Come visse don Bosco l’epidemia del colera che scoppiò a Torino nel 1854?
Di seguito il racconto di quel momento
della storia che toccò anche l’Oratorio di Valdocco, a cura di Pier Giuseppe
Accornero, sacerdote, scrittore e giornalista torinese.
Don Bosco, l’Oratorio di Valdocco e il
colera del 1854 a Torino
Dal 1° agosto al 21 novembre 1854 il
colera a Torino colpisce 2.500 persone e ne uccide 1.400, ma nessuno dei
ragazzi dell’Oratorio di Valdocco che, sull’esempio di don Giovanni Bosco,
curano i colerosi. Lo testimonia don Giovanni Battista Lemoyne, salesiano
genovese di origine francese, segretario e primo biografo, preoccupato di
documentarne quanto c’è di straordinario nella personalità e nella vita. La sua
opera maggiore è «Documenti per scrivere la storia di don Giovanni Bosco,
dell’Oratorio San Francesco di Sales e della Congregazione salesiana». Ne trae
le «Memorie biografiche di don Giovanni Bosco», titolo modificato in base al
processo canonico: venerabile nel 1914, beato nel 1929, santo nel 1934. Con il
pregio della testimonianza diretta perché conosce bene il santo e ne è
segretario fino alla morte il 31 gennaio 1888. Ma hanno anche il difetto di
essere eccessivamente elogiative.
Nell’estate 1854 scoppia il «colera
morbus» con epicentro Borgo Dora, dove si ammassano gli immigrati, a due
passi dall’Oratorio. A Genova 3.000 vittime e in un mese a Torino 800 colpiti e
500 morti. I casi salgono vertiginosamente, da 10-30 al giorno a 50-60.
All’inizio quanti sono colpiti, muoiono; poi 60 decessi su 100 casi. Bloccato
il commercio, chiuse le botteghe, fuga di quanti riescono. Il popolino accusa i
medici di somministrare «acquetta», una bibita avvelenata, per farli morire più
in fretta. Il sindaco Giovanni Notta si appella alla città e adotta le misure
sanitarie. Ma il Municipio non trova volontari per portare i colerosi nei
lazzaretti né per assisterli. Anche se stipendiati, pure i più coraggiosi
rifiutano di esporre la propria vita. Si offrono i preti, i Camilliani, i
Cappuccini, i Domenicani, gli Oblati di Maria. I parroci ripetono ai fedeli gli
ordini emanati dalle autorità.
Il 3 agosto Torino ricorre alla
Consolata: una folla di fedeli e una rappresentanza del Consiglio
municipale pregano in santuario. Don Lemoyne annota: «La Vergine non sdegnò
queste suppliche poiché la terribile malattia, contro ogni aspettazione,
infierì assai meno in Torino che in tante altre città e paesi d’Europa,
d’Italia e del Piemonte». Il 5 agosto, festa della Madonna della neve, don
Bosco raccomanda ai giovani sobrietà, temperanza, tranquillità, coraggio,
confidenza in Maria, confessione e Comunione: «Se farete quanto vi dico, sarete
salvi. Se vi metterete in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato
mortale, vi assicuro che niuno di voi sarà toccato. Ma se qualcuno rimanesse
ostinato nemico di Dio e osasse offenderlo gravemente, io non potrei più essere
garante né di lui, né per qualunque altro». Li invita a portare al collo
una medaglia della Madonna e a recitare ogni giorno Pater, Ave, Gloria. Ancora
Lemoyne: «Quella medesima sera e l’indomani tutti andarono a gara per
accostarsi ai Sacramenti e la loro condotta divenne di tale esemplarità, che
non si sarebbe potuto desiderar migliore. Molti circondavano don Bosco e gli
esponevano i propri dubbi o gli manifestavano le piccole mancanze della
giornata sicché era costretto a starsene un’ora e più a udire l’uno e l’altro,
assicurando, incoraggiando, consolando».
Don Bosco è un uomo di mille risorse,
come spiega Lemoyne. «Balenò alla mente una coraggiosa idea. Impietosito alla
vista dell’estremo abbandono in cui si trovavano i colerosi, espose ai lo stato
miserando in cui si trovavano, esaltò il grande atto dì carità di consacrarsi
in loro sollievo, disse aver il Divin Salvatore assicurato di riguardare come
fatto a sé ogni servizio agli infermi. In tutte le epidemie e pestilenze vi
furono sempre cristiani generosi i quali sfidarono la morte a fianco degli
appestati. Espresse il vivo desiderio che anche alcuni gli divenissero compagni
in quell’opera di misericordia»: 14 giovani, e poi altri 30 accolgono l’invito:
«Ammirando l’eroico slancio, don Bosco pianse di consolazione e li slanciò
all’opera pietosa. Quando si seppe che i giovani dell’Oratorio si erano
consacrati a questa nobile impresa, le domande per averli si moltiplicarono
talmente che loro non fu più possibile attenersi a nessun orario. Giorno e
notte, come don Bosco, furono in moto».
I gesti di solidarietà e di eroismo si
moltiplicano. «Qualche giorno avevano appena tempo di prendere un boccon di
pane e talvolta furono costretti a cibarsene nelle case dei colerosi. Quando
trovavano un infermo che mancasse di lenzuola, coperte o camicia, correvano
dalla caritatevole mamma Margherita che somministrava prontamente gli oggetti
secondo il bisogno. Un giovane corse a raccontare come un povero malato si
dimenasse in un misero giaciglio senza lenzuola. Fruga e trova solo una
tovaglia da tavola: “Corri, non abbiamo più nulla”. Si presenta un secondo
chiedendo qualche cosa. Che fa quella donna incomparabile? Vola a prendere una
tovaglia dell’altare, un amitto, un camice e, con licenza di don Bosco, dà in
elemosina anche quegli oggetti. Non fu una profanazione ma un atto di squisita
carità, poiché quei lini benedetti ricopersero le nude membra di Gesù nella
persona di un coleroso». I giovani formano tre squadre: i grandi a servire nel
lazzaretto e nelle case; i mediani a raccogliere i moribondi nelle strade e i
malati abbandonati nelle case; i piccoli pronti alle chiamate d’urgenza. Ognuno
ha una bottiglietta di aceto per lavarsi le mani. Autorità e popolo sono
sbalorditi e affascinati.
Le regioni più afflitte sono Valdocco e Borgo Dora. Nella parrocchia San Gioachino in un mese 800 colpiti e 500 i morti. A don Bosco affidano l’assistenza spirituale di un lazzaretto.
Informa
il biografo: «Vicino all’Oratorio varie famiglie sono decimate e nelle case
muoiono in brevissimo tempo oltre 40 persone. Don Bosco si mostrò un
amorosissimo padre. Per non tentare il Signore, usò ogni precauzione: fece
ripulire i locali, aggiunse camere, diminuì il numero dei letti nei dormitori,
migliorò il vitto sobbarcandosi a gravissime spese. Prostrato dinanzi l’altare,
pregava: “Mio Dio, percuotete il pastore, ma risparmiate il tenero gregge”.
Soggiungeva: “Maria, siete madre amorosa e potente: preservatemi questi amati
figli, e qualora il Signore volesse una vittima, eccomi pronto a
morire”».
- Pier Giuseppe Accornero -
20/04/2020/in Dal resto del Mondo
Una delle numerose ed eloquenti prove
di questo avvenne durante l’epidemia di colera del 1854. In quel momento di
emergenza, l’opera di San Giovanni Bosco adottò immediatamente le misure
sanitarie adeguate per preservare i suoi giovani dal contagio. Ma non si limitò
a questo. Prostrato ai piedi della Mediatrice di tutte le grazie, implorò:
“Maria, Voi siete madre amorosa, e potente; deh! Preservatemi questi amati
figli, qualora il Signore volesse una vittima tra noi, eccomi pronto a morire,
quando e come a Lui piace”.
Un invito all’eroismo.
Nella festa della Madonna delle Nevi,
riunì tutti i giovani, diede loro una breve spiegazione e disse:
— Raccomando a ciascuno di voi di fare
domani una buona Confessione e una Santa Comunione, affinché io possa offrirvi
tutti a Maria, chiedendoLe che vi custodisca e protegga come suoi figli
dilettissimi. Lo farete?
— Sì, sì! – risposero all’unisono.
— Se voi vi metterete tutti in grazia
di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, io vi assicuro che nessuno di
voi sarà toccato dal colera –, aggiunse il Santo. Vedendo che l’epidemia si
diffondeva sempre più e considerando la quantità di anime che si presentavano
al Supremo Giudice senza il soccorso dei Sacramenti, Don Bosco prese una
decisione che solo i Santi hanno il discernimento di assumere con convinzione e
sicurezza: lanciarsi con i suoi figli nella penosa e arrischiata opera di
assistenza a quegli sfortunati.
Li radunò, descrisse loro la
situazione di abbandono in cui si trovava tanta gente colpita dalla malattia ed
espresse il desiderio che lo accompagnassero in quest’opera di misericordia.
Quattordici accettarono subito la proposta, pochi giorni dopo altri trenta
seguirono lo stesso esempio. Prima di lanciarli nel campo di battaglia, Don
Bosco diede loro insegnamenti opportuni e utili su come trattare gli infettati.
Don Bosco superava tutti in dedizione
Ben presto si sparse la voce che quei
giovani erano eccellenti infermieri. Risultato: le richieste di soccorso
piovevano da tutte le parti, anche dal governo municipale. Ma erano pochissimi
operai per una immensa messe…
Don Bosco superava tutti in dedizione.
Si preoccupava soprattutto di amministrare i Sacramenti.
Infatti, lui e i giovani dell’Oratorio
avevano una sola preoccupazione: alleviare i corpi e salvare le anime. A loro
stessi, avrebbe provveduto la Divina Provvidenza. Ella si prese davvero cura di
loro, e molto bene! Per tre mesi essi provocarono e sfidarono l’epidemia.
Durante questo tempo essa li circondò in ogni momento, ma una forza invisibile
le impediva di colpirli: tutti attraversarono indenni la grande tempesta.
Cfr LEMOYNE, Giovanni Battista. Memorie biografiche di Don Bosco. Vol.V, pp.75-103.
Fonte: Giornalino Madonna di Fatima - giugno 2020
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