Narra la leggenda
che, tra i re arabi che dominarono la città di Toledo, Zenon sia stato il più
implacabile persecutore dei cristiani. Egli non ammetteva altra fede se non
quella musulmana e si era prefisso lo scopo di sopprimere chiunque non volesse
onorare Allah e il suo profeta Maometto convertendosi agli insegnamenti del
Corano.
I sotterranei del suo
palazzo non erano ormai altro che oscure prigioni, in cui i cristiani catturati
erano rinchiusi nell'attesa di una possibile conversione o del giudizio finale,
nel caso si ostinassero nel loro assurdo credo.
Zenon aveva indurito
il suo animo nelle feroci battaglie di conquista ed era ancor più chiuso alla
misericordia perché fermamente convinto di portare nel confuso occidente la
luce della verità.
Ma la verità per lui
era esclusivamente la sua e non ammetteva rivali di alcun tipo: era una verità
morta, come uno stagno le cui acque immobili non possono che imputridire.
Una volta giunto
vittorioso in Spagna, il re aveva voluto con sé l'amata figlia Casilda che,
pronta all'avventura come ogni giovane, attendeva con ansia quel viaggio verso
terre sconosciute di cui aveva solo sentito raccontare.
Il padre aveva fatto
costruire per lei un palazzo principesco, ornato di colonnati e ampie sale
arricchite da preziosi mosaici, del tutto simile a quello lasciato nella
lontana terra di Maometto.
Casilda si era subito
invaghita di quel paese, in parte simile al suo ma del tutto diverso nel gioco
delle luci e nella dolcezza del territorio. La gente spagnola le entrò presto nel
cuore e in breve tempo tutta Toledo parlava della dolce figlia di Zenon.
Incline per natura
all'accoglienza, la giovane araba si era contornata di nuovi amici dai quali
aveva appreso gli usi e i costumi di quella terra generosa, mentre loro
scherzosamente la chiamavano "la principessa curiosa". Con gran
rammarico Casilda si era però accorta che il nome di suo padre non suscitava
invece alcuna simpatia, anzi incuteva timore e diffidenza.
La giovane
s'interrogava sul profondo cambiamento di quell'uomo che lei aveva sempre
conosciuto come saggio e amabile e che si era invece trasformato in un acerrimo
nemico di tutto ciò che non appartenesse alla loro cultura. Lo ricordava ben
diverso quando, nei giardini della loro dimora, le narrava del coraggio ma
anche della giustizia di Maometto, mentre le mostrava l'immensità del cielo
indicando ogni stella e lodando la magnificenza del creato in cui Allah aveva
riversato il suo amore.
Intanto, giorno dopo
giorno, le prigioni di Zenon andavano sempre più riempiendosi di cristiani che
non volevano rinnegare la loro fede e ormai tutti sussurravano che il palazzo
del re fosse un luogo di pene e torture.
Una notte Casilda si svegliò
di soprassalto, certa di non aver sognato quei lamenti che giungevano fino a
lei, si alzò e ascoltò più attentamente. Le parve allora che le viscere del
palazzo prendessero voce in un canto di tristezza e sofferenza che si alternava
però a una nenia di dolce rassegnazione.
Quelle note, a volte
dissonanti e a volte melodiose, penetrarono profondamente nell'anima della
giovane principessa, tanto che da quel momento l'inquietudine s'impadronì di
lei rendendola irrequieta e scontrosa.
Casilda si fece attenta
a ogni voce di palazzo e, sebbene tutti troncassero certi loro discorsi quando
lei arrivava, intuì che nei sotterranei avveniva qualcosa di misterioso e
terribile.
Interrogò quindi
tutti quelli che le erano più vicini, ma nessuno pareva conoscere quel segreto.
Dalle risposte titubanti e dalle espressioni imbarazzate la principessa era
però ormai più che certa che suo padre avesse dato ordine di tenerla all'oscuro
di qualcosa che accadeva proprio nella loro dimora e questo la rese più che mai
decisa a scoprire cosa fosse.
Si recò quindi dagli
amici più cari, figli di un nobile spagnolo, e con grande schiettezza raccontò
loro ciò che l'angustiava.
I giovani furono altrettanto sinceri con lei e così
Casilda conobbe la penosa vicenda dei cristiani di Toledo.
I suoi stessi amici
avevano dovuto tenere nascosto ciò in cui credevano, per non incorrere nelle ire
del feroce Zenon, ma ora erano felici di aver condiviso con la giovane amica
questo grande segreto. Tanta fiducia in lei la commosse e Casilda, lasciandoli,
giurò che mai li avrebbe traditi per nessuna ragione al mondo.
Mentre la carrozza
reale la riaccompagnava a palazzo, lei guardava la città con occhi diversi,
raffigurandosi la pena di tanta gente costretta alla più terribile delle
privazioni, quella della propria libertà di pensiero e di fede.
S'immaginò costretta
a rinnegare tutto ciò che le era stato insegnato e in cui credeva fin da quando
era bambina e le sembrò che nulla potesse essere più penoso se non perdita
della propria amorevole relazione con Allah e il suo profeta. Privata di questo
prezioso legame, sentiva che niente di buono sarebbe più uscito da lei.
Conosceva la dottrina
di Gesù di Nazareth e anche la vita di quell'essere meraviglioso: perché mai
impedire che i suoi seguaci lo amassero e in suo nome vivessero una vita
serena? Gesù non aveva che insegnato la pace e il perdono, quindi ciò che il
padre stava facendo le parve oltremodo ingiusto.
Giunta alla reggia,
volle subito vedere Zenon e, senza tanti preamboli, lo affrontò raccontandogli
dei lamenti che la notte giungevano fino a lei e del dolore di quel popolo
costretto all'umiliazione di pregare Dio di nascosto. Come mai suo padre era
così cambiato e quale atrocità nascondeva quel palazzo?
Alle parole della
figlia il re s'infuriò come raramente le era capitato di vedere e giurò che
l'avrebbe immediatamente allontanata da Toledo, se si fosse azzardata a toccare
nuovamente quell'argomento. Il suo sfogo fu amaro e violento: "Lei non
sapeva cosa volesse dire la fatica di una conquista, l'odore del sangue, la
vista della morte a ogni battaglia. Il nemico andava sconfitto su ogni fronte,
definitivamente, e la privazione dell'anima era uno dei mezzi più
efficaci".
Casilda non rispose.
Conosceva il padre e sentiva che la sua rabbia era rivolta prima di tutto
contro se stesso: il re soffriva perché non sapeva più fermare il suo odio
verso la vita che gli aveva fatto gustare il tremendo sapore del potere.
La giovane
principessa era in ogni caso fermamente decisa a entrare in campo: la sua
nobiltà d'animo e il suo amore per la giustizia non potevano sopportare
passivamente una situazione di quel genere. Il Gesù dei cristiani l'avrebbe
aiutata e Maometto avrebbe certamente approvato!
Quella notte stessa,
complici alcune guardie e dei servi, Casilda riuscì a raggiungere le segrete
del palazzo. Lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi le parve incredibile:
uomini, donne e fanciulli erano ammassati in umide celle sporche e
maleodoranti. Il loro aspetto era quasi spettrale e molti cercavano di fasciare
con qualche straccio intriso di sangue profonde ferite.
I più giovani si
lamentavano per la fame, altri per il dolore, mentre alcuni cercavano di
infondere un po' di coraggio fra quei derelitti. C'era però, in mezzo a tutto
questo, anche un'onda di coraggiosa resistenza, forte della fiducia nella
propria fede e della certezza che l'alchimia divina avrebbe trasformato il loro
sacrificio in una preziosa goccia nell'oceano della vita.
La dolce principessa
araba fu travolta da una profonda indignazione che scosse tutto il suo essere,
risvegliando l'indomito coraggio che scorreva nelle sue vene. Ora sapeva e aveva
visto, quella situazione non poteva continuare, a costo della sua stessa vita!
Casilda volle parlare
con quella povera gente che le si stava avvicinando, prima titubante e poi
sempre più fiduciosa nell'aprire il proprio animo alla giovane che, da parte
sua, già li amava come fratelli sfortunati, figli dello stesso Padre che aveva
infuso in lei la vita. Cosa importava se i semi erano stati gettati in terreni
diversi? Il giardino divino era sconfinato e produceva un'infinita varietà di
frutti!
Da quella notte la
giovane figlia di Zenon si votò alla causa dei cristiani. Per prima cosa prese
accordi con gli amici di Toledo affinché si organizzasse una rete di protezione
in grado di impedire nuovi arresti; poi si rivolse agli schiavi e alle guardie
reali, sapendo di poter contare sull'aiuto di molti di loro all'interno del
palazzo.
La sua decisione era
presa: avrebbe curato e sfamato i prigionieri delle segrete, nell'attesa di
trovare il momento più opportuno per battersi apertamente in favore della loro
liberazione!
Tutto ciò era molto
pericoloso sia per lei sia per chi aveva promesso di aiutarla. Il re, infatti,
non tardò ad accorgersi che qualcosa d'insolito stava accadendo. Era un uomo
furbo e intelligente e non potevano quindi passare inosservati certi sguardi
d'intesa, o i bisbigli improvvisamente interrotti al suo arrivo. Zenon decise
quindi di stare all'erta e intervenire nel momento più opportuno.
Fra lui e la figlia
si era creata una situazione ambigua, fatta in parte di dichiarata ostilità e
in parte di lunghe conversazioni, durante le quali ancora si ricreava il
dialogo dei tempi passati. Anche i loro cuori parevano ora divisi fra profonde
incomprensioni e amorevoli possibilità offerte da entrambi per tentare di
riallacciare quel filo che pareva essersi spezzato.
Intanto Casilda aveva
comunque tenuto fede alle promesse fatte nelle oscure segrete del palazzo e
ogni notte vi si recava con i servi più fidati portando cibo e medicine. Le
guardie parevano chiudere un occhio, fingendo di non accorgersi di quel
tramestio notturno; d'altronde amavano la giovane principessa e non sarebbero
certo state loro a farle del male.
Un giorno finalmente
la ragazza decise che era giunto il momento di affrontare il padre in campo
aperto e, invece di aggirare il problema come aveva fatto sino a quel momento,
lo interrogò direttamente sulla situazione dei cristiani che languivano nelle
sue prigioni.
Zenon si trovò
completamente spiazzato! Come poteva giustificare il suo comportamento così
contrastante con gli insegnamenti nei quali era stata cresciuta la figlia?
Fu come se Casilda
avesse in quel momento rappresentato la sua stessa coscienza che gli chiedeva
conto di quanto stava facendo e la reazione del re fu terribile. La lite che ne
seguì fece tremare tutto il palazzo e ognuno, a modo suo, pregò per la
coraggiosa fanciulla. Troncata ogni possibilità di replica, e nell'attesa di
decidere come comportarsi con lei, il padre le ordinò di non lasciare le
proprie stanze e di non presentarsi più al suo cospetto finché lui l'avesse mandata
a chiamare; poi, in preda a una profonda collera, lasciò il palazzo sul suo
cavallo e non tornò che a notte fonda. Il re sapeva che la figlia non si
sarebbe facilmente sottomessa al suo volere e questo lo rendeva in parte anche
orgoglioso di quella fiera creatura, capace di grande tenerezza così come di
salda determinazione nel fronteggiare il confronto con ciò che riteneva
ingiusto. Egli si proponeva quindi di sorvegliarla per coglierla in fallo e, se
non avesse potuto porre altro rimedio, di punirla severamente.
Casilda amava il
padre ma aveva nel tempo imparato a temerne la collera. Nonostante ciò, lasciò
passare solo quella notte, poi riprese a recarsi nelle segrete con il cibo per
i prigionieri. Tutti si erano fatti più guardinghi e ogni cautela per evitare
di farsi scoprire da Zenon non sembrava mai eccessiva. Da quando il padre si
era fatto più attento ai movimenti nel palazzo, la principessa volle provvedere
da sola al cibo per i cristiani e così, come ogni notte, anche quella volta si
era alzata nell'ora in cui il sonno si faceva più profondo portando lontano le
coscienze. Zenon però non dormiva, ma aspettava di balzare sulla sua preda.
Per poter raggiungere
direttamente i sotterranei dalle cucine, Casilda aveva trovato una strada che
passava da una piccola porta del giardino nascosta da un profumato roseto
rampicante. Quella notte aveva già riempito abbondantemente l'ampio scialle con
panini dolci e si stava dirigendo frettolosamente verso il roseto quando,
veloce e silenzioso come un felino, il re le si parò davanti. La povera ragazza
sussultò per lo spavento e un turbinio di pensieri le offuscò la mente.
Nonostante l'oscurità, poté distinguere gli occhi del padre brillare come
brace.
«Che strano incontro
con mia figlia a quest'ora della notte!» le disse lui, sicuro di aver vinto la
sua battaglia contro quell'ostinata ribelle. «Che cosa porti nello scialle,
cibo per i nemici di Allah?».
«No, padre» rispose
Casilda, a cui le parole uscivano di bocca senza che ormai lei potesse
controllarle: «non credo che Allah consideri suoi nemici quelli che invece sono
solo tuoi nemici!».
«Spudorata insolente,
mostrami subito quello che nascondi!». E così dicendo Zenon strappò dalle mani
della figlia i lembi dello scialle, che lasciò cadere a terra il suo carico
di... rose profumate.
Sparsi tutt'intorno
ai piedi della principessa non c'erano altro che magnifici boccioli di rose.
«Padre mio, non posso
stare senza i miei amati fiori, così di notte vengo a raccoglierli per portarli
nelle mie stanze e godere durante il giorno del loro profumo e della loro
vista; ma, se questo t'inquieta, eviterò di farlo». E con queste parole
Casilda, le cui ginocchia per la verità ancora tremavano, ritornò verso il
palazzo.
Il re rimase
impietrito a fissare i fiori che a loro volta parevano guardarlo. Si chinò e ne
raccolse uno tenendolo a lungo nel palmo della mano: era morbido e tiepido come
un piccolo cuore.
Da quella notte tutta
Toledo tornò a nuova vita.
I prigionieri di Zenon furono liberati e nessun
cristiano fu più perseguitato.
Il re e sua figlia
non menzionarono mai la "notte delle rose", ma il loro legame si
rinsaldò, com'era stato un tempo quando lui le raccontava quanto fosse
meraviglioso e intessuto d'amore il Creato.
Quello che nessuno sa
è che quella notte Zenon, tornato nelle sue stanze, fu vinto da un sonno
profondissimo e fece questo sogno: si trovava in un intricato labirinto da cui
non riusciva a uscire, la sua angoscia aumentava sempre più finché gli parve di
sprofondare in un vortice buio.
Al termine di questo profondo tunnel si trovò
in uno spazio senza confini dove in lontananza si poteva a malapena scorgere
una figura china su un tavolo. Egli si mise quindi in cammino ma a mano a mano
i suoi passi procedevano verso la misteriosa figura questa si allontanava sempre
più.
A un tratto si trovò
di fronte un muro di rose rampicanti che gli ostruiva il cammino, ne colse una
e quella si tramutò all'istante in sua figlia Casilda che lo prese per mano
conducendolo ai confini di quello sterminato territorio.
Qui, in una luce
abbagliante, poté riconoscere Gesù di Nazareth intento a scrivere. Zenon si
avvicinò, curioso di leggere quello che il giovane palestinese stava scrivendo
sulla pergamena, e con suo grande
stupore vide fondersi, in un incredibile gioco di luci, le parole Dio e Allah
che insieme composero una terza parola: Amore.
- Antica leggenda
persiana -
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A.
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