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lunedì 29 marzo 2021

da: "La gioia" - Georges Bernanos

Egli ha amato come un uomo, umanamente, l'umile retaggio umano, il povero focolare, la tavola, il pane e il vino, le strade grigie, dorate dagli scrosci di pioggia, i villaggi coi loro fili di fumo, le piccole case tra le siepi spinose, la pace della sera che cala e i bimbi che giocano sulle soglie. 
Ha amato tutto ciò umanamente, al modo umano, ma come nessun uomo mai aveva amato, né mai amerà. 
Così puramente, stringendo tutto a sé, con quel cuore che aveva foggiato per questo con le proprie mani. 
E la vigilia, mentre gli ultimi discepoli discutevano tra loro la tappa da percorrersi l'indomani e dove dormire e che cosa mangiare, come fanno i soldati prima di una marcia notturna, un po' vergognosi però di lasciare il Rabbi salire lassù quasi solo, gridando forte apposta con le loro voci paesane e battendosi sulle spalle, all'uso dei bovari e dei sensali di cavalli, lui, benedicendo intanto le primizie della sua prossima agonia, come aveva benedetto quel giorno stesso la vigna e il frumento, consacrando per i suoi (dolorosa gente, la sua opera) il Corpo sacro, l'offrì a tutti gli uomini, lo sollevò verso di loro con le sue mani sante e venerabili, al di sopra della vasta terra addormentata, di cui tanto aveva amato le stagioni.
L’offrì una volta, una volta per tutte, ancora nello splendore e nella forza della giovinezza, prima di darlo in balìa alla paura, di lasciarlo faccia a faccia con la ripugnante paura, fino alla remissione del mattino. 
Senza dubbio l'offrì a tutti gli uomini, ma non pensava che a uno solo. 
Il solo al quale quel corpo appartenesse davvero, al modo umano, come quello di uno schiavo al suo padrone, poiché si era impadronito di lui con l'astuzia ed aveva disposto di lui come di un bene legittimo, in virtù di un contratto di vendita, stipulato nelle dovute forme, correttamente.
Il solo perciò che potesse sfidare la misericordia, entrare con un salto nella disperazione, fare della disperazione la sua dimora, coprirsi di essa, come il primo assassino si era coperto della notte. 
Il solo uomo tra gli uomini che possedesse realmente qualcosa, che fosse provvisto, giacché ormai non aveva più niente da ricevere da nessuno, eternamente.

- Georges Bernanos -
da: "La gioia", pp. 249-250


C’È  BISOGNO  DI  CATECHISMO

Peccato  che  questa  immensa  forza  sia  poco  sfruttata!  I  fanciulli studiano poco il catechismo; gli adulti, perché si illudono di averlo studiato, non lo studiano più e così c’è in giro una ignoranza religiosa incredibile: gente che conosce la scienza e ha letto cataste di libri non sa nulla del cristianesimo in mezzo a cui vive, non ha mai letto il Vangelo per intero. Senza dire di tant’altra gente, che frequenta la chiesa e si crede pia ed invece manca completamente di idee religiose; crede di aver la fede e ha solo del tenerume; cerca nella pietà non il volere di Dio, ma impressioni, sentimenti e vaghe ebbrezze; ignora la vera devozione e pratica un mucchio di devozioni legate a certe formule, a certi numeri metà cabala, metà superstizioni; svuota la testa e il cuore e carica unicamente il sistema nervoso.  Dei  bambini  piccolissimi  si  dice:  «Sono  tanto  piccoli!  È  troppo presto per insegnar loro la religione!». E invece un educatore, a una mamma che chiedeva quando dovesse  cominciare  l’istruzione  del  suo  bambino  di  due  anni,  rispose: «Subito; siete in ritardo per lo meno di tre anni!». Voleva dire che i bimbi sono capaci di impressioni religiose fin dai primi istanti della loro vita.E un altro educatore scrisse che nemmeno in quattro anni di università un uomo impara tanto quanto nei primi quattro anni della vita. Tanto sono decisive e indelebili le prime impressioni!. C’è chi dice con Rousseau: voglio rispettare la libertà di mio figlio, non voglio imporre alcun insegnamento religioso. A vent’anni sceglierà.Ma pensano questi genitori che in realtà ai loro figliuoli hanno imposto tutto? La vita, intanto, perché non hanno chiesto il permesso dei figli per metterli al mondo: e poi il cibo, i vestiti, la casa, la scuola...D’altra parte chi si metterà, a vent’anni, a studiare religione? A vent’anni! 

L’età di tutti gli esami per quelli che studiano, l’età del lavoro, del mestiere, dell’officina, dell’ufficio per gli altri. L’età delle passioni, dei divertimenti, dei dubbi. Chi avrà voglia o tempo di prendersi i grossi volumi, studiarvi sopra tutte le religioni di questo mondo per vedere quale sia la vera e quindi la migliore? E poi, non aspettano, i genitori, che le malattie siano entrate nel corpo dei figli per cacciarle a forza di medicine; fanno invece di tutto, perché non entrino nel corpo.

Altrettanto si deve fare con l’anima: metterci il catechismo, il  timor  di  Dio,  affinché  i  vizi  non  entrino:  non  aspettare  che  i  vizi  siano  entrati  per  aver  la  consolazione  di  cacciarli  con  la  religione. Il nostro ragazzo deve lavorare, deve studiare! Ma prima ancora deve diventare buono, dev’essere premunito contro tutte le seduzioni e le tentazioni di domani. Non è con la tavola di Pitagora o con un banco da falegname o con un diploma che si sbarra la via alle passioni. Questo ragazzo è atteso al varco: domani la donna, il giornale, il cinema, l’osteria se lo disputeranno. 

Mandar avanti dei giovani o delle figliuole senza catechismo sulla strada del mondo è lo stesso che mandare dei soldati alla guerra senza giberne, senza cartucce, e farne così degli sconfitti e degli infelici. 

I grandi si scusano: l’abbiamo già studiato, il catechismo! Ma da ragazzi; ed era catechismo per i ragazzi, fatto di poche nozioni, con immagini, parole e sentimenti adatti ai piccoli, roba che  accarezzava  l’immaginazione,  il  cuore.  Ma  adesso  che  siete  adulti  occorre  qualcosa  di  più  sostanzioso  che  rischiari  la  testa  e  guidi  la  vita.  Adesso  occorrono  ragioni  solide,  chiare,  rispo-ste  convincenti,  per  respingere  vittoriosamente  gli  attacchi  che  d’ogni parte volano contro la fede. Mai come oggi s’è sentito bisogno di catechismo.

don Albino Luciani,  1949


Buona giornata a tutti. :-)


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lunedì 19 settembre 2016

Preghiera per ottenere l’intercessione di papa Giovanni Paolo I

Signore Gesù,
tu che ci hai dato la grande gioia
di venerare Papa Giovanni Paolo I come Tuo Vicario
sulla terra, e quindi nei Tuoi inscrutabili disegni
ci hai fatto provare l'immenso dolore della sua inattesa
scomparsa, concedici le grazie che Ti domandiamo, affinchè,
sicuri della sua intercessione presso di Te,
possiamo un giorno venerarlo sugli altari:
allora la sua bontà e umiltà, proposte ad esempio dei fedeli
saranno un perenne invito a tradurre nella vita
il suo insegnamento e a diffondere serenità ed amore.
Amen


«Il rosario da alcuni è contestato. 
Dicono: è preghiera che cade nell’automatismo, riducendosi a una ripetizione frettolosa, monotona e stucchevole di Ave Maria. Oppure: è roba da altri tempi; oggi c’è di meglio: la lettura della Bibbia, per esempio, che sta al rosario come il fior di farina alla crusca! 
Mi si permetta di dire in proposito qualche impressione di pastore d’anime.
Prima impressione: la crisi del rosario viene in secondo tempo. In antecedenza c’è oggi la crisi della preghiera in generale. La gente è tutta presa dagli interessi materiali; all’anima pensa pochissimo. 
Il fracasso poi ha invaso la nostra esistenza. Macbeth potrebbe ripetere: ho ucciso il sonno, ho ucciso il silenzio! 
Per la vita intima e la «dulcis sermocinatio», o dolce colloquio con Dio, si fa fatica a trovare qualche briciola di tempo. (…) 
Personalmente, quando parlo da solo a Dio e alla Madonna, più che adulto, preferisco sentirmi fanciullo; la mitra, lo zucchetto, l’anello scompaiono; mando in vacanza l’adulto e anche il vescovo, con relativo contegno grave, posato e ponderato per abbandonarmi alla tenerezza spontanea, che ha un bambino davanti a papà e mamma. 
Essere – almeno per qualche mezz’ora – davanti a Dio quello che in realtà sono con la mia miseria e con il meglio di me stesso: sentire affiorare dal fondo del mio essere il fanciullo di una volta che vuol ridere, chiacchierare, amare il Signore e che talora sente il bisogno di piangere, perché gli venga usata misericordia, mi aiuta a pregare. 
Il rosario, preghiera semplice e facile, a sua volta, mi aiuta a essere fanciullo, e non me ne vergogno punto».

- Papa Giovanni Paolo I - 



Stammi ancor vicino, Signore.
Tieni la tua mano sul mio capo,
ma fa' che anch'io tenga il capo
sotto la tua mano.

Prendimi come sono,
con i miei difetti, con i miei peccati,
ma fammi diventare come tu desideri
e come anch'io desidero.

- Papa Giovanni Paolo I -


Buona giornata a tutti. :-)





venerdì 2 settembre 2016

Quando Albino Luciani salvò le vacche in chiesa

E' probabile che pochi conoscano Grassaga, una piccola frazione di San Donà di Piave, che deve il nome all'omonimo torrente attraversato all'altezza di Fiumicino (sì, Fiumicino, perché? l'avevate già sentito questo nome?!) da un antichissimo ponte di origine romana su cui passava l'antica Via Annia...
Ma non perdiamoci in discorsi.

Questo articolo vuole ricordare un fatto che ha legato per sempre la figura di Albino Luciani alle campagne venete.
Andiamo con ordine: la parrocchia di Grassaga (il nome deriva dal latino grassus che vuol dire fangoso, acquitrinoso) è stata terra contesa dai patriarchi di Aquileia e da Ezzelino. Ma è anche terra di acqua, l'acqua del Piave s'intende, e di alluvioni: nel 1250 il territorio subì una catastrofica alluvione del fiume, che deviò il corso del Piave, spostando la chiesetta di San Donà dalla sponda sinistra a quella destra...
Il 19 giugno 1535, il vescovo Vincenzo De Massariis, per incarico del Card. Marino Grimani Patriarca di Aquileia e amministratore apostolico di Ceneda (Vittorio Veneto), consacrò a Grassaga una piccola chiesa costruita a cura dei Canonici Regolari di S. Agostino del SS. Salvatore di Venezia. La cappella era dedicata a S. Giorgio, aveva il cimitero davanti e, accanto, un ospizio.

Nel 1607 il villaggio diventò parrocchia, con la costruzione del battistero. Dopo il 1773 la cura d'anime passò alle dirette dipendenze del Vescovo di Cèneda. La vecchia chiesa restaurata e un po' ingrandita nel 1900, è stata demolita nel 1955. Si costruì allora quella nuova, l'attuale, fra il 1956 e il 1959, su disegno dell'arch. Luigi Candiani (Mareno di Piave, 25 maggio 1888 – Treviso, 7 maggio 1993): il Vescovo Albino Luciani la benedì e l'aprì al culto il 27 settembre 1959.

E siamo al dunque: arriviamo all'alluvione del 1966, cinquant'anni fa giusti! Sappiamo tutti dei disastri che ha provocato nel Triveneto (e in Toscana). Sulla sinistra Piave molte persone tra il 4 e il 6 novembre passarono le giornate e le notti nei solai e persino nei tetti. Soprattutto nelle case che erano sui terreni più bassi del livello del mare e nelle anse del Piave dove le voragini da granata della Prima Guerra mondiale avevano creato mulinelli e vortici dirompenti. Anche la perdita di bovini fu rilevante proprio in queste località, cioè a Grassaga ma anche a Calvecchia, Fossà, Cittanova.
Ben 160 bestie annegarono.
Parte dei bovini sopravvissuti dovevano essere sistemati in locali che ne permettessero l'immediata sopravvivenza. Tirati a forza fuori dalle stalle e dagli ovili si cercò ricovero per loro nella stessa chiesa parrocchiale di Grassaga: questo fu l'ordine del sindaco di allora Franco Pilla (1960-69, della DC).  Al parroco però sembrava indecoroso ricoverare degli animali nella chiesa parrocchiale, per di più consacrata da poco: era domenica 6 novembre 1966. Viene avvertito il vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Albino Luciani, figlio di contadini dell'Agordino. Lui sapeva bene cosa voleva dire per una famiglia perdere le vacche, i vitelli, i maiali. Spesso voleva dire perdere tutto. E Luciani diede subito il permesso di ospitare per l'emergenza in chiesa gli animali da stalla della comunità di Grassaga e delle masserie e case coloniche allagate. Una generosità che viene ancora oggi ricordata dalla popolazione del paese. Venne affrontato in quelle ore anche l'altro grande problema: migliaia di bovini che erano rimasti senza foraggio, perché portato via dall'acqua o resosi immangiabile, muggivano e belavano senza sosta dalla fame.
Si provvide allora a requisire le sanse delle barbabietole ammassate nello zuccherificio di Ceggia e portarle in chiesa per il pasto che da ore non era stato dato alle bestie (nei giorni successivi venne prelevato foraggio dal Friùli).
Albino Luciani, diventerà Patriarca di Venezia e poi Papa, e questo lo sapete. E la prima chiesa di nostro Signore, stando ai Vangeli, era una stalla dove il Figlio di Dio, secondo la Tradizione, veniva scaldato da un bue e da un asino. E anche questo lo sapete.




foto: la facciata della chiesa di Grassaga
foto: Alluvione 1966 nel Sandonatese, di Angelino e Filiberto Battistella
foto: Zenson di Piave, una fattoria allagata durante l'alluvione del 1966, foto Luigi Bortolazzo, proprietà Fast Treviso

mercoledì 18 settembre 2013

Proibito proibire – Papa Giovanni Paolo I -

Caro san Luca,

Mi siete sempre piaciuto, perché uomo tutto dolcezza e conciliazione.

Nel vostro Vangelo avete sottolineato che il Cristo è infinitamente buono; che i peccatori sono oggetto di un amore particolare da parte di Dio, che Gesù quasi ostentatamente ha tenuto rapporti con coloro che non godevano al mondo di considerazione alcuna.

Voi solo ci avete dato il racconto della nascita e dell’infanzia di Cristo, che a Natale sentiamo sempre leggere con rinnovata commozione. Una piccola vostra frase soprattutto trattiene la mia attenzione: "Avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia". E’ Ia frase che ha dato origine a tutti i presepi del mondo e a migliaia di stupendi quadri. Alla frase ho accostato una strofa del Breviario:

"Ha accettato di giacere sul fieno
non ha avuto paura della greppia
con poco latte s’è nutrito
Lui, che sfama fin l’ultimo degli uccellini".

Fatto questo, mi sono chiesto: "Cristo ha preso quel posto umilissimo. 
Noi, che posto prendiamo?". Lasciatemi adesso dire le risposte che ho trovato per questa domanda.

*** 
Davanti a Dio, il nostro posto è quello d’Abramo, che diceva: "Oserò io parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere?". Oppure quello del pubblicano, che, sulla soglia del tempio, lontano dall’altare neppure osava alzare gli occhi al cielo, pensando ai tanti peccati commessi.

Davanti a un Dio infinito e onnipotente dobbiamo accettare di essere piccolissimi, reprimendo in noi ogni tendenza contraria alla giusta sottomissione. Succede, infatti, che Dio vuole essere imitato da noi in alcune cose, mentre in altre vuol essere unico, inimitabile. Dice: "Imparate da me a essere miti e umili"; "siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre mio". Ma dice anche: "Solo a Dio l’onore e la gloria"; "solo Dio è l’Assoluto e l’Indipendente".

Noi tentiamo di rovesciare le posizioni: vorremmo noi autonomia, indipendenza, onori e non abbiamo voglia di essere dipendenti, miti e pazienti. Ci facciamo forti, all’uopo, delle "filosofie nuove" (che fra breve saranno vecchie) e della Kultura col K maiuscolo. Il progresso poi ci ha dato alla testa: siamo molto consci di essere andati fin sulla Luna, di avere messo in piedi la civiltà di tutti i consumi e di tutte le comodità.

Stavamo, però, dimenticandoci di Colui dal quale proveniva ogni dono di ingegno e di energia, quando dagli sceicchi orientali c’è venuto il duro e brusco richiamo: "Voi del consumismo e dell’opulenza - ci hanno detto -, è finita la cuccagna; petrolio ce n’è ormai solo per una trentina d’anni; chi lo vuole, lo paghi salato; ridimensionatevi; andate in cerca di altre fonti di energia".

Il richiamo e i duri momenti che ci aspettano, possono essere utili: da un lato stimolano a nuove ricerche ed a nuove vie di progresso; dall’altro ricordano i limiti di ogni cosa terrena e il dovere di mettere solo in alto le nostre supreme speranze.

Ho sentito dire da un "cristiano critico": "Basta con la religione piccolo-borghese, che parla di paradiso e di singole anime salvate. Tutto ciò odora di individualismo capitalista e svia l’attenzione dei poveri dai grandi problemi sociali. Di popolo, di massa, di salvezza comune deve parlare chi predica il Vangelo. Cristo, infatti, è venuto a liberare il popolo dall’esilio della civiltà capitalista per guidarlo alla patria della nuova società, che sta per spuntare".

Di vero, in queste parole, c’è solo che il cristiano deve occuparsi, ed efficacemente, dei grandi problemi sociali. Quanto più, infatti, uno è appassionato del "cielo", tanto più deve dare una mano a piantare la giustizia sulla terra. Quanto al resto, capitalista o socialista, la civiltà è per ciascuno di noi solo temporanea; ci viviamo solo di passaggio.

La vera nostra patria, cui, condotti da Cristo, ci avviamo - insieme, ma ciascuno con destino proprio - è il Paradiso. Chi non crede al Paradiso è sfortunato: è "senza speranza", direbbe San Paolo, e non ha ancora trovato il senso profondo della propria esistenza.

*** 
Davanti al prossimo, il nostro posto è triplice, secondo che si tratta di superiori, di eguali o di inferiori.
Ma si può parlare di superiori in questi anni? Si può ancora dire: i figli devono amare, rispettare e ubbidire i loro genitori, i discepoli i loro insegnanti, i cittadini le autorità costituite?

Nel Seicento qui, a Venezia, c’era il famoso Carnevale: in quei giorni la gente sembrava impazzire, faceva un po’ quello che voleva e si sfogava, andando - con la complicità della maschera - contro costumi e leggi quasi per rifarsi dei mesi vissuti in obbedienza e morigeratezza. Ho l’impressione che stia succedendo qualcosa di simile.

A me non fa tanto paura il sentire che ci sono in giro per il mondo attentati, furti, rapine, sequestri e omicidi. Essi sono sempre esistiti. Fa paura il modo nuovo, con cui molta gente guarda a questi fenomeni. La legge, la norma è considerata una cosa da mettersi in burla o come repressione e alienazione. Si prova un gusto matto a dir male di qualunque legge. L’unica cosa oggi proibita - si dice - è il proibire, e uno che tenti di proibire fa figura di appartenere alla vecchia e sorpassata "società oppressiva". 
Qualche magistrato nel sentenziare dà l’impressione di aprire arbitrari "pertugi" nella siepe del Codice; molto spesso nella stampa vengono irrise le forze, che hanno il compito di far rispettare l’ordine pubblico.

Nello stesso ambiente clericale, nel "buttar giù", una dopo l’altra, leggi ecclesiastiche, si applica in modo allegro ed inatteso il quantum potes tantum aude del "Lauda Sion"! Si moltiplicano inchieste più o meno scientifiche, che sembrano concludersi quasi tutte con questa antifona: 
"Cara gente, tu sei infelice nella situazione attuale; se vuoi essere felice, devi cambiare tutto e rovesciare le strutture".

Ci si mette anche la psicologia, scienza che spiega i fatti umani. 
Ebbene? Gli adùlteri, i sadici, gli omosessuali dagli "psicologi del profondo" sono praticamente quasi sempre scusati: la colpa è dei genitori, che non hanno amato come dovevano i loro teneri e angelici rampolli. 
Tutta una letteratura pare aver per parola d’ordine: "dàgli al padre!" e rende il padre responsabile quasi di tutto.

Un’altra letteratura, propagandando una liberalizzazione completa da ogni legge, chiede contraccezione senza freni, aborto a piacimento della madre, divorzio a volontà, relazioni prematrimoniali, omosessualità, uso di stupefacenti.

E’ una mareggiata, una specie di ciclone, che s’avanza, caro San Luca; di fronte ad essi cosa può fare un povero vescovo? Può concedere che in passato la legge è stata spesso un assoluto, una specie di altare sul quale veniva un po’ troppo sacrificata la persona. Prende atto che a volte sono i genitori stessi ad allentare ogni briglia sul collo dei figli "non voglio che mio figlio conosca il rigore che hanno fatto subire a me!". Ammette che gli stessi genitori hanno talora dimenticato il monito di "non essere troppo esigenti coi propri figli" (Col. 3, 21). Sa benissimo che l’esercizio di ogni autorità è un servizio e va eseguito in stile di servizio. Ha presenti le parole di San Pietro: Agite "da veri uomini liberi, che non si servono della libertà come velo della malizia, ma sono servitori di Dio" (1 Pt. 2, 16). Queste parole escludono il cosiddetto "potere" e reclamano un’autorità promotrice di libertà; non vogliono un’obbedienza servile. bensì un’obbedienza adulta, attiva e responsabile.

Ma dopo? Dopo deve confidare in Dio, richiamando con fermezza la parola divina: "Chi teme Dio onora il padre... Figlio mio, con parole con fatti onora tuo padre" (Sir. 3, 7. 8). "Figli, obbedite ai vostri genitori in tutto ciò ch'è gradito al Signore" (Col. 3, 20). "Ognuno stia soggetto alle autorità in funzione, perché non v’è autorità se non da Dio... sicché, chi si ribella all’autorità, si ribella all’ordinamento divino" (Rom. 13, 1-2). "Raccomando che si facciano suppliche, preghiere... per tutti gli uomini, per i re e per coloro che sono costituiti in autorità" (I Tim. 2, 1). "Siate obbedienti e cedevoli ai vostri superiori, affinché, dovendo essi, come responsabili, vegliare sopra le vostre anime, lo facciano con gioia e non gemendo" (Ebrei 13, 17).

*** 
Ci sono poi i nostri eguali. Di fronte ad essi il dovere è: essere semplici, evitare la singolarità, la smania esagerata di distinguersi. La tendenza, a volte, sarebbe non di fare quello che fanno gli altri, ma di fare quello che gli altri non fanno; di contraddire alle loro affermazioni; di sdegnare ciò ch’essi ammirano; d’ammirare ciò che essi sdegnano.

Qualcuno vuole segnalarsi per l’eleganza, il lusso, i colori vivaci, la sfarzosità dei vestiti, qualche altro per il linguaggio originale e ricercato. 
Un anello in dito, un ricciolo che spunta di sotto il cappellino, una penna sul cappello d’alpino rende qualcuno fiero in maniera incredibile. Cose in sé non gravi - intendiamoci -, ma spesso diventano mezzucci per mettersi in mostra, far meravigliare gli altri e nascondere la propria mediocrità.

L’uomo semplice e schietto, invece, non cerca di apparire più ricco, più colto, più pio, più nobile, più potente di quello che è. Essere ciò che deve, parere ciò che è,vestire secondo la propria condizione, non mettersi volutamente in mostra, non offuscare nessuno, ecco i suoi propositi. Gesù li ha approvati e raccomandati in anticipo e Voi, caro San Luca, ce li avete conservati: "Sedete all’ultimo posto"; "guai a voi, che cercate i primi seggi nelle sinagoghe e i salamelecchi nelle piazze".

*** 
Ci sono infine gli inferiori, o meglio, quelli che sono più sfortunati di noi, perché malati o poveri o tribolati o peccatori. Verso di essi c’è il dovere dell’efficace amore cristiano, che deve portarsi su ciascuno e anche sul gruppo o la classe che essi formano.

Qui noto oggi due posizioni sbagliate. Dice qualcuno: io amo e aiuto il povero singolo e basta: non m’interessa la "classe" dei poveri. 
Dice un altro: io invece mi batto solo per tutta la classe dei poveri, per tutti gli emarginati, per il Terzo Mondo; curare i singoli poveri colla piccola carità non giova, anzi ritarda la rivoluzione definitiva.

Al primo rispondo: bisogna anche amare efficacemente i poveri che, uniti insieme e organizzati, stanno lottando per migliorare la loro situazione. Bisogna fare come Cristo, che ha amato tutti, ma ha privilegiato i poveri di intenso amore.

Al secondo dico: è bene avere scelto la causa dei poveri, degli emarginati, del Terzo Mondo. Attento, però, con la scusa dei poveri lontani ed organizzati, a non trascurare i poveri vicini. Povera vicina è la tua mamma: perché la disobbedisci e strapazzi? Povero vicino è il tuo professore: perché sei con lui così irrispettoso ed impietoso? E perché hai impedito con la violenza e il picchettaggio al tuo compagno di scuola di entrare con te in classe, col pretesto che egli ha idee politiche opposte alle tue? Sei per la grande causa della pace. Benissimo, ma attento che non si verifichino le parole di Geremia profeta: "Van dicendo: pace, pace, ma di pace non c’è neanche l’ombra!" (cfr. Ger. 6,14 e 11). La pace, infatti, costa: non si fa a parole, ma con sacrifici e rinunce amorose da parte di tutti. Non è neppure possibile ottenerla coi soli sforzi umani: occorre l’intervento di Dio.

E’ il monito natalizio degli angeli: una delle cose più belle, che Voi, caro San Luca, abbiate mai "registrato": "Pace sulla terra per gli uomini che Dio ama!".
  
Marzo 1974

Albino Luciani
Proibito Proibire. Da "Illustrissimi"



Mi è toccato, una volta, di vedere alla stazione di Milano un facchino, che, appoggiata la testa ad un sacco di carbone addossato a un pilastro, dormiva beatamente... I treni partivano fischiando e arrivavano cigolando con le ruote; gli altoparlanti davano continui avvisi frastornanti; la gente andava e veniva con brusio e rumore, ma lui – continuando a dormire – pareva dicesse: «Fate quel che vi pare, ma io ho bisogno di star quieto». Qualcosa di simile dovremmo fare noi sacerdoti: attorno a noi c'è continuo movimento e parlare di persone, di giornali, di radio e televisione. 
Con misura e disciplina sacerdotale dobbiamo dire: «Oltre certi limiti, per me, che sono sacerdote del Signore, voi non esistete; io devo prendermi un po' di silenzio per la mia anima; mi stacco da voi per unirmi al mio Dio».

Papa Giovanni Paolo I


"Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. 
Ritornino gli uomini a comprendersi".

Papa Pio XII, 24.09.1939


Preghiera della sera

Come i due discepoli del Vangelo, 
ti imploriamo, Signore Gesù: rimani con noi!
 
Tu, divino Viandante,
 
esperto delle nostre strade
 
e conoscitore del nostro cuore,
 
non lasciarci prigionieri delle ombre della sera. 
Sostienici nella stanchezza, 
perdona i nostri peccati, 
orienta i nostri passi sulla via del bene. 
Benedici i bambini, i giovani, gli anziani, 
le famiglie, in particolare i malati. 
Benedici i sacerdoti e le persone consacrate. 
Benedici tutta l'umanità. 
Nell'Eucaristia ti sei fatto "farmaco d'immortalità"
dacci il gusto di una vita piena, 
che ci faccia camminare su questa terra 
come pellegrini fiduciosi e gioiosi, 
guardando sempre al traguardo della vita che non ha fine. 
Rimani con noi ,Signore! Rimani con noi! Amen.

Beato Giovanni Paolo II

Buona giornata a tutti :-)





venerdì 25 marzo 2011

Preghiera di papa Luciani -

Stammi ancor vicino, Signore.
Tieni la tua mano sul mio capo,
ma fa' che anch'io tenga il capo
sotto la tua mano.

Prendimi come sono,
con i miei difetti, con i miei peccati,
ma fammi diventare come tu desideri
e come anch'io desidero.

(Papa Giovanni Paolo I)

Papa Giovanni Paolo I, nato Albino Luciani (Forno di Canale, 17 ottobre 1912-Città del Vaticano, 28 settembre 1978), eletto papa il 26 agosto 1978.
Il suo pontificato fu tra i più brevi della storia: la sua morte avvenne infatti dopo soli 33 giorni dalla sua elezione al soglio di Pietro. Papa Luciani riposa nelle Grotte Vaticane dal 4 ottobre 1978. Nel 1990 è stata formalizzata la richiesta di beatificazione. A papa Giovanni Paolo I vengono attribuite diverse guarigioni che sono allo studio della Congregazione per le Cause dei Santi.
Viene ricordato con gli affettuosi appellativi di "papa del sorriso" e "sorriso di Dio”



Buona giornata a tutti. :-)










lunedì 28 febbraio 2011

Preghiera per ottenere l’intercessione di papa Luciani -

Signore Gesù,
tu che ci hai dato la grande gioia
di venerare Papa Giovanni Paolo I come Tuo Vicario
sulla terra,e quindi nei Tuoi inscrutabili disegni
ci hai fatto provare l'immenso dolore della sua inattesa
scomparsa,concedici le grazie che Ti domandiamo, affinchè,
sicuri della sua intercessione presso di Te,
possiamo un giorno venerarlo sugli altari:
allora la sua bontà e umiltà,proposte ad esempio dei fedeli
saranno un perenne invito a tradurre nella vita
il suo insegnamento e a diffondere serenità ed amore.
Amen


Papa Giovanni Paolo I, nato Albino Luciani (Forno di Canale, 17 ottobre 1912-Città del Vaticano, 28 settembre 1978), eletto papa il 26 agosto 1978.
Il suo pontificato fu tra i più brevi della storia: la sua morte avvenne infatti dopo soli 33 giorni dalla sua elezione al soglio di Pietro.
Papa Luciani riposa nelle Grotte Vaticane dal 4 ottobre 1978.
Nel 1990 è stata formalizzata la richiesta di beatificazione. A papa Giovanni Paolo I vengono attribuite diverse guarigioni che sono allo studio della Congregazione per le Cause dei Santi.
Viene ricordato con gli affettuosi appellativi di "papa del sorriso" e "sorriso di Dio”

« Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri. »
(Preghiera particolare di papa Giovanni Paolo I)




Buona giornata a tutti. :-)