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venerdì 20 marzo 2020

Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale di Charles Péguy

C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: è il padre di famiglia. 
Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto. 
Non corrono assolutamente alcun perico­lo, al suo confronto. Tutto nel mondo moderno, e so­prattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro l’imprudente, contro il temerario,
Chi sarà tanto prode, o tanto temerario?
Contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una famiglia. 
Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. 
Gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. E infine il resto. 
Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia; e di conse­guenza contro la famiglia stessa, contro la vita di fami­glia. 

Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con la testa, che non è niente. 
Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non è niente. 
Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii patitur. Al secondo, al ven­tesimo grado. 
Fa soffrire altri, ne è responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. 
Gli altri navigano a secco di vele. 
Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nes­suno. Si muove continuamente con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in pieno, di fronte, perché navi­ga su una larghezza immensa. 
Gli altri scantonano. So­no corsari. Sono a secco di vele.
Ma lui, che naviga, che è obbligato a governare la nave su questa rotta immen­samente larga, lui solo non può assolutamente passare senza che la fatalità si accorga di lui. E allora è lui che è coin­volto nel mondo, e lui solo. 
Tutti gli altri possono infi­schiarsene. Lui solo paga per tutti. Capo e padre di ostaggi, anche lui stesso è sempre ostaggio. Che impor­ta agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili e guer­re straniere, l’avvenire di una società, ciò che accade alla città, la decadenza di tutto un popolo. 
Non rischia­no mai altro che la testa. Niente, meno di niente. Lui invece non solo è coinvolto dappertutto nella città pre­sente. 
Dalla famiglia, dalla sua razza, dalla sua discen­denza da quei bambini è coinvolto dappertutto nella citta futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il tempo­rale accadere della città. 
Si gioca la razza, si gioca il popolo, si gioca la società, mette come posta la società. Si gioca (tutta) la città, presente, passata, a venire. Tale è la sua posta in gioco. Gli altri scantonano sempre. Sono carene leggere, sotti­li come lame di coltello. Lui è la nave grossa, pesante bastimento da carico. È il luogo d’appuntamento di tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e si mettono d’accordo, si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e si intersecano da tutti i punti del­l’orizzonte per assalirlo. Lui scopre alla sorte, alla for­tuna, alla sfortuna che vigila, alla fatalità una larghezza (di spalle) (su cui abbattersi), una superficie, un vo­lume incredibile. Non è coinvolto solo nella cit­tà presente.
È coinvolto dappertutto nell’avvenire del mondo. E anche in tutto il passato, nella memoria, in tutta la storia. È assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in quale miserabile città, in quale deca­denza, in quale decadenza di tutto un popolo lasceran­no, consegneranno, domani, stanno per lasciare, entro qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri  si sentono così pienamente, così assoluta­mente responsabili, di cui sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente. Niente di quello che succede, niente di storico è per loro indiffe­rente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno esaurito la sofferenza temporale, tutto il dolore di chi vive nel tempo. Chi non ha mai avuto un bam­bino malato non sa cosa sia la malattia. Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto morto il suo bambino non sa cosa sia il dolore. E non sa cosa sia la morte. E, coinvolti da ogni parte nelle sof­ferenze, nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono tutti  ingolfati nell’esistenza, sono pesanti e impacciati, sono goffi, impediti nelle manovre; sembrano deboli e vili; non solo lo sembrano; sono deboli, sono vili, sono codardi. Nella manovra. Capi responsabili e appesanti­ti, carichi e responsabili di una banda di prigionieri, prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di ostaggi, ostaggi essi stessi, non fanno un passo che non sia vigliacco, sembrano, sono circospetti, sono prudenti, non fanno una mossa che non sia sconcertante. E tutti li disprez­zano e, quel che è peggio, hanno ragione a disprezzarli. Gli altri scantonano sempre. Non hanno bagagli. Vili, scantonano con districamenti politici. Coraggiosi scan­tonano con districamenti eroici, con districamenti d’au­dacia. Temporali, scantonano verso la carriera e le domi­nazioni temporali. Spirituali, scantonano, si defilano verso le osservanze della regola. Storici, scantonano verso le carriere della gloria. Riescono sempre, sia nella regola, sia nel secolo.
II padre di famiglia è solo, e condannato a non riuscire affatto. Non può mai scanto­nare. Deve sempre passare in tutta la sua larghezza. Ed è molto semplice, non ci passa. Non ci passa mai. Non passa da nessuna parte. Non riesce né nella regola né nel secolo. Non riesce nella regola, la regola si oppone. Prima di cominciare. Non riesce nel secolo. Il secolo si oppone prima, durante, dopo. Non riesce nella poli­tica e non riesce nell’audacia… È troppo grosso. Ha tutta la famiglia attorno al corpo. È come la donnola di La Fontaine, ma dopo che è ingrassata. Ha socialmente un grasso, un tessuto adiposo sociale, che lo rende inadatto alla corsa. Ora, temporalmente tutto non è altro che corsa, non è altro che concorso e con­correnza. Gli altri corrono, intanto, gli altri arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente scarichi, sgombri di bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra di loro, lo schermi­scono; sordamente, involontariamente congiurano con­tro di lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno questo (di bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si riaccaniscono di preferenza. Prefe­renzialmente. E quello che chiamano la carità.
Bisogna sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la meno affine alla regola. Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi ab­bindolare dalle apparenze più grossolane, commettere l’errore più smaccato, e anche naturalmente il più co­mune, l’errore più frequente, quello di dire che la vita pubblica è vivace, e la vita di famiglia è silen­ziosa, e la regola, la vita regolare è anche lei silenziosa; e quindi la vita pubblica è non ritirata, e la vita di fa­miglia è ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei ritirata; e concluderne, credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla vita di regola, apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica che se ne è allontanata. Questo è lasciarsi prendere dalle più grossolane apparenze. È diame­tralmente il contrario.
La vita di famiglia è agli antipodi della vita della regola. 
Nessun uomo al mondo è coin­volto nel mondo, nella storia e nel destino del mon­do quanto l’uomo di famiglia, tanto quanto il padre di famiglia, così pienamente, così carnalmente. L’uomo pubblico invece, il vir politicus, non è affatto coinvolto nel mondo, non è affatto coinvolto nella storia e nel destino del mondo. 
Cosa importa all’uomo politico, al demagogo, al tribuno, all’oratore, al legislatore, all’eloquente, anche all’uomo politico serio, all’uomo pubblico, all’uomo di Stato, all’uomo di governo, (e a maggior ragione) al capo di partito (come tali), cosa importa al militare e al giudice, al generale e al presidente di corte e al presidente di camera, (come tali, come tali), che importa come tali al funzionario e al magistrato, al generale, al deputato, al senatore, al giornalista, al pubblici­sta, all’esattore, e all’usciere del ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa importa come tale a ogni uomo pubbli­co delle sorti della città presente, le sorti ulteriori, la destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di questo popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l’onore, quando ne hanno: niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al maximum; al meno, di solito l’avanzamento, la carriera, al più del meno l’apice; miserie. Gloria tem­porale, onore temporale; niente, meno di niente. Avan­zamento temporale, carriera temporale, apice temporale, testa temporale; miserie. E le gioie e le miserie del dominio. E le gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto quello che si giocano. Come tali. Se intanto, se insieme sono padri di famiglia, cosa estremamente rara, l’ope­razione è tutta diversa, il comportamento e l’azione pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione anche per così dire topografica, geografica, demogra­fica. Cosa importa loro, come tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di tutto un po­polo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt’al più si giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria, ulteriore, l’onore o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo di con­siderazione li lascia abbastanza freddi. Sono abba­stanza poco sensibili a considerazioni di questo tipo. Di solito.
Solo il padre di famiglia mette in gioco, rischia, impegna infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo, nella destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di tutto questo popolo, nell’avvenire di questa razza impegna tutto, mette tutto, la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre di famiglia da solo. Ed è un pover’uomo. Tormentato da scrupoli, assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha affatto commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri commetteranno, sente oscura­mente, molto profondamente, che è lui, in effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È uno dei casi più significativi che ci siano di responsa­bilità senza colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di colpevolezza reale; comune; misteriosa; di fatalità, anche; infinitamente più profonda; segreta; in comunità, in comunione; con la crea­zione con (tutto) il mondo; infinitamente più grave delle nostre proprie responsabilità, personali, particola­ri, limitate, note, individuali e collettive; infinitamente più profonda; infinitamente più vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente ce ne accorgiamo), quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazio­ne stessa, al mistero, al segreto della creazione; una col­pevolezza, allora, infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente criminali.
Per il padre di famiglia (questo è lo stato, costante, uno stato situazionale; è la sua stessa patente, la sua condizione ab urbe condita, una volta fondata la famiglia. È la sua stessa definizione, il pane di tutti i (suoi) giorni, il cruccio delle sue notti. È il midol­lo, stesso, della sua vita, il segreto della sua esistenza, la sua regola interiore, la sua regola esteriore, la regola del suo secolo, la sua regola di secolo. 
Ed è un pover’uomo; innocente criminale; innocente responsabile; innocente colpevole; innocente assalito da scrupoli; innocente tormentato dai rimorsi; legato, incatenato da ogni parte, mani, piedi, da tutti i lacci, da tutte le catene, è lui, amico mio, è lui, e lui solo, che ha le relazioni peri­colose; confuso, prigioniero, ostaggio, manette alle ma­ni, ganasce ai piedi, capo, responsabile dei prigionieri, capo, responsabile degli ostaggi, fa pena, è esposto a tutto, ai quodlibet, alle ingiurie, al peggio di tutto: a una sorta di riprovazione, di malevolenza universale, di presa in giro, di tacita ingiuria, (peggiore, infinitamen­te più grave di quella formale), perché se è così tacita, se può essere così sottintesa, come se andasse da sé, per così dire; non vale la pena di parlarne, perché tutti lo sanno bene; è una cosa intesa, senza che ci si pensi, una cosa alla quale tutti consentono, a cui tutti danno la mano. 
È infinitamente peggio di una cosa infinitamen­te concertata, che una cosa universalmente concertata. È una cosa universalmente non concertata. Così è infi­nitamente meno demolibile. Una cosa che va da sé. Che si sappia. Allora tutti ci calpestano sopra.
Allora, rin­galluzzito, anche il prete ci calpesta sopra. Clericus. Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta lo av­verte, uno degli avvertimenti, uno degli istinti più si­curi, uno degli istinti più infallibili, un segreto orgo­glio infallibile lo avverte che è lui il nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia, che il padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla clericatura, l’uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto segreto lo avverte che lui è infinita­mente più vicino al pubblico peccatore; e reciproca­mente; che il tribuno, l’oratore, l’eloquente, l’uomo della tribuna è infinitamente più vicino all’uomo del pulpito, infinitamente più imparentato all’uomo del pulpito, che l’uomo del meeting, della pubblica riunio­ne è infinitamente più vicino all’uomo della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e per l’al­tro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insie­me l’uno e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e quasi continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa, interna, un accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più che appartengono allo stesso mondo; e per la regola che il celibe, l’uomo libero, il non prigioniero, il non ostag­gio, lo slegato, il non legato, l’inlegato, il mai legato, lo scantonatore, il pié leggero, il corridore, il bombarolo, il festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente più vicino; e più pronto, più disponibile; che lui piace di più; che con lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre. E poi è lui che è un personaggio gradevole. Il padre di fami­glia è un povero essere. Tirar su solo tre bambini, pensa un po’. Che grottesco, che ridicolo. Tutte le forze della società sono congiurate, si congiurano contro una cosa del genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte delle forze della società. 
Allora tutti calpestano il padre di famiglia. Allora il sacerdote, ardi­to, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe, l’uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avven­turiero, che vive di avventure.
Invece è l’uomo di fami­glia che è un avventuriero, che vive non solo alcune avventure, ma una sola, una grande, un’immensa, una totale avventura; l’avventura più terribile, la più costan­temente tragica; la cui vita stessa è un’avventura, il tes­suto stesso della vita, la trama e l’ordito, il pane quoti­diano. 
Ecco l’avventuriero, il vero, il reale avventuriero.

- Charles Péguy -


Tanti auguri a tutti i papà... a quelli che lo sono ...  a quelli che lo saranno .... 
e un abbraccio a tutti gli uomini che vorrebbero ...  ma la vita ha disposto altrimenti. 
Un abbraccio!
Stefania






mercoledì 4 marzo 2020

Preghiera per la vita - papa Benedetto XVI

Signore Gesù,
che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza
la Chiesa e la storia degli uomini;
che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue
ci rendi partecipi della Vita divina
e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna;
noi ti adoriamo e ti benediciamo.

Prostráti dinanzi a Te, sorgente e amante della vita
realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo.

Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente,
rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno
la mirabile opera del Creatore,
disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino
che si affaccia alla vita.

Benedici le famiglie,
santifica l'unione degli sposi,
rendi fecondo il loro amore.

Accompagna con la luce del tuo Spirito
le scelte delle assemblee legislative,
perché i popoli e le nazioni riconoscano e rispettino
la sacralità della vita, di ogni vita umana.

Guida l'opera degli scienziati e dei medici,
perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona
e nessuno patisca soppressione e ingiustizia.

Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti,
perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti
affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi
alla nascita di nuovi figli.

Consola le coppie di sposi che soffrono
a causa dell'impossibilità ad avere figli,
e nella tua bontà provvedi.

Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati,
perché possano sperimentare il calore della tua Carità,
la consolazione del tuo Cuore divino.

Con Maria tua Madre, la grande credente,
nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana,
attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore,
la forza di amare e servire la vita,
in attesa di vivere sempre in Te,
nella Comunione della Trinità Beata.


- papa Benedetto XVI -


Papa Benedetto XVI ha pregato per la protezione della vita e della famiglia alla fine della Veglia per la vita il 27 novembre 2010. La preghiera, scritta dallo stesso Santo Padre, chiede al Signore la benedizione per tutte le famiglie.


Racconta una antica leggenda che un bambino che stava per nascere disse a Dio:
- Mi dicono che mi stai per mandare sulla terra però come vivrò così piccino e indifeso come sono?
- Tra molti angeli ne ho scelto uno per te, che ti sta aspettando e avrà cura di te.
- Però dimmi: qui nel cielo non faccio altro che cantare e sorridere; questo basta per essere felice.
- Il tuo angelo ti canterà, ti sorriderà tutti i giorni e tu sentirai il suo amore e sarai felice.
- Ma che farò quando vorrò parlare con te?
- Il tuo angelo ti unirà le manine e ti insegnerà il cammino perché tu possa avvicinarti a me, benché io ti sarò sempre a fianco.
In quell'istante, una grande pace regnava nel cielo però già si udivano voci della terra e il bambino premuroso ripeteva soavemente:
- Dio mio se già me ne devo andare, dimmi il suo nome... come si chiama il mio angelo?
-Il suo nome non importa, tu la chiamerai "mamma".




C'è una donna che ha qualcosa di Dio per l'immensità del suo amore e molto di un angelo per l'instancabile sollecitudine verso i suoi cari.
Una donna che, da giovane, ha la saggezza di un'anziana e, nella vecchiaia, lavora con il vigore della gioventù.
Una donna che se è povera, è soddisfatta dalla felicità di coloro che ama, e se è ricca darebbe volentieri tutto il suo tesoro per non subire la ferita dell'ingratitudine.
Una donna che pur essendo vigorosa, trema al pianto di un bambino e, pur essendo debole, ha il coraggio di un leone.
Questa donna è la mamma.

Agenda biblica missionaria 2007 EMI




Preghiera per i genitori in attesa

Dio della vita, Signore dell’universo,
Creatore del mondo,
grazie per questa nuova creatura
che si nutre di noi e cresce nel grembo della
nostra famiglia.
Grazie perché ci doni di essere tuoi alleati
nel dono della vita
che vince sulla menzogna e sulla morte.
Concedici ora di gustare l’abbandono fiducioso a te,
di essere poi coraggiosi, accoglienti e generosi,
forti nei momenti difficili e attenti al bene come vuoi tu.
Ti preghiamo per questo/a figlio/a
che sia sereno/a, goda di buona salute
conosca l’amore e l’accoglienza
cresca con te al suo fianco.
Donaci, con l’aiuto di Maria, di saper testimoniare
fiducia e speranza a questa
creatura che ci hai affidato
e che metteremo nel tuo mondo.
Amen







Buona giornata a tutti. :-)


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mercoledì 4 dicembre 2019

Ma perché un figlio sappia a chi appartiene, bisogna che anche il padre sappia a chi appartiene - Franco Nembrini

"Ma perché un figlio sappia a chi appartiene, bisogna che anche il padre sappia a chi appartiene."

"La tragedia del nostro tempo è che non c’è più educazione. Siamo forse la prima generazione di adulti che vive in modo così drammatico il problema della tradizione, cioè della consegna da una generazione all’altra di un patrimonio di conoscenze, di valori, di certezze, di positività, di un’idea buona della vita. 
Non è più così scontato, non è più così facile che avvenga quel miracolo che sempre è stata l’educazione e che ha garantito, nel bene e nel male, anche in momenti terribili della storia, che il mondo andasse avanti. 
Evidentemente ci sono delle ragioni. Per esempio, è stata troppo sistematicamente distrutta, da parte di una certa cultura, l’idea del padre. Perché è attorno a questo nodo che si gioca la partita dell’educazione: l’educazione c’è se in primo luogo c’è l’adulto.
Una certa cultura prima ha distrutto l’idea stessa di Dio, di una Paternità grande a cui l’uomo appartiene o è desideroso di appartenere; ma così si è tarlata la certezza stessa dell’uomo di avere qualche cosa di buono e di intelligente da dire ai propri figli, in casa sua. 
Il problema è il cinismo di una cultura che ha distrutto l’unica cosa di cui i nostri figli hanno bisogno: sapere a chi appartengono, cioè avere un padre e una madre. 
Sapere di chi sono, perché è l’unica cosa che li educa e li preserva, anche psicologicamente, da tutte le patologie da cui sono ormai massacrati. 
Ma perché un figlio sappia a chi appartiene, bisogna che anche il padre sappia a chi appartiene."

- Franco Nembrini -
 in Il Sussidiario. net



1. Padre nostro che sei nei cieli
Dio onnipotente, ogni cosa viene da te: il tempo, gli uomini, le cose. Ma tu non sei una fonte senza nome, né una forza bruta, cieca, impersonale.
Tu porti un nome: Padre.
Sì, tu sei Padre e noi siamo tuoi figli, Tuo Figlio è venuto per dircelo.
Che mai il tuo nome sia cancellato dalla nostra memoria. 
Qualunque cosa accada, ricordacelo senza posa.
Nelle ore di scoraggiamento o di rivolta torna a dire a ciascuno una parola della speranza, la parola di liberazione: «Non aver paura: Io sono tuo Padre. Una madre dimenticherebbe forse il suo bambino? 
Io non ti dimenticherò mai. Io resto per te un Padre oggi e per sempre».
2. Sia santificato il tuo nome
Signore, fin dalle origini hai rivelato il tuo nome al tuo popolo.
Gli hai detto: «Il mio nome è Jahwé», 
che vuol dire: lo sono sempre con te. Non ti abbandono mai e su di te si volge per sempre il mio sguardo. «Il mio nome è Jahwé, il Signore», che vuol dire: lo ti salvo. Io ti libero dai tuoi oppressori, ma quando voglio e come io voglio: perché non sono legato da nulla, se non dal mio amore infinito per te, o popolo mio. «Sì, il mio nome è Jahwé», che vuol dire: Al di fuori di me non c'è altro Dio. 
Non appoggiarti, dunque, su nessun altro perché io non posso soffrire rivali e distruggo ogni idolo. 
Conta soltanto su di me e sul mio nome: «Jahwé, il Signore». 
Sì, o Padre, che il tuo nome sia santificato.

3. Venga il tuo Regno
Padre, il tuo Regno viene. Noi lo crediamo sulla tua parola anche se lo percepiamo appena, anche se qualche volta esso ci è completamente nascosto. Perdonaci se ci lamentiamo: «Dove sono l'amore, la gioia, la giustizia e la pace del tuo Regno? Dove sono i doni del tuo Spirito? Dove la messe biondeggiante che il Cristo ci ha promesso?». Padre, ci sono tante cose in questo mondo che ci fanno chiedere se è proprio vero che il tuo Regno viene: sofferenze e ferite che - come il tuo Figlio nell'ora della croce ci fanno gridare: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». 
Resta con noi, Signore, nelle difficili ore del dubbio. 
Non lasciarci soccombere all'angoscia del giardino degli ulivi ma fortificaci nella certezza che niente può ritardare l'ora del tuo Regno di giustizia, d'amore e di pace.

4. Sia fatta la tua volontà
Padre, il tuo Figlio ha detto sempre di sì. Attraverso la sua croce e la sua risurrezione, una volta per tutte, egli ha piantato sulla nostra terra il «sì» che eternamente egli proferisce davanti al tuo volto. 
Così, anche noi possiamo dire «sì», anche noi, dopo di lui, in lui, nella forza del suo cuore obbediente. 
Il suo «sì» ci ha preceduti, come quello di sua madre che è madre di tutti: Maria. Anche e soprattutto nei momenti in cui ci domandiamo, con angoscia e perplessità: «Come avverrà questo?». 
Padre, donaci la grazia di credere che per te tutto è possibile, e donaci la gioia di dire: «Sia fatto di noi secondo la tua parola».

5. Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Padre, non ti chiediamo l'abbondanza che ci mette al sicuro da ogni rischio, ma ti chiediamo il pane quotidiano che ci basta per oggi. Mentre il tuo popolo camminava nel deserto - nel paese della morte - tu gli hai offerto ogni giorno la manna, pane venuto dal cielo che non si poteva conservare. Ed ogni giorno il tuo popolo mangiava secondo la sua fame confidando, l'indomani, in altro nutrimento. 
Insegnaci a vivere in questa confidenza sempre rinnovata. 
Metti nei nostri cuori la fede audace che ci permetterà di camminare sui tuoi sentieri, senza altra assicurazione che la tua promessa e la certezza d'essere amati da te.

6. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Padre, non c'è niente di tanto difficile come offrire un vero perdono, soprattutto a quanti ci sono vicini e che ci hanno davvero fatto soffrire. 
Tanti pretesti percorrono la mente: «Non tocca a me cominciare. Ne vale la pena? No, oggi non posso... Forse domani...». Non solo ci costa perdonare, ma ci chiediamo anche se il perdono è davvero possibile. 
Padre, noi lo sappiamo, la riconciliazione e il perdono non possono venire che da te. Allora, donaci la grazia del perdono, la forza di riconciliarci con quanti ci sono vicini, sotto il nostro tetto; con quelli che sono lontani. 
Facci amare anche i nostri nemici. Non permettere che il sole tramonti sopra la nostra collera o i nostri rancori. 
Facci la grazia di fare il primo passo e ti rassomiglieremo.

7. Non ci indurre in tentazione
Padre, non sei tu che induci in tentazione. Siamo noi che soccombiamo per debolezza o disimpegno, dopo una lotta ardente o una timida resistenza. Siamo così fragili, così deboli davanti agli innumerevoli idoli che ci attirano lontano da te! Noi restiamo come sospesi tra la tua grazia e la nostra libertà così precaria. 
Ti preghiamo, Padre, salvaci dalla tentazione, strappaci dalla trappola del denaro, degli onori, del potere. 
Resta con noi con la forza del tuo Spirito agli innumerevoli incroci dove siamo chiamati a scegliere tra la via della vita e quella che conduce alla morte. 
Resta con noi, Signore.

8. Ma liberaci dal male
Padre, un male dai molteplici volti ci assedia: l'egoismo forsennato che si installa nell'intimo dell'uomo o si annida nelle strutture della nostra società, la violenza, l'odio... Ma questo male che percorre un mondo che sembra alla deriva, abita anche i nostri cuori: perché è proprio là che esso nasce. Padre, ricordaci ancora che il male non è una semplice forza cieca, ma una potenza intelligente, calcolatrice e raffinata. 
Esso è Qualcuno: il Maligno, principe della menzogna; il Diavolo: colui che fin dall'inizio semina la discordia nei cuori, nelle famiglie, tra i popoli, tre le grandi potenze. 
Padre, liberaci dal Male.
Amen.
Padre nostro
- Card. Godfried Danneels -
Arcivescovo di Malines - Bruxelles


Buona giornata a tutti :-)


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sabato 14 settembre 2019

Riflessioni sui figli - Antonio Polito

La seconda rivoluzione che ha spogliato i nostri figli del senso di responsabilità è stata paradossalmente proprio quella che ha consegnato alle madri e ai padri il potere di una scelta responsabile: la contraccezione facile. 
Da quando è comparsa la pillola a regolare maternità e paternità, i figli sono diventati tutti "voluti" (dei "non voluti", d'altronde, non sappiamo molto perchè tendono a non nascere).

Un figlio " voluto" ha uno status diverso da un figlio " venuto".
Il figlio voluto deve avere tutto ciò per cui è stato voluto. 
Anzi è voluto solo se e quando ciò che per lui è stato programmato è diventato possibile.
E' il risultato finale di un processo di accumulazione capitalistica, l'esito di una partita doppia economico - sentimentale, il vaso di cristallo in cui riversare un intero progetto di vita.

Ovvio che, una volta nato, il figlio voluto si trasformi in una semidivinità  (e che anche per questo tenda a restare unico).

Al figlio venuto si dà quel che si può, si lascia che se la cavi da solo, l'esistenza per il figlio venuto è più caotica, incerta, belluina, come la vita vera.

Il figlio voluto penserà invece che tutto gli sia dovuto."

- Antonio Polito - 
Fonte: "Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli", editore Rizzoli



[...] cosa significa davvero diventare genitori? Lo si diventa biologicamente o quando si riconosce con un gesto simbolico il proprio figlio assumendosi nei suoi confronti una responsabilità illimitata? 
Le due cose non si escludono ovviamente, ma senza quel gesto la generazione biologica non è un evento sufficiente a fondare la genitorialità. [...] 
Generare un figlio non significa già essere madri o padri. 
Ci vuole sempre un supplemento ultra-biologico, estraneo alla natura, un atto simbolico, una decisione, un'assunzione etica di responsabilità. 
Un padre e una madre biologica possono generare figli disinteressandosi completamente del loro destino. 
Meritano davvero di essere definiti padri e madri? 
E quanti genitori adottivi hanno invece realizzato pienamente il senso dell'essere padre e dell'essere madre pur non avendo alcuna relazione biologico-naturale coi loro figli?

- Massimo Recalcati - 


«Oggi il bimbo detta legge in famiglia è diventato un dio da osannare, i genitori gli danno tutto ciò che vuole. Perché porre limiti al godimento istantaneo? Siamo in una società dove la rinuncia è priva di senso, dove dire “no” sembra un delitto». 
E poi ci sono le nuove malattie dei genitori, mai viste prima: la paura di non essere amati dai figli. 
Mio padre non si è mai chiesto se lo amavo, ero io piuttosto a chiedermi se contavo qualcosa per lui. 
Per essere amati facilmente bisogna dire sempre “sì”, ed è quello che fanno i genitori oggi. 
Questo li detronizza. È sparito il conflitto generazionale, non c’è lotta tra padre e figlio, anzi sono diventati amici. 
L’altra malattia dei genitori è l’ossessione per la riuscita, per la prestazione del figlio. Non si tollerano più i fallimenti, gli errori, le imperfezioni fisiche: il bimbo deve essere capace, il migliore se possibile in ogni ambito, bello, perfetto. 
Quando una cultura cancella il fallimento si distrugge, perde di vista il fatto che l’essenziale nella vita non è essere perfetti, ma amare la stortura, le bizzarrie. 
Il disagio giovanile è legato a questo rapporto rovesciato con i genitori. 
I giovani sono depressi, senza slancio, senza desiderio. «Siamo di fronte a giovani che hanno tutto, ma non desiderano niente»,  «E sono dipendenti dagli oggetti tecnologici. Vivono un’apatia frivola e una connessione continua. Ma come possiamo fare per sconnetterli. Per riaccendere in loro la vita? 
Con la nostra passione, con la nostra vita. Avviene per contagio».

- Massimo Recalcati -


 Preghiera dei genitori

Donaci, Signore, gioie pure,
dolori sopportabili, amore paziente,
lieta e forte concordia nel bene.
Donaci un pane per la nostra famiglia,
vita e virtù per educare i nostri figli.
Nelle tue mani raccomandiamo
I giorni che benigno concedi.
Donaci di consolare e nobilitare
Con l’esempio e la parola
Quanti incontriamo
Sul nostro cammino.
Insegnaci ad espiare le nostre colpe
Che non ricadano sulla nostra famiglia.
Liberaci dal male
E consòlaci con la tua pace.



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venerdì 22 marzo 2019

L’altra malattia dei genitori è l’ossessione per la riuscita, per la prestazione del figlio - Massimo Recalcati

Il proprium dell’uomo è l’educazione, perché l’educazione è quella cosa misteriosa per cui, per il fatto stesso che esistiamo, educhiamo. 
Tutti in qualche modo educano e tutti sono educati continuamente, perché la vita è un’educazione continua, se per educazione si intende appunto non un addestramento, non l’acquisizione di determinate competenze, che sono un aspetto dell’educazione, ma se si intende una compagnia che gli adulti fanno, che una generazione di adulti fa a una generazione di giovani, perché questa generazione di giovani risponda all’attesa che ha di felicità, di bene, che la vita sia buona, che la vita sia una cosa positiva. 
Se l’educazione è questo, sempre educhiamo, tutti educhiamo; poi c’è quel mestiere particolare che è il genitore e quel mestiere particolare che è l’insegnante che hanno una loro fisionomia e una loro caratteristica. 

- Franco Nembrini -



L’altra malattia dei genitori è l’ossessione per la riuscita, per la prestazione del figlio. 
Non si tollerano più i fallimenti, gli errori, le imperfezioni fisiche: il bimbo deve essere capace, il migliore se possibile in ogni ambito, bello, perfetto. «Quando una cultura cancella il fallimento si distrugge, perde di vista il fatto che l’essenziale nella vita non è essere perfetti, ma amare la stortura, le bizzarrie». 
Il disagio giovanile è legato a questo rapporto rovesciato con i genitori. 
I giovani sono depressi, senza slancio, senza desiderio. 
«Siamo di fronte a giovani che hanno tutto, ma non desiderano niente», e sono dipendenti dagli oggetti tecnologici. Vivono un’apatia frivola e una connessione continua. Ma come possiamo fare per sconnetterli. Per riaccendere in loro la vita? 
Con la nostra passione, con la nostra vita. Avviene per contagio».

- Massimo Recalcati - 



“Arriva un momento in cui i figli ti si staccano dalle mani,
come sull'altalena, quando li spingi per un pezzo e poi li lasci andare.
Mentre salgono più in alto di te, non puoi fare altro che aspettare, e sperare che si reggano saldi alle corde.
L'oscillazione te li restituisce, prima o poi, ma diversi e mai più tuoi”.

- Paolo Giordano - 
“La maestra Gisella”




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