piano in una rubrica, che in poco tempo riempii. Non si ripetevano mai. Di notte, durante i brevi intervalli che mi concedeva l'insonnia, sognavo il libro. Verso la fine dell'estate compresi che il libro era mostruoso. A nulla valse considerare che non meno mostruoso ero io, che lo percepivo con occhi e lo palpavo con dieci dita provviste di unghie. Sentii che era un oggetto da incubo, una cosa oscena che infamava e corrompeva la realtà. Pensai al fuoco, ma ebbi paura che la combustione di un libro infinito fosse altrettanto infinita e soffocasse il pianeta nel fumo. Ricordai di avere letto che il luogo migliore per nascondere una foglia è un bosco. Prima di andare in pensione lavoravo nella Biblioteca Nazionale, che conserva novecentomila libri; so che a destra dell'atrio una scala curva si immerge nel seminterrato, dove si trovano i periodici e le carte geografiche. Approfittai di una distrazione degli impiegati per abbandonare il Libro di Sabbia su uno di quegli umidi scaffali. Cercai di non far caso né a che altezza né a quale distanza dalla porta. Mi sento un po' sollevato, ma non voglio nemmeno passare per calle México.

Da: Il libro di sabbia di Jorge Luis Borges 


“La stampa, ora abolita, è stata uno dei peggiori mali dell’uomo, perché tendeva a moltiplicare testi superflui fino alla vertigine.”

- Jorge Luis Borges - 


“Per vedere una cosa bisogna comprenderla.” 

- Jorge Luis Borges -

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