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giovedì 6 ottobre 2022

Ciò che porti nel cuore

C'era una volta un vecchio saggio seduto ai bordi di un'oasi all'entrata di una città del Medio Oriente.

Un giovane si avvicinò e gli domandò: "Non sono mai venuto da queste parti. Come sono gli abitanti di questa città?"
L'uomo rispose a sua volta con una domanda: "Come erano gli abitanti della città da cui venivi?"
"Egoisti e cattivi. Per questo sono stato contento di partire di là".
"Così sono gli abitanti di questa città", gli rispose il vecchio saggio.

Poco dopo, un altro giovane si avvicinò all'uomo e gli pose la stessa domanda: "Sono appena arrivato in questo paese. Come sono gli abitanti di questa città?"
L'uomo rispose di nuovo con la stessa domanda: "Com'erano gli abitanti della città da cui vieni?"
"Erano buoni, generosi, ospitali, onesti. Avevo tanti amici e ho fatto molta fatica a lasciarli!"
"Anche gli abitanti di questa città sono così", rispose il vecchio saggio.

Un mercante che aveva portato i suoi cammelli all'abbeveraggio aveva udito le conversazioni e quando il secondo giovane si allontanò si rivolse al vecchio in tono di rimprovero: "Come puoi dare due risposte completamente differenti alla stessa domanda posta da due persone?
"Figlio mio", rispose il saggio, "ciascuno porta nel suo cuore ciò che è. Chi non ha trovato niente di buono in passato, non troverà niente di buono neanche qui. Al contrario, colui che aveva degli amici leali nell'altra città, troverà anche qui degli amici leali e fedeli. Perché, vedi, ogni essere umano è portato a vedere negli altri quello che è nel suo cuore."

Storia Zen



La guerra più consistente

Bisogna fare la guerra più consistente
che è la guerra contro noi stessi.
È necessario giungere a disarmarci.
Io ho combattuto questa guerra per molti anni.
È stato terribile. Molto terribile.

Ma posso affermare che adesso sono disarmato.
Non ho paura di niente e di nessuno;
l'amore allontana la paura.
Sono disarmato
dal voler avere ragione,
dal giustificarmi
screditando gli altri.

Non mi chiudo nel mio castello
né m'inorgoglisco delle mie ricchezze.
Accolgo e condivido.
Non mi aggrappo assolutamente
alle mie idee e ai miei progetti.
Se mi si presentano
proposte migliori o almeno buone
Le accetto senza alcun impedimento.

Ho rinunciato a fare confronti.
Ciò che è buono, vero, reale, per me è sempre il meglio.
Per questo non ho paura.
Quando non si possiede nulla
non si ha paura di nulla.

Se uno si disarma,
se smette di possedere,
se si apre al Dio fatto uomo
che fa nuove tutte le cose,
allora Egli fa sparire
il passato negativo
e ci apre il panorama
di un tempo nuovo
in cui tutto è possibile.

Atenagora di Costantinopoli


Buona giornata a tutti :-)


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giovedì 22 settembre 2022

L'isola dei sentimenti

C'era una volta un'isola, dove vivevano tutti i sentimenti e i valori degli uomini: la Ricchezza, l'Orgoglio, la Tristezza, il Buon Umore, il Sapere... così come tutti gli altri, incluso l'Amore.

Un giorno venne annunciato ai Sentimenti che l'isola stava per sprofondare, allora prepararono tutte le loro navi e partirono. Solo l'Amore volle aspettare fino all'ultimo momento.

Quando l'isola fu sul punto di sprofondare, l'Amore decise di chiedere aiuto.

La Ricchezza passò vicino all'Amore su una barca sfavillante e lussuosa e l'Amore le disse: "Ricchezza, mi puoi portare con te?", rispose: "Non posso, c'è molto oro e argento sulla mia barca e non ho posto per te".

L'Amore decise allora di chiedere all'Orgoglio che stava passando su un magnifico vascello: "Orgoglio ti prego, mi puoi portare con te?", "Non ti posso aiutare, Amore...", rispose l'Orgoglio, "qui è tutto ordinato e perfetto, potresti rovinare la mia barca".

L'Amore chiese alla Tristezza che gli passava accanto: "Tristezza ti prego, lasciami venire con te", "Oh amore", rispose la Tristezza "sono così triste che ho assoluto bisogno di stare sola".

Anche il Buon Umore passò di fianco all'Amore, ma era così contento che non sentì la voce dell'Amore che lo stava chiamando.

All'improvviso una voce disse: "Vieni amore, ti prendo con me" Era un vecchio che aveva parlato. L'Amore si sentì così riconoscente e pieno di gioia che dimenticò di chiedere il nome al vecchio. Quando arrivarono sulla terra ferma il vecchio che aveva parlato se ne andò.

L'Amore si rese conto di quanto gli dovesse e chiese al Sapere: "Sapere, puoi dirmi chi mi ha aiutato?", il Sapere rispose: "È stato il Tempo". "Il Tempo?" si domandò l'Amore, "Perché mai il Tempo mi ha aiutato?", il Sapere, con la sua saggezza rispose: "Perché solo il Tempo è capace di comprendere quanto l'amore sia importante nella vita".


L'invidia, mai doma e mai estinta, cerca di rialzare la testa, ma invano. L'umiltà, il perdono e l'amore vinceranno la grande battaglia. 

Livio Fanzaga
dal libro: L'invidia. Il morso del diavolo, ed. SugarCo


L'invidia ha avuto un'origine tenebrosa: prima che l'uomo facesse il suo ingresso sul palcoscenico del mondo era già stata protagonista di una catastrofe irreparabile, quando l'angelo più luminoso - Lucifero - ha desiderato impossessarsi della gloria divina del suo Creatore, trasformando se stesso in un demonio e inquinando l'opera mirabile di Dio. Ma invano l'angelo ribelle, in questo passaggio storico nel quale gli è concesso di essere sciolto dalle catene, cerca di riprendersi il dominio sull'umanità, illudendola di sedersi sul trono di Dio. L'invidia, mai doma e mai estinta, cerca di rialzare la testa, ma l'umiltà, il perdono e l'amore vinceranno la grande battaglia"

Livio Fanzaga
dal libro: L'invidia. Il morso del diavolo, ed. SugarCo


Buona giornata a tutti :-)

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mercoledì 10 agosto 2022

La matassa di lana - don Bruno Ferrero

 Si fece una gran festa alla corte del re, per celebrare il suo ingresso nella città capitale. 
Il re riceveva nel salone delle feste i doni e gli omaggi. Erano tutti doni preziosi: armi cesellate, coppe d’argento, tessuti di broccato ricamato d’oro. 
Il corteo dei donatori stava esaurendosi, quando apparve, zoppicando e appoggiandosi pesantemente ad un bastone, una vecchia contadina con i pesanti zoccoli di legno. In silenzio trasse dalla gerla un pacchetto accuratamente avvolto in un telo. 
Uno scoppio di risate accompagnò il movimento della donna che depose ai piedi del trono una matassa di lana bianca, ricavata dalle due pecore che erano tutta la sua fortuna e filata nelle lunghe sere d’inverno. 
Senza una parola, il re si inchinò dignitosamente poi diede il segnale di incominciare la festa mentre l’anziana contadina attraversava lentamente la sala, scorticata dalle occhiate beffarde dei cortigiani. 
Riprese penosamente il suo lungo cammino, di notte per tornare alla sua baita costruita nella foresta reale dove fino a quel momento la sua presenza era stata tollerata. 
Ma quando arrivò in vista della sua casa si fermò invasa dal panico. La baita era circondata dai soldati del re. 
Stavano piantando dei picchetti tutt’intorno alla povera abitazione, e sui paletti stendevano il filo di lana bianca. 
"Mio Dio", pensò la povera donna, con il cuore piccolo piccolo, "il re si è offeso per il mio dono... Le guardie mi arresteranno e mi porteranno in prigione..."
Quando la vide, il comandante delle guardie si inchinò cortesemente e disse: "Signora, per ordine del nostro buon re, tutta la terra che può essere circondata dal vostro filo di lana d’ora in poi vi appartiene."
Il perimetro della sua nuova proprietà corrispondeva esattamente alla lunghezza della sua matassa di lana.
Aveva ricevuto con la stessa misura con cui aveva donato.


Tutto il bene, dunque, che possiamo fare a qualunque essere umano, facciamolo subito. 
Non rimandiamo a più tardi, né trascuriamolo poiché non passeremo nel mondo due volte.
Nella vita si riceve sempre con la stessa misura con cui si ha donato...

- don Bruno Ferrero - 


“Le stelle non si allineeranno mai, e i semafori della vita non saranno mai tutti verdi nello stesso momento. 
L’universo non cospira contro di te, ma nemmeno si impegna per renderti le cose facili. Le condizioni non sono mai perfette. 
“Prima o poi” è una malattia che ti porterà a non realizzare mai i tuoi sogni. 
Le liste di pro e contro hanno quasi lo stesso effetto. 
Se qualcosa è importante per te, e vuoi “prima o poi” realizzarla, fallo. 
Avrai tempo per correggere gli errori lungo il cammino.” 

- Tim Ferriss - 


 “Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, a imparare di più, a fare di più e a diventare di più, sei un leader.” 

- John Quincy Adams . Sesto Presidente degli Stati Uniti


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venerdì 29 aprile 2022

La Torre pendente - Gianni Rodari

Il professor Grammaticus, una volta andò a Pisa, salì sulla Torre pendente, aspettò che gli passasse il capogiro e cominciò a gridare:

– Cittadini! Pisani! Amici miei!

I Pisani guardarono per aria e si rallegrarono:

– Oh, la Torre s’è messa a parlare e a fare i discorsi.

Poi videro il professore, e lo udirono continuare:

– Sapete perchè la vostra torre pende? Ve lo dirò io. Non date retta a quelli che vi parlano di cedimenti del sottosuolo, e così via. C’è, è vero, nelle fondamenta un piccolo errore, ma è di tutt’altro genere. Gli architetti di una volta non erano assai forti in ortografia. Così è successo loro di costruire una torre che stava in “ecuilibrio”, anziché in “equilibrio”. Mi spiego? In “ecuilibrio” sulla “c” non ci starebbe nemmeno uno stecchino: figuriamoci un campanile. Ecco dunque pronta la soluzione. Iniettiamo nelle fondamenta una piccola dose di “q”, e la torre si raddrizzerà in un attimo.

– Mai sia! – gridarono ad una voce i Pisani. – Torri diritte ce ne sono in ogni angolo del mondo. Quella pendente ce l’abbiamo solo noi, e dovremmo raddrizzarla? Arrestate quel pazzo. Accompagnatelo alla stazione e mettetelo sul primo treno.

Il professor Grammaticus fu preso per le braccia da due guardie, accompagnato alla stazione e messo sul primo treno: un omnibus per Grosseto che si fermava ad ogni passo e impiegò mezza giornata a fare cento chilometri. Così il professore ebbe modo di meditare sull’ingratitudine umana. Egli si sentiva abbattuto come Don Chisciotte dopo la battaglia con i mulini a vento. Ma non si scoraggiò. A Grosseto studiò le coincidenze e tornò a Pisa di nascosto, deciso a fare la sua iniezione di “q” alla Torre Pendente a dispetto dei Pisani.

Per caso, quella sera, c’era la luna. (Anzi, non per caso: c’era perché ci doveva essere). Al chiaro di luna la torre era così bella, pendeva con tanta grazia, che il professore rimase lì estatico a rimirarla e intanto pensava:

– Ah, come sono belle, certe volte, le cose sbagliate!

- Gianni Rodari -
brano tratto da “Il libro degli errori”, 1964

Photo of Jan Drewes, 3 sett. 2007, ore 00:12:40

“In aggiunta a questo declino nel livello medio di intelligenza, che è comunque contestato, vi è anche l'impoverimento della lingua. Numerosi studi mostrano un restringimento del campo lessicale ed un impoverimento della lingua. Non è solo questione di una riduzione del vocabolario usato, ma anche delle sottigliezze del linguaggio che permettono l'elaborazione e la formulazione del pensiero complesso.

La progressiva sparizione dei tempi...porta ad un pensiero nel presente, limitato all'istante, incapace di proiezione nel tempo. La generalizzazione dell'approccio familiare, la scomparsa delle maiuscole e della punteggiatura sono tutti colpi mortali alla sottigliezza dell'espressione.

La storia è ricca di esempi e di molti scritti, da Georges Orwell in 1984 a Ray Bradbury in Fahrenheit 451, che hanno raccontato come le dittature, di ogni schieramento, hanno impedito il pensiero riducendo e distorcendo il numero ed il significato delle parole. Non vi è pensiero critico senza pensiero. E non vi è pensiero senza parole.”

- Christophe Clavé -
 da: Baisse du QI, appauvrissement du langage et ruine de la pensée , Agefi, 2019


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giovedì 31 marzo 2022

Allora questo è il momento favorevole - Don Bruno Ferrero sdb

Dalla sua finestra affacciata sulla piazza del mercato il Maestro vide uno dei suoi allievi, un certo Haikel, che camminava in fretta, tutto indaffarato.
Lo chiamò e lo invitò a raggiungerlo.
“Haikel, hai visto il cielo stamattina?”.
“No, Maestro”.
“E la strada, Haikel? La strada l’hai vista stamattina?”.
“Sì, Maestro”.
“E ora, la vedi ancora?”.
“Sì, Maestro, la vedo”.
“Dimmi che cosa vedi”.
“Gente, cavalli, carretti, mercanti che si agitano, contadini che si scaldano, uomini e donne che vanno e vengono, ecco che cosa vedo”.
“Haikel, Haikel – lo ammonì benevolmente il Maestro -, fra cinquant’anni, fra due volte cinquant’anni ci sarà ancora una strada come questa e un altro mercato simile a questo. Altre vetture porteranno altri mercanti per acquistare e vendere altri cavalli. Ma io non ci sarò più, tu non ci sarai più. Allora io ti chiedo, Haikel, perché corri se non hai nemmeno il tempo di guardare il cielo?”.
 
Probabilmente non abbiamo guardato il cielo stamattina. Neanche per vedere che tempo fa. Ce lo dice la tv.
Eppure, tutto in chiesa oggi ci parla di qualcosa di diverso dal solito tran tran quotidiano, qualcosa di nuovo che è incominciato.
Quando si sente la prima aria di primavera, ci vien voglia di spalancare le finestre di casa. Il sole sembra nuovo e scaccia l’odore dell’inverno. Togliamo la polvere che si è accumulata, i colori ritrovano il loro splendore, la casa sembra bella come nei primi giorni.
Ogni anno, gli amici di Gesù si prendono del tempo per aprire i loro cuori affinché entri la luce di Dio fin negli angoli più nascosti, là dove nascono i pensieri, i rancori e i desideri d’amare.
Sono i 40 giorni prima di Pasqua, è la Quaresima.
Quaranta giorni di deserto
Come Mosè.
Lascia la sua gente, sale sulla montagna e resta solo. Nel silenzio, si prepara per ascoltare il Signore, come si ascolta un amico, quando si scambiano parole preziose.
Come Elia, il profeta.
Ha la passione per Dio, intraprende un lungo viaggio, affaticato, triste, abbandonato da tutti. Ma al termine del viaggio l’attende Dio, fresco come una brezza tra le rocce. Rinfrancato da nuove energie, Elia torna tra i suoi.
Come Gesù.
Prima di incontrare gli uomini per annunciare il Lieto Messaggio di Dio, si ritira nel deserto. Lontano da tutto, povero e senza amici. Gli restano solo la sabbia e il vento. Là sono soli: Lui e Dio.
Così può affermare a Dio che è più importante del cibo, dell’acqua, di tutto il potere del mondo. È Dio che ha il primo posto.
Come noi.
Quaranta giorni di deserto, per ritrovare il Signore, per sentire la felicità di essere amici suoi e fargli posto nella nostra vita, come a qualcuno che si ama.
Per questo la Quaresima è incominciata con il segno di qualcosa volatile, leggero e apparentemente inutile come la sabbia del deserto: un po’ di cenere. Sulla fronte dei fedeli il prete ha deposto un pizzico di cenere.
La cenere è un simbolo che ci richiama alla mente molte cose.
Talvolta ascoltiamo solo le nostre voglie, decidiamo quello che ci piace senza curarci degli altri, lasciamo le cose a metà, rifiutiamo i consigli, siamo volubili, incostanti. Cose da niente ci portano via.
Siamo come la cenere che sfugge a tutto, siamo come polvere dispersa dal vento.
Talvolta siamo privi di tenerezza. Curiamo i vestiti, ma il nostro cuore è arido. Non ci accorgiamo della fatica di chi ci sta accanto, pensiamo solo a noi stessi, dimentichiamo il Signore.
Siamo come la cenere, fuoco morto: non scalda più nessuno.
Talvolta agiamo senza tener conto della parola del Signore. Non portiamo gioia. Trascuriamo chi ha bisogno di noi. Non ci chiniamo sugli amici sofferenti. Dalla nostra bocca escono parole che fanno male.
Siamo come la cenere: nessuna fiamma divampa più per squarciare la notte e illuminare il cammino.
Allora questo è il momento favorevole.
Quaranta giorni per sbarazzare la nostra anima dalla cenere che si è posata. E ritrovare il fuoco nuovo che nasce dall’incontro con il Signore e le sue parole. A tu per tu.
Un tempo per ritrovare il cielo.
Non è così facile. C’è qualcosa da conquistare. Ci sono forze maligne che vogliono ridurre in cenere le nostre intenzioni di bene.
Tra l’Egitto e la Terra Promessa, il popolo di Dio è passato nel deserto. Ed ha perso, soccombendo alle tentazioni.
Anche Gesù, prima dell’annuncio del Regno, passa attraverso il deserto, viene messo alla prova, ma vince. E insegna a noi la via per fare altrettanto. Perché anche noi, se vogliamo veramente arrivare a Dio, dobbiamo attraversare il deserto delle prove. In un certo senso, la vita è un cammino di purificazione, di scelte. Perché la strada che porta a Dio, quindi alla felicità, è fatta di forza e decisione.
L’avversario di Dio, per quattro volte chiamato diavolo, dimostra di conoscere molto bene il suo piano e sapendo che Gesù è il Messia, lo invita in modo subdolo a realizzare un messianismo trionfante, cerca di distoglierlo da quella follia. Gli propone in successione la scelta della ricchezza, dei beni materiali, del piacere; poi del potere, dell’idolatria; infine del prodigio, della magia, non la fatica di tutti giorni, la fatica dell’essere fedeli. Insinua in fondo il dubbio su Dio.
Sono state le tentazioni del popolo ebraico.
Sono le nostre tentazioni.
Gesù vince e ci regala il segreto per vincere a nostra volta.
La sua forza è la parola di Dio.
“Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo””.
“Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto””.
“È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo””.
Gesù afferma chiaramente che Dio è affidabile. Gesù si fida totalmente di Lui. E anche noi.
Anche se la tentazione si insinua dappertutto come la polvere, come la cenere.
Il nostro diavolo si chiama “a che pro? A che serve tutto questo?”
È Il settimo vizio capitale, quello dal nome bizzarro: accidia. È molto più grave della pigrizia, quel difetto quasi banale che ci induce a rimanere a letto quando suona la sveglia, o a rimandare a domani quello che si poteva fare ieri. La sua definizione latina, la “tristitia de bono divino”, richiama più un buon vino degustato sotto i pergolati che un pericolo mortale.
La “tristezza del bene divino” procede mascherata: si adorna di un’etichetta da vino pregiato e si nasconde sotto gli orpelli della pigrizia come una vipera mascherata da biscia. Il suo morso è indolore, ma il suo veleno paralizza l’anima nel suo slancio verso Dio, insensibilmente. Questo assopimento spirituale è il peccato dei discepoli di Cristo nel Getsemani.
Ci tocca tutti, un giorno o l’altro.
Gli Antichi definivano l’accidia “demonio del mezzogiorno”, o “tentazione della metà del giorno”, perché questa grande stanchezza interiore, questa apatia spirituale, questo disgusto per le cose di Dio, questo desiderio di andare a vedere altrove, caratterizza soprattutto il mezzogiorno della vita.
La nostra società accidiosa diffonde il disgusto per Dio per un’altra ragione: l’uomo del XXI secolo, soprattutto l’Occidentale, non crede più alla grandezza e immensità della sua vocazione. Roso da un dubbio metafisico profondo, “non vuole credere che Dio si occupi di lui, lo conosca, lo ami, lo guardi, sia al suo fianco”, spiega il cardinale Ratzinger in una penetrante analisi della nostra società. Una vocazione così bella, una felicità così grande? È troppo bello per essere vero!
Il demonio dell’accidia instilla alla nostra epoca…
… un “curioso odio dell’uomo contro la propria grandezza”, prosegue il Papa. Una rivolta intima e profonda. Al punto che arriva a “considerarsi di troppo”. S’immagina guastafeste della natura, creatura mancata, segnata dal nulla. “La sua liberazione e quella del mondo consisterebbe dunque nel dissolversi”. L’accidia porta alla disperazione. Cela una cultura di morte.
Una piccola falena d’animo delicato s’invaghì una volta di una stella. Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d’invaghirsi invece di un abat-jour. “Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro”, gli spiegò. “Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro”.
“Almeno lì approdi a qualcosa”, disse il padre. “Andando dietro alle stelle non approdi a niente”.
Ma il falenino non diede ascolto né all’uno né all’altra. Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s’avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all’alba, se ne tornava a casa stremato dall’immane e vana fatica.
Un giorno il padre lo chiamò e gli disse: “Non ti bruci un’ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa. Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura! Un falenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!”.
Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada né intorno alle lampade di casa: continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce. Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo.
Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi.


La stella della speranza è un segno distintivo.
Ogni giorno dovremmo chiedere la fede per osare l’impossibile.
Chi desidera operare con Cristo e, di conseguenza, trasformare il mondo, deve sentire tutto il coraggio che sgorga dalla forza di Dio e della sua Parola.
Fare cose impossibili è il realismo di coloro che conoscono la voce del loro Signore.
C’è una stella nel cielo della nostra vita: non possiamo perdere tempo a scottarci a qualche lampadina.

Don Bruno FERRERO sdb
Fonte:http://www.donbosco-torino.it/



Buona giornata a tutti :-)


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mercoledì 30 marzo 2022

Il falenino e la stella - don Bruno Ferrero


Una piccola falena d'animo delicato s'invaghì una volta di una stella. 
Ne parlò alla madre e questa gli consigliò d'invaghirsi invece di un abat-jour. «Le stelle non son fatte per svolazzarci dietro», gli spiegò. 
«Le lampade, a quelle sì puoi svolazzare dietro».
«Almeno lì approdi a qualcosa», disse il padre. «Andando dietro alle stelle non approdi a niente».
Ma il falenino non diede ascolto né all'uno né all'altra. 
Ogni sera, al tramonto, quando la stella spuntava s'avviava in volo verso di essa e ogni mattina, all'alba, se ne tornava a casa stremato dall'immane e vana fatica.
Un giorno il padre lo chiamò e gli disse: «Non ti bruci un'ala da mesi, ragazzo mio, e ho paura che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli si sono bruciacchiati ben bene volteggiando intorno ai lampioni di strada, e tutte le tue sorelle si sono scottate a dovere intorno alle lampade di casa. Su avanti, datti da fare, vai a prenderti una bella scottatura! Un falenotto forte e robusto come te senza neppure un segno addosso!».
Il falenino lasciò la casa paterna ma non andò a volteggiare intorno ai lampioni di strada ne intorno alle lampade di casa: continuò ostinatamente i suoi tentativi di raggiungere la stella, che era lontana migliaia di anni luce. Lui credeva invece che fosse impigliata tra i rami più alti di un olmo.
Provare e riprovare, puntando alla stella, notte dopo notte, gli dava un certo piacere, tanto che visse fino a tardissima età. 
I genitori, i fratelli e le sorelle erano invece morti tutti bruciati ancora giovanissimi.

La stella della speranza è un segno distintivo. Ogni giorno dovresti chiedere la fede per osare l'impossibile. 
Chi desidera operare con Cristo e, di conseguenza, trasformare il mondo, rifiuterà di adeguarsi a leggi ed ordinamenti precostituiti. 
Sarà disobbediente, quando altri obbediranno, eseguirà quando altri troveranno insensato l'ordine impartito. 
Il mondo gli apparirà una prigione, quando altri parleranno di libertà, ed esso sarà trasparente agli occhi della sua fede, quando altri saranno disperati, sentendosi prigionieri. 
Fare cose impossibili è il realismo di coloro che conoscono la voce del loro Signore.

Se c'è una stella nel cielo della tua vita, non perdere tempo a scottarti a qualche lampadina.

- don Bruno Ferrero - 
da: "40 storie nel deserto" - Ed. Elledici

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giovedì 17 febbraio 2022

Domare gli spiriti

Si racconta di un vecchio Anacoreta Eremita: una di quelle persone che, per amore a Dio, si rifugiano nella solitudine del deserto, del bosco o delle montagne, per dedicarsi solamente alla orazione ed alla penitenza.
Molte volte, si lamentava di essere sempre occupatissimo! 
La gente non capiva come fosse possibile che avesse tanto da fare, nel suo ritiro. Ed egli spiegò:
" Devo domare due falconi, allenare due aquile, tenere quieti due conigli, vigilare su un serpente, caricare un asino, e sottomettere un leone! "
Ma la gente stupita disse :
"Non vediamo nessun animale, vicino alla grotta dove vivi! Dove sono tutti questi animali? "
Allora, l'Eremita diede una spiegazione, che tutti compresero :
"Questi animali li abbiamo dentro di noi! I due falconi, si lanciano sopra tutto ciò che loro si presenta, buono e cattivo, devo allenarli, perché si lancino solo sopra le buone prede; sono i miei occhi! 
Le due aquile, con i loro artigli, feriscono e distruggono, devo allenarle, perché si mettano solamente al servizio, ed aiutino senza ferire, sono le mie mani! 
Ed i conigli, vanno dovunque loro piaccia, tendono a fuggire gli altri, ed a schivare le situazioni difficili , devo insegnare loro a stare quieti, anche quando c'è una sofferenza, un problema, o qualsiasi cosa che non mi piaccia, sono i miei piedi! 
La cosa più difficile è sorvegliare il serpente, anche se si trova rinchiuso in una gabbia, con trentadue sbarre, è sempre pronto a mordere ed avvelenare quelli che gli stanno intorno, appena si apre la gabbia, se non lo vigilo da vicino, fa danno, è la mia lingua!  
L'asino è molto ostinato, non vuole fare il suo dovere, pretende di stare a riposare, e non vuole portare il suo carico di ogni giorno, è il mio corpo! Finalmente, ho necessità di domare il leone, vuole essere il Re, vuole essere sempre il primo, è vanitoso ed orgoglioso, questo è... il mio cuore !"

«Se vuoi essere veramente felice, non trascurare questo "Combattimento Spirituale".


















Vogliamo essere amati.
In mancanza di ciò, ammirati
in mancanza di ciò, temuti
In mancanza di ciò, odiati e disprezzati.
Vogliamo suscitare negli altri una qualche sorta di emozione.
L’anima trema davanti al vuoto
e ha bisogno di un contatto a ogni costo.

- Hjalmar Soderberg -



















"Come sappiamo, in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi. Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni. Auspico che l’Anno della fede possa contribuire, con la collaborazione cordiale di tutti le componenti del Popolo di Dio, a rendere Dio nuovamente presente in questo mondo e ad aprire agli uomini l’accesso alla fede, all’affidarsi a quel Dio che ci ha amati sino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto." 

(Discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, Sala Clementina Venerdì, 27 gennaio 2012)



Roma, Concistoro del febbraio 2001. 
Giovanni Paolo II e il cardinale Jorge Mario Bergoglio

Preghiera della sera

Oh Signore, 
mentre la luce del giorno si dilegua e scompare e discende la sera,
nella Tua clemenza veglia sulle case di tutti, 
particolarmente si prolunghi il palpito della Tua bontà e del Tuo conforto
là dove la sofferenza e le preoccupazioni delle umane miserie sono più vive, sugli ammalati, gli afflitti, sui poveri, vecchi e i bambini. 
Allontana i sogni e i fantasmi notturni. 
Frena le tentazione del nemico che attenta alle nostre anime. 
Proteggi la Tua Santa Chiesa che,
da tutti i punti della terra ci accoglie benigna e pia. 
La tua benedizione sia sempre sopra di noi e i nostri cari, oh Signore. 
Così sia. 

(papa Giovanni XXIII)



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lunedì 31 gennaio 2022

Una luce alla finestra - don Bruno Ferrero

La strana epidemia si abbatté sulla città all'improvviso. Iniziava come un raffreddore: i colpiti cominciavano a starnutire, poi prendevano uno strano colore grigiastro, finché la malattia esplodeva in tutta la sua virulenza e i colpiti diventavano prima avidi, poi prepotenti e arraffatori, perfino ladri e tremendamente sospettosi gli uni degli altri. Il pensiero del denaro intaccava e annullava tutti gli altri pensieri. " Ciò che conta sono i soldi. Con i soldi si fa tutto", sostenevano. 

Insieme al pensiero dei soldi arrivava anche la paura. 

I venditori di casseforti e porte blindate non riuscivano a star dietro agli ordini. In certi alloggi la porta d'ingresso arrivava ad avere diciotto serrature a prova di tutto, anche di bazooka. Nelle famiglie, i papà e le mamme rubavano i soldi dai salvadanai dei bambini. I bambini chiedevano: «Quanto mi date per sparecchiare?». Non solo per asciugare i piatti o per fare i compiti; anche per andare nei giardinetti a giocare. Un sabato pomeriggio, nella via principale, scoppiò un tremendo tafferuglio per una moneta da cinque centesimi. Perfino il dottore fu contagiato e cominciò a vendere le medicine scadute, che prima buttava via con molta attenzione. 

La vita in città divenne insopportabile. Il sindaco e i suoi consiglieri decisero di recarsi per un consulto dal famoso Barbadoro, che era un eremita, per chiedere una medicina o almeno un consiglio. L'eremita dalla lunga barba bianca li ascoltò con attenzione, poi lisciandosi la barba disse: "Conosco la malattia che ha colpito il vostro villaggio. E' dovuta ad un virus che si chiama "sgrinfiacchiappa" ed è terribile, perché chi è colpito diventa sempre più insensibile, il suo cuore si indurisce fino a diventare di pietra. Si può sfuggire al contagio per un po' di tempo compiendo atti di bontà e di generosità, ma per debellare veramente la malattia c'è un solo rimedio: l'acqua della Montagna-Che-Canta.

Si può sfuggire al contagio per un po' di tempo compiendo atti di bontà e di generosità, ma per debellare veramente la malattia c'è un solo rimedio: l'acqua della Montagna-Che-Canta. Dovete trovare un giovane forte e coraggioso, completamente disinteressato. Deve affrontare questo impegno solo per amore della gente. Perché l'acqua della generosità funziona solo se è veramente voluta, aspettata, accolta. Logico, no? Perciò se troverete il giovane adatto in grado di affrontare le difficoltà dell'impresa (e non è cosa da poco) la medicina farà effetto solo se ci sarà qualcuno ad aspettarla». «Noi aspetteremo. Tutti!», giurarono il sindaco e i consiglieri. «Dobbiamo assolutamente uscire da questa epidemia che rende infelice la nostra città». «...e vuota le casse comunali», aggiunse l'assessore alle finanze, che aveva la pelle grigia di chi veniva colpito dalla malattia del virus «sgrinfiacchiappa». Il giorno dopo su tutti i muri della città era affisso un bando: «Cercasi giovane coraggioso per impresa eroica». Si presentarono in duemila. Ma appena gli aspiranti eroi venivano a sapere che non ci avrebbero guadagnato niente, si ritiravano. Tutti, meno uno. Era un giovane robusto e simpatico, preoccupato dalla malattia che colpiva i suoi concittadini e che rendeva infelici tante persone. Si chiamava Giosuè. 

Il sindaco e i consiglieri gli spiegarono quello che doveva fare, anche se non avevano alcuna idea di dove si trovasse la Montagna-Che-Canta. «La cercherò», disse tranquillamente Giosuè. «Noi ti aspetteremo», promise la gente. «Metteremo una luce sulla finestra tutte le notti, così saprai che ti aspettiamo». Giosuè mise un po' di biancheria e pane e formaggio in una bisaccia, baciò la mamma e il papà, abbracciò Mariarosa, la sua fidanzata, che gli sussurrò: «Anch'io ti aspetterò». Salutò tutti e partì. Per tre giorni Giosuè camminò risolutamente verso le montagne, che tremolavano nella luce azzurrina dell'orizzonte. «Una volta là, mi basterà cercare la Montagna-Che-Canta. Non deve essere difficile», pensava. Ma si illudeva. 8 Dopo dieci giorni di marcia, le montagne continuavano ad apparire lontane, come profili di giganti dormienti, all'orizzonte. Ma Giosuè non si fermava. Pensava agli abitanti della città che certamente si ricordavano di lui e lo aspettavano, ai suoi genitori e a Mariarosa e, ogni mattina, anche se i piedi gli dolevano ricominciava la marcia. Passarono altri dieci giorni, poi dieci mesi. 

Nella città, le prime notti erano state un vero spettacolo. Sui davanzali di quasi tutte le finestre brillava una luce. Era il segno della speranza: aspettavano l'acqua della generosità portata da Giosuè. Ma con il passare del tempo, molte lampade si spensero. Alcuni se ne dimenticarono semplicemente, altri, colpiti dalla malattia, si affrettarono a spegnerle per risparmiare. La maggioranza dei cittadini, dopo qualche mese, scuoteva la testa dicendo: «Non ce l'ha fatta. Non tornerà più». Ogni notte, c'era qualche luce in meno alle finestre. Ma Giosuè, dopo un anno, arrivò alle montagne. Le prime erano montagnole da poco e le valli che le dividevano larghe e facili. Poi si fecero sempre più aspre, rocciose, disseminate di ostacoli. Giosuè stava con le orecchie tese per individuare la Montagna-Che-Canta. Qualche picco, grazie al vento, fischiava. Qualche montagna, grazie ai ghiacciai e ai torrenti, rombava. Ma nessuna cantava. In una piccola baita, aggrappata al fianco di una montagna, incontrò un vecchio pastore e gli chiese qualche informazione. Il pastore gli regalò una scodella di latte fresco e poi gli disse: «La Montagna-Che-Canta? Certo che so dov'è. Non mi fa dormire quando porto le mie pecore a pascolare da quelle parti. Ma è un accidenti di montagna! Ripida e levigata come un obelisco e con il gigante Soffione». «Chi è?». «Un gigante burlone che si diverte a soffiare giù chi cerca di salire sulla montagna». «Pazienza, ma io devo salire lassù», disse Giosuè. Il vecchio pastore lo accompagnò fino ai piedi della montagna e lo salutò: «Buona fortuna!». La montagna cantava davvero, con un vocione allegro e un po' stonato. Giosuè cominciò subito ad arrampicarsi. Le pareti della montagna avevano pochi appigli e il povero giovane si ritrovò presto con le mani rovinate dalla roccia. Era quasi a metà della salita, quando un soffio di vento violento lo staccò dalla parete e lo fece rimbalzare in giù per parecchi metri. Mentre cadeva sentiva la risata del gigante Soffione, felice per lo scherzo che gli aveva giocato. Neanche questa volta Giosuè si scoraggiò. Si riempì le tasche e la camicia di sassi e ricominciò a salire. Pesante com'era, ogni centimetro gli costava una fatica terribile, ma il gigante Soffione aveva un bel soffiare. Non riusciva neanche a farlo vacillare. Dopo un po' il gigante cominciò a tossire e infine smise di soffiare. Così Giosuè arrivò sulla vetta e vide la sorgente cristallina dell'acqua della generosità. Aveva compiuto la missione che gli era stata affidata e il suo cuore era leggero e lieto: la gente della città sarebbe tornata felice come prima. Portava sulle spalle una botticella della preziosa acqua. Se non fosse bastata per tutti, ormai sapeva la strada. 

Una notte senza luna e senza stelle, Giosuè arrivò sulla collina da cui si vedeva la città. Guardò giù ansimando perché aveva fatto di corsa gli ultimi metri. Quello che vide gli riempì gli occhi di lacrime e il cuore di amarezza. La città era completamente avvolta dal buio. Non c'erano luci sui davanzali delle finestre. Nessuno lo aveva aspettato. «E' stato tutto inutile... Se nessuno mi ha aspettato, l'acqua non farà effetto... Tutta la mia fatica è stata inutile». Si avviò mestamente. Aveva voglia di buttar via l'acqua che gli era costata tanto. Stava per farlo, quando qualcosa lo fermò. C'era una luce, laggiù! Un lumino, piccolo, tremante, lottava con la notte, in mezzo ai muri neri delle case. «Qualcuno mi ha aspettato!». Giosuè rise forte per la felicità e partì di corsa. Riconobbe la finestra e la casa. In fondo al cuore non ne aveva mai dubitato. Mariarosa e i suoi genitori lo avevano aspettato!

 - don Bruno Ferrero - 

da: "Storie belle e buone" di Bruno Ferrero, edizioni Elledici

"Chiaro di luna"- William Turner, 1797

Non penserò che la conoscenza che attualmente possiedo sia la verità assoluta e immutabile. Eviterò di avere una mente ristretta, limitata alle mie opinioni attuali. Praticherò il non attaccamento alle credenze per rimanere aperto al punto di vista degli altri. La verità si trova nella vita, non nelle nozioni intellettuali. Mi manterrò sempre disponibile a imparare dalla vita, osservando costantemente la realtà in me stesso e nel mondo.

- Thich Nhat Hanh -

monaco buddhista, poeta e attivista per la pace

 




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