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domenica 27 ottobre 2019

La leggenda detta "notte dette rose" - Antica leggenda persiana


Narra la leggenda che, tra i re arabi che dominarono la città di Toledo, Zenon sia stato il più implacabile persecutore dei cristiani. Egli non ammetteva altra fede se non quella musulmana e si era prefisso lo scopo di sopprimere chiunque non volesse onorare Allah e il suo profeta Maometto convertendosi agli insegnamenti del Corano.
I sotterranei del suo palazzo non erano ormai altro che oscure prigioni, in cui i cristiani catturati erano rinchiusi nell'attesa di una possibile conversione o del giudizio finale, nel caso si ostinassero nel loro assurdo credo.
Zenon aveva indurito il suo animo nelle feroci battaglie di conquista ed era ancor più chiuso alla misericordia perché fermamente convinto di portare nel confuso occidente la luce della verità.
Ma la verità per lui era esclusivamente la sua e non ammetteva rivali di alcun tipo: era una verità morta, come uno stagno le cui acque immobili non possono che imputridire.
Una volta giunto vittorioso in Spagna, il re aveva voluto con sé l'amata figlia Casilda che, pronta all'avventura come ogni giovane, attendeva con ansia quel viaggio verso terre sconosciute di cui aveva solo sentito raccontare.
Il padre aveva fatto costruire per lei un palazzo principesco, ornato di colonnati e ampie sale arricchite da preziosi mosaici, del tutto simile a quello lasciato nella lontana terra di Maometto.
Casilda si era subito invaghita di quel paese, in parte simile al suo ma del tutto diverso nel gioco delle luci e nella dolcezza del territorio. La gente spagnola le entrò presto nel cuore e in breve tempo tutta Toledo parlava della dolce figlia di Zenon.
Incline per natura all'accoglienza, la giovane araba si era contornata di nuovi amici dai quali aveva appreso gli usi e i costumi di quella terra generosa, mentre loro scherzosamente la chiamavano "la principessa curiosa". Con gran rammarico Casilda si era però accorta che il nome di suo padre non suscitava invece alcuna simpatia, anzi incuteva timore e diffidenza.
La giovane s'interrogava sul profondo cambiamento di quell'uomo che lei aveva sempre conosciuto come saggio e amabile e che si era invece trasformato in un acerrimo nemico di tutto ciò che non appartenesse alla loro cultura. Lo ricordava ben diverso quando, nei giardini della loro dimora, le narrava del coraggio ma anche della giustizia di Maometto, mentre le mostrava l'immensità del cielo indicando ogni stella e lodando la magnificenza del creato in cui Allah aveva riversato il suo amore.
Intanto, giorno dopo giorno, le prigioni di Zenon andavano sempre più riempiendosi di cristiani che non volevano rinnegare la loro fede e ormai tutti sussurravano che il palazzo del re fosse un luogo di pene e torture.
Una notte Casilda si svegliò di soprassalto, certa di non aver sognato quei lamenti che giungevano fino a lei, si alzò e ascoltò più attentamente. Le parve allora che le viscere del palazzo prendessero voce in un canto di tristezza e sofferenza che si alternava però a una nenia di dolce rassegnazione.
Quelle note, a volte dissonanti e a volte melodiose, penetrarono profondamente nell'anima della giovane principessa, tanto che da quel momento l'inquietudine s'impadronì di lei rendendola irrequieta e scontrosa.
Casilda si fece attenta a ogni voce di palazzo e, sebbene tutti troncassero certi loro discorsi quando lei arrivava, intuì che nei sotterranei avveniva qualcosa di misterioso e terribile.
Interrogò quindi tutti quelli che le erano più vicini, ma nessuno pareva conoscere quel segreto. Dalle risposte titubanti e dalle espressioni imbarazzate la principessa era però ormai più che certa che suo padre avesse dato ordine di tenerla all'oscuro di qualcosa che accadeva proprio nella loro dimora e questo la rese più che mai decisa a scoprire cosa fosse.
Si recò quindi dagli amici più cari, figli di un nobile spagnolo, e con grande schiettezza raccontò loro ciò che l'angustiava. 
I giovani furono altrettanto sinceri con lei e così Casilda conobbe la penosa vicenda dei cristiani di Toledo.

I suoi stessi amici avevano dovuto tenere nascosto ciò in cui credevano, per non incorrere nelle ire del feroce Zenon, ma ora erano felici di aver condiviso con la giovane amica questo grande segreto. Tanta fiducia in lei la commosse e Casilda, lasciandoli, giurò che mai li avrebbe traditi per nessuna ragione al mondo.
Mentre la carrozza reale la riaccompagnava a palazzo, lei guardava la città con occhi diversi, raffigurandosi la pena di tanta gente costretta alla più terribile delle privazioni, quella della propria libertà di pensiero e di fede.
S'immaginò costretta a rinnegare tutto ciò che le era stato insegnato e in cui credeva fin da quando era bambina e le sembrò che nulla potesse essere più penoso se non perdita della propria amorevole relazione con Allah e il suo profeta. Privata di questo prezioso legame, sentiva che niente di buono sarebbe più uscito da lei.
Conosceva la dottrina di Gesù di Nazareth e anche la vita di quell'essere meraviglioso: perché mai impedire che i suoi seguaci lo amassero e in suo nome vivessero una vita serena? Gesù non aveva che insegnato la pace e il perdono, quindi ciò che il padre stava facendo le parve oltremodo ingiusto.
Giunta alla reggia, volle subito vedere Zenon e, senza tanti preamboli, lo affrontò raccontandogli dei lamenti che la notte giungevano fino a lei e del dolore di quel popolo costretto all'umiliazione di pregare Dio di nascosto. Come mai suo padre era così cambiato e quale atrocità nascondeva quel palazzo?
Alle parole della figlia il re s'infuriò come raramente le era capitato di vedere e giurò che l'avrebbe immediatamente allontanata da Toledo, se si fosse azzardata a toccare nuovamente quell'argomento. Il suo sfogo fu amaro e violento: "Lei non sapeva cosa volesse dire la fatica di una conquista, l'odore del sangue, la vista della morte a ogni battaglia. Il nemico andava sconfitto su ogni fronte, definitivamente, e la privazione dell'anima era uno dei mezzi più efficaci".
Casilda non rispose. Conosceva il padre e sentiva che la sua rabbia era rivolta prima di tutto contro se stesso: il re soffriva perché non sapeva più fermare il suo odio verso la vita che gli aveva fatto gustare il tremendo sapore del potere.
La giovane principessa era in ogni caso fermamente decisa a entrare in campo: la sua nobiltà d'animo e il suo amore per la giustizia non potevano sopportare passivamente una situazione di quel genere. Il Gesù dei cristiani l'avrebbe aiutata e Maometto avrebbe certamente approvato!
Quella notte stessa, complici alcune guardie e dei servi, Casilda riuscì a raggiungere le segrete del palazzo. Lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi le parve incredibile: uomini, donne e fanciulli erano ammassati in umide celle sporche e maleodoranti. Il loro aspetto era quasi spettrale e molti cercavano di fasciare con qualche straccio intriso di sangue profonde ferite.
I più giovani si lamentavano per la fame, altri per il dolore, mentre alcuni cercavano di infondere un po' di coraggio fra quei derelitti. C'era però, in mezzo a tutto questo, anche un'onda di coraggiosa resistenza, forte della fiducia nella propria fede e della certezza che l'alchimia divina avrebbe trasformato il loro sacrificio in una preziosa goccia nell'oceano della vita.
La dolce principessa araba fu travolta da una profonda indignazione che scosse tutto il suo essere, risvegliando l'indomito coraggio che scorreva nelle sue vene. Ora sapeva e aveva visto, quella situazione non poteva continuare, a costo della sua stessa vita!
Casilda volle parlare con quella povera gente che le si stava avvicinando, prima titubante e poi sempre più fiduciosa nell'aprire il proprio animo alla giovane che, da parte sua, già li amava come fratelli sfortunati, figli dello stesso Padre che aveva infuso in lei la vita. Cosa importava se i semi erano stati gettati in terreni diversi? Il giardino divino era sconfinato e produceva un'infinita varietà di frutti!
Da quella notte la giovane figlia di Zenon si votò alla causa dei cristiani. Per prima cosa prese accordi con gli amici di Toledo affinché si organizzasse una rete di protezione in grado di impedire nuovi arresti; poi si rivolse agli schiavi e alle guardie reali, sapendo di poter contare sull'aiuto di molti di loro all'interno del palazzo.
La sua decisione era presa: avrebbe curato e sfamato i prigionieri delle segrete, nell'attesa di trovare il momento più opportuno per battersi apertamente in favore della loro liberazione!
Tutto ciò era molto pericoloso sia per lei sia per chi aveva promesso di aiutarla. Il re, infatti, non tardò ad accorgersi che qualcosa d'insolito stava accadendo. Era un uomo furbo e intelligente e non potevano quindi passare inosservati certi sguardi d'intesa, o i bisbigli improvvisamente interrotti al suo arrivo. Zenon decise quindi di stare all'erta e intervenire nel momento più opportuno.
Fra lui e la figlia si era creata una situazione ambigua, fatta in parte di dichiarata ostilità e in parte di lunghe conversazioni, durante le quali ancora si ricreava il dialogo dei tempi passati. Anche i loro cuori parevano ora divisi fra profonde incomprensioni e amorevoli possibilità offerte da entrambi per tentare di riallacciare quel filo che pareva essersi spezzato.
Intanto Casilda aveva comunque tenuto fede alle promesse fatte nelle oscure segrete del palazzo e ogni notte vi si recava con i servi più fidati portando cibo e medicine. Le guardie parevano chiudere un occhio, fingendo di non accorgersi di quel tramestio notturno; d'altronde amavano la giovane principessa e non sarebbero certo state loro a farle del male.
Un giorno finalmente la ragazza decise che era giunto il momento di affrontare il padre in campo aperto e, invece di aggirare il problema come aveva fatto sino a quel momento, lo interrogò direttamente sulla situazione dei cristiani che languivano nelle sue prigioni.
Zenon si trovò completamente spiazzato! Come poteva giustificare il suo comportamento così contrastante con gli insegnamenti nei quali era stata cresciuta la figlia?
Fu come se Casilda avesse in quel momento rappresentato la sua stessa coscienza che gli chiedeva conto di quanto stava facendo e la reazione del re fu terribile. La lite che ne seguì fece tremare tutto il palazzo e ognuno, a modo suo, pregò per la coraggiosa fanciulla. Troncata ogni possibilità di replica, e nell'attesa di decidere come comportarsi con lei, il padre le ordinò di non lasciare le proprie stanze e di non presentarsi più al suo cospetto finché lui l'avesse mandata a chiamare; poi, in preda a una profonda collera, lasciò il palazzo sul suo cavallo e non tornò che a notte fonda. Il re sapeva che la figlia non si sarebbe facilmente sottomessa al suo volere e questo lo rendeva in parte anche orgoglioso di quella fiera creatura, capace di grande tenerezza così come di salda determinazione nel fronteggiare il confronto con ciò che riteneva ingiusto. Egli si proponeva quindi di sorvegliarla per coglierla in fallo e, se non avesse potuto porre altro rimedio, di punirla severamente.
Casilda amava il padre ma aveva nel tempo imparato a temerne la collera. Nonostante ciò, lasciò passare solo quella notte, poi riprese a recarsi nelle segrete con il cibo per i prigionieri. Tutti si erano fatti più guardinghi e ogni cautela per evitare di farsi scoprire da Zenon non sembrava mai eccessiva. Da quando il padre si era fatto più attento ai movimenti nel palazzo, la principessa volle provvedere da sola al cibo per i cristiani e così, come ogni notte, anche quella volta si era alzata nell'ora in cui il sonno si faceva più profondo portando lontano le coscienze. Zenon però non dormiva, ma aspettava di balzare sulla sua preda.
Per poter raggiungere direttamente i sotterranei dalle cucine, Casilda aveva trovato una strada che passava da una piccola porta del giardino nascosta da un profumato roseto rampicante. Quella notte aveva già riempito abbondantemente l'ampio scialle con panini dolci e si stava dirigendo frettolosamente verso il roseto quando, veloce e silenzioso come un felino, il re le si parò davanti. La povera ragazza sussultò per lo spavento e un turbinio di pensieri le offuscò la mente. Nonostante l'oscurità, poté distinguere gli occhi del padre brillare come brace.
«Che strano incontro con mia figlia a quest'ora della notte!» le disse lui, sicuro di aver vinto la sua battaglia contro quell'ostinata ribelle. «Che cosa porti nello scialle, cibo per i nemici di Allah?».
«No, padre» rispose Casilda, a cui le parole uscivano di bocca senza che ormai lei potesse controllarle: «non credo che Allah consideri suoi nemici quelli che invece sono solo tuoi nemici!».
«Spudorata insolente, mostrami subito quello che nascondi!». E così dicendo Zenon strappò dalle mani della figlia i lembi dello scialle, che lasciò cadere a terra il suo carico di... rose profumate.
Sparsi tutt'intorno ai piedi della principessa non c'erano altro che magnifici boccioli di rose.
«Padre mio, non posso stare senza i miei amati fiori, così di notte vengo a raccoglierli per portarli nelle mie stanze e godere durante il giorno del loro profumo e della loro vista; ma, se questo t'inquieta, eviterò di farlo». E con queste parole Casilda, le cui ginocchia per la verità ancora tremavano, ritornò verso il palazzo.
Il re rimase impietrito a fissare i fiori che a loro volta parevano guardarlo. Si chinò e ne raccolse uno tenendolo a lungo nel palmo della mano: era morbido e tiepido come un piccolo cuore.
Da quella notte tutta Toledo tornò a nuova vita. 
I prigionieri di Zenon furono liberati e nessun cristiano fu più perseguitato.
Il re e sua figlia non menzionarono mai la "notte delle rose", ma il loro legame si rinsaldò, com'era stato un tempo quando lui le raccontava quanto fosse meraviglioso e intessuto d'amore il Creato.
Quello che nessuno sa è che quella notte Zenon, tornato nelle sue stanze, fu vinto da un sonno profondissimo e fece questo sogno: si trovava in un intricato labirinto da cui non riusciva a uscire, la sua angoscia aumentava sempre più finché gli parve di sprofondare in un vortice buio. 
Al termine di questo profondo tunnel si trovò in uno spazio senza confini dove in lontananza si poteva a malapena scorgere una figura china su un tavolo. Egli si mise quindi in cammino ma a mano a mano i suoi passi procedevano verso la misteriosa figura questa si allontanava sempre più.
A un tratto si trovò di fronte un muro di rose rampicanti che gli ostruiva il cammino, ne colse una e quella si tramutò all'istante in sua figlia Casilda che lo prese per mano conducendolo ai confini di quello sterminato territorio. 
Qui, in una luce abbagliante, poté riconoscere Gesù di Nazareth intento a scrivere. Zenon si avvicinò, curioso di leggere quello che il giovane palestinese stava scrivendo sulla pergamena, e con suo grande stupore vide fondersi, in un incredibile gioco di luci, le parole Dio e Allah che insieme composero una terza parola: Amore.

- Antica leggenda persiana - 


da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 




Buona giornata a tutti. :-)


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