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martedì 29 ottobre 2019

Messa e momenti di silenzio - Romano Guardini

Quando la Santa Messa viene celebrata come si deve, tacciono ad intervalli, nel suo sviluppo, sia la voce distinta del sacerdote sia quella dei fedeli. 
Il sacerdote parla a bassa voce o esegue, senza parole, ciò che il servizio divino prescrive; la comunità prende parte con l'intenzione degli occhi e dell'anima.

Che cosa significano questi momenti di silenzio? E che fare allora? Anzi cos'è in fondo, il silenzio?

Anzitutto, una cosa semplicissima: che ci sia proprio silenzio, e che non si parli, e che non sia dato di cogliere nessun rumore, nessun movimento, nessun fruscio di fogli, nessun colpo di tosse. 
Non vogliamo esagerare: gli uomini sono degli esseri viventi e si muovono, e un essere schiavo non sarebbe da preferirsi al disordine. 
Eppure silenzio è per l'appunto silenzio, e solo allora è silenzio quando positivamente lo si vuole.

Dipende dal valore che gli si dà: da qui dipende il godimento o il tedio che ci si prova. 
L'uno dice: "Non posso trattenere la tosse". L'altro: "In ginocchio non ce la faccio". 
Quando però assistono ad un concerto oppure a una conferenza che li affascina, soffocano ogni colpo di tosse, evitano la più lieve mossa, e nella sala regna quel silenzio che è, in fondo, la cosa più bella di tutte: il clima di chi sta in ascolto, dove prende risalto ciò che vi è di bello e di veramente importante... 
Così è: bisogna volere fermamente il silenzio, anche a prezzo di qualche sacrificio: allora lo si ha. 
Lo avete sperimentato una volta in tutto il suo valore? Non saprete più comprendere come se ne possa star senza.»

- Romano Guardini -
da: Il testamento di Gesù


«La bellezza della liturgia esige sempre qualche rinuncia da parte nostra: rinuncia alla banalità, alla fantasia, al capriccio. 
Alla liturgia, inoltre, bisogna dare il tempo e lo spazio di cui ha bisogno. 
Non bisogna avere fretta. 
Più che alla nostra iniziativa bisogna lasciare a Dio la libertà di parlarci e di raggiungerci attraverso la parola, la preghiera, i gesti, la musica, il canto, la luce, l'incenso, i profumi. 
La liturgia, come una composizione musicale, ha bisogno di spazio, di tempo e di silenzio, del distacco da noi stessi, perché le parole, i gesti e i segni possano parlarci di Dio.» 

- Mons. Guido Marini -
da: Liturgia e bellezza


«Il musicista deve essere liturgista, perché come ad un povero a pranzo si dà il cibo buono, e non ghiande, così per la mensa del Signore non si possono presentare quelle musiche orribili che sanno più di schizofonia che di altro. 
La colpa non è del Concilio ma di chi non lo ha capito e che invece presume di averlo capito.» 

- Mons. Giuseppe Liberto -
Direttore emerito del Coro della Cappella Sistina


Buona giornata a tutti. :-)


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venerdì 14 aprile 2017

E pure il tuo figlio e altre preghiere per il Venerdì Santo - Padre Davide Maria Turoldo

E pure il tuo figlio 
il divino tuo figlio, il figlio 
che ti incarna, l'amato 
unico figlio uguale 
a nessuno, anche lui 
ha gridato 
alto sul mondo: 
“Perché...?”
Era l'urlo degli oceani 
l'urlo dell'animale ferito 
l'urlo del ventre squarciato 
della partoriente 
urlo della stessa morte: 
“perché?”
E tu non puoi rispondere 
non puoi...
Condizionata onnipotenza sei!
Pretendere altro è vano.
T'invocava con tenerissimo nome:
la faccia a terra 
e sassi e terra bagnati 
da gocce di sangue:
le mani stringevano zolle 
di erba e fango:
ripeteva la preghiera del mondo: 
“Padre, abbà, se possibile”...
Solo un ramoscello d'olivo 
dondolava sopra il suo capo 
a un silenzioso vento...
Ma non una spina Tu 
gli levasti dalla corona.
Trafitto anche il pensiero: 
non può, non può lassù 
il pensiero non sanguinare!
Oh, le ferite della mente!
E non una mano 
gli schiodasti dal legno:
che si tergesse 
dagli occhi il sangue
e gli fosse dato 
di vedere 
almeno la Madre
là,
sola...
Perfino potenti 
e maestri di ferocia 
e gente, al vederlo 
si coprivan la faccia.
E lui a fluttuare 
dentro una nuvola:
dentro 
la nuvola del divino 
Nulla!
E dopo 
solo dopo 
Tu e noi 
a ridargli la vita
No, credere a Pasqua non è 
giusta fede: 
troppo bello sei a Pasqua!
Fede vera 
è al venerdì santo 
quando Tu non c'eri 
lassù!
Quando non una eco 
risponde 
al suo alto grido
e a stento il Nulla 
dà forma
alla tua assenza…

 - padre Davide Maria Turoldo -



Siamo qui, o signore Gesù.
Siamo venuti come i colpevoli
ritornano sul luogo del delitto,

siamo venuti come colui che Ti ha seguito,
ma Ti ha anche tradito,

tante volte fedeli e tante volte infedeli,

siamo venuti
per riconoscere il misterioso rapporto

fra i nostri peccati e la Tua Passione:

l'opera nostra e l'opera Tua,

siamo venuti per batterci il petto,
per domandarti perdono,

per implorare la Tua misericordia,

siamo venuti
perchè sappiamo che Tu puoi,

che Tu vuoi perdonarci,

perchè Tu hai espiato per noi.

Tu sei la nostra redenzione
e la nostra speranza.


- Beato Paolo VI, papa  -


Davanti alla Croce 

Noi ti adoriamo, Cristo Gesù.
Ci mettiamo in ginocchio

e non troviamo parole sufficienti

per esprimere quel che proviamo
davanti alla tua morte in croce.
Noi desideriamo, o Cristo,
gridare oggi verso la tua misericordia
più grande di ogni forza e potenza
alla quale possa appoggiarsi l'uomo.
La potenza del tuo amore
si dimostri ancora una volta più grande
del male che ci minaccia.
Si dimostri più grande dei molteplici peccati
che si arrogano in forma sempre più assoluta
la cittadinanza nella vita degli uomini.

- San Giovanni Paolo II, papa - 



Preghiera per il Venerdì Santo 

Dio Redentore, eccoci alle porte della fede,
eccoci alle porte della morte,

eccoci di fronte all’albero della croce.

Solo Maria resta in piedi
nell’ora voluta dal Padre, nell’ora della fede.
Tutto è compiuto,ma, allo sguardo umano,
a sconfitta sembra completa.
Sul ruvido legno della croce, tu fondi la chiesa:
affidi Giovanni come figlio
a tua madre, e tua madre, da questo momento
entra nella casa di Giovanni.
Tutto è compiuto. Tu hai dato la vita,
apri il nostro cuore a questo dono totale.
Sul legno hai elevato tutto a te.
O Signore,
disceso dalla croce raggiungi l’uomo in lacrime,
per dirgli che l’hai amato fino in fondo.

- don Romano Guardini - 



Ci siamo
anche noi
ai piedi
della tua croce.
Siamo venuti
per chiederti
ancora qualcosa:
un ultimo favore,
un aiuto per oggi,
qualche briciola
di benessere
in più.
E tu,
con l’ultimo
sorso di vita,
invece
di assecondare
i nostri
sciocchi
capricci
ci doni
una madre.
La tua.
La nostra.
____________________________
XII stazione. Gesù in croce, la madre e il discepolo (Giovanni 19,26-27)

- Patrizio Righero - 




Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
in cielo, in terra e sottoterra,
perché Gesù si è fatto obbediente
fino alla morte, alla morte di croce:
per questo Gesù Cristo è il Signore,
a gloria di Dio Padre.



Silenzio e digiuno






domenica 19 febbraio 2017

Inginocchiarsi - don Romano Guardini

Cosa fa una persona quando s'inorgoglisce? Si drizza, alza il capo, irrigidisce le spalle e l'intera figura. Tutto in essa dice: «Io sono più grande di te! Io sono da più di te!».
Quando uno invece è di umile sentimento e si sente piccolo, china il capo, la sua persona si rattrappisce: egli «si abbassa». Tanto più profondamente, quanto più grande è colui che gli sta dinanzi; quanto meno egli sente di valere agli stessi propri occhi.
Ma quando mai percepiamo noi più chiaramente la nostra pochezza di quando stiamo dinanzi a Dio? Al grande Iddio che era ieri come è oggi, tra secoli e millenni! Al grande Iddio che riempie questa stanza e l'intera città ed il vasto mondo e l'incommensurabile cielo stellato, dinanzi a cui tutto è come un granello di sabbia! Al Dio santo, puro, giusto, infinitamente sublime...
Come è grande Lui... e come son piccolo io! Così piccolo che non posso neppure mettermi a confronto con Lui, che dinanzi a Lui sono un nulla! 
Non è vero - e vien con tutta evidenza da sé - che non si può stare da superbi dinanzi a Lui? Ci si «fa piccoli»; si vorrebbe impicciolire la propria persona, perché essa non si presenti così, con tanta presunzione: l'uomo s'inginocchia.
E se al suo cuore questo non basta ancora, egli può inoltre prostrarsi.
E la persona profondamente chinata dice: «Tu sei il Dio grande, mentre io sono un nulla!». Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all'atto tuo un'anima!
Ma l'anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi dinanzi a Dio in profonda reverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passi davanti all'altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente; ché questo ha da significare: «Mio grande Iddio!...».

Ciò infatti è umiltà ed è verità ed ogni volta farà bene all'anima tua.

- Don Romano Guardini -
Da: “I santi segni (originale 1927), in Romano Guardini, Lo spirito della liturgia, Morcelliana, Brescia, 1980, pp. 140-141


“In generale l’uomo non prega volentieri. E’ facile che egli provi, nel pregare, un senso di noia, un imbarazzo, una ripugnanza, una ostilità addirittura. Qualunque altra cosa gli sembra più attraente e più importante. 
Dice di non aver tempo, di aver impegni urgenti, ma appena ha tralasciato di pregare, eccolo mettersi a fare le cose più inutili.
L’uomo deve smettere di ingannare Dio e se stesso.
E’ molto meglio dire apertamente:
“Non voglio pregare”.

- Don Romano Guardini - 



“La preghiera è un anelito, un sussulto 
del cuore, è un soffio che non sai di dove viene e non sai dove va.
La preghiera è un  incontro, a volte uno scontro, spesso un’attesa.
E’ il pianto di Pietro al canto del gallo,
è lo stabat di Maria ai piedi della croce.
La preghiera è un attimo di eterno,
è una scelta d’amore,
è un bacio che accarezza un viso.
La preghiera è un ricordo e un progetto,
è un grido ed è silenzio.
Sono le lacrime di chi piange per chi non piange,
sono le suppliche della terra, le lodi della Chiesa.
La preghiera è il nostro respiro, la nostra vita, il nostro tutto.
Non c’è uomo che non prega,
c’è solo un uomo che non sa di pregare”.


Buona giornata a tutti. :-)




giovedì 19 gennaio 2017

Il Segno della Croce - don Romano Guardini

Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare.

No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? 
Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l'animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, corpo ed anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica.

Perché? Perché è il segno della totalità ed è il segno della re­denzione. 
Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce Egli santifica l'uomo nella sua totalità fin nelle ultime fibre del suo essere.

Perciò lo facciamo prima della preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perché ci irrobustisca. Nel pericolo, perché ci protegga. Nell'atto della be­nedizione, perché la pienezza della vita divina penetri nell'anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa.

Pensa quanto spesso fai il segno della croce. E il segno più santo che ci sia. Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto l'essere tuo, corpo ed anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, e tutto vi viene irrobustito, segnato, consacrato nella forza di Cristo, nel nome del Dio uno e trino.

- don Romano Guardini -
Fonte: “Lo spirito della liturgia. I Santi Segni”. Ed.Morcelliana 2005




Inginocchiarsi 

Quando pieghi il ginocchio non farlo nè frettolosamente nè sbadatamente. 
Dà all’atto tuo un’anima. 
Ma l’animo del tuo inginocchiarti sia tale che anche interiormente, il cuore si pieghi dinnanzi a Dio in profonda riverenza. 
Quando entri in chiesa o ne esci oppur passi davanti all’altare piega il tuo ginocchio profondamente lentamente; che questo ha da significare Mio grande Dio!!!. 
Ciò infatti è umiltà è verità ed ogni volta farà bene alla tua anima” 

- don Romano Guardini -




Il coraggio di osare

Signore Gesù, fammi conoscere chi sei.
Fa sentire al mio cuore la santità che è in te.
Fa' che io veda la gloria del tuo volto.
Dal tuo essere e dalla tua parola,
dal tuo agire e dal tuo disegno,
fammi derivare la certezza che la verità e
 l'amore sono a mia portata per salvarmi.
Tu sei la via, la verità e la vita.
Tu sei il principio della nuova creazione.
Dammi il coraggio di osare.
Fammi consapevole del mio bisogno di conversazione,
e permetti che con serietà lo compia,
nella realtà della vita quotidiana.
E se mi riconosco, indegno e peccatore,
dammi la tua misericordia.
Donami la fedeltà che persevera e la fiducia che comincia
sempre, ogni volta che tutto sembra fallire.

- don Romano Guardini - 




Buona giornata a tutti. :-)




sabato 5 dicembre 2015

Il senso del messaggio del Natale – don Romano Guardini -

Che cosa significa dunque Natale? Ora dobbiamo avanzare verso il nucleo della fede cristiana, poiché la risposta può essere data solo se si parte da esso.

Anche sull'essenza del cristianesimo esistono definizioni annacquate e corrotte; e anche da esse devono venir purificate le parole, perché il cristiano possa render loro onore. 
Il cristianesimo non è la religione dell'amore del prossimo, o dell'interiorità, o della personalità o di quant'altro di questo genere si possa ancora dire. Naturalmente, in tutto ciò v'è qualcosa di esatto, ma come un secondo aspetto, che acquisisce il suo senso solo quando è chiaro ciò che è primo e autentico. Ma questo significa che nella Rivelazione Dio manifesta se stesso in un modo in cui nessuna esperienza psicologica o comprensione filosofica può manifestarlo.

L'Antico Testamento ci mostra un avvenimento possente: come Dio s'attesti, in quanto è Colui il quale è, indipendente di fronte a tutto ciò che si chiama «mondo». «Io sono Colui che io sono», Egli risponde sull'Oreb all'uomo Mosè, che gli chiede il suo nome (Es 3, 14). Questo nome è dunque «Colui che sono». Quel concetto che ogni essere rivendica per sé e vuol dire solo che esso è, invece di non essere, il più universale e perciò il più semplice, è per Lui «nome», espressione della sua unicità. 
Quale abisso di pensiero che la parola «Io sono» sia nome di Dio, che come tale non spetta ad alcun altro essere! 
Infatti il mondo non «è» in senso puro e semplice, ma è in virtù di Lui: da Lui creato, totalmente e assolutamente e senza alcun dato previo. 
Creato in pura libertà, senza costrizione, foss'anche soltanto tale da trovarsi solo in Dio. 
Esso è «davanti» a Lui; provenendo da Lui e a Lui diretto.

Questo Dio è Uno - per il motivo che Egli è realmente «Dio», che non può stare mai al plurale. 
Attraverso il corso della Rivelazione antico testamentaria il messaggio dell'uno e unico Dio viene continuamente proclamato e sostenuto contro resistenze, che fiaccherebbero ogni energia diversa da quella del suo Spirito. Sostenuto in un ambiente, in cui da ogni punto di vista psicologico e storico dovrebbe essere impossibile. Infatti l'ambito di vita del popolo ebraico si trovava nelle sfere d'influenza delle più poderose civiltà e culture politeistiche: quella egiziana, quella babilonese, quella assira, quella persiana, infine quella greca e romana. 
Fu assolutamente un miracolo - prendendo la parola nel senso netto e genuino - che questa fede non abbia potuto essere sradicata da alcunché. 
Qui tutte le linee di collegamento col mito vennero troncate. 
Il mito infatti parla della divinità del mondo, che si presenta in forme sempre nuove; al contrario la fede in Dio propria della Rivelazione antico testamentaria confessa l'assoluta sovranità del Dio Uno, cui appartiene ogni attributo di divinità.

Ma poi avviene qualcosa di misterioso. Nella Rivelazione neotestamentaria, nella coscienza di Gesù, nel modo in cui Egli parla di Dio, tratta con Lui, rapporta a Lui la propria esistenza, si fanno chiare distinzioni che non hanno relazione con nulla di mitico. 
Questo Dio è l'Uno e Unico, ma non è solitario. 
In Lui v'è un mistero di comunione, v'è «Io» e v'è «Tu», e i nomi che Gesù cita per indicarli sono «Padre», «Figlio» e «Spirito Santo». 
Questi nomi non hanno relazione di sorta con le rappresentazioni di generazioni del mito, con i suoi dèi-padri e dèi-figli, ma esprimono ciò che sta al di sopra d'ogni concepire ed esprimere. Non è lecito però abbandonarli, poiché Dio stesso ce li ha dati, e sono le porte d'accesso al suo mistero.

Ora ci viene rivelato che questo Figlio è entrato nel mondo. Ma ciò in un senso inaudito. Non solo per via psicologica, nell'animo di una persona pia profondamente dotata; non solo in termini spirituali, nei pensieri di una grande personalità; realmente, storicamente invece, così da produrre l'unità personale con un essere umano. 
Dio s'è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi, ed è rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio del Padre nel ciclo. Egli, che come Dio era in tutto, ma sempre «dall'altro lato del confine», nell'eterno riserbo, è venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi.

Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo soltanto. Tutto il resto - la gioia per i doni, l'affetto della famiglia, il rinvigorirsi della luce, la guarigione dall'angustia della vita riceve di là il suo senso. Quando quella consapevolezza però svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale, anzi brutalmente affaristico.

Sì deve dire ancora qualcosa, e mi auguro che il lettore, associandosi a me col suo pensiero, aiuti a far sì che divenga chiaro. Quando sentiamo di ciò che è così inaudito; di un agire divino, che non conosce alcun esempio; che non ha nulla, proprio nulla in comune con i miti del connubio d'una divinità con una donna terrena; che invece è qualcosa di assolutamente unico, il cui concetto viene accolto solo dalla sua Rivelazione propria, e con le sue parole si può esprimere - allora ci chiediamo involontariamente: perché ciò avviene? Se la parola dell'Incarnazione di Dio deve essere intesa così come ce la dice il Nuovo Testamento: perché Dio agì così? In assoluto, può Egli fare una cosa del genere? Tale enunciazione è compatibile con il concetto puro di Dio? O significa, come anzi si afferma continuamente, appunto una ricaduta nel mito?

Quale aspetto prende allora il concetto «puro» di Dio cui ci si riferisce quando si vuole giudicare un'enunciazione religiosa? È quell'idea, a far emergere la quale si sono sforzati due millenni e mezzo di pensiero occidentale: l'idea dell'Assoluto. Di quell'essere, di quell'ente, che è immune da ogni limitazione; eterno, infinito, perfetto in ogni direzione che si possa escogitare. Così è Dio, dice la metafisica, e ha ragione. L'idea con cui pensiamo Dio - cerchiamo di pensarlo - in realtà può essere soltanto la più nobile. Dio è l'Assoluto. Ma è solo questo? Un Dio soltanto Assoluto può farsi uomo? Nella serietà e nella verità, come lo intende il Nuovo Testamento? A questo interrogativo non potremo rispondere altrimenti che con un «no». Con tale immagine di Dio non si può collegare una vicenda del genere. Così sembra che siamo posti di fronte a una difficile decisione: quella di eliminare l'Incarnazione, per preservare la sovranità di Dio - o invece, per mantenere la sua pensabilità, di assumere un'essenza di Dio che possa semplicemente unirsi col mondo, e allora saremmo nel mito.

Proprio qui sta il centro del significato della Rivelazione. L'alternativa non è: l'Assoluto - o il mito. Dio non è, come ha detto Pascal, il «Dio dei filosofi»; dunque colui che sarebbe rinchiuso entro i concetti di necessità propri dell'assolutezza, e dal quale si dovrebbe staccare, in quanto priva di senso, un'idea come quella dell'Incarnazione. Non è però nemmeno un nume mitico, che possa entrare in tutti i possibili legami e trasformazioni. Egli è se stesso, e respinge qualsiasi subordinazione ai nostri concetti. No, l'alternativa, davanti alla quale siamo posti, o, detto più esattamente, la decisione da cui tutto dipende, è questa: se nella nostra vita vogliamo avere una reale Rivelazione o no. 
Se nel nostro pensare vogliamo partire dal giudizio di Dio o dal nostro proprio. 
In una parola: se vogliamo credere o essere increduli.

La Rivelazione ci dice: tu non puoi determinare se l'Incarnazione di Dio sia possibile partendo da te stesso, da nessun criterio terreno, fosse anche il più alto; devi invece accogliere nella fede che essa sia avvenuta, e giudicare movendo da essa. Tu non puoi dire partendo da te stesso come sia costituito, di che tipo sia il Dio «puro», ma devi percepire nella fede chi Egli manifesti d'essere, e pensarlo in corrispondenza a tale manifestazione. Allora ti renderai conto interiormente che Dio è appunto «Colui che attua l'Incarnazione». Il fatto dell'Incarnazione è esso stesso Rivelazione, anzi quella autentica e colmante. Essa dice: Dio è tale da essere in grado di farsi uomo. Egli è tale che, ai suoi occhi, per parlare col linguaggio della Genesi, è «cosa buona» e «molto buona» compierla (Gv 1, 10.12.18.25.31). Ma il motivo, di cui si parla così alla leggera, cioè che Dio lo fa per amore, anzi che Egli è Colui che ama in senso puro e semplice - risulta chiaro solo in ragione di questo, e viene così espresso: quell'intento, per il quale Dio attua l'inaudito fatto dell'Incarnazione - appunto ciò è l'amore. L'amore, di cui parla la Rivelazione, non è un valore etico universale; non è un orientamento, in sé determinato, del voler bene o della bontà, non un sentimento del cuore umano direttamente comprensibile, o che altro si voglia. La parola «amore» non è qui in assoluto un concetto, bensì un nome: un nome per indicare qualcosa che esiste solo una volta, e precisamente per designare l'intendimento di Dio. Per coglierlo, non si può partire da criteri preesistenti, ma ci si deve inserire in quelle vicende, in cui si compie la Rivelazione, e lo si deve pensare nelle parole, che questa stessa fornisce. Allora ha inizio la metànoia, la svolta o conversione dello spirito. Tutto si cambia, tutto diventa giusto, si rettifica, e si schiudono pensieri d'una grandezza e intimità a un tempo che, come dice Paolo, «superano ogni comprensione» (Fil 4, 7).

È questo ciò che proclama a noi il messaggio di Natale, quando ci stanchiamo delle realtà apparenti e fallaci e vogliamo ascoltare quanto è autentico.

(don Romano Guardini)

Romano Guardini, Natale e Capodanno. Pensieri per far chiarezza,  Morcelliana, 1994, pp.




"Non più silenzio, chiacchiere senza fine. Si parla sempre, a voce alta, profusamente. Si parla, si scrive, si ascolta su tutto. 
Non c'è più nulla di santo; non ha più senso, non esiste più una sicura zona di silenzio, non conta più niente, neppure la cosa più degna di venerazione. 
Si parla di tutto riducendo a pezzi e frammenti ogni oggetto, senza rispetto né vergogna: nei giornali, nella società, nelle sale di adunanze. 
Si allineano ogni sorta di parole: quelle elevate, quelle acute, quelle sagge e profonde, quelle ribelli, quelle commoventi, tutte."


- don Romano Guardini - 



Tocca il mio animo col soffio della tua eternità, affinché io compia bene la mia opera nel tempo e possa un giorno portarla nel tuo regno eterno»

- Romano Guardini -
Preghiere teologiche


Buona giornata a tutti. :-)