lunedì 3 febbraio 2025

Umiltà - don Bruno Ferrero

 Quando morì il califfo, il trono rimase temporaneamente vuoto. 
Sfacciatamente, un povero mendicante ci si sedette sopra. 
Il gran visir ordinò alle guardie di acciuffare il pezzente macchiatosi di un tale sacrilegio, ma quest'ultimo rispose: 
"Ma io sono al di sopra del califfo!". 
"Come osi dire una cosa del genere!",  esclamò stupefatto il gran visir. 
"Al di sopra del califfo c'è solo il Profeta". 
"Infatti io sono al di sopra del Profeta", proseguì il mendicante imperturbabile. 
"Cosa? Come ti permetti, miserabile! 
Al di sopra del Profeta c'è solo Dio!», 
"lo sono anche al di sopra di Dio". 
"Miscredente!", urlò il gran visir sull'orlo di una crisi apoplettica. 
"Guardie! Sbudellate subito quel furfante. Al di sopra di Dio c'è niente!". 
"Infatti, io sono niente!". 

"Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime" (Matteo 11,29).




L'Avviso 

La strada che portava alla chiesa attraversava il paese. La vecchietta la percorreva ad occhi bassi biascicando qualche preghiera mentre di sottecchi guardava la gente, come tutti i giorni. «Giovinastri... Ubriaconi... Svergognata... Sporcizia... Fannullone... ».
Affrettava il passo per trovare la pace della preghiera. 

Quel giorno arrivò alla porta della chiesa e la trovò chiusa. 
Bussò. Niente da fare. Vide un biglietto attaccato con del nastro adesivo. 
Lo lesse. Diceva: «Io sono lì fuori».

- don Bruno Ferrero -



«Tu dici di amarmi e te ne resti lì seduto a braccia conserte? 
Mangi, bevi, ti metti comodo per leggere le parole che io ho dette, piangi ricordando che io sono stato crocifisso; poi, te ne vai a letto e ti addormenti... Non hai vergogna? È così che mi ami? 
Questo tu lo chiami amore? Su, alzati!». 
Mi alzai di scatto e gettandomi ai suoi piedi esclamai: «Perdono, Signore, perdono! Comanda e ubbidirò». 
«Prendi il tuo bastone – mi disse Cristo – e va’ a trovare gli uomini, non temere di parlar loro.Va’ a dir loro che ho fame, che busso alle porte, tendo la mano e grido: fate la carità, cristiani!» 

- N. Kazantzakis -


Buona giornata a tutti. :-)


sabato 1 febbraio 2025

Frasi di Oriana Fallaci


 
A me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra civiltà c’è Omero, c’è Socrate, c’è Platone, c’è Aristotele, c’è Fidia. C’è l’antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia. C’è l’antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade.

C’è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell’amore e della giustizia. C’è anche una Chiesa che mi ha dato l’Inquisizione, d’accordo. 

Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul rogo, d’accordo. 

Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei. Me lo ha umiliato, me lo ha zittito. Però ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no?

E poi dietro la nostra civiltà c’è il Rinascimento. C’è Leonardo da Vinci, c’è Michelangelo, c’è Raffaello, c’è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. 

Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company. Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all’altra cultura che c’è? Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso".

- Oriana Fallaci, 

da: "La rabbia e l'orgoglio"



"No, non è vero che il fine giustifica i mezzi. Se i mezzi sono sporchi, anche il fine più nobile diventa sporco.”

- Oriana Fallaci -


 Gli esseri umani amano l’uguaglianza assai più della libertà, e della libertà spesso non gliene importa un bel nulla. Costa troppi sacrifici, troppa disciplina, e non è forse vero che si può essere uguali anche in stato di schiavitù? Quasi ciò non bastasse, il concetto di uguaglianza non lo comprendono. Per Uguaglianza la democrazia intende l’uguaglianza giuridica, l’uguaglianza che deriva dal sacro principio «la Legge è uguale per tutti».

Non l’uguaglianza mentale e morale, l’uguaglianza di valore e di merito. Non il pari merito d’una persona intelligente e di una persona stupida, il pari valore di una persona onesta e d’una persona disonesta. Quel tipo di uguaglianza non esiste. Se esistesse, non esisterebbe la Vita. Non esisterebbe l’individualità e saremmo tutti identici come automobili uscite da una catena di montaggio.

Il guaio è che la democrazia aiuta gli ignoranti e i presuntuosi a negare questa verità. Li aiuta con la demagogia e il populismo. Risultato, qualsiasi incapace può presentarsi candidato e venire eletto. Magari con una valanga di voti. E visto che molti esseri umani non sono Leonardo Da Vinci o San Francesco, a rappresentare l’elettorato sono spesso gli incapaci. Infatti chi, se non loro, è il primo responsabile della catastrofe che stiamo vivendo? Chi, se non loro, sta consegnando la nostra civiltà a una non-civiltà?

- Oriana Fallaci - 


Sono rari gli uomini che scelgono donne profonde al proprio fianco, perché quelle superficiali e, perlopiù, concentrate sull'apparenza, danno meno problemi e sono più facilmente gestibili.

Una donna profonda, invece, cerca dialoghi costruttivi e confronti, vuole e crea intimità, ha consapevolezza di sé e conosce i propri limiti e le proprie forze.Una donna profonda detesta la superficialità, la volgarità.

Non vuole piacere a tutti, non si accontenta ma cerca, sa che il suo valore non risiede nell'aspetto ma nella tenacia del cuore.

Le donne profonde sono come uragani.Non si fermano davanti a nulla. Ridono e piangono senza vergognarsi e se ne hanno voglia si siedono per terra o camminano scalze come se fosse la cosa più normale del mondo. Non hanno paura delle sfide per trovare ciò che hanno nel cuore, né di soffrire per inseguire i loro ideali.

Non cercano nella coppia un leader da seguire, né un figlio da salvare.

Ma un compagno con il quale camminare. Le donne, tutte le donne, devono sempre ricordarsi chi sono e di cosa sono capaci. Non devono temere di mostrarsi intelligenti, di rimanere sospese sulle stelle, di notte,appoggiate al balcone del cielo! Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede coraggio, una sfida che non annoia mai.

- Oriana Fallaci -


Buona giornata a tutti :-)





venerdì 31 gennaio 2025

Don Bosco e il colera del 1854 – Pier Giuseppe Accornero

Come visse don Bosco l’epidemia del colera che scoppiò a Torino nel 1854?

Di seguito il racconto di quel momento della storia che toccò anche l’Oratorio di Valdocco, a cura di Pier Giuseppe Accornero, sacerdote, scrittore e giornalista torinese.

Don Bosco, l’Oratorio di Valdocco e il colera del 1854 a Torino

Dal 1° agosto al 21 novembre 1854 il colera a Torino colpisce 2.500 persone e ne uccide 1.400, ma nessuno dei ragazzi dell’Oratorio di Valdocco che, sull’esempio di don Giovanni Bosco, curano i colerosi. Lo testimonia don Giovanni Battista Lemoyne, salesiano genovese di origine francese, segretario e primo biografo, preoccupato di documentarne quanto c’è di straordinario nella personalità e nella vita. La sua opera maggiore è «Documenti per scrivere la storia di don Giovanni Bosco, dell’Oratorio San Francesco di Sales e della Congregazione salesiana». Ne trae le «Memorie biografiche di don Giovanni Bosco», titolo modificato in base al processo canonico: venerabile nel 1914, beato nel 1929, santo nel 1934. Con il pregio della testimonianza diretta perché conosce bene il santo e ne è segretario fino alla morte il 31 gennaio 1888. Ma hanno anche il difetto di essere eccessivamente elogiative.

Nell’estate 1854 scoppia il «colera morbus» con epicentro Borgo Dora, dove si ammassano gli immigrati, a due passi dall’Oratorio. A Genova 3.000 vittime e in un mese a Torino 800 colpiti e 500 morti. I casi salgono vertiginosamente, da 10-30 al giorno a 50-60. All’inizio quanti sono colpiti, muoiono; poi 60 decessi su 100 casi. Bloccato il commercio, chiuse le botteghe, fuga di quanti riescono. Il popolino accusa i medici di somministrare «acquetta», una bibita avvelenata, per farli morire più in fretta. Il sindaco Giovanni Notta si appella alla città e adotta le misure sanitarie. Ma il Municipio non trova volontari per portare i colerosi nei lazzaretti né per assisterli. Anche se stipendiati, pure i più coraggiosi rifiutano di esporre la propria vita. Si offrono i preti, i Camilliani, i Cappuccini, i Domenicani, gli Oblati di Maria. I parroci ripetono ai fedeli gli ordini emanati dalle autorità.

Il 3 agosto Torino ricorre alla Consolata: una folla di fedeli e una rappresentanza del Consiglio municipale pregano in santuario. Don Lemoyne annota: «La Vergine non sdegnò queste suppliche poiché la terribile malattia, contro ogni aspettazione, infierì assai meno in Torino che in tante altre città e paesi d’Europa, d’Italia e del Piemonte». Il 5 agosto, festa della Madonna della neve, don Bosco raccomanda ai giovani sobrietà, temperanza, tranquillità, coraggio, confidenza in Maria, confessione e Comunione: «Se farete quanto vi dico, sarete salvi. Se vi metterete in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, vi assicuro che niuno di voi sarà toccato. Ma se qualcuno rimanesse ostinato nemico di Dio e osasse offenderlo gravemente, io non potrei più essere garante né di lui, né per qualunque altro». Li invita a portare al collo una medaglia della Madonna e a recitare ogni giorno Pater, Ave, Gloria. Ancora Lemoyne: «Quella medesima sera e l’indomani tutti andarono a gara per accostarsi ai Sacramenti e la loro condotta divenne di tale esemplarità, che non si sarebbe potuto desiderar migliore. Molti circondavano don Bosco e gli esponevano i propri dubbi o gli manifestavano le piccole mancanze della giornata sicché era costretto a starsene un’ora e più a udire l’uno e l’altro, assicurando, incoraggiando, consolando». 

Don Bosco è un uomo di mille risorse, come spiega Lemoyne. «Balenò alla mente una coraggiosa idea. Impietosito alla vista dell’estremo abbandono in cui si trovavano i colerosi, espose ai giovani lo stato miserando in cui si trovavano, esaltò il grande atto dì carità di consacrarsi in loro sollievo, disse aver il Divin Salvatore assicurato di riguardare come fatto a sé ogni servizio agli infermi. In tutte le epidemie e pestilenze vi furono sempre cristiani generosi i quali sfidarono la morte a fianco degli appestati. Espresse il vivo desiderio che anche alcuni gli divenissero compagni in quell’opera di misericordia»: 14 giovani, e poi altri 30 accolgono l’invito: «Ammirando l’eroico slancio, don Bosco pianse di consolazione e li slanciò all’opera pietosa. Quando si seppe che i giovani dell’Oratorio si erano consacrati a questa nobile impresa, le domande per averli si moltiplicarono talmente che loro non fu più possibile attenersi a nessun orario. Giorno e notte, come don Bosco, furono in moto». 

I gesti di solidarietà e di eroismo si moltiplicano. «Qualche giorno avevano appena tempo di prendere un boccon di pane e talvolta furono costretti a cibarsene nelle case dei colerosi. Quando trovavano un infermo che mancasse di lenzuola, coperte o camicia, correvano dalla caritatevole mamma Margherita che somministrava prontamente gli oggetti secondo il bisogno. Un giovane corse a raccontare come un povero malato si dimenasse in un misero giaciglio senza lenzuola. Fruga e trova solo una tovaglia da tavola: “Corri, non abbiamo più nulla”. Si presenta un secondo chiedendo qualche cosa. Che fa quella donna incomparabile? Vola a prendere una tovaglia dell’altare, un amitto, un camice e, con licenza di don Bosco, dà in elemosina anche quegli oggetti. Non fu una profanazione ma un atto di squisita carità, poiché quei lini benedetti ricopersero le nude membra di Gesù nella persona di un coleroso». 

I giovani formano tre squadre: i grandi a servire nel lazzaretto e nelle case; i mediani a raccogliere i moribondi nelle strade e i malati abbandonati nelle case; i piccoli pronti alle chiamate d’urgenza. Ognuno ha una bottiglietta di aceto per lavarsi le mani. Autorità e popolo sono sbalorditi e affascinati.

Le regioni più afflitte sono Valdocco e Borgo Dora. Nella parrocchia San Gioachino in un mese 800 colpiti e 500 i morti. A don Bosco affidano l’assistenza spirituale di un lazzaretto. 

Informa il biografo: «Vicino all’Oratorio varie famiglie sono decimate e nelle case muoiono in brevissimo tempo oltre 40 persone. Don Bosco si mostrò un amorosissimo padre. Per non tentare il Signore, usò ogni precauzione: fece ripulire i locali, aggiunse camere, diminuì il numero dei letti nei dormitori, migliorò il vitto sobbarcandosi a gravissime spese. Prostrato dinanzi l’altare, pregava: “Mio Dio, percuotete il pastore, ma risparmiate il tenero gregge”. Soggiungeva: “Maria, siete madre amorosa e potente: preservatemi questi amati figli, e qualora il Signore volesse una vittima, eccomi pronto a morire”».  

- Pier Giuseppe Accornero - 

20/04/2020/in Dal resto del Mondo


Una delle numerose ed eloquenti prove di questo avvenne durante l’epidemia di colera del 1854. In quel momento di emergenza, l’opera di San Giovanni Bosco adottò immediatamente le misure sanitarie adeguate per preservare i suoi giovani dal contagio. Ma non si limitò a questo. Prostrato ai piedi della Mediatrice di tutte le grazie, implorò: “Maria, Voi siete madre amorosa, e potente; deh! Preservatemi questi amati figli, qualora il Signore volesse una vittima tra noi, eccomi pronto a morire, quando e come a Lui piace”.

Un invito all’eroismo.

Nella festa della Madonna delle Nevi, riunì tutti i giovani, diede loro una breve spiegazione e disse:

— Raccomando a ciascuno di voi di fare domani una buona Confessione e una Santa Comunione, affinché io possa offrirvi tutti a Maria, chiedendoLe che vi custodisca e protegga come suoi figli dilettissimi. Lo farete?

— Sì, sì! – risposero all’unisono.

— Se voi vi metterete tutti in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, io vi assicuro che nessuno di voi sarà toccato dal colera –, aggiunse il Santo. Vedendo che l’epidemia si diffondeva sempre più e considerando la quantità di anime che si presentavano al Supremo Giudice senza il soccorso dei Sacramenti, Don Bosco prese una decisione che solo i Santi hanno il discernimento di assumere con convinzione e sicurezza: lanciarsi con i suoi figli nella penosa e arrischiata opera di assistenza a quegli sfortunati.

Li radunò, descrisse loro la situazione di abbandono in cui si trovava tanta gente colpita dalla malattia ed espresse il desiderio che lo accompagnassero in quest’opera di misericordia. Quattordici accettarono subito la proposta, pochi giorni dopo altri trenta seguirono lo stesso esempio. Prima di lanciarli nel campo di battaglia, Don Bosco diede loro insegnamenti opportuni e utili su come trattare gli infettati.

Don Bosco superava tutti in dedizione.

Ben presto si sparse la voce che quei giovani erano eccellenti infermieri. Risultato: le richieste di soccorso piovevano da tutte le parti, anche dal governo municipale. Ma erano pochissimi operai per una immensa messe…

Don Bosco superava tutti in dedizione. Si preoccupava soprattutto di amministrare i Sacramenti.

Infatti, lui e i giovani dell’Oratorio avevano una sola preoccupazione: alleviare i corpi e salvare le anime. A loro stessi, avrebbe provveduto la Divina Provvidenza. Ella si prese davvero cura di loro, e molto bene! Per tre mesi essi provocarono e sfidarono l’epidemia. Durante questo tempo essa li circondò in ogni momento, ma una forza invisibile le impediva di colpirli: tutti attraversarono indenni la grande tempesta.

Cfr LEMOYNE, Giovanni Battista. Memorie biografiche di Don Bosco. Vol.V, pp.75-103.

Fonte: Giornalino Madonna di Fatima - giugno 2020


Buona giornata a tutti :-)






mercoledì 29 gennaio 2025

Lettera d'amore di Frida Kahlo a Diego Rivera (1939)

La mia notte è come un grande cuore che pulsa. Sono le tre e trenta del mattino.
La mia notte è senza luna. 
La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre. 
La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo. 
La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta. 
La mia notte mi precipita nella tua assenza. Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il tuo odore. 
La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e solitudine. Cerco un punto di contatto: la tua pelle. Dove sei? Dove sei? Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le tempie. Non è possibile che tu non sia qui. La mie mente vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può comprendere. 
Il mio corpo ti vorrebbe. 
Il mio corpo, quest’area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità. 
La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio. 
La mia notte sa che mi piacerebbe guardarti, seguire con le mani ogni curva del tuo corpo, riconoscere il tuo viso e accarezzarlo. 
La mia notte mi soffoca per la tua mancanza. 
La mia notte palpita d’amore, quello che cerco di arginare ma che palpita nella penombra, in ogni mia fibra. 
La mia notte vorrebbe chiamarti ma non ha voce. Eppure vorrebbe chiamarti e trovarti e stringersi a te per un attimo e dimenticare questo tempo che massacra. Il mio corpo non può comprendere. Ha bisogno di te quanto me, può darsi che in fondo, io e il mio corpo, formiamo un tutt’uno. Il mio corpo ha bisogno di te, spesso mi hai quasi guarita. 
La mia notte si scava fino a non sentire più la carne e il sentimento diventa più forte, più acuto, privo della sostanza materiale. La mia notte mi brucia d’amore. Sono le quattro e trenta del mattino.
La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero. 
La mia notte non porta consiglio. 
La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. 
La mia notte si intristisce e si perde. 
La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. 
La mia notte è lunga, lunga, lunga. 
La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta. 
La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. 
Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito. 
La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. 
La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. 
La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco. 
La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. 
La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. 
La mia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. 
La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua. 
La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. 
La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. 
La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. 
La mia notte diventerebbe dolce. 
La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. 
La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. 
La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore.
Fra poco si leverà il sole."

- Frida Kahlo -  
Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera, Città del Messico, 12 settembre 1939. Mai spedita.




Anche se mi dici che ti vedi molto brutto quando ti guardi allo specchio con i tuoi capelli corti, io non ci credo, so quanto tu sia comunque bello e l' unica cosa che rimpiango è di non essere lì a baciarti e a prendermi cura di te, anche se ogni tanto ti disturberei con i miei brontolii. 
Ti adoro, Diego mio. 
Mi sento come se avessi lasciato il mio bambino e sento che tu hai bisogno di me... Non posso vivere senza il mio chiquito lindo , la casa senza di te non è niente. Senza di te tutto mi sembra orribile. 
Ti amo più che mai e ogni momento di più. Ti mando tutto il mio amore.

- Frida Kahlo a Diego Rivera -



"Non ci sono canoni o bellezze regolari, armonie esteriori, ma tuoni e temporali devastanti che portano ad illuminare un fiore, nascosto, di struggente bellezza.”

- Frida Kahlo - 



"Dove non puoi amare, non soffermarti." 

- Frida Kahlo -


Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 27 gennaio 2025

La paura - Eva Picková

Di nuovo l’orrore ha colpito il ghetto,
un male crudele che ne scaccia ogni altro.
La morte, demone folle, brandisce una gelida falce
che decapita intorno le sue vittime.
I cuori dei padri battono oggi di paura
e le madri nascondono il viso nel grembo.
La vipera del tifo strangola i bambini
e preleva le sue decime dal branco.
Oggi il mio sangue pulsa ancora,
ma i miei compagni mi muoiono accanto.
Piuttosto di vederli morire
vorrei io stesso trovare la morte.
Ma no, mio Dio, noi vogliamo vivere!
Non vogliamo vuoti nelle nostre file.
Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore.
Vogliamo fare qualcosa. E’ vietato morire!

- Eva Picková  -
nata nel 1931, morta nel 1943 (12 anni)



La memoria è determinante. È determinante perché io sono ricco di memorie e l’uomo che non ha memoria è un pover’uomo, perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Non si tratta di un esame di coscienza, ma di qualche cosa che va al di là, perché con la memoria si possono fare dei bilanci, delle considerazioni, delle scelte, perché credo che uno scrittore, un poeta, uno scienziato, un lettore, un agricoltore, un uomo, uno che non ha memoria è un pover’uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita.

 - Mario Rigoni Stern - 


“La nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare e a non accettare con indifferenza e rassegnazione, le rinnovate stragi di innocenti. 
Bisogna sollevare quel manto di indifferenza che copre il dolore dei martiri! Il mio impegno, in questo senso, è un dovere verso i miei genitori, mio nonno, e tutti i miei zii. 
È un dovere verso i milioni di ebrei ‘passati per il camino’, gli zingari, figli di mille patrie e di nessuna, i Testimoni di Geova, gli omosessuali e verso i mille e mille fiori violentati, calpestati e immolati al vento dell’assurdo; è un dovere verso tutte quelle stelle dell’universo che il male del mondo ha voluto spegnere… 
I giovani liberi devono sapere, dobbiamo aiutarli a capire che tutto ciò che è stato storia, è la storia oggi, si sta paurosamente ripetendo.”

- Elisa Springer - 


La strage di Treblinka 

Quasi 900 mila ebrei e 2 mila rom furono uccisi in questo campo di sterminio in Polonia. Ad ucciderli, non più di 150 soldati. A gestire Treblinka c'erano solo una ventina di persone dell'SS e un centinaio di guardiani, provenienti dalla Germania e dall'Europa dell'est. 
Tra loro, anche ex prigionieri di guerra sovietici. 
Il 2 agosto 1943 gli internati si ribellarono: a guidarla più di 700 ebrei che riuscirono a prendere possesso delle armi e a incendiare il lager. 
Le SS, armate di mitragliatrici e supportate dai rinforzi, repressero la rivolta, uccidendo i ribelli.



L'odio non è forza creativa. Solo l'amore è forza creativa!
[rivolto ad un internato come lui, nel campo di sterminio di Auschwitz]

- San Massimiliano Maria Kolbe -



L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
L’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere di castagno
nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.

- Pavel Friedman - 
 (1921 – 1944)

































Never use politics as a metric for ethics.
Non usare mai la politica come un sistema metrico per l'etica.



Buona giornata a tutti. :-)




 

domenica 26 gennaio 2025

Essendo un amante della libertà... - Albert Einstein

Essendo un amante della libertà, quando avvenne la rivoluzione in Germania, guardai con fiducia alle università sapendo che queste si erano sempre vantate della loro devozione alla causa della verità.
Ma le università vennero zittite.
Allora guardai ai grandi editori dei quotidiani che in ardenti editoriali proclamavano il loro amore per la libertà.
Ma anche loro, come le università vennero ridotti al silenzio, soffocati nell'arco di poche settimane.
Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità.
Io non ho mai provato nessun interesse particolare per la Chiesa prima, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l'ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che io una volta disprezzavo, ora lodo incondizionatamente. »

(Albert Einstein)
Fonte: dichiarazione di Albert Einstein pubblicata da Time magazine,
23 dicembre 1940, pag. 40



"Senza la religione l’umanità si troverebbe oggi ancora allo stato di barbarie.
E’ stata la religione che ha permesso all’umanità di progredire in tutti i campi."

- Albert Einstein - 


La strage di Rignano sull'Arno

Nella foto la famiglia di Robert Einstein cugino di Albert Einstein, premio Nobel per la Fisica nel 1921. Albert si trasferì in America a causa delle persecuzioni antisemite che già imperversavano in Germania e in Europa. Quando Adolf Hitler salì al potere nel gennaio 1933, Einstein era professore ospite all'Università di Princeton.
Nello stesso anno i nazisti promulgarono "La Legge della Restaurazione del servizio Civile" a causa della quale tutti i professori universitari ebrei furono licenziati e durante gli anni trenta fu condotta una campagna da parte di professori tedeschi (premi Oscar) che etichettò i lavori di Einstein come "fisica ebraica", in contrasto con la "fisica tedesca" o "ariana".

Il 3 agosto 1944, nel corso della II^ guerra mondiale, a Rignano sull’Arno, Firenze, Italy, avvenne la strage della famiglia Einstein, nota anche come strage di Rignano e strage del Focardo. Dopo un sommario e violento interrogatorio furono fucilate tre donne: Cesarina (detta Nina) Mazzetti, Luce ed Annamaria (detta Cicì) Einstein, rispettivamente moglie e figlie di Robert Einstein, cugino del celebre scienziato Albert Einstein.
La casa fu data a fuoco, mentre Lorenza, Paola e l'altra cugina, Anna Maria Bellavite furono rinchiuse in una stanza buia e risparmiate dalla furia omicida. Dal suo rifugio nei boschi della vallata, Robert vide le fiamme e, scoprendo la strage della sua famiglia tentò vanamente il suicidio.
La mattina del 4 agosto 1944, tra le fiamme di Villa Il Focardo, un foglio attaccato a un albero: “Abbiamo giustiziato i componenti della famiglia Einstein, rei di tradimento e giudei.” In realtà Cesarina Mazzetti, figlia di un pastore protestante, non era ebrea e così le due figlie. L'unica loro colpa era di portare il nome degli Einstein.
Robert Einstein si tolse la vita il 13 luglio 1945 in occasione di quello che avrebbe dovuto essere il giorno del suo 32º anniversario di matrimonio con Nina. Fu sepolto accanto alla sua famiglia nel cimitero della Badiuzza.

Albert Einstein rinunciò alla cittadinanza tedesca e svizzera e restò negli Stati Uniti fino alla morte.


Buona giornata a tutti. :-)