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giovedì 24 gennaio 2019

Il miracolo della beatificazione - San Francesco de Salles, memoria liturgica 24 gennaio

Nell’anno 1623 mio fratello ed io abitavamo presso il signor Claudio Puthod, parroco di Les Ollières nel cantone di Ginevra, nella diocesi di Ginevra. 
I nostri genitori ci avevano mandati là in pensione perché imparassimo il latino sotto la direzione del signor Claudio Crozet, il vicario del signor Puthod. 
Nell’ultimo giorno del mese di aprile, nell’anno 1623, mio fratello era stato duramente punito dal signor Claudio Crozet perché non aveva imparato bene le sue lezioni; perciò mio fratello ed io prendemmo la decisione di tornare dai nostri genitori. 
In quello stesso giorno, senza far partecipe alcuno del nostro proposito, partimmo di primo mattino e giungemmo al fiume Pier, che dista tre miglia scarse da Les Ollières. 
Trovammo il fiume straordinariamente gonfiato dalla neve che era caduta in abbondanza alcuni giorni prima. E poiché dovevamo attraversarlo camminando su tre assi che non erano in alcun modo fissate le une alle altre, esitammo a salirvi, temendo per la nostra vita; ma la paura di ricadere nelle mani del signor Crozet ci fece superare questo timore. Tuttavia, prima di osare l’attraversamento, ci sentimmo spinti a raccomandarci all’intercessione del venerabile servo di Dio Francesco di Sales e dopo esserci inginocchiati facemmo voto che, se fossimo riusciti a superare il fiume sotto la sua protezione, saremmo andati a visitare la sua tomba ed avremmo ascoltato la messa nella chiesa della Visitazione in cui riposa il suo corpo. 
Dopo questo voto mio fratello, che era il più grande, volle salire per primo sul ponte e mi disse che non dovevo in alcun caso osare di salirvi finché lui non fosse giunto sull’altra sponda: temeva che per l’oscillare delle assi malferme uno di noi, o persino entrambi, potesse cadere nel fiume. 
Dunque io restai sulla sponda, mentre lui arrivò fin quasi alla metà del fiume, dove gli vennero le vertigini, mise un piede in fallo e cadde con la faccia sulle assi, gridando forte: «Beato Francesco di Sales, salvami!». 
Lo udii molto chiaramente. Feci in fretta due o tre passi sulle assi per cercare di portargli aiuto quanto potevano permettermelo la mia età e le mie forze; ma invano! Infatti nello stesso momento mio fratello cadde nel fiume. 
Fui così sconvolto dalla sua caduta che caddi io stesso sulle assi e corsi anch’io il pericolo di perdere la vita; ma essendo abbastanza vicino alla sponda, riuscii, dopo aver invocato più volte il servo di Dio gridando: «Beato Francesco di Sales, salvami», a trascinarmi sulla pancia fino alla sponda da cui ero partito, e quando mi fui alzato osservai il corso del fiume per vedere se scorgessi mio fratello; corsi persino lungo la riva per circa duecento passi, piangendo e gridando: «Mio fratello, mio fratello!» Ma non potei vedere altro che il mio cappello che galleggiava sull’acqua, ed era già molto lontano da me. Vedendo che piangere non serviva a nulla, tornai a Les Ollières per annunciare al signor Puthod la nostra disgrazia. 
Mentre dunque attraversavo il villaggio di Ornay, alcune persone che mi videro piangere mi chiesero il motivo delle mie lacrime; quando glielo ebbi raccontato corsero verso la riva del fiume, mentre io andavo a Les Ollières. Non avendo trovato né il signor Puthod né il signor Crozet, dovetti proseguire fino al villaggio vicino per trovare aiuto. Dopodiché tornai al fiume. 
Vi trovai più di trenta persone, e molte mi dissero che stavano cercando mio fratello già da più di tre ore senza poterlo trovare. Qualche tempo dopo vidi venire un certo Alessandro Raphin, accompagnato da suo figlio e da altra gente del villaggio di Ornay: mi fu detto che egli era il miglior nuotatore subacqueo di tutta la zona, che soleva immergersi per recuperare dal fiume i corpi degli annegati e che ne aveva già portati a terra parecchi.
Piangendo calde lacrime lo pregai di cercare il mio povero fratello e gli promisi che il signor parroco di Les Ollières, presso cui ero in pensione, lo avrebbe riccamente ricompensato. Anche molti dei presenti gli rivolsero la stessa preghiera.
Lui promise di farlo e mi chiese in che punto mio fratello era caduto in acqua; dopo aver ben osservato questo punto ed averne misurato la profondità, si svestì e si tuffò nell’acqua, in cui rimase per un buon quarto d’ora, continuando a venire alla superficie per respirare. 
Non avendo trovato nulla, uscì dall’acqua dicendo che non avrebbe potuto rimanervi più a lungo. Dopo essersi rivestito ed aver bevuto un po’ di vino, il signor Raphin voleva andarsene; ma io piansi così tanto, e gli astanti lo supplicarono così insistentemente, che egli promise di immergersi di nuovo e di non andarsene prima di aver ritrovato la salma di mio fratello. 
Così si tuffò nuovamente, dopo essersi riposato a lungo, nello stesso punto e cercò in tutte le direzioni; poi scese per un buon tratto lungo il fiume, senza risultati, e costretto ad uscire dall’acqua e ad indossare di nuovo i suoi abiti, disse un’altra volta che l’acqua era troppo fredda perché potesse cercare ancora. Allora tutti quelli che erano venuti camminarono lungo il fiume insieme al signor Raphin e guardarono se il corpo non fosse rimasto impigliato da qualche parte. 
Infine, dopo circa un’ora di ricerca, girando intorno a un’ansa del fiume vi trovarono una buca insolitamente profonda; ed il signor Raphin e gli altri pensarono che forse il corpo giaceva impigliato in quella buca. 
Perciò egli si svestì di nuovo e, dopo esser stato immerso molto a lungo, tornò in superficie e gridò: «L’ho trovato!» Poi uscì dall’acqua e disse che non ce la faceva più, che doveva prima riprendersi e poi si sarebbe immerso di nuovo e l’avrebbe recuperato; e difatti lo portò su, tenendolo per un braccio, con grande sforzo. 
Il figlio del nominato Raphin si gettò in acqua per aiutare suo padre e spinse il corpo davanti a sé, quando fu fuori dall’acqua lo distesero per terra. Lo vidi tanto gonfio e brutto da non poterlo più riconoscere. 
Tutti i presenti, vedendolo immobile, tutto contuso e livido, dissero che era morto: allora il signor Raphin se lo caricò sulle spalle, lo portò nel villaggio di Ornay e lo depose per terra in un fienile. E il signor parroco di Ville, giunto nel villaggio, lo palpò a lungo, non sentì alcun movimento e disse forte: «E morto, di questo non si può dubitare.
Tuttavia, poiché abita presso il signor parroco di Les Ollières, non possiamo seppellirlo prima che questi sia stato messo al corrente dell’accaduto ed abbia dato disposizioni per la sepoltura». Per questo motivo si aspettò fino al giorno dopo; nel frattempo il signor parroco fece già scavare la tomba nel cimitero della chiesa, in un luogo da lui indicato. 
Mi chiese se era molto tempo che mio fratello Girolamo s’era confessato; gli risposi che l’avevo visto confessarsi dal signor parroco di Les Ollières nell’ultimo sabato santo. Intanto era arrivato quello stesso parroco, e quando vide quella povera salma s’inginocchiò e pregò molto a lungo; quando poi si rialzò venne da me e disse: «Se tu e tuo fratello foste stati ubbidienti, tu ed io soffriremmo di meno». 
Mi disse che dovevo andare con lui dal signor parroco di Ville, e pregò questo signor parroco di concedergli il conforto di poter tenere la cerimonia funebre, la mattina dopo. Questi fu d’accordo e ci invitò a cena.
Durante il pasto si fecero raccontare da me tutti i particolari della disgrazia. Io riferii in particolar modo il voto che mio fratello ed io avevamo fatto al servo di Dio ed il signor Puthod assicurò che, mentre pregava presso la salma, si era sentito spinto a supplicare Dio perché, per i meriti del suo servo Francesco di Sales, restituisse la vita a questo giovane che si era affidato alla sua protezione; aveva anche fatto voto, se la divina bontà avesse esaudito la sua preghiera, di celebrare per nove giorni consecutivi la Santa Messa nella chiesa in cui riposa il servo di Dio. 
Verso la fine della cena giunse da Annecy un certo Stefano Gonet e voleva chiedere al signor parroco di Ville se c’era da portare qualcosa ad Annecy. 
Il signor Puthod, il parroco di Les Ollières, conosceva il signor Gonet e gli raccontò della tribolazione in cui si trovava e del voto che mio fratello ed io, e più tardi anche lui, avevamo fatto al servo di Dio; poi lo pregò che al suo ritorno da Annecy, ancor prima di entrare in casa, fosse così gentile da presentare il detto voto alla tomba del servo di Dio. 
Il signor Gonet promise di farlo ed aggiunse persino che avrebbe fatto dire una messa con questa intenzione.
Dopo cena i due parroci andarono nel fienile in cui giaceva la salma, fecero portare dell’acqua benedetta e celebrarono la veglia funebre; io andai con loro e volevo rimanere e vegliare tutta la notte il mio povero fratello, ma il signor Puthod non volle permettermelo e mi riportò nella casa del parroco di Ville, dove dormii e mi alzai molto tardi a causa della mia grande stanchezza. Appena mi fui alzato tornai con il signor Puthod nel fienile e trovai la salma di mio fratello ancora più sformata e brutta della sera prima. 
Il signor Puthod pregò molto a lungo e poi se ne andò.
Un’ora dopo tornò insieme al signor parroco di Ville; avevano indossato rocchetto e stola e venivano con la croce e con l’acqua benedetta per portare mio fratello al cimitero. Ma nell’attimo in cui si volle deporlo in una bara (secondo l’abitudine di quella zona, in cui le salme degli annegati si mettono nella bara solo al momento di portarle fuori per la sepoltura), mio fratello alzò un braccio. 
Lo sentii lamentarsi e pronunciare queste parole: «O beato Francesco di Sales!». 
Tutti i presenti furono così sconvolti da queste parole che alcuni fuggirono, altri caddero privi di sensi ed i più coraggiosi gridarono: «Un miracolo, un miracolo!». 
I due signori parroci presero per mano mio fratello e lo sollevarono: ora egli non era più brutto e sformato come un attimo prima, ma aveva il suo solito viso. Quando il signor Puthod gli chiese se lo riconosceva, lui rispose con queste parole: «Io conosco il beato Francesco di Sales, egli mi è apparso e mi ha dato la sua benedizione». 
Si fece portare del vino e Girolamo si lavò via la sabbia dalla bocca, dagli occhi, dalle orecchie, dal naso. Gli fu data una camicia, e si potè constatare che era contuso in più punti. 
Fu rivestito con abiti presi a prestito, perché i suoi erano completamente bagnati e pieni di sporcizia. Poi egli raccontò che nell’attimo in cui era stato ridestato gli era apparso il servo di Dio in abito vescovile, così com’è dipinto nelle nostre immagini, e gli aveva dato la sua benedizione; il beato aveva il viso raggiante e l’aveva guardato con dolcezza e benevolenza. 
Dopo di ciò tornammo a Les Ollières insieme al signor Puthod; al nostro arrivo accorsero tutti in chiesa, dove il signor Puthod intonò il Te Deum. Dalla sera di quel giorno mio fratello mangiò e bevve come al solito; è vero che durante la notte si lamentò di violenti dolori alle cosce, alle braccia ed ai piedi, ed il signor Puthod ed io vedemmo le ferite sulle sue membra. 
I dolori durarono fino al giorno in cui il signor Puthod ci portò ad Annecy per adempiere ai nostri voti presso la tomba del servo di Dio (4 maggio): quando fummo giunti nella chiesa della Visitazione il signor Puthod fece coricare mio fratello sulla tomba del servo di Dio. 
Dopo esservi rimasto per circa sette minuti egli si alzò con insolito slancio, dicendo che i violenti dolori di cui aveva sofferto erano spariti d’un colpo.
Il signor Puthod gli fece tirar su una gamba dei calzoni e trovammo che tutte le sue ferite erano guarite. Quando fummo tornati nella locanda ed il signor Puthod lo fece spogliare, constatammo che su di lui non era rimasta traccia di tutte le sue ecchimosi: il suo corpo era sano e intatto come prima della caduta. Rimanemmo in quella città per tutti i nove giorni e vi ascoltammo le nove messe che il signor Puthod celebrò nella chiesa; dopo questa novena tornammo molto consolati a Les Ollières. 
Il ricordo del miracolo è rimasto così profondamente impresso nel mio spirito che non trascorre giorno senza che ringrazi Dio per questa grazia e mi raccomandi all’intercessione del suo servo».

Deposizione del rev. canonico Claudio Puthod durante la sua comparizione ad Annecy, nell’anno del miracolo della resurrezione di Les Ollières:
«Il 29 aprile tornai da questa città di Annecy nella mia casa parrocchiale di Les Ollières...Girolamo e Francesco Genin, i due giovani studenti, erano fra i tredici ed i quattordici anni di età ed erano nati nella parrocchia di Sainte-Hélène- du-Lac, nella diocesi della Moriana. I loro genitori li avevano mandati in pensione presso di me perché imparassero la lingua latina sotto la direzione del signor Crozet....
Il mattino dopo, il 30 aprile, poco prima dell’inizio del giorno partii per recarmi a Thorens, che dista circa un miglio dalla mia parrocchia. 
Nello stesso giorno tornai a Les Ollières, giungendovi verso le ore 5 pomeridiane; allora il sagrestano della parrocchia, di nome Bénestier, si precipitò da me e mi disse che poco dopo la mia partenza per Thorens il mio vicario, il signor Crozet, aveva picchiato così violentemente il giovane Girolamo Genin, perché questi non aveva studiato come doveva e non aveva scritto bene il suo tema, che Girolamo e suo fratello Francesco, quando il signor Crozet era andato a visitare un parroco vicino, si erano incamminati senza dir nulla ed erano fuggiti e che, quando avevano tentato di attraversare il fiume Pier presso il villaggio di Ornay, Girolamo era caduto in acqua ed era annegato senza che suo fratello potesse far qualcosa per aiutarlo. 
Il sagrestano era stato informato della cosa dallo stesso Francesco, che era venuto a Les Ollières per mettere al corrente me ed il mio vicario; ma non avendo trovato né l’uno né l’altro, il ragazzo era tornato indietro con molti parrocchiani per cercare suo fratello nel fiume, e non era ancora tornato.
Questa notizia mi sorprese moltissimo e mi costrinse ad affrettarmi subito, senza neppure entrare nella casa parrocchiale, verso Ornay, dove giunsi verso le ore 6 di sera. 
Andai in un fienile dove, come mi dissero, avrei trovato il cadavere di Girolamo che era stato estratto da poco dalle profondità dell’acqua: lo vidi veramente lungo disteso per terra e lo trovai così sfigurato che, se non avessi saputo della disgrazia, non lo avrei assolutamente riconosciuto. 
Vidi anche Francesco Genin, che piangeva presso la salma. Quando mi vide si gettò sul mio petto e disse: “Ah, signore, mio fratello è morto!” 
In quello stesso momento sentii una forte spinta interiore a promettere a Dio ed al suo servo Francesco di Sales che, se alla bontà divina fosse piaciuto ridar la vita a quel morto per glorificare il suo vero servo Francesco, sarei rimasto per nove giorni in questa città di Annecy per celebrare in loro onore nove messe nella chiesa della Visitazione in cui riposa il corpo del beato. Feci questo voto nel fienile, dopo aver recitato un “De pro-fundis” (Sai 129) per la pace dell’anima del ragazzo.
Dopo di ciò uscii ed andai alla casa parrocchiale di Ville per fare una visita al signor parroco, che mi invitò a cena ed a rimanere per la notte; dopo il pasto recitammo insieme nel fienile, presso la salma, l’uffizio dei defunti. La notte era già caduta. Poi tornammo indietro per dormire. Il mattino dopo tornai nel fienile verso le ore 6: vi trovai il signor Francesco Genin e gli ordinai di tornare a dormire fino al momento della sepoltura di suo fratello. Rimasi in quel fienile per circa due ore, durante le quali recitai il mio breviario e rinnovai il voto di cui ho riferito sopra; di là andai nella chiesa parrocchiale, dove servii la Santa Messa che il signor parroco celebrò per il defunto. Poi confessai i fedeli presso di lui e, poiché mi aveva permesso di celebrare l’uffizio dei defunti e di officiare il funerale, mi preparai per la Santa Messa. Fatto questo andammo, con rocchetto e stola e preceduti dalla croce, a prendere la salma; molte persone che trovammo nel fienile ci dissero che non si poteva più resistere nei pressi del cadavere, per il lezzo che mandava.
Non appena avemmo lasciato il fienile (dopo aver benedetto la salma), cantando i salmi usuali, sentii un caotico rumore proveniente dalle trenta o quaranta persone che si erano riunite per partecipare alla sepoltura. Dovemmo fermarci e guardare indietro: allora vidi questi fedeli chi in ginocchio, chi con le mani levate al ciclo, mentre i più gridavano: “Signori, qui! Il morto è resuscitato!”. Tornai nel fienile e mi avvicinai subito al corpo, il cui viso era già stato scoperto da uno dei presenti: fui estremamente sorpreso di vedere questo giovane pieno di vita. Il suo viso era com’era stato prima della morte, gli occhi aperti, la voce abbastanza ferma, soprattutto quando gli chiesi se non mi riconosceva. Lui mi rispose: “Io conosco il beato Francesco di Sales, che mi ha resuscitato; e conosco anche lei, signor parroco”. Quando lo vidi reggersi in piedi e cominciare a camminare mi prese, lo confesso, un tale terrore che non potei reggermi sulle gambe: dovetti lasciarmi cadere sulle ginocchia. Molti dei presenti giacevano allo stesso modo, con la faccia a terra. Quando finalmente mi fui ripreso un poco dal mio stupore, sentii Girolamo chiedere dell’acqua per pulirsi la bocca, perché, come egli disse, l’aveva piena di sabbia. Gli portarono del vino con cui si lavò la bocca, gli occhi e le orecchie, gli fecero indossare un’altra camicia ed io notai che aveva ecchimosi in più punti, sulle cosce, sui piedi e sulle braccia; e in effetti si lamentava anche per dei dolori che sentiva. Lo vestirono con abiti prestati da un vicino: i suoi erano ancora fradici e coperti di sporcizia. Io diedi al nominato Alessandro Raphin due quarti di tallero come ricompensa per le fatiche che si era sobbarcato nel fiume per circa quattro ore, come lui e diversi altri mi dissero. Il signor parroco di Ville insistette molto cordialmente perché rimanessimo a pranzo con lui; ma la fretta che avevo di portare il risorto nella mia chiesa parrocchiale, per ringraziare là Iddio di questo grande miracolo e per annunciarlo ai miei parrocchiani, non mi permise di accettare l’invito. Mi congedai da lui e da tutta la compagnia, ringraziando tutti per l’amore che avevano dimostrato verso Girolamo Genin; Francesco, suo fratello ed io tornammo a piedi a Les Ollières.
La prima cosa che facemmo fu andare in chiesa, dove suonai le campane per chiamare a raccolta i miei parrocchiani; il primo ad arrivare fu il mio vicario, il signor Crozet. 
Lo seguirono alcuni altri, ai quali raccontai il miracolo. 
Li esortai meglio che potei a venerare il servo di Dio Francesco di Sales, per i cui meriti esso era stato compiuto; poi intonai il Te Deum, che fu cantato per ringraziare Dio. 
Dopo di ciò andammo nella casa parrocchiale, dove Girolamo mangiò e bevve come al solito; nella notte seguente egli sentì più forti i dolori che gli provocavano le ferite di cui erano coperti i suoi piedi, le sue cosce e le sue braccia. Ciò non gli impedì tuttavia di alzarsi la mattina dopo e di andare a fare il suo solito lavoro. Ho dimenticato di dire che non ho mai udito che Girolamo, dopo esser stato tratto dal fiume, avesse buttato fuori o vomitato acqua.

Il 4 maggio del detto anno 1623 i fratelli Girolamo e Francesco Genin ed io ci mettemmo in cammino verso le ore 5 del mattino per recarci in questa città di Annecy, presso la tomba del servo di Dio Francesco di Sales, per adempiere ai nostri voti. 
Vi giungemmo verso le ore 9 del mattino. 
Io celebrai la Santa Messa, la prima delle nove che avevo promesso di celebrare là; nel corso di essa somministrai la Santa Comunione a Girolamo e Francesco Genin, e subito dopo aver finito di render grazie nella sacrestia feci coricare Girolamo, in tutta la sua lunghezza, sulla tomba del servo di Dio. Rimase così per circa sette minuti, durante i quali io e suo fratello Francesco restammo inginocchiati; dopodiché si alzò con insolito slancio dicendoci queste precise parole: «Per la misericordia di Nostro Signore i miei dolori sono improvvisamente scomparsi». 
Per questo motivo volli esaminare i suoi piedi, le sue cosce e le sue braccia che in quello stesso giorno, prima che lasciassimo Les Ollières, avevo visto ancora tutte nere e blu: perciò gli feci tirar su una gamba dei calzoni e vidi che il suo piede non aveva alcuna macchia nera ed alcuna ferita. 
Ringraziai Dio per questa grazia. E quando fummo tornati nella locanda esaminai ancora una volta tutto il suo corpo, e lo trovai così sano com’era prima della caduta nel fiume. 
Restammo ad Annecy per tutti i nove giorni durante i quali celebrai le nove messe promesse, poi tornammo a Les Ollières, dove i due fratelli rimasero fino alla festa di San Michele; a quel punto i loro genitori li mandarono a prendere per trasferirli nel collegio di Chambéry».

Il miracolo della resurrezione, dopo un accurato esame, fu ritenuto valido per la canonizzazione ed è citato espressamente nella relativa bolla (1665) di Papa Alessandro VII (1655/67). 
Alla celebrazione della canonizzazione tenuta ad Annecy (maggio 1665) prese parte anche il risorto Girolamo Genin; più tardi questi si fece prete ed esercitò il suo ministero nella sua diocesi natale della Moriana, come parroco di La Rochette ed anche come giudice del tribunale ecclesiastico.


- Armando Pavese -
da: Guarigioni miracolose in tutte le religioni, Piemme, 2005


Alcuni uomini diventano orgogliosi e insolenti perchè cavalcano un bel cavallo, portano una piuma sul cappello o indossano un vestito elegante. Come non vedere la follia in tutto ciò? 
Se c’è gloria in tali pose sarà comunque una gloria che appartiene al cavallo, all’uccello piumato e al sarto. 

- San Francesco di Sales -


"È necessario sopportare gli altri, ma in primo luogo è necessario sopportare se stessi e rassegnarsi ad essere imperfetti."

- San Francesco di Sales -
da: "Lettere di amicizia spirituale"




Buona giornata a tutti. :-)







domenica 30 settembre 2018

Diceva Padre Pio che la punizione di Dio è quella di non darci nessuna punizione

20 settembre 2018
Centenario della stigmatizzazione di Padre Pio

Da una lettera di Padre Pio al suo direttore spirituale del 22 ottobre 1918:
«Era la mattina del 20 dello scorso mese in coro, dopo la celebrazione della santa messa, allorché venni sorpreso dal riposo, simile ad un dolce sonno. Tutti i sensi interni ed esterni, non che le stesse facoltà dell’anima si trovarono in una quiete indescrivibile. In tutto questo vi fu un totale silenzio intorno a me e dentro di me; vi subentrò subito una gran pace ed abbandono alla completa privazione del tutto e una posa nella stessa rovina. 
Tutto questo avvenne in un baleno. E mentre tutto questo si andava operando, mi vidi dinanzi un misterioso personaggio, simile a quello visto la sera del 5 agosto, che differenziava in questo solamente che aveva le mani ed i piedi ed il costato che grondava sangue. 
La sua vista mi atterrisce; ciò che sentivo in quell’istante in me non saprei dirvelo. 
Mi sentivo morire e sarei morto se il Signore non fosse intervenuto a sostenere il cuore, il quale me lo sentivo sbalzare dal petto. 
La vista del personaggio si ritira ed io mi avvidi che mani, piedi e costato erano traforati e grondavano sangue. 
Immaginate lo strazio che esperimentai allora e che vado sperimentando continuamente quasi tutti i giorni. La ferita del cuore gitta assiduamente del sangue, specie dal giovedì a sera sino al sabato. 
Padre mio, io muoio di dolore per lo strazio e per la confusione susseguente che io provo nell’intimo dell’anima. 
Temo di morire dissanguato, se il Signore non ascolta i gemiti del mio povero cuore e col ritirare da me questa operazione. Mi farà questa grazia Gesù che è tanto buono? 
Toglierà almeno da me questa confusione che io esperimento per questi segni esterni? Innalzerò forte la mia voce a lui e non desisterò dal scongiurarlo, affinché per sua misericordia ritiri da me non lo strazio, non il dolore perché lo veggo impossibile ed io sento di volermi inebriare di dolore, ma questi segni esterni che mi sono di una confusione e di una umiliazione indescrivibile ed insostenibile […]».



La punizione di Dio, diceva Padre Pio è quella di non darci nessuna punizione, Dio lo abbiamo cacciato via da noi, e Lui non ha inveito contro di noi, ci ha lasciati liberi di seguire i desideri del nostro cuore, in nome della nostra libertà siamo andati dove ci portava il nostro cuore, e adesso cominciamo a vedere che siamo andati a finire in un mare di guai.
Dobbiamo imparare dalla Storia Sacra: soltanto quando gli Ebrei ritornavano a Dio, Dio interveniva con un miracolo che li liberava dalla dura schiavitù in cui si erano cacciati da soli.
Dio non viene se noi non lo invochiamo con la nostra conversione, se non lo riconosciamo come Padre Nostro."

- Don Vincenzo Carone -




Bisogna essere forti per diventare grandi: ecco il nostro dovere. La vita è una lotta dalla quale non possiamo ritrarci, ma bisogna trionfarvi."

- San Pio da Pietrelcina -



O santo angelo custode,

abbi cura dell’anima mia e del mio corpo.
Illumina la mia mente
perché conosca meglio il Signore
e lo ami con tutto il cuore.
Assistimi nelle mie preghiere
perché non ceda alle distrazioni
ma vi ponga la più grande attenzione.
Aiutami con i tuoi consigli, perché veda il bene
e lo compia con generosità.
Difendimi dalle insidie del nemico infernale
e sostienimi nelle tentazioni
perché riesca sempre vincitore.
Supplisci alla mia freddezza nel culto del Signore:
non cessare di attendere alla mia custodia
finché non mi abbia portato in Paradiso,
ove loderemo insieme il Buon Dio per tutta l’eternità.

- San Pio di Pietrelcina -



Buona giornata a tutti. :-)






lunedì 6 agosto 2018

Il miracolo della Madonna di Fatima a Padre Pio, 6 agosto 1959 – Domenico Lucchetti

Il 5 agosto del 1959 è una di quelle date fatidiche che rientrano negli avvenimenti più cari ella vita di Padre Pio.
Arriva finalmente a S. Giovanni Rotondo, la statua della Madonna di Fatima che viene portata in elicottero in tutti i capoluoghi di provincia.
Per San Giovanni Rotondo viene fatta un’eccezione.
Preparata da una serie di brevi catechesi svolte proprio da Padre Pio ammalato, la visita si rivela carica di suggestione oltre che di affetto verso la Madonna.
Durante la mattinata del 6 agosto il Padre può scendere in chiesa, soffermandosi più volte, seduto perché sfinito e seriamente malato, dinanzi all’immagine della Madonna di Fatima.
E, quale gesto affettuoso di tenerezza filiale offre, al bianco simulacro di Maria, la corona del rosario.
E’ il momento topico della visita del simulacro della Madonna a S. Giovanni. La statua viene abbassata fino al viso del Padre che finalmente la può baciare teneramente.
E’ lo stesso uomo, lo stesso innamorato di Maria, il sacerdote, che quarantaquattro anni prima, scrivendo a padre Agostino aveva così espresso i suoi teneri sentimenti verso l’Immacolata: "Vorrei avere una voce si forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna. Ma poiché ciò non è in mio potere, ho pregato, e pregherò il mio angiolino a compiere per me questo ufficio"

- a Padre Agostino, il 1° maggio 1912, Epistolario pag. 277


Tra le 14 o 15 del pomeriggio, l’elicottero con la statua della Madonna si alza in volo dalla terrazza della Casa Sollievo della sofferenza.
Davanti a Padre Pio che si trova affacciato alla finestra del coro della Chiesa, l’elicottero compie tre giri attorno alla piazza gremita di fedeli.
Poi s’allontana verso le Terre di Sicilia.
A questo punto, con gli occhi inumiditi dalla commozione, padre Pio rivolge a Maria un breve lamento intriso di abbandono filiale: "Madonna, Mamma mia, sei entrata in Italia e mi sono ammalato; ora te ne vai e mi lasci ancora malato" 

- Raffaele da S.Elia a Pianisi, ms. c. ff. 112-114. Cf Diario p. 187; G. Curci, l’Innamorato della Madonna, o.c., pp. 46-47


In questo stesso istante Padre Pio avverte come un brivido scorrere per tutta la persona e guarisce miracolosamente dal male che i medici gli avevano diagnosticato: un tumore alla pleura.
E’ lo stesso Padre Agostino, amico e direttore spirituale di Padre Pio fin dagli anni di seminario a confermare la guarigione immediata del frate stigmatizzato: "In un momento il Padre si sentì come una forza misteriosa nel suo corpo e disse ai confratelli: Sono guarito!"

- Padre Agostino da S.Marco in Lamis, Diario, p.240) per la visita di Nostra Signora di Fatima a S. Giovanni Rotondo cfr. Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Crocifisso senza croce, Ed. omonime, pag. 424-425)



Per dare completezza alla narrazione di quanto avvenuto, bisogna riportare la testimonianza del dottor Giuseppe Sala, il quale precisa che "in quel tempo, il Padre era già clinicamente guarito dalla pleurite essudativa; si prevedeva una convalescenza, che si sarebbe potuta protrarre per mesi e mesi, salvo complicazioni, ignorandone l’esito e obbligando il paziente a sospendere la consueta attività.
Il dott. Sala riconosce che "padre Pio si riprese in modo inaspettato e con la terapia predisposta dai medici"

- Lettera del dott. Giuseppe Sala, S.Giovanni Rotondo 24 settembre 1971, ms, in APG, ff. , in Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Crocifisso senza croce, ed omonime, pag. 426)

Un gruppo di medici ha l’occasione di fare visita a Padre Pio e rendersi pienamente consapevole di una guarigione istantanea e rapida, dallo stesso Padre Pio attribuita alla Madonna quando afferma con convinzione: "la Madonna è venuta qui, perché voleva guarire Padre Pio".

- Domenico Lucchetti -
San Giovanni Rotondo (Foggia)


Buona giornata a tutti. :-)









martedì 1 maggio 2018

Un miracolo della Vergine Maria


In Sicilia, nella provincia di Tortosa, viveva tanti anni fa un uomo chiamato Teofilo, che era vicario del vescovo. Era un uomo di grande onestà e bontà, attento ai deboli e generoso verso i poveri. Era gentile e benvoluto da tutti al punto che, quando morì il vescovo, fu acclamato da tutto il popolo che lo voleva come successore. Dopo averlo eletto in modo ufficiale, inviarono una lettera all'arcivescovo pregandolo di confermare l'elezione. L'arcivescovo, avendo ricevuto chiara testimonianza della rettitudine di Teofilo, accettò il volere del popolo e ratificò l'elezione. Ma Teofilo, umile e schivo, non si sentiva all'altezza della prestigiosa carica, e rifiutò.
Fu dunque chiamato ed eletto un altro vescovo, il quale, su richiesta di alcuni individui invidiosi, tolse la dignità del vicariato a Teofilo e lo privò di tutti i privilegi di cui godeva. Teofilo era un uomo paziente e, al principio, accettò di buon grado la nuova situazione. Ma quando vide che era stato sostituito da un uomo indegno e malvagio, cominciò a rimpiangere il proprio rifiuto e fu assalito da una profonda amarezza.
E fu così che il Diavolo - che non perde mai occasione di sfruttare un momento di debolezza per far vacillare un santo - mise nel cuore e nell'immaginazione di Teofilo la vergogna per essere stato estromesso dal proprio incarico e il cruccio per aver perso il prestigio e gli onori a cui si era abituato. Teofilo cominciò a pensare. Ormai, tutti i suoi pensieri erano volti a escogitare un modo per riappropriarsi di ciò che gli era stato tolto.
Si recò allora da un negromante ebreo, esperto nelle arti magiche e nell'incantare i diavoli. Gli raccontò l'affronto e il danno subiti a causa del nuovo vescovo e lo pregò di aiutarlo e consigliarlo. «Torna a casa senza farti vedere» rispose il negromante «affinché non si venga a sapere che sei stato da me. Questa notte tornerai qui a questa stessa ora e io ti accompagnerò da messer Lucifero mio signore, così potrai chiedergli ciò che desideri».
Teofilo se ne andò, e le poche ore che dovette attendere gli parvero anni. Quando scoccò l'ora stabilita, nel cuore della notte, Teofilo tornò dall'ebreo, che lo condusse in una grotta fuori città. Durante il cammino, lungo il sentiero scosceso che li avrebbe condotti alla caverna, il negromante non fece altro che raccomandare a Teofilo di non aver paura dello spettacolo che avrebbe visto e, soprattutto, di non farsi mai per nessuna ragione il segno della croce. Giunti nell'antro buio, il negromante cominciò a incantare i demoni. Ed ecco che, dopo poco, giunse in processione una schiera di cavalieri neri coperti da spettrali mantelle lunghe fino ai piedi. Sembrava un corteo reale di nobili. Al centro stava il Principe delle Tenebre che, al termine della lugubre sfilata, si pose a sedere su un trono scavato nella roccia. Allora, il negromante prese per mano Teofilo e lo trascinò davanti a quel Tribunale
del Male. «Messere» disse con grande deferenza, «vi ho condotto quest'uomo il quale dice di aver ricevuto dal vescovo una grande ingiuria. Io ve lo raccomando e vi scongiuro di aiutarlo facendo ciò che vi chiederà». «E quale aiuto dovrei dare a questo sciagurato che serve Dio?» chiese alquanto contrariato Lucifero. «Questi cristiani sono dei veri sfrontati!» protestò sbuffando. «Adorano Dio, la Vergine e i Santi con tanti salamelecchi, ma poi quando hanno bisogno di qualcosa vengono da me! E quando hanno ottenuto dal sottoscritto quello che vogliono, si fanno beffe di me, e ritornano a Gesù Cristo, il quale sempre compiacente e misericordioso li perdona! E così io rimango scornato!».
Messer Lucifero continuò la sua prolusione spiegando che ora le cose erano cambiate. Era stanco di essere buggerato dai cristiani che gli chiedevano malefici! Ora pretendeva non solo che rinnegassero Dio, Gesù, la Vergine e i Santi inginocchiandosi per adorarlo, ma che firmassero di loro pugno un contratto scritto in cui confermavano di rinnegare la loro fede e si impegnavano solennemente a farsi servi di Belzebù. Il povero Teofilo, in preda a paura e confusione, si inginocchiò e baciò i piedi di Satana, poi con voce tremante rinnegò Dio, il Figlio e sua Madre la Vergine Maria, ed infine con mano incerta firmò un pezzo di carta in cui prometteva la propria anima al Diavolo. Infine, Lucifero disse: «Ora vattene! Domani provvederò a fare ciò che mi hai chiesto». Quel nero consesso di cortigiani del Maligno sparì dalla loro vista.
Il giorno seguente, per fattura del Diavolo, il vescovo ricevette Teofilo con grande pompa e gli restituì il vicariato con una solenne cerimonia in presenza del clero e di fronte a tutto il popolo. Ora accadde che, dopo qualche tempo, Teofilo ritornò in sé e si ritrovò in preda al rimorso. Sgomento e angoscia gli toglievano il sonno. Piangeva in solitudine, mormorando in cuor suo: “O misero me, che cosa ho fatto? O me sventurato, dove andrò, dove fuggirò? Come ho potuto rinnegare il buon Dio e sua Madre, la gloriosa Vergine Maria? Come ho ardito farmi schiavo del Diavolo e lasciargli anche una carta scritta di mio pugno? Guai a me! Cosa farò ora? Da chi andrò a chiedere aiuto e consiglio? E cosa risponderò al giudice nel Giorno del Giudizio?”. Alla fine Teofilo, con grande amarezza, nuovamente ispirato da Dio, disse a se stesso: “È vero, io mi sono macchiato di questo orrendo crimine contro Dio e contro la Vergine, ma nondimeno so che la beata Madre di Dio è anche madre misericordiosissima; Ella ama i suoi figli, anche se peccatori; mi recherò dunque nella sua chiesa, e starò là in ginocchio, e piangerò e pregherò fino a che non avrà compassione di me”.
Entrò in quella chiesa e lì vi stette per quaranta giorni e quaranta notti digiunando, piangendo e supplicando misericordia.
Dopo quaranta giorni, gli apparve la beata Vergine Maria, che gli rivolse queste parole: «Come osi chiedere misericordia, dopo aver rinnegato me e il mio Figliolo? L'ingiuria fatta a me posso anche sopportarla, ma il mio cuore di madre non può sopportare l'oltraggio fatto al mio amatissimo Figlio, che già patì per causa degli uomini insulti e infamie senza avere colpa. Ebbene, io perdono il peccato che hai commesso contro di me, poiché io amo come miei figli tutti i cristiani e in special modo coloro che ripongono speranza in me e nutrono per me una speciale devozione. Ma è troppo grave ciò che hai commesso contro mio Figlio. È necessario che tu, con profondissima contrizione di cuore, chieda a Lui il perdono che desideri».
Teofilo si inginocchiò e commosso disse: «O dolcissima Vergine Maria, io riconosco di avere molto peccato, so bene di non essere degno di misericordia, ma la fiducia e la speranza che mi danno l'ardire di implorare il perdono mi è data da santi che peccarono gravemente, ma che pentendosi trovarono misericordia, come san Pietro apostolo, il quale dopo aver rinnegato tre volte Nostro Signore, pianse amaramente e fu fondatore della Chiesa, e san Paolo che perseguitò i cristiani, ma che dopo il pentimento trovò grande favore presso Dio».
Allora, Maria chiese a Teofilo di pronunciare una solenne professione di fede: «Confessa dunque che Gesù è Figlio di Dio, vivo e vero, il quale verrà a giudicare i vivi e i morti, e io pregherò per te».
Teofilo si gettò con la faccia a terra, e con gemiti e sospiri proclamò: «Io credo, adoro e magnifico il tuo unico Figlio, e mio Signore, Cristo Gesù. Credo che è l'Unigenito Figlio di Dio in unità con il Padre e lo Spirito nella Santissima Trinità. Così credo e così confesso, e in questa confessione ti supplico, Madre dolcissima, di intercedere per me presso il tuo Figliolo, affinché perdoni il mio peccato». Maria, vedendo il profondo dolore e il pentimento di Teofilo, gli promise di pregare per lui; poi scomparve.
Teofilo, rincuorato da questa promessa, attese tre giorni e tre notti, nella gelida chiesa, senza mangiare e senza bere.
Dopo tre giorni, la Vergine apparve con un viso allegro e occhi lieti, e con voce benigna e mansueta gli annunciò: «O uomo, la tua penitenza basta; rallegrati perché Gesù, in virtù delle mie insistenti preghiere, ti ha perdonato, e ti ha accolto ancora nella sua Grazia, purché tu perseveri nel bene fino alla fine della vita».
Teofilo felice ringraziò la Madonna innalzando lodi al Signore, ma poi fu assalito da un nuovo timore e disse: «Santa Vergine, c'è un'altra cosa di cui ho paura. Quando nella mia scelleratezza rinnegai la fede, firmai una carta che potrebbe essere usata contro di me nel Giorno del Giudizio. Ti scongiuro, Madre clementissima, ordina a Lucifero di restituirmi quella carta, affinché io possa distruggerla». La Vergine sospirò, ma gli diede buona speranza, e ancora una volta sparì.
Teofilo riprese il digiuno e le preghiere con più fervore di prima. Maria chiamò i suoi angeli e ordinò: «Andate da Lucifero e portatelo da me, e ditegli di portare con sé il contratto firmato da Teofilo».
Gli angeli scesero all'Inferno e prelevarono il Diavolo, chiedendogli la carta di Teofilo. Quando si trovò di fronte alla Vergine, il Diavolo cominciò a scrollare la testa: «Fu Teofilo a venire da me!» protestò. «Non fui io a cercarlo. Non potete togliermi questa carta, poiché Teofilo la firmò di propria volontà e non fu costretto con la forza. Mi chiese un maleficio e io glielo concessi in cambio di questo patto!».
La Vergine, con tono solenne e sdegnato, disse a Lucifero: «Non sai forse tu che in qualunque ora il peccatore si penta, Iddio lo perdona e dimentica ogni ingiuria e ogni errore? Teofilo ha pianto amaramente il suo peccato, ed è quindi degno di ricevere la Grazia di Dio». Allora Lucifero, non potendo fare altro, restituì la carta alla Vergine Maria con urla e strepiti, furioso per essere stato imbrogliato ancora una volta.
Dopo tre giorni Maria apparve di nuovo in chiesa di fronte a Teofilo, che giaceva addormentato su una panca. Gli lasciò quel pezzo di carta sul petto e sparì. Quando Teofilo si destò, sentì nel cuore una letizia e una gratitudine mai provate prima.
Ringraziò la Vergine restando in orazione per tutta la notte. Il giorno seguente, Teofilo si recò in duomo dal vescovo e chiese che venisse radunato il clero e tutto il popolo. Davanti a tutti narrò la sua storia: di come aveva rinnegato il Signore, la Vergine e i Santi e avesse firmato un patto con il Diavolo e di come la Vergine avesse avuto pena di lui e lo avesse salvato.
La folla pianse e si commosse, cantando lodi e inni alla Vergine Maria. Teofilo partecipò alla Messa e si comunicò con reverenza. Poi regalò tutti i suoi averi ai poveri e si diede a una vita austera, vivendo di elemosina e di penitenza fino alla fine della vita.

Dal Libro del Cavaliere (XV secolo)

da: Leggende Cristiane, storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini a cura di Roberta Bellinzaghi, Edizioni Piemme, 2004, pagg, 98-100


Buona giornata a tutti. :-)