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venerdì 31 gennaio 2025

Don Bosco e il colera del 1854 – Pier Giuseppe Accornero

Come visse don Bosco l’epidemia del colera che scoppiò a Torino nel 1854?

Di seguito il racconto di quel momento della storia che toccò anche l’Oratorio di Valdocco, a cura di Pier Giuseppe Accornero, sacerdote, scrittore e giornalista torinese.

Don Bosco, l’Oratorio di Valdocco e il colera del 1854 a Torino

Dal 1° agosto al 21 novembre 1854 il colera a Torino colpisce 2.500 persone e ne uccide 1.400, ma nessuno dei ragazzi dell’Oratorio di Valdocco che, sull’esempio di don Giovanni Bosco, curano i colerosi. Lo testimonia don Giovanni Battista Lemoyne, salesiano genovese di origine francese, segretario e primo biografo, preoccupato di documentarne quanto c’è di straordinario nella personalità e nella vita. La sua opera maggiore è «Documenti per scrivere la storia di don Giovanni Bosco, dell’Oratorio San Francesco di Sales e della Congregazione salesiana». Ne trae le «Memorie biografiche di don Giovanni Bosco», titolo modificato in base al processo canonico: venerabile nel 1914, beato nel 1929, santo nel 1934. Con il pregio della testimonianza diretta perché conosce bene il santo e ne è segretario fino alla morte il 31 gennaio 1888. Ma hanno anche il difetto di essere eccessivamente elogiative.

Nell’estate 1854 scoppia il «colera morbus» con epicentro Borgo Dora, dove si ammassano gli immigrati, a due passi dall’Oratorio. A Genova 3.000 vittime e in un mese a Torino 800 colpiti e 500 morti. I casi salgono vertiginosamente, da 10-30 al giorno a 50-60. All’inizio quanti sono colpiti, muoiono; poi 60 decessi su 100 casi. Bloccato il commercio, chiuse le botteghe, fuga di quanti riescono. Il popolino accusa i medici di somministrare «acquetta», una bibita avvelenata, per farli morire più in fretta. Il sindaco Giovanni Notta si appella alla città e adotta le misure sanitarie. Ma il Municipio non trova volontari per portare i colerosi nei lazzaretti né per assisterli. Anche se stipendiati, pure i più coraggiosi rifiutano di esporre la propria vita. Si offrono i preti, i Camilliani, i Cappuccini, i Domenicani, gli Oblati di Maria. I parroci ripetono ai fedeli gli ordini emanati dalle autorità.

Il 3 agosto Torino ricorre alla Consolata: una folla di fedeli e una rappresentanza del Consiglio municipale pregano in santuario. Don Lemoyne annota: «La Vergine non sdegnò queste suppliche poiché la terribile malattia, contro ogni aspettazione, infierì assai meno in Torino che in tante altre città e paesi d’Europa, d’Italia e del Piemonte». Il 5 agosto, festa della Madonna della neve, don Bosco raccomanda ai giovani sobrietà, temperanza, tranquillità, coraggio, confidenza in Maria, confessione e Comunione: «Se farete quanto vi dico, sarete salvi. Se vi metterete in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, vi assicuro che niuno di voi sarà toccato. Ma se qualcuno rimanesse ostinato nemico di Dio e osasse offenderlo gravemente, io non potrei più essere garante né di lui, né per qualunque altro». Li invita a portare al collo una medaglia della Madonna e a recitare ogni giorno Pater, Ave, Gloria. Ancora Lemoyne: «Quella medesima sera e l’indomani tutti andarono a gara per accostarsi ai Sacramenti e la loro condotta divenne di tale esemplarità, che non si sarebbe potuto desiderar migliore. Molti circondavano don Bosco e gli esponevano i propri dubbi o gli manifestavano le piccole mancanze della giornata sicché era costretto a starsene un’ora e più a udire l’uno e l’altro, assicurando, incoraggiando, consolando». 

Don Bosco è un uomo di mille risorse, come spiega Lemoyne. «Balenò alla mente una coraggiosa idea. Impietosito alla vista dell’estremo abbandono in cui si trovavano i colerosi, espose ai lo stato miserando in cui si trovavano, esaltò il grande atto dì carità di consacrarsi in loro sollievo, disse aver il Divin Salvatore assicurato di riguardare come fatto a sé ogni servizio agli infermi. In tutte le epidemie e pestilenze vi furono sempre cristiani generosi i quali sfidarono la morte a fianco degli appestati. Espresse il vivo desiderio che anche alcuni gli divenissero compagni in quell’opera di misericordia»: 14 giovani, e poi altri 30 accolgono l’invito: «Ammirando l’eroico slancio, don Bosco pianse di consolazione e li slanciò all’opera pietosa. Quando si seppe che i giovani dell’Oratorio si erano consacrati a questa nobile impresa, le domande per averli si moltiplicarono talmente che loro non fu più possibile attenersi a nessun orario. Giorno e notte, come don Bosco, furono in moto». 

I gesti di solidarietà e di eroismo si moltiplicano. «Qualche giorno avevano appena tempo di prendere un boccon di pane e talvolta furono costretti a cibarsene nelle case dei colerosi. Quando trovavano un infermo che mancasse di lenzuola, coperte o camicia, correvano dalla caritatevole mamma Margherita che somministrava prontamente gli oggetti secondo il bisogno. Un giovane corse a raccontare come un povero malato si dimenasse in un misero giaciglio senza lenzuola. Fruga e trova solo una tovaglia da tavola: “Corri, non abbiamo più nulla”. Si presenta un secondo chiedendo qualche cosa. Che fa quella donna incomparabile? Vola a prendere una tovaglia dell’altare, un amitto, un camice e, con licenza di don Bosco, dà in elemosina anche quegli oggetti. Non fu una profanazione ma un atto di squisita carità, poiché quei lini benedetti ricopersero le nude membra di Gesù nella persona di un coleroso». I giovani formano tre squadre: i grandi a servire nel lazzaretto e nelle case; i mediani a raccogliere i moribondi nelle strade e i malati abbandonati nelle case; i piccoli pronti alle chiamate d’urgenza. Ognuno ha una bottiglietta di aceto per lavarsi le mani. Autorità e popolo sono sbalorditi e affascinati.

Le regioni più afflitte sono Valdocco e Borgo Dora. Nella parrocchia San Gioachino in un mese 800 colpiti e 500 i morti. A don Bosco affidano l’assistenza spirituale di un lazzaretto. 

Informa il biografo: «Vicino all’Oratorio varie famiglie sono decimate e nelle case muoiono in brevissimo tempo oltre 40 persone. Don Bosco si mostrò un amorosissimo padre. Per non tentare il Signore, usò ogni precauzione: fece ripulire i locali, aggiunse camere, diminuì il numero dei letti nei dormitori, migliorò il vitto sobbarcandosi a gravissime spese. Prostrato dinanzi l’altare, pregava: “Mio Dio, percuotete il pastore, ma risparmiate il tenero gregge”. Soggiungeva: “Maria, siete madre amorosa e potente: preservatemi questi amati figli, e qualora il Signore volesse una vittima, eccomi pronto a morire”».  

- Pier Giuseppe Accornero - 

20/04/2020/in Dal resto del Mondo


Una delle numerose ed eloquenti prove di questo avvenne durante l’epidemia di colera del 1854. In quel momento di emergenza, l’opera di San Giovanni Bosco adottò immediatamente le misure sanitarie adeguate per preservare i suoi giovani dal contagio. Ma non si limitò a questo. Prostrato ai piedi della Mediatrice di tutte le grazie, implorò: “Maria, Voi siete madre amorosa, e potente; deh! Preservatemi questi amati figli, qualora il Signore volesse una vittima tra noi, eccomi pronto a morire, quando e come a Lui piace”.

Un invito all’eroismo.

Nella festa della Madonna delle Nevi, riunì tutti i giovani, diede loro una breve spiegazione e disse:

— Raccomando a ciascuno di voi di fare domani una buona Confessione e una Santa Comunione, affinché io possa offrirvi tutti a Maria, chiedendoLe che vi custodisca e protegga come suoi figli dilettissimi. Lo farete?

— Sì, sì! – risposero all’unisono.

— Se voi vi metterete tutti in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, io vi assicuro che nessuno di voi sarà toccato dal colera –, aggiunse il Santo. Vedendo che l’epidemia si diffondeva sempre più e considerando la quantità di anime che si presentavano al Supremo Giudice senza il soccorso dei Sacramenti, Don Bosco prese una decisione che solo i Santi hanno il discernimento di assumere con convinzione e sicurezza: lanciarsi con i suoi figli nella penosa e arrischiata opera di assistenza a quegli sfortunati.

Li radunò, descrisse loro la situazione di abbandono in cui si trovava tanta gente colpita dalla malattia ed espresse il desiderio che lo accompagnassero in quest’opera di misericordia. Quattordici accettarono subito la proposta, pochi giorni dopo altri trenta seguirono lo stesso esempio. Prima di lanciarli nel campo di battaglia, Don Bosco diede loro insegnamenti opportuni e utili su come trattare gli infettati.

Don Bosco superava tutti in dedizione

Ben presto si sparse la voce che quei giovani erano eccellenti infermieri. Risultato: le richieste di soccorso piovevano da tutte le parti, anche dal governo municipale. Ma erano pochissimi operai per una immensa messe…

Don Bosco superava tutti in dedizione. Si preoccupava soprattutto di amministrare i Sacramenti.

Infatti, lui e i giovani dell’Oratorio avevano una sola preoccupazione: alleviare i corpi e salvare le anime. A loro stessi, avrebbe provveduto la Divina Provvidenza. Ella si prese davvero cura di loro, e molto bene! Per tre mesi essi provocarono e sfidarono l’epidemia. Durante questo tempo essa li circondò in ogni momento, ma una forza invisibile le impediva di colpirli: tutti attraversarono indenni la grande tempesta.

Cfr LEMOYNE, Giovanni Battista. Memorie biografiche di Don Bosco. Vol.V, pp.75-103.

Fonte: Giornalino Madonna di Fatima - giugno 2020


Buona giornata a tutti :-)