In Sicilia, nella provincia di Tortosa,
viveva tanti anni fa un uomo chiamato Teofilo, che era vicario del vescovo. Era un
uomo di grande onestà e bontà, attento ai deboli e generoso verso i poveri. Era
gentile e benvoluto da tutti al punto che, quando morì il vescovo, fu acclamato
da tutto il popolo che lo voleva come successore. Dopo averlo eletto in modo
ufficiale, inviarono una lettera all'arcivescovo pregandolo di confermare
l'elezione. L'arcivescovo, avendo ricevuto chiara testimonianza della
rettitudine di Teofilo, accettò il volere del popolo e ratificò l'elezione. Ma
Teofilo, umile e schivo, non si sentiva all'altezza della prestigiosa carica, e
rifiutò.
Fu dunque chiamato ed eletto un altro
vescovo, il quale, su richiesta di alcuni individui invidiosi, tolse la dignità
del vicariato a Teofilo e lo privò di tutti i privilegi di cui godeva. Teofilo
era un uomo paziente e, al principio, accettò di buon grado la nuova situazione.
Ma quando vide che era stato sostituito da un uomo indegno e malvagio, cominciò
a rimpiangere il proprio rifiuto e fu assalito da una profonda amarezza.
E fu così che il Diavolo - che non perde mai
occasione di sfruttare un momento di debolezza per far vacillare un santo -
mise nel cuore e nell'immaginazione di Teofilo la vergogna per essere stato
estromesso dal proprio incarico e il cruccio per aver perso il prestigio e gli
onori a cui si era abituato. Teofilo cominciò a pensare. Ormai, tutti i suoi
pensieri erano volti a escogitare un modo per riappropriarsi di ciò che gli era
stato tolto.
Si recò allora da un negromante ebreo,
esperto nelle arti magiche e nell'incantare i diavoli. Gli raccontò l'affronto
e il danno subiti a causa del nuovo vescovo e lo pregò di aiutarlo e
consigliarlo. «Torna a casa senza farti vedere» rispose il negromante «affinché
non si venga a sapere che sei stato da me. Questa notte tornerai qui a questa
stessa ora e io ti accompagnerò da messer Lucifero mio signore, così potrai
chiedergli ciò che desideri».
Teofilo se ne andò, e le poche ore che
dovette attendere gli parvero anni. Quando scoccò l'ora stabilita, nel cuore
della notte, Teofilo tornò dall'ebreo, che lo condusse in una grotta fuori
città. Durante il cammino, lungo il sentiero scosceso che li avrebbe condotti
alla caverna, il negromante non fece altro che raccomandare a Teofilo di non
aver paura dello spettacolo che avrebbe visto e, soprattutto, di non farsi mai
per nessuna ragione il segno della croce. Giunti nell'antro buio, il negromante
cominciò a incantare i demoni. Ed ecco che, dopo poco, giunse in processione
una schiera di cavalieri neri coperti da spettrali mantelle lunghe fino ai
piedi. Sembrava un corteo reale di nobili. Al centro stava il Principe delle
Tenebre che, al termine della lugubre sfilata, si pose a sedere su un trono
scavato nella roccia. Allora, il negromante prese per mano Teofilo e lo
trascinò davanti a quel Tribunale
del Male. «Messere» disse con grande
deferenza, «vi ho condotto quest'uomo il quale dice di aver ricevuto dal
vescovo una grande ingiuria. Io ve lo raccomando e vi scongiuro di aiutarlo
facendo ciò che vi chiederà». «E quale aiuto dovrei dare a questo sciagurato
che serve Dio?» chiese alquanto contrariato Lucifero. «Questi cristiani sono
dei veri sfrontati!» protestò sbuffando. «Adorano Dio, la Vergine e i Santi con
tanti salamelecchi, ma poi quando hanno bisogno di qualcosa vengono da me! E
quando hanno ottenuto dal sottoscritto quello che vogliono, si fanno beffe di
me, e ritornano a Gesù Cristo, il quale sempre compiacente e misericordioso li
perdona! E così io rimango scornato!».
Messer Lucifero continuò la sua prolusione
spiegando che ora le cose erano cambiate. Era stanco di essere buggerato dai
cristiani che gli chiedevano malefici! Ora pretendeva non solo che rinnegassero
Dio, Gesù, la Vergine e i Santi inginocchiandosi per adorarlo, ma che
firmassero di loro pugno un contratto scritto in cui confermavano di rinnegare
la loro fede e si impegnavano solennemente a farsi servi di Belzebù. Il povero
Teofilo, in preda a paura e confusione, si inginocchiò e baciò i piedi di
Satana, poi con voce tremante rinnegò Dio, il Figlio e sua Madre la Vergine
Maria, ed infine con mano incerta firmò un pezzo di carta in cui prometteva la
propria anima al Diavolo. Infine, Lucifero disse: «Ora vattene! Domani
provvederò a fare ciò che mi hai chiesto». Quel nero consesso di cortigiani del
Maligno sparì dalla loro vista.
Il giorno seguente, per fattura del Diavolo,
il vescovo ricevette Teofilo con grande pompa e gli restituì il vicariato con
una solenne cerimonia in presenza del clero e di fronte a tutto il popolo. Ora
accadde che, dopo qualche tempo, Teofilo ritornò in sé e si ritrovò in preda al
rimorso. Sgomento e angoscia gli toglievano il sonno. Piangeva in solitudine,
mormorando in cuor suo: “O misero me, che cosa ho fatto? O me sventurato, dove
andrò, dove fuggirò? Come ho potuto rinnegare il buon Dio e sua Madre, la
gloriosa Vergine Maria? Come ho ardito farmi schiavo del Diavolo e lasciargli
anche una carta scritta di mio pugno? Guai a me! Cosa farò ora? Da chi andrò a
chiedere aiuto e consiglio? E cosa risponderò al giudice nel Giorno del
Giudizio?”. Alla fine Teofilo, con grande amarezza, nuovamente ispirato da Dio,
disse a se stesso: “È vero, io mi sono macchiato di questo orrendo crimine
contro Dio e contro la Vergine, ma nondimeno so che la beata Madre di Dio è
anche madre misericordiosissima; Ella ama i suoi figli, anche se peccatori; mi
recherò dunque nella sua chiesa, e starò là in ginocchio, e piangerò e pregherò
fino a che non avrà compassione di me”.
Entrò in quella chiesa e lì vi stette per
quaranta giorni e quaranta notti digiunando, piangendo e supplicando
misericordia.
Dopo quaranta giorni, gli apparve la beata
Vergine Maria, che gli rivolse queste parole: «Come osi chiedere misericordia,
dopo aver rinnegato me e il mio Figliolo? L'ingiuria fatta a me posso anche
sopportarla, ma il mio cuore di madre non può sopportare l'oltraggio fatto al
mio amatissimo Figlio, che già patì per causa degli uomini insulti e infamie
senza avere colpa. Ebbene, io perdono il peccato che hai commesso contro di me,
poiché io amo come miei figli tutti i cristiani e in special modo coloro che
ripongono speranza in me e nutrono per me una speciale devozione. Ma è troppo
grave ciò che hai commesso contro mio Figlio. È necessario che tu, con
profondissima contrizione di cuore, chieda a Lui il perdono che desideri».
Teofilo si inginocchiò e commosso disse: «O
dolcissima Vergine Maria, io riconosco di avere molto peccato, so bene di non
essere degno di misericordia, ma la fiducia e la speranza che mi danno l'ardire
di implorare il perdono mi è data da santi che peccarono gravemente, ma che
pentendosi trovarono misericordia, come san Pietro apostolo, il quale dopo aver
rinnegato tre volte Nostro Signore, pianse amaramente e fu fondatore della
Chiesa, e san Paolo che perseguitò i cristiani, ma che dopo il pentimento trovò
grande favore presso Dio».
Allora, Maria chiese a Teofilo di pronunciare
una solenne professione di fede: «Confessa dunque che Gesù è Figlio di Dio,
vivo e vero, il quale verrà a giudicare i vivi e i morti, e io pregherò per
te».
Teofilo si gettò con la faccia a terra, e con
gemiti e sospiri proclamò: «Io credo, adoro e magnifico il tuo unico Figlio, e
mio Signore, Cristo Gesù. Credo che è l'Unigenito Figlio di Dio in unità con il
Padre e lo Spirito nella Santissima Trinità. Così credo e così confesso, e in
questa confessione ti supplico, Madre dolcissima, di intercedere per me presso
il tuo Figliolo, affinché perdoni il mio peccato». Maria, vedendo il profondo
dolore e il pentimento di Teofilo, gli promise di pregare per lui; poi
scomparve.
Teofilo, rincuorato da questa promessa,
attese tre giorni e tre notti, nella gelida chiesa, senza mangiare e senza
bere.
Dopo tre giorni, la Vergine apparve con un
viso allegro e occhi lieti, e con voce benigna e mansueta gli annunciò: «O
uomo, la tua penitenza basta; rallegrati perché Gesù, in virtù delle mie
insistenti preghiere, ti ha perdonato, e ti ha accolto ancora nella sua Grazia,
purché tu perseveri nel bene fino alla fine della vita».
Teofilo felice ringraziò la Madonna
innalzando lodi al Signore, ma poi fu assalito da un nuovo timore e disse:
«Santa Vergine, c'è un'altra cosa di cui ho paura. Quando nella mia
scelleratezza rinnegai la fede, firmai una carta che potrebbe essere usata
contro di me nel Giorno del Giudizio. Ti scongiuro, Madre clementissima, ordina
a Lucifero di restituirmi quella carta, affinché io possa distruggerla». La
Vergine sospirò, ma gli diede buona speranza, e ancora una volta sparì.
Teofilo riprese il digiuno e le preghiere con
più fervore di prima. Maria chiamò i suoi angeli e ordinò: «Andate da Lucifero
e portatelo da me, e ditegli di portare con sé il contratto firmato da
Teofilo».
Gli angeli scesero all'Inferno e prelevarono
il Diavolo, chiedendogli la carta di Teofilo. Quando si trovò di fronte alla
Vergine, il Diavolo cominciò a scrollare la testa: «Fu Teofilo a venire da me!»
protestò. «Non fui io a cercarlo. Non potete togliermi questa carta, poiché
Teofilo la firmò di propria volontà e non fu costretto con la forza. Mi chiese
un maleficio e io glielo concessi in cambio di questo patto!».
La Vergine, con tono solenne e sdegnato,
disse a Lucifero: «Non sai forse tu che in qualunque ora il peccatore si penta,
Iddio lo perdona e dimentica ogni ingiuria e ogni errore? Teofilo ha pianto
amaramente il suo peccato, ed è quindi degno di ricevere la Grazia di Dio».
Allora Lucifero, non potendo fare altro, restituì la carta alla Vergine Maria
con urla e strepiti, furioso per essere stato imbrogliato ancora una volta.
Dopo tre giorni Maria apparve di nuovo in
chiesa di fronte a Teofilo, che giaceva addormentato su una panca. Gli lasciò
quel pezzo di carta sul petto e sparì. Quando Teofilo si destò, sentì nel cuore
una letizia e una gratitudine mai provate prima.
Ringraziò la Vergine restando in orazione per
tutta la notte. Il giorno seguente, Teofilo si recò in duomo dal vescovo e chiese
che venisse radunato il clero e tutto il popolo. Davanti a tutti narrò la sua
storia: di come aveva rinnegato il Signore, la Vergine e i Santi e avesse
firmato un patto con il Diavolo e di come la Vergine avesse avuto pena di lui e
lo avesse salvato.
La folla pianse e si commosse, cantando lodi
e inni alla Vergine Maria. Teofilo partecipò alla Messa e si comunicò con
reverenza. Poi regalò tutti i suoi averi ai poveri e si diede a una vita
austera, vivendo di elemosina e di penitenza fino alla fine della vita.
Dal Libro del Cavaliere (XV secolo)
da: Leggende Cristiane, storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini a cura di Roberta Bellinzaghi, Edizioni Piemme, 2004, pagg, 98-100
Buona giornata a tutti. :-)