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martedì 25 febbraio 2020

Brani estratti del libro “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün - 1 -

I tuoi genitori ti hanno dato un nome. 
Dal giorno della tua nascita ti hanno chiamato con quel nome. Il nome è parte essenziale di te. Attraverso di esso trovi la tua identità. Quando venivi chiamato con il tuo nome, sapevi che si riferiva solo a te. 
Conti nella tua qualità di persona unica. Hai un nome. 
Attraverso questo nome ti differenzi dagli altri. 
Non sei un numero interscambiabile. Il nome diventa parte integrante della tua identità. Nel tuo nome è riassunta tutta la storia della tua vita. 
I tuoi genitori ti hanno chiamato con quel nome, ma nel corso della tua esistenza gli hai dato un significato con il tuo modo di sentire e di pensare, con la tua azione. Anche in bocca ai tuoi amici il tuo nome assume un sapore particolare. Altre persone possono chiamarsi come te, ma il tuo ha un suono totalmente diverso, unico, speciale. 
Quando si chiama il tuo nome, esso si riferisce a te, a te e alla tua inconfondibile persona.

tratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Queriniana


Il modo in cui percepiamo il nostro nome è legato alle persone che ci chiamano così. Quando le persone care ci chiamano con questo nome, tutto il loro affetto e il loro amore si condensa in esso. Sento il mio nome e già si risveglia il ricordo di come mio padre, mia madre, i miei fratelli, i miei zii lo hanno pronunciato. Il loro amore è condensato in questo nome. Mi raggiunge ogni volta che si fa il mio nome. 
Forse la tua ragazza o il tuo ragazzo, tua moglie o tuo marito hanno donato al tuo nome un nuovo suono. Forse in esso hai udito qualcosa che prima non avevi mai collegato al tuo nome.
Quando i tuoi compagni di scuola ti hanno preso in giro per il tuo nome, lo hanno abbreviato o storpiato, lo hai forse trovato brutto. Ma è bene che ti ricordi di tutte le persone che hanno riversato il loro amore nel tuo nome. 
Il modo in cui percepisci il tuo nome dipende anche da chi altro lo porta. Se tuo padre o tua madre si chiamano come te o se ti è stato dato il nome di tuo nonno o di tua nonna o di un tuo zio, tutto ciò ti riempie di orgoglio. 
Continui la tradizione familiare. Ti senti in dovere di rappresentare su questa terra un po' dello spirito dei tuoi genitori o dei tuoi nonni, di tramandarlo. 
Nel tuo nome sopravvive una parte di quanto hanno vissuto i tuoi antenati.
Tutti coloro che pronunciano il tuo nome indicano te così come sei. Connotano il nome attraverso il significato del rapporto che hanno con te, attraverso i loro sentimenti, attraverso il loro amore e il loro affetto, talvolta purtroppo attraverso i loro pregiudizi e il loro risentimento. 
Lascia i pregiudizi a quelli che li hanno. Isola nel tuo nome solo l'amore e la dolcezza che gli attribuiscono Dio e gli uomini. 
Pronuncia il tuo nome lentamente e ad alta voce. Assaporalo e gustalo. Com'è? 
Quali sensazioni lascia? 
Che immagini fa scaturire dentro di te?



tratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Queriniana


Non solo gli uomini ti hanno chiamato per nome, bensì anche Dio. Nel libro del profeta Isaia Dio dice a Israele: «Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni» (Is. 43,1). Ciò vale anche per te. Quando Dio ti chiama per nome esprime con questo il fatto che per Lui sei importante. Davanti a Dio sei unico. Dio stesso ti ha creato. Tu gli appartieni. Nessun essere umano ha potere su di te. Dio riversa il suo amore divino nel tuo nome. Dio si rivolge a te, Dio ti conosce per nome, conosce il tuo cuore, sa che cosa provi. Si rivolge a te personalmente. 
Ha una relazione individuale con te. Non sei solo uno tra i tanti. Sei unico. Per Dio hai un'importanza tale che si rivolge personalmente a te per prometterti qualcosa di bello, qualcosa destinato a essere un sostegno per la tua vita, qualcosa che costituisce le fondamenta su cui edificare la tua esistenza. Il nome con cui Dio ti chiama ti dimostra la tua inconfondibile dignità di essere umano.
Quando la Chiesa celebra la festa di San Giovanni Battista canta nell'antifona la sua nascita con le parole tratte dal libro del profeta Isaia: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome» (Is 49,1). 
Dal momento della tua nascita in poi il Signore ti ha chiamato per nome. E ti ha chiamato a fare qualcosa. 
Hai una missione in questo mondo. 
La tua vocazione è quella di contribuire a far sì che questo mondo appaia più umano e più degno di essere vissuto. 
Attraverso di te, qualcosa che può farsi visibile solo grazie a te vuole risplendere in questo mondo. Dio ti dice: «Mio servo tu sei, sul quale manifesterò la mia gloria» (Is 49,3). Dio ha un progetto speciale per te. 
In te deve rifulgere la sua gloria. In te deve apparire un po' della bellezza divina. 
Sei un prisma attraverso il quale Dio appare in questo mondo in modo unico e irripetibile.
Gesù come buon pastore «chiama le sue pecore una per una» (Gv 10,3). 
Ogni singola persona è per lui così importante che dona la sua vita per lei. Poiché intercede per ognuno di noi, ciascuno si sente protetto. Il sacrificio di Gesù ci dona la vita eterna, la vera vita. «Io do loro vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano» (Gv 10,28). Gesù non ha soltanto chiamato i discepoli per nome in un lontano passato, anche oggi pronuncia il tuo nome. 
Gesù ti conosce personalmente. Conosce i tuoi sentimenti, i pericoli che ti minacciano, le tue doti.
Desidera una relazione personale con te. Se entri in relazione con Lui, ti donerà la vita eterna, una vita degna di questo nome. 
Vita eterna significa vita autentica, un'esistenza in cui cielo e terra, Dio e essere umano sono uniti tra di loro. Quando Gesù ti chiama per nome, nessuno ti può rapire dalla sua mano, nessuno ti può sciogliere dal tuo legame con Lui. 
La sua mano ti protegge, ti dona un riparo e ti sostiene.
Dopo la risurrezione Gesù chiamò Maria Maddalena per nome. Ciò penetrò fin nel profondo del suo cuore. Maria cadde in ginocchio e disse: «Rabbuni = Maestro mio». Nel momento in cui udì il suo nome dalle labbra di Colui a cui doveva la vita, avvenne in lei la risurrezione. Il suo lutto venne trasfigurato, le lacrime smisero di scorrere. Si sentì di nuovo amata, risollevata alla sua dignità inviolabile. Nel proprio nome percepì l'amore di quel Gesù che aveva scacciato da lei sette demoni.
Maria Maddalena era infatti così lacerata al suo interno da poter ritrovare se stessa solo con l'accettazione totale di Gesù. Poiché Gesù le si era rivolto con tanto amore riuscì ad accettare se stessa. 
Nel momento in cui Gesù nomina il suo nome dopo la risurrezione, Maria sperimenta la dolcezza risanatrice dell'amore di Gesù. Era un nuovo nome quello datole da Cristo, un nome che la rigenerava. Le cose vecchie si staccarono da lei. La malattia era guarita. Era solamente Maria, l'amata da Dio, l'amica di Gesù, a cui era destinato il suo amore. L'amore di Gesù l'ha rigenerata nel pronunciare il suo nome.
Quando pensi al tuo nome, immagina che Gesù in questo momento ti stia chiamando. Gesù rigenera anche te quando pronuncia il tuo nome. Si rivolge a te, rivolge a te il suo sguardo. 
La sua voce e il suo sguardo ti trasformano nell'immagine unica che Dio ha di te, nell'immagine bella e nuova che rispecchia la gloria di Dio in modo puro. Quando Egli pronuncia il tuo nome vuole dirti: «E’ bene che tu esista. E’ bene che tu sia qui. 
Puoi essere come sei. 
Sei unico. Io ti sostengo. 
Ti amo. 
Ora accettati a tua volta. 
Chiama te stesso con il tuo nome e ricolmalo di tutta la dolcezza di cui sei capace».



tratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Queriniana


Buona giornata a tutti. :-)


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lunedì 29 luglio 2019

da: "L'ultima beatitudine, la morte come pienezza di vita" - Padre Alberto Maggi

Introduzione:
La morte di una persona cara è un dramma che segna per sempre l’esistenza degli individui, sia per quelli che pensano che la morte sia la fine di tutto, sia per quanti credono nella risurrezione o in altre forme di sopravvivenza. Ma la sofferenza per la perdita della persona amata è paradossalmente più dolorosa proprio per i credenti, a causa delle confuse o errate idee religiose che accompagnano la morte, e degli intenti consolatori di parenti, amici e conoscenti, specialmente se questi sono persone religiose.
Nell’istante del lutto sono molti gli interrogativi riguardo a tutto quel che circonda la morte (Perché proprio a lui o lei? Perché ora? Perché così giovane e così buono?). Ma, soprattutto, è inquietante l’interrogativo: dove è ora il defunto? Com’è? Che cos’è? Che cosa fa? È sufficiente la tradizionale risposta che i nostri cari, nella migliore delle ipotesi, sono in Cielo e contemplano beati il Signore per tutta l’eternità? Che godono della Requiem aeternam in una sorta di Casa di Riposo celeste?
Il momento del lutto non è tempo di parole ma di silenzio, di presenza che supplisca l’assenza, di forza che si faccia carico della debolezza.
Quale parola potrà infatti mai confortare la persona afflitta dalla perdita di un proprio caro? Ogni parola e ogni frase, anche se formulate con le migliori intenzioni, saranno inadeguate e inopportune, come denuncia Giobbe agli amici venuti a consolarlo: «Ne ho udite già molte di cose simili! Siete tutti consolatori molesti. Non avranno termine le parole campate in aria? O che cosa ti spinge a rispondere? Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: comporrei con eleganza parole contro di voi e scuoterei il mio capo su di voi. Vi potrei incoraggiare con la bocca e il movimento delle mie labbra potrebbe darvi sollievo» (Gb 16,2-5).
Nel tempo del lutto c’è solo da com-piangere, piangere con chi piange («Piangete con quelli che sono nel pianto», Rm 12,11), circondare le persone di caldo affetto e tanto amore. A chi è affranto per la morte che l’ha colpito nei suoi affetti più cari non servono parole, ma occorre fargli sperimentare la forza della vita. Poi, dopo qualche tempo, può venire il momento del dialogo, per cercare di dare un significato a quel che sembra insensato, come appunto è la morte, per tentare di capire che quel che appare come un annichilimento in realtà è un potenziamento della persona. Ma ci vuole tempo, pazienza, discrezione e tanta delicatezza. Un approccio maldestro, seppure animato da buoni propositi, può causare danni devastanti e spesso irreparabili.
Quel che occorre fare subito, al momento del lutto, è evitare accuratamente le persone pie, devote, bigotte, quelle che su tutto pontificano con frasi preconfezionate, sentenze, certezze che non attingono dalla loro esperienza ma dalla dottrina.
Sono quelle che alla persona distrutta dal dolore sentenziano: «Il Signore l’ha chiamato», «L’ha preso» e, se il morto era conosciuto per la sua bontà, affermano sicure, accompagnando la frase con un rassegnato sospiro: «Eh, sono sempre i migliori che se ne vanno!» oppure, con aria quasi soddisfatta: «I più buoni il Signore li vuole con sé», o in alternativa: «Era già maturo per il paradiso».
Nel caso il defunto sia molto giovane, questi becchini del dolore affermano impudentemente che «I fiori più belli il Signore li vuole con sé…».
Se poi è un bambino in tenera età, consolano i genitori dicendo che il loro bimbo «È un angioletto in paradiso…».
Queste espressioni consolatorie precedono il cristianesimo e sono note fin dall’antichità.
È di Menandro, famoso commediografo greco vissuto tre secoli prima di Cristo, la celebre frase «Muore giovane colui che gli dèi amano» (frammento 111 K.-Th), ripresa da Giacomo Leopardi, come epigrafe per il suo Amore e morte (XXVII): «Muore giovane colui ch’al cielo è caro».
Nel Libro della Sapienza, la morte del giovane viene giustificata così: «Il giusto, anche se muore prematuramente, si troverà in un luogo di riposo […]. Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e, poiché viveva fra peccatori, fu portato altrove. Fu rapito, perché la malvagità non alterasse la sua intelligenza o l’inganno non seducesse la sua anima […]. Giunto in breve alla perfezione, ha conseguito la pienezza di tutta una vita» (Sap 4,7.10-11.13).
A chi non accetta e non si rassegna a questo lutto, e protesta, dicendo che l’angioletto se lo sarebbero tenuto ben volentieri nella loro famiglia, ecco tutto un fuoco di sbarramento a forza di «Accetta la croce che Dio ti ha mandato», «È la volontà del Signore», «È il Signore che pota», «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto», «La felicità non è di questo mondo», con tutto l’inesauribile repertorio dell’infinito stupidario religioso del quale si alimentano insaziabili i pii devoti, più beoti che beati.
Frasi che non solo non consolano, ma gettano nel più profondo sconforto quanti sono nel lutto e nel pianto, facendo nascere un sordo rancore verso questo Dio spietato che toglie, coglie, manda croci, pota vite e persone, e la cui volontà coincide sempre con la sofferenza degli uomini e mai, neanche una sola volta, con la loro felicità.

 - Padre Alberto Maggi -
frate dell’Ordine dei Servi di Maria 
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore





Riappropriarsi della morte Per vivere serenamente la pur dolorosa esperienza della morte, è importante per prima cosa riappropriarsi del morire, il momento decisivo nella vita dell’individuo ma dal quale si è stati a poco a poco espropriati. Verso gli anni Trenta del secolo scorso, è iniziato il gran mutamento nel concetto del morire e della morte, che è coinciso con lo spostamento del luogo dove si muore. Il progresso in campo medico e il rinnovo delle strutture ospedaliere, che da precari ricoveri assumevano via via sempre più l’aspetto di cliniche ben organizzate, hanno fatto sì che il morire non avvenga più in casa, tra i propri familiari. Il decesso avviene quasi sempre in ospedale, tra medici e infermieri, lasciando così il morente da solo nella tappa fondamentale e più delicata di tutta la sua esistenza. 
Proprio nel momento nel quale è importante più che mai essere accompagnati, ci si sente abbandonati. 
Nelle foto e nei dipinti dei secoli passati, la stanza del morente era sempre affollata di persone, dal prete ai familiari, parenti, amici, bambini compresi, che oggi vengono invece comunemente allontanati per non impressionarli con la vista del cadavere, salvo poi lasciarli da soli per ore davanti al televisore a impressionarsi di video truci dove ogni istante qualcuno muore nei modi più violenti. 
L’iconografia dell’Ars moriendi, l’arte del morire, del XV e XVI secolo, presenta infatti il momento del decesso come una vera e propria cerimonia pubblica. Il morente, che è del tutto conscio della sua fine imminente, attorniato da familiari e amici, dal prete che gli ha amministrato l’estrema unzione, vi partecipa, lasciando non solo l’ultima immagine di sé, ma anche le sue ultime volontà, che saranno custodite come preziose reliquie dai familiari.
  
- Padre Alberto Maggi -

frate dell’Ordine dei Servi di Maria 
Da: “L’ultima Beatitudine” La morte come pienezza di vita, Garzanti editore


Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 15 maggio 2019

Gli inganni della mente

Girovagando per il mondo, a Gesù venne un'idea per mettere alla prova il suo amico Pietro.
«Ascolta, Pietro: ti piacerebbe avere un bel cavallo sul quale percorrere senza fatica lunghi tragitti?»
«Altrochè!» rispose Pietro di rimando. «Ho sempre sognato un destriero che obbedisca solo al mio richiamo e mi trasporti veloce come il vento». 
Già si immaginava ergersi impettito su un gran cavallo bianco, poi guardò il Signore, forse un po' vergognandosi di quel pensiero che lui certamente aveva letto nella sua mente.
«E allora, sai cosa ti propongo? Avrai quel cavallo se sarai capace di recitare tutto di fila un Padre nostro senza mai distrarti per un solo attimo.»
A Pietro non parve vero. Che ci voleva! Gli sembrava fin troppo facile come compito per un regalo così prezioso.
«Oh certo, non ci sono problemi, figurarsi, è dagli anni della nostra amicizia sulla terra che mi insegnasti questa preghiera e io da allora l'ho sempre recitata, e tu sai quanto tempo è passato!»
«Bene, Pietro, allora siamo d'accordo: tu reciterai il Padre nostro senza mai distrarre la tua mente e il cavallo sarà tuo» disse Gesù tutto serio.
A Pietro non parve vero e senza aspettare un solo istante cominciò la sua orazione. Si fosse almeno concentrato un po'!... 
Macchè, via con il Padre nostro.
«Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno... acciderba con un cavallo attraverserei tutto un regno... sia fatta la tua volontà... tutto è sua volontà, forse anche il fatto che io abbia un cavallo..., come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano... anch'io darei ogni giorno la biada al mio cavallo. .. rimetti a noi i nostri debiti, così come noi li rimettiamo ai nostri debitori... non dovrei neppure fare un debito per avere questo cavallo.. .non ci indurre in tentazione...»
E qui Pietro si fermò, conscio solo in quel momento di quale tiro birbone gli aveva giocato la mente!
«Pietro, Pietro, dopo tanto tempo ancora non hai imparato che il cavallo più difficile da domare è proprio la nostra mente.»
«Perdona, Signore, ma è stato senza che io me ne accorgessi. 
D'ora innanzi sarò molto più consapevole che non sempre io sono padrone della mia volontà, ma che la mente può in un attimo portarmi dove lei vuole.»
«Non c'è problema, Pietro» rispose Gesù. «Certo è che oggi tu ci hai rimesso un cavallo».

- Leggenda popolare apocrifa greco-romana -
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 



Buona giornata a tutti. :-)








lunedì 18 febbraio 2019

Le ciliegie di san Pietro

Come voi certamente già sapete, Gesù e san Pietro, di tanto in tanto, ritornano sulla terra per concedersi qualche giorno in mezzo agli uomini e, ma questo è un segreto, perché amano più di ogni altro il nostro pianeta.
Ed ecco che una bella mattina si trovavano a spasso per le campagne della Navarra quando Gesù vide qualcosa in mezzo all'erba.
Osservando più da vicino si accorse che si trattava di un ferro di cavallo, forse un po' arrugginito ma sempre valido. Si rivolse quindi a Pietro pregandolo di chinarsi a raccoglierlo. «Non si sa mai» disse Gesù: «non è detto che non possa servirci».
Pietro, sempre polemico e anche un po' pigro, si domandò quale utilità potesse mai avere per loro quel vecchio ferro; il Maestro a volte gli pareva davvero bizzarro con quelle sue strampalate richieste.
Con fare noncurante gli diede un leggero calcetto togliendolo dal bordo del sentiero. Gesù fece finta di nulla ma, mentre Pietro era tutto infervorato in una discussione su importanti questioni morali, si chinò e raccolse il ferro.
Camminarono quindi fino a raggiungere un villaggio dove contavano di fermarsi a riposare un poco.
Mentre Pietro gironzolava curioso, Gesù adocchiò una bottega di maniscalco al quale pensò di offrire il ferro appena raccolto in cambio di qualche soldo. Con quelle poche monete comprò da un ambulante una manciata di succose ciliegie mature che subito ripose nella sua tasca.
Poco più tardi i due viaggiatori si ritrovarono vicino a una fontanella e si sedettero sul muretto di pietra da cui l'acqua trasbordava fresca e rilucente. Pietro, come sempre, aveva una buona scorta di pettegolezzi raccolti ascoltando gli abitanti del piccolo borgo e Gesù stava divertito ad ascoltarlo.
Venne l'ora di riprendere il cammino e i due forestieri si lasciarono alle spalle il villaggio, intenzionati a raggiungere un monastero di cui avevano tanto sentito parlare da un ospite del Paradiso e dove avevano quindi deciso di passare la notte.
La giornata era caldissima, anzi torrida. Tutto pareva d'oro: il sole, il cielo, i campi colmi di spighe mature e persino l'erba ricordavano il biondo metallo.
Pietro cominciò a provare un'incredibile arsura e, come spesso accade, quel pensiero gli riempì talmente la mente che null'altro pareva avere ormai interesse per lui.
«Cosa c'è, Pietro? Qualcosa non va?» chiese Gesù sollecito.
«Niente, Signore, sto meditando» rispose pronto Pietro, che non voleva confessare quella sua debolezza tutta umana.
Proseguirono in silenzio, Gesù davanti e Pietro dietro di lui, finché dalla tasca di Gesù scivolò a terra un succoso frutto rosso. C'era forse un buchino in quella tasca? Neanche a farlo apposta, rotolò proprio davanti ai piedi di Pietro che, senza proferire parola, lo raccolse come una vera manna piovuta dal cielo.
Che frescura, che nettare, che delizia gustare quel frutto e spremerne il succo nel palato riarso! Quando, dopo pochi passi, un'altra ciliegia cadde a terra, a Pietro non parve vero. Si chinò in fretta, sbirciando appena davanti a sé per controllare che il Maestro non lo vedesse, ma Gesù camminava tranquillo e silenzioso come se nulla fosse.
Una ciliegia dopo l'altra, la tasca si svuotò e Pietro fece una gran scorpacciata di gustose ciliegie, riuscendo a togliersi la sete e riprendendo la sua baldanza.
A un tratto il Signore si voltò verso di lui.
«Fermiamoci sotto l'ombra di quest'albero: potremo riposarci un po'. Fa così caldo!»
Solo in quel momento Pietro cominciò a chiedersi che cosa avrebbe detto se Gesù avesse voluto mangiarsi qualche ciliegia. Che sciocco era stato, si era lasciato prendere dal desiderio di liberarsi dalla sete e dalla golosità per quei frutti squisiti, e ora... come giustificarsi?
Cercò di liberare la gola che pareva aver eretto una barriera contro qualsiasi parola avesse voluto uscire, e bofonchiò qualcosa come... «Sì... d'accordo... sediamoci qui... già, fa caldo... ma tu non hai sete?». Si sentiva così vulnerabile, come un umano qualsiasi colto in flagrante nell'atto di commettere un misfatto.
«Siediti qui, amico mio». Il dolce richiamo del Maestro lo fece sentire ancora più in colpa. Quante volte questo copione era già stato recitato e perché non riusciva a sconfiggere quel suo limite che lo faceva agire d'impulso, senza mai dargli il tempo di riflettere? Era un incorreggibile zuccone!
«Ascolta, Pietro». Gesù iniziava sempre così con il suo amico, perché sapeva bene in quale stato d'animo si trovasse. «Quante volte ti sei chinato di nascosto per raccogliere le ciliegie che cadevano dalla mia tasca? Non sarebbe stato più saggio ubbidire alla mia richiesta e chinarti una sola volta per raccogliere il ferro di cavallo? 
Avresti potuto venderlo tu al villaggio e ci saremmo goduti in santa pace quelle buone ciliegie. Ma non devi rammaricarti: tu sei fatto così e un giorno, quando sarà il momento, imparerai da solo che fidarti di me conviene sempre».
Dette queste parole, Gesù batté tre volte le mani e un bel cesto di ciliegie comparve lì sul prato.
«Dai, non fare quella faccia: gustiamoci insieme questi meravigliosi frutti. Dopo tanto cammino ce li siamo meritati.»

- Antica leggenda armena - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


Buona giornata a tutti. :-)





sabato 12 gennaio 2019

Miracoli - Padre Anthony de Mello

Un uomo traversò terre e mari per verificare personalmente la straordinaria fama del maestro. 
«Che miracoli ha operato il vostro maestro?» chiese a un discepolo. 
«Be', c'è miracolo e miracolo. Nel tuo paese è considerato un miracolo che Dio faccia la volontà di qualcuno. 
Nel nostro paese è considerato un miracolo che qualcuno faccia la volontà di Dio». 

- Padre Anthony de Mello -
 Fonte: Un minuto di saggezza – padre Anthony de Mello - ed.Paoline


L'aureola stretta - Padre Anthony de Mello

Un uomo andò dal medico e gli disse:
«Dottore, ho un terribile mal di testa che non mi abbandona un istante. Mi potrebbe dare qualche cosa per farmelo passare?»
«Certamente», rispose il dottore, «ma prima ho bisogno di sapere da lei alcune cose.
Mi dica, beve molti liquori?» «Liquori?», esclamò l’uomo indignato, «non bevo mai quelle schifezze». 
«E fuma?» «Trovo il fumo disgustoso».
Non ho mai toccato il tabacco in vita mia». 
«Sono un po’ imbarazzato nel farle questa domanda, ma... sa come sono certi uomini... le capita di avere qualche avventura notturna?» «Naturalmente no. Per chi mi prende? Mi corico tutte le sere alle dieci al massimo». 
«Mi dica», proseguì il dottore, «questo dolore che sente alla testa è come una fitta acuta e lancinante?» «Sì», rispose l’uomo. «E proprio così, una fitta acuta e lancinante».
«Molto semplice, mio caro signore!
Il  suo problema è che l’aureola le sta troppo stretta. Non c’è che da allentarla un po’».

Il  guaio dei nostri ideali è che, se vogliamo essere all’ altezza di ciascuno di essi, diventiamo persone con cui  è impossibile vivere.

- Padre Anthony de Mello -
 Fonte: La preghiera della rana – Anthony de Mello - ed.Paoline


E' passato un altro giorno Signore,
è passato un altro giorno
e ho percorso un altro tratto della strada della vita.
Perdonami per tutte le volte che ho risposto "Sì" alla tua parola
per poi comportarmi nel modo contrario.
Perdonami per tutte le volte che ho fatto il bene
solo dopo molti ripensamenti ed indecisioni.
Aiutami domani a ritrovare l'entusiasmo
per accogliere senza condizioni
il tuo difficile invito ad amare i fratelli.
Il silenzio della notte renda più vera la mia preghiera,
perché, con il riposo del corpo,
il cuore possa contemplare l'ampiezza
e la profondità della tua pace.
Amen.



Buona giornata a tutti. :-)

www.leggoerifletto.it




lunedì 7 gennaio 2019

Da “Il padrone del mondo” - Robert Hugh Benson

La persecuzione è imminente.
Se ne sono già fatti dei tentativi; ma non è da temere la persecuzione.
Senza dubbio cagionerà, come sempre, delle apostasie; ma queste sono da deplorarsi più da un punto di vista individuale.
D'altra parte essa confermerà i veri fedeli e purgherà la Chiesa dalle mezze coscienze.
Già, nei primitivi tempi l'attacco di Satana si esercitò sui corpi con le sferze, con il fuoco e le fiere; nel decimosesto sulle intelligenze, nel ventesimo sulle sorgenti medesime della vita spirituale e morale; quest'ultimo è un triplice assalto sul corpo, sull'intelletto e sul cuore.
Ma quel che fa maggiormente paura è la influenza positiva dell' Umanitarismo; esso si avvicina, come il regno di Dio, con potestà grande, esalta le menti visionarie e romantiche, asserisce le sue verità senza dimostrarle, soffoca con i guanciali invece di stimolare e ferire con le armi della dialettica: e sembra, almeno da quel che vediamo, che si sia aperta la via fino ai più segreti recessi del cuore umano.
Persone che non ne hanno mai udito il nome professano le sue massime; i preti le assorbono come già assorbivano Iddio con la Comunione - qui menzionò le più recenti apostasie - i fanciulli se ne inebriano come già si inebriavano del catechismo. L'anima naturalmente Cristiana sembra diventata l'anima naturalmente infedele.
La persecuzione - esclamò il prete - deve essere salutata, implorata, abbracciata come l'ancora di salvezza; e, speriamo che le autorità non siano tanto scaltre da distribuire l'antidoto insieme con il veleno; vi saranno così martiri individuali, vi saranno, e molti, ma a dispetto del governo secolare, non a causa di esso.
Finalmente c'è da aspettarsi che l'Umanitarismo vesta gli abiti della liturgia e del sacrificio; dopo di che se Iddio non interviene, la causa della Chiesa
sarà perduta!



- Robert Hugh Benson - 
Da “Il padrone del mondo”, Città Armoniosa, 1979

Asmodeo, chiesa de Rennes le Château, France


Si, figlio mio! E che cosa ci resterebbe da fare? 
Santo Padre, la Messa, la preghiera, il rosario: queste sono le prime e le ultime cose. 
Il mondo nega la loro potenza, ed appunto in queste devono i cristiani cercare l'appoggio ed il rifugio.
Tutte le cose in Gesù Cristo, in Gesù Cristo ora e sempre; nessun altro mezzo può servire: Egli deve far tutto, perché noi non possiamo fare più nulla!

- Robert Hugh Benson - 

Da “Il padrone del mondo”, Città Armoniosa, 1979




Santità , ho un vecchio progetto...vecchio quanto Roma.
É l'idea dei pazzi! 
Un nuovo ordine... un nuovo ordine - diceva Percy con voce malferma.
La bianca mano lasciò il pressacarte. Il Papa sporse avanti la testa e guardò fisso il giovine prete.
Proprio, figlio mio?-
Percy cadde in ginocchio.- Un nuovo ordine, Santità, senza abito o distintivo speciale, soggetto unicamente alla Santità Vostra, più libero dei Gesuiti, più penitente dei Certosini, più povero dei Francescani, formato di uomini e di donne, con i tre voti, aggiuntavi l'intenzione di subire, all'occorrenza, anche il martirio.
Il Pantheon sarà la sua Chiesa, ogni vescovo ne sorveglierà i membri entro i limiti della sua giurisdizione, e un luogotenente in ciascun paese... (Santità, è il pensiero di un pazzo... ) e Cristo Crocifisso sarà il suo patrono. 
Percy cadde sul letto con un gran tremito nei polsi, con gli occhi chiusi e con una invincibile disperazione nel cuore. 
Il mondo si drizzava come un gigante sopra l'orizzonte di Roma e la città santa appariva simile ad un castello di sabbia in mezzo ai flutti del mare. 
Troppo lo sapeva.
Come poi avverrebbe la catastrofe, in qual forma, in quale direzione, questo egli non conosceva né si dava pena di conoscere; solo era convinto che non si poteva sfuggire.
Uso alla introspezione egli penetrava con gli sguardi più amari le intimità della coscienza, come un dottore, che, affetto da malattia mortale, si accingesse impassibile alla diagnosi spaventosa dei propri sintomi; senza dire che egli provava un certo sollievo nel chiudere gli occhi al mostruoso meccanismo del mondo, per considerare il microcosmo di un cuore umano che non ha più speranza. 
La Religione Umanitaria poteva esser vera solo a condizione di misconoscere una metà a dir poco della natura umana, con le sue aspirazioni e le sue miserie; mentre queste il Cristianesimo le accettava come un fatto e ne rendeva ragione, anche se non riusciva adeguatamente a spiegarle; le considerava come elementi necessari alla perfetta integrazione del tutto.
La fede cattolica era per lui più certa della sua vita stessa, vera insieme e vivente.
E in primo luogo è necessario che pronunciamo la Nostra sentenza intorno al cosìddetto movimento nuovo che è stato di recente promosso dai potentati del secolo.
Lungi da noi il disconoscere i benefici della pace e della concordia, ma non possiamo dimenticare che l'avvento di esse è il frutto di troppe cose, che Noi abbiamo condannate. È questa una pace illusoria, che ha sedotto tanti e tanti traendoli a dubitare della promessa del Principe della pace: che, cioè, per Lui solo, noi abbiamo l'accesso al Padre.
La vera pace, che supera il nostro intendimento, non riguarda solo le relazioni degli uomini fra loro, ma principalmente quelle che intercedono tra gli uomini ed il loro Creatore; mentre su questo punto capitale, il compito degli uomini è venuto meno.
E in verità, non reca meraviglia, se in un mondo che ha ripudiato Iddio, un tale soggetto sia perduto di vista.
Gli uomini pervertiti dai loro seduttori, sono convinti che l'unione delle Nazioni sia il bene più alto di questa vita, immemori delle parole del Salvatore, il quale non venne a portare la pace, ma la spada, e che per la via delle tribolazioni si può entrare nel suo Regno.«Bisogna adunque stabilire, prima di tutto, la pace tra l'uomo e Dio; da questa l'unione tra uomo e uomo dovrà conseguire.
Cercate prima - dice Gesù Cristo, - il Regno di Dio; poi tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta.

«Innanzi tutto Noi condanniamo e anatematizziamo le opinioni di coloro che insegnano e credono il contrario di quanto noi insegniamo e crediamo; perciò rinnoviamo le condanne inflitte dai Nostri Predecessori contro tutte le società, organizzazioni, comunità, che sono state costituite con lo scopo di promuovere l'unità su tutt'altra base che quella divina, e ricordiamo ai Nostri figli di tutto il mondo la proibizione di entrare, favorire ed approvare in qualsivoglia maniera ogni sodalizio compreso in quelle condanne».

Nessuno potrà essere  immesso nell'Ordine, se non compiuti i diciassette anni. Nessun ornamento, nessun abito, nessun distintivo gli sarà proprio. 
I tre consigli evangelici costituiranno il fondamento della Regola; ed a questi Noi aggiungiamo una quarta intenzione, cioè: il desiderio del martirio ed il proponimento di riceverlo.………

Altra ricompensa non offriamo se non quella che Iddiostesso promette a coloro che lo amano e sacrificano la loro vita per Lui; non altra promessa di pace, se non di essere disprezzati dal mondo umano; nessun'altra patria fuori di quella che conviene ai pellegrini ed ai viatori che guardano ad una Città di là da venire; nessun altro onore se non di essere disprezzati dal mondo, nessun'altra vita, fuori di quella che è nascosta con Gesù Cristo in Dio».

Del resto il suo stato di animo aveva come centro la semplice fede. Per lui la religione cattolica sola poteva spiegare adeguatamente un universo, e, anche se non apriva le porte di tutti i misteri, doveva sempre ritenersi come la chiave migliore. Era altresì convinto che il Cristianesimo fosse l'unico sistema di pensiero che appagasse tutto l'uomo, l'unico che potesse penetrare a fondo nella sua natura; che l'insuccesso del Cristianesimo nell'unire perfettamente gli uomini non dipendeva dalla sua debolezza: ne dimostrava anzi la vitalità: le sue vie portano verso l'eternità, non verso il tempo. Questa la sua fede

Tavolta si svegliava e si trovava tra le tenebre; tentava dormire, e si sentiva soffocato; celebrava, e non gustava la ineffabile dolcezza del Pane Divino, né i palpiti del Prezioso Sangue.
Tal'altra le tenebre si addensavano talmente, che perfino gli oggetti della sua fede sembravano dileguare come ombre: la sua natura diveniva per metà cieca non solo a Cristo, ma allo stesso Dio e alla sua reale esistenza...
Il suo abito pontificale gli appariva come il distintivo di un pazzo.
Ed allora la sua mente terrena si domandava: come credere che Lui, con i dodici del suo collegio e le poche migliaia di seguaci, avesse ragione, ed il consenso di tutto il mondo rincivilito avesse torto?
Il mondo aveva ricevuto il messaggio del Vangelo; per duemila anni non gli si era predicato altro; eppure adesso dichiarava che il Vangelo era falso... falso nelle sue credenziali, falso nelle sue spirituali esigenze...
Ed allora il Capo dei fedeli soffriva per una causa perduta; egli era l'ultimo della lunga serie, come lo stoppino fumante di una candela che non aveva fatto lume ad alcuno, la riduzione all'assurdo di un sillogismo ridicolo basato su premesse impossibili...
Neppur meritavano di morire Lui ed i suoi compagni di insania... no, dovevano rimanere per essere i patentati idioti alla scuola del mondo!

Era dunque il materialismo l'unica via di salute?
Si sentiva talvolta così ottenebrato nell'abbattimento fino quasi a credere d'aver perduta la fede; la ribellione della mente era così violenta, che arrestava ogni moto del cuore; la brama della pace terrena così intensa, che soffocava ogni aspirazione celeste; e la tenebra così fitta, che egli sperando contro la propria speranza, controponendo la fede alla conoscenza ed alla verità l'amore, gridava, come già aveva gridato l'altro: Eli! Eli! Lamma sabachtani?
In una cosa sola trovava il conforto e la perseveranza, almeno quando la sua coscienza era turbata: nella contemplazione. 

Ma sopraggiunta la comunità universale degli interessi, la situazione cambiava interamente di aspetto: la personalità unificata della razza prendeva il posto delle unità separate; e, questa sostituzione, che si poteva considerare come un passaggio all'età matura, dava origine a nuovi diritti. 
La razza umana si concepiva ora come un'entità singola, avente una responsabilità suprema verso se medesima: sparivano dunque i diritti dell'individuo, giustamente riconosciuti nelle epoche precedenti.
L'uomo aveva adesso il supremo dominio sopra ciascuna cellula del suo Corpo Mistico; e là, dove qualche cellula agiva in detrimento del Corpo, i diritti del Tutto erano illimitati.
Una sola religione reclamava diritti ugualmente universali: la religione cattolica.
Le sètte dell'Oriente, pur ritenendo i propri caratteri distintivi, avevano tuttavia ritrovato nel Nuovo Mondo la incarnazione dei loro ideali, e si erano per conseguenza sottomesse alla Autorità del gran Corpo, di cui Felsemburgh era capo riconosciuto.
Il Cattolicesimo invece negava essenzialmente l'idea stessa dell'uomo: i Cristiani piegavano il capo ad un essere immaginario, che pretendevano non solo separato dal mondo, ma superiore al mondo stesso.
I Cristiani dunque - senza considerare la stolta leggenda della incarnazione, che basterebbe da sola a far tramontare la loro folle credenza - si distaccavano deliberatamente da quel Corpo Mistico, di cui per natura facevano parte; erano come membra morte, che, soggiacendo all'influsso di una forza esteriore, la quale non poteva vivificarle, mettevano in pericolo la vita del Corpo intero.
Questa, l'unica insensatezza, che meritasse ora il nome di delitto.
L'assassinio, il furto, la rapina, la stessa anarchia apparivano colpe leggere di fronte a questa iniquità mostruosa, poiché ferivano il corpo, ma non il cuore; facevano soffrire gli individui, e meritavano di essere perciò repressi, ma non colpivano veramente la vita.
Solo il Cristianesimo portava seco un veleno mortale; ed ogni cellula, in cui venisse inoculato, infettava le fibre stesse che la ricollegavano alla sorgente della vita. Questo e questo solo il massimo delitto di alto tradimento contro l'Uomo; delitto, che non richiedeva altra ammenda se non la completa estirpazione del Cristianesimo.



- Robert Hugh Benson - 
Da “Il padrone del mondo”, Città Armoniosa, 1979



Buona giornata a tutti. :-)