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giovedì 15 febbraio 2018

Via con il vento – don Bruno Ferrero

Nel prato di un giardino pubblico, con il tiepido sole della primavera, in mezzo all'erba tenera, erano spuntate le foglie dentellate e robuste dei Denti di Leone. Uno di questi esibì un magnifico fiore giallo, innocente, dorato e sereno come un tramonto di maggio. 
Dopo un po' di tempo il fiore divenne un "soffione": una sfera leggera, ricamata dalle coroncine di piumette attaccate ai semini che se ne stavano stretti stretti al centro del soffione.
E quante congetture facevano i piccoli semi. Quanti sogni cullava la brezza alla sera, quando i primi timidi grilli intonavano la loro serenata.
"Dove andremo a germogliare?".
"Chissà?".
"Solo il vento lo sa".
Un mattino il soffione fu afferrato dalle dita invisibili e forti del vento. I semi partirono attaccati al loro piccolo paracadute e volarono via, ghermiti dalla corrente d'aria.
"Addio... addio", si salutavano i piccoli semi.
Mentre la maggioranza atterrava nella buona terra degli orti e dei prati, uno, il più piccolo di tutti, fece un volo molto breve e finì in una screpolatura del cemento di un marciapiede. C'era un pizzico di polvere depositato dal vento e dalla pioggia, così meschino in confronto alla buona terra grassa del prato.
"Ma è tutta mia!", si disse il semino. Senza pensarci due volte, si rannicchiò ben bene e cominciò subito a lavorare di radici.
Davanti alla screpolatura nel cemento c'era una panchina sbilenca e scarabocchiata. Proprio su quella panchina si sedeva spesso un giovane. Era un giovane dall'aria tormentata e lo sguardo inquieto.
Nubi nere gli pesavano sul cuore e le sue mani erano sempre strette a pugno.
Quando vide due foglioline dentate verde tenero che si aprivano la strada nel cemento. Rise amaramente: "Non ce la farai! Sei come me!", e con un piede le calpestò.
Ma il giorno dopo vide che le foglie si erano rialzate ed erano diventate quattro.
Da quel momento non riuscì più a distogliere gli occhi dalla testarda coraggiosa pianticella. Dopo qualche giorno spuntò il fiore, giallo brillante, come un grido di felicità.
Per la prima volta dopo tanto tempo il giovane avvilito sentì che il risentimento e l'amarezza che gli pesavano sul cuore cominciavano a sciogliersi. 
Rialzò la testa e respirò a pieni polmoni. Diede un gran pugno sullo schienale della panchina e gridò: "Ma certo! Ce la possiamo fare!".
Aveva voglia di piangere e di ridere. 
Sfiorò con le dita la testolina gialla del fiore.
Le piante sentono l'amore e la bontà degli esseri umani. 
Per il piccolo e coraggioso Dente di Leone la carezza del giovane fu la cosa più bella della vita.

Non chiedere al Vento perché ti ha portato dove sei. Anche se sei soffocato dal cemento, lavora di radici e vivi.
Tu sei il messaggio.

- don Bruno Ferrero -
Fonte: da: "Solo il vento lo sa", Bruno Ferrero - Ed. Elledicì





 La speranza ha due bellissimi figli, lo sdegno e il coraggio.
Lo sdegno per le cose come sono; il coraggio, per cambiarle.


(cit. Sant'Agostino - ripresa da Pablo Neruda)





Padre di verità,
non permettere scarti
tra pensieri e parole.
Se ti dico che ti amo,
non lasciarmi mentire.
Se ti esprimo rimorsi, 
che siano veramente sinceri. 
Non lasciare, Padre, ch’io abusi delle parole: 
penetra l’universo delle mie riflessioni, 
vagliale, perché non m’inganni. 
Difendimi dall’arte fabulatoria, 
dall’inflazionare parole. 
Tacciano anche i pensieri davanti a te, 
che leggi nei pensieri e nei cuori. 

- Stefan Wyszynski - 


Buona giornata a tutti. :-)




martedì 20 settembre 2016

Perseguitati per la Fede

17 gennaio 1954, domenica
Una cornacchia si è seduta in cima ad un alto abete. Si è guardata attorno con espressione autoritaria e ha emesso un grido di vittoria. A questo essere rumoroso sembra davvero che l'abete le debba tutto: la sua esistenza, la sua bellezza slanciata, il verde sempre vivo, la forza nella lotta col vento. 
Questa superbia della Cornacchia è stupefacente. 
Grande benefattrice dell'abete silenzioso! E l'abete neppure trema; sembra che non veda la cornacchia; meditabondo leva i suoi rami verso il cielo. Sopporta tranquillamente l'ospite rumoroso. 
Nulla turba i suoi pensieri, la sua serietà, la sua pace. Tante nubi sono già passate su di lui, tanti uccelli si sono fermati qui! E se ne sono andati, così come tu te ne andrai. 
Questo non è il tuo posto, non ti senti sicura e urlando così cerchi di supplire alla mancanza di forza. 
Io sono cresciuto da questa terra e sono piantato con le mie radici nel suo cuore. E tu, nube passeggera, che getti un'ombra di tristezza sulla mia cima dorata, sei in balia dei venti. Bisogna sopportarti tranquillamente. 
Tu gracchi la tua canzone noiosa, senza anima e povera, poi te ne vai. Che cosa riesci a fare con un urlo? 
Io resto, per perseverare nel raccoglimento, per costruire la mia pazienza, per sopportare turbini e tempeste, per andare sempre più in alto, tranquillamente. Non mi oscuri il sole, non mi affascini, non muti il fine del mio salire. C'era il bosco e voi non c'eravate, non ci sarete e ci sarà il bosco. 
Una favola? Non, non è una favola.

Stefan Wyszynski - 
da: Appunti dalla prigione


Servo di Dio Stefan Wyszynski Cardinale, Primate di Polonia
Zuzela, Polonia, 3 agosto 1901 - Varsavia, Polonia, 28 maggio 1981

Arcivescovo, Cardinale primate di Polonia, ha svolto un ruolo determinante non solo nella evoluzione dei rapporti tra Chiesa cattolica ed uno Stato a regime comunista, ma nello stesso sviluppo della storia del suo paese durante la Guerra Fredda. Chiamato nel 1948 a reggere le diocesi di Gniezno e Varsavia, come altri prelati degli Stati dell'Est europeo si trovò, negli anni dello stalinismo, impedito di esercitare la propria missione. Nel 1953 ci fu una dura fase di repressione contro la Chiesa; il 25 settembre è arrestato, internato, isolato da ogni contatto è liberato il 28 ottobre 1956. La persecuzione non fece però perdere la serenità di visione al cardinale che, nell'ottobre del 1956, quando la Polonia si ribellò alla dittatura sovietica e si avviò sulla via nazionale al socialismo riaffidando la guida del partito a Gomulka (Rivolta di Poznan), diede prova di notevole sensibilità politica. Wyszynski infatti fu pronto a concordare con Gomulka un modus vivendi tra Stato e Chiesa evitando atteggiamenti che avrebbero potuto accrescere la tensione nel Paese e favorire un intervento armato sovietico. La moderazione del cardinale venne giudicata eccessiva dagli ambienti più conservatori della Curia romana.
Quando il primate polacco, nel 1957, poté compiere il suo viaggio a Roma per rendere visita a papa Pio XII dovette fare alcuni giorni di anticamera.
Grande amico di papa Giovanni Paolo II, il suo funerale fu un evento nazionale a cui non poté assistere il papa perché ancora ricoverato al Gemelli dopo il celebre attentato. (da Santi e Beati)

"Appunti... 1953-56" date alle stampe 3 settimane prima di morire, sono note personali.


Le Messe più belle  - Cardinale F.X. Nguyen Van Thuan

Quando sono stato arrestato, ho dovuto andarmene subito, a mani vuote. L'indomani, mi è stato permesso di scrivere ai miei per chiedere le cose più necessarie: vestiti, dentifricio... Ho scritto: "Per favore, mandatemi un po' di vino, come medicina contro il mal di stomaco". I fedeli subito hanno capito. Mi hanno mandato una piccola bottiglia di vino per la Messa, con l'etichetta "medicina contro il mal di stomaco", e delle ostie nascoste in una fiaccola contro l'umidità. [...] Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale! [...] Ogni volta avevo l'opportunità di stendere le mani e di inchiodarmi sulla croce con Gesù, di bere con lui il calice più amaro. [...] Erano le più belle Messe della mia vita.

F.X. Nguyen van Thuan, vietnamita, quando era Arcivescovo, trascorse tredici anni del suo episcopato in prigione, di cui nove in isolamento. 

qui trovate il link con una breve biografia:



Mia madre - card. Joseph Mindszenty

Un decennio prima della mia terza prigionia avevo scritto queste parole sull'amore materno: «Sarai dimenticato dai tuoi superiori dopo averli serviti; dai tuoi dipendenti, allorché essi non percepiranno più il tuo potere; i tuoi amici, quando verrai a trovarti in difficoltà... Solo tua madre ti attende davanti al portone della prigione. Nella profondità del carcere possiedi soltanto l'amore della madre. Solo lei scende con te laggiù. E se sarai precipitato ancor più in basso del carcere, nell'abisso del penitenziario, della casa dei condannati a morte, solo lei non avrà paura di varcare quella soglia...».
Quando scrivevo quelle parole non pensavo che la mia vecchia madre sarebbe stata l'unica stella nel cielo oscuro della mia prigionia e che lei sola mi avrebbe visitato e abbracciato durante gli otto anni di segregazione in carcere.
Chi è mia madre? Una donna di ottantacinque anni, madre di sei figli, che viveva nella sua casa di Mindszent circondata dal rispetto e dall'amore di quattordici nipoti e altrettanti pronipoti. Al tempo del mio arresto e quando io finii trascinato nel fango, ella aveva settantaquattro anni ed era rimasta vedova da due anni. Anche se proveniva da un ambiente semplice e paesano, si precipitò per aiutarmi e mi stette a fianco fino alla sua morte con intelligenza e con tatto. Fu capace di rintracciarmi nel mondo disumano delle prigioni comuniste. Prima d'allora non aveva mai varcato la soglia di un ministero. Ora invece abbordava i dirigenti del partito che erano giunti al potere in maniera illegale. Ciò fu per lei una croce pesante. Ma dovunque compariva, nei ministeri, in prigione, nel penitenziario, il suo atteggiamento testimoniava la sua forza d'animo.
Mia madre mi visitò ventidue volte durante la mia prigionia. Dei sette diversi posti in cui fui detenuto ella ne vide solo tre: l'ospedale della prigione, Püspökszentlàsló e Felső; Petény. Non potè vedere gli altri quattro.
Per compiere quei viaggi ella aveva coperto una distanza di dodicimila chilometri. E quando Dio la chiamò da questa vita terrena, suo figlio prigioniero non poté prender parte neppure alla sua sepoltura per ripagarla un po' di tante fatiche e di tanti sacrifici.
Era molto triste per l'imminente nuova collettivizzazione delle vigne, dei campi, dei prati e dei boschi della nostra famiglia. Quello che la faceva soffrire non erano in primo luogo le perdite materiali ma l'attaccamento al proprio pezzo di terra che aveva coltivato per tutta una vita. Ciò rappresentava la fine dell'indipendenza delle famiglie; l'educazione dei figli e la santificazione delle domeniche e dei giorni festivi ne avrebbero sofferto.
Il 5 febbraio 1960 ruppi le lenti degli occhiali e non fui in grado di sostituirle subito in quella clausura. Così mi limitai a recitare il rosario e a leggere il messale con l'aiuto di una lente. Come al solito, al memento dei vivi la ricordai, ma avrei già dovuto includerla nel memento dei morti. Verso le undici dello stesso giorno il segretario dell'ambasciata venne a trovarmi con in mano un telegramma. Non lo aveva ancora deposto sul tavolo che io già lo sapevo: mia madre era morta.
In quel giorno oscuro non toccai cibo e non aprii libro; la sua morte mi aveva sconvolto. Recitai la sua preghiera preferita, il rosario. Piansi la sua perdita e poi mi calmai. La gratitudine per averla avuta durante la vita doveva essere più grande del dolore per la sua dipartita verso la patria.
In quelle ore ripensai ai giorni passati a Ostia e alle lacrime versate su sua madre dall'Agostino ormai convertito al cristianesimo.
Durante la notte mia sorella notò un cambiamento e mandò subito a chiamare il parroco. Mia mamma sapeva che era venuta la sua ora. Nella sua mano teneva accesa la candela dei moribondi.
Negli ultimi quarti d'ora aveva pregato con devozione assieme ai famigliari e si era addormentata nell'eternità senza agonia.
Tutti gli anni mia madre soleva passare in preghiera la notte della vigilia di Pasqua al cimitero, in compagnia delle donne del villaggio sue amiche. Solo quando cominciava ad albeggiare ritornavano a casa per preparare i cibi pasquali per la benedizione. La fede nella risurrezione dei morti era profondamente radicata nel suo cuore. Per lei la risurrezione di Cristo e la risurrezione della carne erano due proposizioni di fede strettamente unite, conforme all'insegnamento dell'apostolo Paolo. Sapeva in chi aveva creduto e perciò non sarà delusa; questa è la mia ferma convinzione.
Quanto spesso ho pensato: "...Solo quando giacerà sotto terra capirò veramente il suo valore e la grazia inestimabile che ho avuto in lei". Oggi mi sento non solo povero ma anche profondamente in colpa di fronte a quella tomba, che non ho mai potuto visitare e che verosimilmente non vedrò mai.
Mia madre è stata una santa. In lei e attorno a lei non ho mai visto alcunché di disdicevole, ma solo cose buone e belle. Sono fermamente convinto che ella è felice nell'eternità e sospiro in questa valle di lacrime di poterla un giorno rivedere nella gioia.

- card. Joseph Mindszenty - 
da: Memorie


Servo di Dio Jozsef Mindszenty Cardinale, Primate d’Ungheria
Csehimindszent, Austria-Ungheria, 29 marzo 1892 - Vienna, Austria, 6 maggio 1975

Già Primate d’Ungheria, venne nominato cardinale da papa Pio XII nel 1946. Per la sua tenace opposizione al regime comunista, venne arrestato una prima volta nel 1944 con l'accusa di alto tradimento. Rilasciato l'anno seguente, fu nuovamente incarcerato il 26 dicembre 1948 e condannato all'ergastolo l'anno successivo con l'accusa di cospirazione tesa a rovesciare il governo comunista ungherese. Liberato dopo otto anni di carcere durante la insurrezione popolare del 1956, trovò asilo politico nell'ambasciata americana di Budapest. Per molti anni Mindszenty rifiutò l'invito del Vaticano a trovare riparo presso lo stato pontificio e solo quindici anni dopo, nel 1971, con l'interessamento dell'allora presidente Nixon, poté finalmente lasciare l'ambasciata e raggiungere la Santa Sede. Poco dopo si stabilì a Vienna, dove morì per un arresto cardiaco susseguente ad un intervento chirurgico. Nel 1991 le sue ceneri vennero solennemente trasportate da Mariazell ad Esztergom, città ungherese nella quale fu arcivescovo, per essere tumulate nella cripta della Basilica.
 (Da Santi e Beati)


Buona giornata a tutti. :-)