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mercoledì 6 giugno 2018

Con il “dialogo” ad ogni costo i cattolici stanno preparando la propria estinzione - cardinale Giacomo Biffi

Con il “dialogo” ad ogni costo i cattolici stanno preparando la propria estinzione,
” Dobbiamo salvare l’identità della Nazione dall’annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà (..)

Io non ho nessuna paura dell’ Islam, ho paura della straordinaria imprevidenza dei responsabili della nostra vita pubblica.
Ho paura dell’inconsistenza dei nostri opinionisti. (…)
Sorprendente che gli opinionisti laici non si accorgano di questi pericoli.(…)
Ho paura soprattutto dell’insipienza di molti cattolici.(…)
I cristiani devono piantarla di dire che bisogna andare d’accordo con tutte le idee.(…) 
Il mio compito è di evangelizzare i musulmani. È un gravissimo errore rinunciare all’evangelizzazione.(…)
“Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo che la storia ricordi.
Tutta l’eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai ” signori dell’opinione “, scalzata dalle coscienze specialmente giovanili. 
Di tale ostilità, a volte violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci nè di aver troppa paura, dal momento che il Signore ce lo ha ripetutamente preannunciato: “Non meravigliatevi se il mondo vi odia”. 
Ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o vogliono prenderne atto.(…)
”L’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana.
Ciò che mi pare senza avvenire è la ” cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale.
” Questa cultura del niente non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà. 
Solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come l’unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’ Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
” Purtroppo nè i “laici” nè i “cattolici” pare si siano resi conto del dramma che si sta profilando. 
I “laici”, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità.
I ” cattolici”, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta, e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice “dialogo” ad ogni costo, inconsciamente preparano la propria estinzione”.

- Card. Giacomo Biffi - 
dalla lettera pastorale ”La città di San Petronio nel terzo millennio”, ottobre 2000


La Chiesa è, anche per il credente, una realtà misteriosa, della quale pare sempre sfuggirci la vera natura. 
Per il non credente poi è addirittura un enigma irritante; sicché non ci meraviglia troppo il fatto che tanto spesso viene così mal valutata nelle sue intenzioni, così travisata nella sua indole, così incompresa nei suoi comportamenti.
Mentre tutte le istituzioni sociali e le potenze mondane tramontano, e in ogni caso non possiedono una continuità esistenziale, unicamente la Chiesa resta, sempre se stessa nel mutare dei tempi; e così fatalmente si trova a essere la sola chiamata a rispondere di tutti gli errori e i guai che si sono succeduti lungo i secoli.
La Chiesa sembra sempre in ritardo sulle idee del momento e sugli accadimenti recenti; ma quando quegli accadimenti si sono conclusi e quelle idee sono sfiorite, lei c’è ancora, sempre viva, sempre pronta a essere criticata e giudicata ritardataria dalle nuove aberrazioni e dalle nuove mode.
Non le mancano mai coloro che nei suoi confronti sono malevoli e ostili. 
E i suoi nemici sono sempre più forti di lei; mentre lei è inerme e sprovveduta, loro sono agguerriti e ricchi di mezzi. 
Eppure in definitiva la vittoria è sempre sua, se non altro la vittoria della sopravvivenza su chi presto o tardi alla fine scompare.
Chi guarda la Chiesa e la esamina come qualunque altro fenomeno della storia, spesso la vede come una somma di debolezze, di meschinità, di inefficienze; eppure quanto di più bello, di più nobile, di più misericordioso, di più duraturo è stato offerto agli uomini lungo questi venti secoli di solito, direttamente o indirettamente, proviene da lei. 

- Card. Giacomo Biffi - 
- Pentecoste 1990 -


Buona giornata a tutti. :-)




lunedì 30 aprile 2018

San Pio V, dell'Ordine dei Predicatori, Papa e Confessore († 1.5.1572)

Pontefice del Dio vivo, tu sei stato sulla terra "il muro di bronzo, la colonna di ferro" (Ger 1,18) di cui parla il Profeta; e la tua indomabile costanza ha preservato dalla violenza e dalle insidie dei suoi numerosi nemici il gregge che ti era stato affidato. 
Ben lungi dal disperare, alla vista dei pericoli il tuo coraggio s'innalzava come una diga che si costruisce sempre più alta a misura che le acque dell'inondazione arrivano più minacciose. 
Per mezzo tuo gl'invadenti flutti dell'eresia si sono arrestati, l'invasione musulmana è stata respinta, e abbassato l'orgoglio della Mezzaluna. 
Il Signore ti fece l'onore di sceglierti per rivendicare la sua gloria ed essere il liberatore del popolo cristiano; ricevi, insieme al nostro atto di riconoscenza, l'omaggio delle nostre umili felicitazioni. 
Pure per tuo mezzo la Chiesa, che usciva da una terribile crisi, ritrovò la sua bellezza. 
La vera riforma, quella che si compie attraverso l'autorità, fu applicata senza debolezze dalle tue mani, altrettanto ferme che pure. 
Il culto divino, rinnovato dalla pubblicazione di libri Liturgici, ti deve il suo progresso, e la sua restaurazione; e nei sei anni del tuo breve ma laborioso pontificato, molte opere assai feconde furono compiute. 
Adesso, Pontefice santo, ascolta i voti della Chiesa militante, i cui destini furono, per qualche tempo, affidati alle tue mani. 
Anche morendo, implorasti per lei, in nome del Salvatore risuscitato, la protezione contro i pericoli, ai quali era ancora esposta. 
Vedi come ai nostri giorni in quale stato ha ridotto quasi l'intera cristianità il dilagare dell'errore. 
Per far fronte a tutti i nemici che l'assediano, la Chiesa non ha più che le promesse del suo divin fondatore; gli appoggi visibili le mancano tutti assieme; non le restano più che i meriti della sofferenza e le risorse della preghiera. 
Unisci le tue suppliche alle sue, dimostrandoci, così, che sèguiti sempre ad amare il gregge del Maestro. Proteggi a Roma la cattedra del tuo successore, esposta agli attacchi più violenti ed astuti. Prìncipi e popoli cospirano contro il Signore e contro il suo Cristo. 
Allontana i flagelli che minacciano l'Europa, così ingrata verso la Madre sua, così indifferente agli attentati commessi contro colei a cui tutto deve. 
Illumina i ciechi, confondi i perversi; ottieni che la fede illumini finalmente tante intelligenze smarrite, che scambiano l'errore per la verità, le tenebre per la luce. 
In mezzo a questa notte così buia e così minacciosa, i nostri sguardi, o santo Pontefice, discernono le pecorelle fedeli: benedicile, sostienile e ne accresci il loro numero. 
Uniscile al tronco dell'albero che non può perire, affinché esse non siano disperse dalla tempesta. 
Rendile sempre più fedeli verso la fede e le tradizioni della santa Chiesa che è la loro unica forza, in mezzo a questo dilagare dell'errore che minaccia di tutto asportare. 
Conserva alla Chiesa il sacro Ordine nel quale tu fosti elevato a così alti destini; moltiplica nel suo seno quelle generazioni di uomini potenti in opere e parole, pieni di zelo per la fede e per la santificazione delle anime, quali noi ammiriamo nei suoi Annali, quali noi veneriamo sugli altari. 
Finalmente ricordati, o Pio, che sei stato il Padre del popolo cristiano, e seguita ad esercitare ancora questa prerogativa sulla terra, per mezzo della tua potente intercessione, fino a che sia completo il numero degli eletti.

(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 612-616)




O Dio, che hai scelto il Papa san Pio V
per la difesa della fede ed

il rinnovamento della preghiera liturgica,
concedi anche a noi di
partecipare con vera fede e carità
operosa ai tuoi santi misteri.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.

(dalla liturgia)




Adesso, Pontefice santo, ascolta i voti della Chiesa militante, i cui destini furono, per qualche tempo, affidati alle tue mani. 
Anche morendo, implorasti per lei, in nome del Salvatore risuscitato, la protezione contro i pericoli, ai quali era ancora esposta. 
Vedi come ai nostri giorni in quale stato ha ridotto quasi l'intera cristianità il dilagare dell'errore. Per far fronte a tutti i nemici che l'assediano, la Chiesa non ha più che le promesse del suo divin fondatore; gli appoggi visibili le mancano tutti assieme; non le restano più che i meriti della sofferenza e le risorse della preghiera. 
Unisci le tue suppliche alle sue, dimostrandoci, così, che sèguiti sempre ad amare il gregge del Maestro. 
Proteggi a Roma la cattedra del tuo successore, esposta agli attacchi più violenti ed astuti. 
Prìncipi e popoli cospirano contro il Signore e contro il suo Cristo. 
Allontana i flagelli che minacciano l'Europa, così ingrata verso la Madre sua, così indifferente agli attentati commessi contro colei a cui tutto deve. 
Illumina i ciechi, confondi i perversi; ottieni che la fede illumini finalmente tante intelligenze smarrite, che scambiano l'errore per la verità, le tenebre per la luce.
In mezzo a questa notte così buia e così minacciosa, i nostri sguardi, o santo Pontefice, discernono le pecorelle fedeli: benedicile, sostienile e ne accresci il loro numero. 
Uniscile al tronco dell'albero che non può perire, affinché esse non siano disperse dalla tempesta. 
Rendile sempre più fedeli verso la fede e le tradizioni della santa Chiesa che è la loro unica forza, in mezzo a questo dilagare dell'errore che minaccia di tutto asportare. 
Conserva alla Chiesa il sacro Ordine nel quale tu fosti elevato a così alti destini; moltiplica nel suo seno quelle generazioni di uomini potenti in opere e parole, pieni di zelo per la fede e per la santificazione delle anime, quali noi ammiriamo nei suoi Annali, quali noi veneriamo sugli altari. 
Finalmente ricordati, o Pio, che sei stato il Padre del popolo cristiano, e seguita ad esercitare ancora questa prerogativa sulla terra, per mezzo della tua potente intercessione, fino a che sia completo il numero degli eletti. Amen.



 Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 17 gennaio 2018

Antonio Socci - da: " In memoria di Andrea Aziani" in "Libero", 18 ottobre 2012

"E’ veramente un’umanità affascinante. Una storia di santità che si porta dietro anche tutti i limiti di noi peccatori, ma la Chiesa stessa è così."
"...Mi accorgo di cosa è CL quando sento la passione dell’altra figlia, per il suo violino e il suo pianoforte. Questo struggimento per la bellezza se l’è trovato dentro il cuore anche lei perché l’abbiamo imparato, assorbito per osmosi da don Giussani che ci ha fatto gustare tutto, dalla Sonata per violino e pianoforte n. 2 di Schubert, al panorama mozzafiato delle Dolomiti, dal mare azzurro e infinito al buon vino del mio amico Michele.
Lo struggimento per la bellezza, il gusto della vita, la fraternità vera (di chi ti accoglie in casa sua anche in piena notte), la fede e la speranza nella sofferenza, la compassione per il mondo intero, l’innamorata passione per Gesù benedetto e l’amore alla sua Chiesa fino al martirio.
Tutto questo miracolo in terra è CL, con tante opere meravigliose che ho scoperto di recente come la splendida Cometa di Como o che conosco da tempo come il Banco alimentare o i nostri medici dell’Avsi che da decenni curano gli ammalati di Aids nell’Africa profonda.
E tanti altri miracoli quotidiani, come la scelta della verginità di giovani di venti anni o l’ “amore vero” fra ragazzi e ragazze di 25 anni che per grazia si amano con eroismo e purezza (un tempo ci prendevano in giro, mentre oggi loro si sentono dire dai coetanei: “vi invidio”).
E’ veramente un’umanità affascinante. Una storia di santità che si porta dietro anche tutti i limiti di noi peccatori, ma la Chiesa stessa è così.
Nel suo cammino attraverso i secoli – scrive Eliot – gli uomini che si lasciano abbracciare da lei – e diventano cristiani – si trovano 

“salvati a dispetto del loro essere negativo; bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima;
Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce.
Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via”.


Questo sono i cristiani. Gente misera, ma in cammino con i santi.

- Antonio Socci -
da: " In memoriam di Andrea Aziani" in "Libero", 18 ottobre 2012




"Ma la storia cristiana è così. Da duemila anni. E’ fatta di uomini che si sentono umiliati per la propria miseria, ma la cui imperfezione è usata dal Signore dell’universo come piedistallo della Sua gloria. "

- Antonio Socci  -
" In memoria di Andrea Aziani" in "Libero", 18 ottobre 2012"


Il 2 febbraio 2016, durante la messa che celebrava il 19° anniversario della diocesi di Carabayllo nella città di Lima, in Perù, il vescovo Lino Panizza ha annunciato l’apertura della causa di beatificazione di Andrea Aziani (16.1.1953-30.7.2008)

In una lettera del 1993 a un amico, Andrea ricordava una frase di santa Caterina e scriveva: “Che qualcuno si innamori di ciò che ha innamorato noi. Ma perché sia così, noi dobbiamo bruciare, letteralmente, ardere di passione perché Cristo lo raggiunga. Perché attraverso questo bruciare sia Cristo a raggiungerlo”. Don Giussani un giorno lesse queste righe davanti a centinaia di persone e, commosso, commentò: “vi sfido a trovare una testimonianza simile. Dovunque!”.

Fonte: Antonio Socci, "Libero" - 7 agosto 2008





martedì 10 ottobre 2017

Gilbert Keith Chesterton "La nonna del drago"

L’altro giorno ho incontrato un tale che non credeva alle favole. 
Non intendo dire che non credesse negli eventi narrati in esse – che non credesse cioè che una zucca possa trasformarsi in una carrozza. 
Egli, certamente, coltivava questa bizzarra incredulità, ma ancor più, come tutte le persone simili da me incontrate, non riusciva nel modo più assoluto a darmene una motivazione intelligente. 
Provò con le leggi di natura, ma presto le lasciò perdere. Poi disse che le zucche, nell’esperienza ordinaria, sono inalterabili, e che tutti noi crediamo nella qualità infinitamente prolungata del loro essere zucche. 
Ma io gli feci notare che adottiamo questo atteggiamento non verso i prodigi impossibili, ma semplicemente verso tutti gli avvenimenti insoliti. Se fossimo certi dei miracoli non crederemmo in essi. 
Noi tutti lasciamo fuori dai nostri calcoli le cose che accadono molto raramente, siano esse miracolose o no. 
Io non mi aspetto che un bicchiere d’acqua si trasformi in vino, ma neppure mi aspetto che un bicchiere d’acqua sia avvelenato con l’acido prussico. 
Nelle relazioni d’affari ordinarie non mi baso sulla supposizione che l’editore sia un essere magico, ma neppure suppongo che possa essere una spia russa, o l’erede perduto del Sacro Romano Impero. 
Ciò che assumiamo nelle nostre azioni non è che l’ordine naturale sia inalterabile, ma semplicemente che è molto più sicuro scommettere su eventi non comuni che su quelli comuni. 
Questo non va a toccare la credibilità di ogni racconto che attesti una spia russa o una zucca tramutata in carrozza. 
Se anche io avessi visto con i miei occhi una zucca tramutata in un’autovettura Panhard, non per questo riterrei più probabile che la stessa cosa possa accadere ancora. Non investirei in larga scala sulle zucche per fare affari nel commercio di automobili. 
Cenerentola ebbe dalla fata un abito per il ballo, ma non credo che per questo motivo da lì in avanti si preoccupò di meno dei propri vestiti.
In ogni caso, per quanto pazza sia, l’opinione che le fiabe non siano realmente accadute è tuttavia comune. 
L’uomo di cui sto parlando si rifiutava di prestar fede alle fiabe in un senso addirittura più sorprendente e perverso: sosteneva che le fiabe non dovessero essere raccontate ai bambini. 
Questo, alla pari dell’appoggiare la schiavitù o l’invasione di un paese, è uno di quegli errori intellettuali che si avvicinano di molto al peccato mortale. Esistono dei rifiuti che, pur praticati con ciò che si chiama buona fede, nel loro stesso esercizio trascinano così tanto del proprio orrore che un uomo, nel commetterli, non arriva solo ad indurire il cuore, ma, lievemente, a corromperlo. 
Uno di questi fu il rifiutare il latte alle giovani madri mentre i loro mariti erano sul campo di battaglia contro di noi. Un altro è il privare delle favole i bambini.
Quell’uomo era venuto a trovarmi per via di qualche sciocca associazione di cui io sono un membro entusiasta; era un giovane dal colorito brillante ma miope come un curato che si è smarrito e non riesce neppure a ritrovare la strada per la Chiesa d’Inghilterra. 
Aveva una curiosa cravatta verde e un collo lunghissimo; mi capita sempre di incontrare idealisti con colli simili. Forse è per la loro eterna aspirazione ad innalzare lentamente la testa sempre più verso le stelle. 
O forse è legato al fatto che così tanti di loro sono vegetariani: può darsi che stiano lentamente sviluppando un collo da giraffa per mangiare tutte le cime degli alberi dei Kensington Gardens. 
Queste cose mi superano in ogni senso. Di questa razza, in ogni caso, era il giovane che non credeva alle fiabe, e per una curiosa coincidenza entrò nella mia stanza quando avevo appena terminato di dare un’occhiata ad un mucchio di narrativa contemporanea, e mi ero rifugiato come naturale conseguenza nelle favole di Grimm.
Quei romanzi moderni stavano comunque impilati davanti ai miei occhi, e potete immaginarne da soli i titoli. C’era una “Susan della periferia: un racconto di psicologia”, e anche una “Susan psicologica: un racconto di periferia”; e poi “Trixy: un temperamento” e “L’odio umano: un monocromo” e altre cose così simpatiche. Le avevo lette con reale interesse, ma, cosa abbastanza curiosa, alla fine tutte mi stancarono, e quando vidi le fiabe di Grimm poggiate per caso sulla scrivania me ne uscii in un urlo di gioia indecente. 
Eccoci, finalmente, qui si poteva trovare un po’ di senso comune. 
Aprii il libro, e mi caddero gli occhi su queste parole splendide e appaganti: “La nonna del drago”. Finalmente qualcosa di ragionevole, finalmente qualcosa di vero: “La nonna del drago”! Proprio quando mi preparavo a gustare il primo boccone di ordinaria umanità, guardai davanti all’improvviso e vidi alla porta questo mostro in cravatta verde.
Ascoltai quanto aveva da dire sulla società, abbastanza gentilmente, spero; ma quando incidentalmente fece menzione della sua mancanza di fede nelle fiabe, persi completamente il controllo. 
«O uomo, - dissi, - chi sei tu da non dover credere alle fiabe? È molto più facile credere a Barbablu che a te. Una barba blu è una sfortuna, ma certe cravatte verdi sono peccati. È di gran lunga più facile credere in un milione di favole che credere in un singolo uomo a cui non piacciono. 
Io bacerei Grimm al posto della Bibbia e giurerei su tutte le sue storie come fossero i trentanove articoli piuttosto che affermare seriamente e dal profondo del cuore che possa esistere un uomo come te, e che tu non sia invece una tentazione del diavolo o un’allucinazione proveniente dal nulla. 
Guarda queste parole semplici, familiari, pratiche. “La nonna del drago”: va tutto bene, si raggiunge la razionalità quasi al suo estremo. Se ci fosse un drago, avrebbe una nonna. Ma tu – tu non l’hai avuta una nonna! Se ne avessi conosciuta una, lei ti avrebbe insegnato ad amare le fiabe. 
Non hai avuto un padre, non hai avuto una madre, nessuna causa naturale ti può spiegare. Tu non puoi esistere. Io credo a molte cose che non ho visto, ma di una cosa come te si deve affermare: “Beato colui che pur avendo visto non ha creduto”».
Ebbi l’impressione che egli non mi stesse seguendo con sufficiente finezza, quindi moderai il mio tono. «Non vedi, - gli dissi, - che le fiabe nella loro essenza sono solide e leali, ma che questa infinita finzione sulla vita moderna è nella sua natura sostanzialmente inverosimile? La tradizione di un popolo implica che l’anima sia sana, ma che l’universo sia imprevedibile e pieno di meraviglie. Il realismo finisce invece per dire che il mondo è noioso e si ripete sempre, mentre l’anima è malata e urla di dolore. Il problema posto dalla fiaba è: cosa farà un uomo sano in un mondo fantastico? Il problema del romanzo moderno è: cosa farà un pazzo in un mondo stanco? Nelle fiabe il cosmo impazzisce, ma l’eroe no. Nei romanzi moderni invece l’eroe è già pazzo prima che il libro cominci, e soffre per il rigore rigido e crudele di un cosmo sano. Nell’eccellente “La nonna del drago” e in tutte le altre storie di Grimm, si suppone che il giovane in partenza per un lungo viaggio racchiuda in sé tutte le sostanziali verità: sarà coraggioso, pieno di fede, ragionevole, rispetterà i propri genitori, manterrà la parola data, salverà un certo tipo di persone, ne sconfiggerà un altro, ‘parcere subjectis et debellare’, ecc. A partire da questo centro di sanità lo scrittore si diverte ad immaginare cosa accadrebbe se il mondo intero impazzisse tutto intorno, se il sole diventasse verde e la luna blu, se i cavalli avessero sei zampe e i giganti due teste. Ma la tua moderna letteratura assume la pazzia come proprio centro di gravità, perdendo così interesse per la pazzia stessa. Un lunatico non si sorprende di se stesso, perché affronta le cose seriamente, ed è proprio questo a renderlo lunatico. Un uomo convinto di essere un pezzo di vetro è apatico nei propri confronti come un pezzo di vetro. Un uomo che pensa di essere un pollo si vede comune come un pollo. È solo la sanità che riesce a vedere nella pazzia persino una poesia selvaggia.
Pertanto, queste vecchie fiabe piene di saggezza hanno reso l’eroe ordinario e la storia straordinaria. Ma tu rendi l’eroe straordinario e la storia ordinaria – così ordinaria – oh, così tanto ordinaria!»
Vidi che mi guardava ancora fisso. 
Mi saltò qualche nervo davanti a quello sguardo ipnotico. Balzando in piedi gridai: «In nome di Dio e della Democrazia e della nonna del Drago – in nome cioè di tutte le cose buone – ti ordino di andartene e di non infestare più questa casa». 
Fosse o no il risultato dell’esorcismo, non c’è dubbio che se ne andò via per sempre.

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"




"Da parte mia vorrei che gli uomini avessero opinioni forti e ben radicate, ma per quanto riguarda la colazione, la facciano qualche volta in giardino, qualche volta a letto, qualche volta sul tetto e qualche volta sull'albero".

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"




"Tutto sta in una disposizione della mente, e in questo momento io sono in una disposizione molto comoda. Siederò tranquillo e lascerò che prodigi e avventure si posino su di me come mosche. 
Ce ne sono molti, ve l'assicuro. 
Il mondo non morirà mai per assenza di meraviglie, ma solo per assenza di meraviglia".

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"




"Ho i miei dubbi su tutto questo grande valore dell'andare in montagna, di arrivare alla cima di tutto e guardare tutto dall'alto. 
Satana divenne la guida alpina più illustre, quando portò Gesù sulla cima di un monte altissimo e gli mostrò tutti i  regni della terra. 
Ma la gioia di Satana nello stare su un picco non è gioia per la grandezza, ma una gioia nel vedere la piccolezza, per il fatto che tutti gli uomini sembrano insetti ai suoi piedi."

- Gilbert Keith Chesterton -
da:" La nonna del drago"

domenica 30 luglio 2017

L'identità del cristiano: vivere per servire – Madre Anna Maria Canopi

Vivere per servire: ecco un ideale davvero bello per un cristiano! 
Ogni autentico servizio, infatti, ha la sua radice nel mistero di Cristo che per salvarci "pur essendo di natura divina..., spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo" (Fil 2, 6-7). Gesù è venuto sulla terra per insegnarci a servire. Egli è il nostro modello. 
Durante l'ultima Cena, dopo la lavanda dei piedi, disse ai suoi discepoli:
"Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. " (Gv 13, 12-15).
Conformarsi a Cristo significa, dunque, nelle situazioni in cui si vive e si lavora, saper dire con spontaneità: "Sono venuto per servire, non per essere servito" (cf Mt 20,28), "essere cioè sempre a disposizione per il bene degli altri", anzi, "diventare un bene per gli altri".
La differenza non è piccola: si tratta di passare dal fare qualcosa a favore dei fratelli, ad essere una persona per gli altri, come Gesù è "per noi".
Questo modo di porsi in relazione a Dio e al prossimo dona alla vita una dimensione nuova: in qualunque stato ci si trovi - consacrati o laici, soli o sposati, sani o malati - sempre si ha una missione da compiere, quella di donarsi. 
E poiché il donarsi implica l'impegno di una continua conversione per negarsi a se stessi, chi vive in tale dimensione interiore evita di entrare in competizione e in rivalità con i fratelli, non agisce sotto la spinta dell'ambizione e dell'egoismo, fugge l’ostilità, la violenza, l'aggressività, con tutte le tristi conseguenze che purtroppo si esibiscono sulla scena di questo mondo. Allora, anche se in apparenza non occupa un posto di rilevo nella società, il cristiano contribuisce veramente a costruire la "civiltà dell'amore"; là dove vive è una presenza di pace che diffonde attorno a sé carità e spirito di comunione, favorisce la collaborazione e la concordia a tutti i livelli, diventa fermento di giustizia, di santità.
L’ideale del servizio comporta inoltre altre conseguenze. 
Se uno vive in pace con gli altri non avanza diritti per sé, cerca piuttosto di mettersi nella prospettiva del "dovere". 
Oggi si parla facilmente di "diritti", ma si pensa meno al fatto che, se ogni persona ha il diritto di essere libera, di avere il necessario per vivere, ciò implica che io ho il dovere di fare per quella persona quanto occorre per il suo bene. 
Certamente si tratta di un atteggiamento da assumere reciprocamente, di una responsabilità comune. Quanto è importante la reciprocità! 
Tuttavia, per quanto ci riguarda, dobbiamo soprattutto preoccuparci di compiere il nostro dovere, cioè di servire gli altri con amore, in modo gratuito, anche se non riceviamo dagli altri il contraccambio. 
Anzi, quando tale disparità dovesse manifestarsi, proprio allora è il momento di vivere il Vangelo alla lettera, senza seguire la mentalità del mondo.
In altre parole, non si deve osservare soltanto la legge del "dare per ricevere", perché la nostra identità di uomini e di cristiani - se tali vogliamo essere - si caratterizza per un sovrappiù di amore, in forza del quale non si fa il bene per ricevere il contraccambio, ma lo si fa gratuitamente, comunque e sempre, senza paura di "perdere", poiché il bene che si fa ritorna sempre anche a chi lo compie: non è mai contro di noi. 
Anzi proprio quando gli altri non ci ricambiano, sul piano spirituale guadagniamo di più, perché diventiamo più conformi, più somiglianti a Cristo. 
E questo è il vero guadagno: la santità. 
Chi fa il bene ha già il suo premio, perché si realizza secondo il progetto di Dio. 
A poco a poco, nelle sue scelte, si trova a non essere più schiavo di un criterio puramente umano e utilitaristico o, peggio, schiavo delle proprie passioni, ma si eleva a un concetto della vita più nobile e spirituale, e ad acquistare la capacità di avere rapporti autentici e sereni con tutti.
Questo è tanto importante, soprattutto nel nostro tempo in cui, con lo sviluppo delle comunicazioni, e anche in conseguenza delle migrazioni dei popoli, chi si dedica agli altri viene spesso a trovarsi a contatto con molte persone di altra nazionalità e anche di diversa religione. 
È una bella testimonianza di gratuità aprirsi a tutti: ogni uomo merita di essere onorato, amato, servito, a qualunque popolo appartenga e qualunque sia la sua fede.
Quando questi incontri avvengono in uno spirito di autentica accoglienza e umanità, favoriscono decisamente il formarsi di relazioni fraterne e pacifiche, perché il bene donato suscita altro bene. 
In un mondo dominato dalla violenza, si tesse così silenziosamente una rete di amicizia, che dice con i fatti che tutti gli uomini sono davvero fratelli, figli di un unico Dio, tutti incamminati verso un unica meta. 
Tutti siamo poveri e deboli, ma se ci aiutiamo le fatiche del cammino si possono affrontare con maggiore fiducia: là dove uno cade, un altro è pronto a rialzarlo; quando ad uno viene meno il coraggio, chi gli è accanto diventa per lui un raggio di speranza. Anche questo è un servizio che siamo chiamati a renderci reciprocamente. 
E bisogna farlo con gioiosa disponibilità, sapendo che abbiamo sempre accanto a noi Gesù, nostro compagno di viaggio. 
Anzi, è lui stesso la Via. Guardando a lui, non si può più accontentarsi di arrivare soltanto "fino a un certo punto", perché egli non si è fermato lungo la salita del Calvario, ma ha servito l'umanità fino a salire sulla croce. 
Dal suo esempio nasce la forza di andare oltre le "convenienze" umane, accettando non solo la fatica, ma anche le umiliazioni che spesso il servizio comporta, accettandole come momenti di grazia, per liberarci dal terribile peccato di orgoglio che sempre c'insidia e spesso rovina anche il bene che possiamo compiere.
Per servire gli altri bisogna veramente farsi piccoli, umili, fino a sapersi inginocchiare davanti a loro, mettersi ai loro piedi. 
È difficile, perché il nostro io è duro a morire; ma in questo sacrificio non c'è tristezza, anzi proprio da esso scaturisce la vera gioia. 
Gesù stesso ha detto: "C’è più gioia nel dare che nel ricevere", e l'apostolo Paolo afferma: "Dio ama chi dona con gioia". 
Queste parole di vita sono da ricordare sempre.
Chi si fa "servo" per amore di Cristo e dei fratelli si trova libero e felice di godere, insieme con tutti, il tesoro del Regno dei Cieli.
Come cambierebbe il mondo se ogni mattino ciascuno di noi si proponesse di rivestirsi di Cristo assumendone i pensieri e i sentimenti per riprodurne le opere; se con risolutezza ci mettessimo al lavoro come buoni operai dicendo: "Per me servire è regnare: oggi voglio cominciare a vivere così!".

 - Madre Cànopi Anna Maria -
Fonte: Vita nostra



<<Corde tacito mens bene conscia conservat patientiam...>>
(da un inno per i martiri)

Il silenzio diventa forza
per portare la prova.
Il lamentarsi, il discutere,
il parlare delle difficoltà
fa invece diminuire le forze.
Di fronte alle prove personali,
prima di ribellarsi,
prima di ragionare sulla situazione,
bisogna mettersi in silenzio,
attendere umilmente
che Dio ci manifesti il suo disegno,
credendo di essere sempre e ancor più
nelle sue mani.


Buona giornata a tutti. :-)